Gli studi sulla genesi sociale e storica delle camorre “di provincia” tra Ottocento e Novecento risultano comparativamente meno attenzionati dalla letteratura sul tema. Fatta eccezione per alcuni lavori più o meno recenti, talvolta riferibili a letteratura grigia e d’inchiesta giornalistica, il panorama delle ricerche storico-sociali metodologicamente solide sul fenomeno camorristico nella Campania Felix, nella bassa piana del Volturno e nella Terra di lavoro, non è ricchissimo. Eppure, una porzione significativa del dibattito sulle origini delle camorre nello Stato unitario si è dispiegato in questi luoghi, dove ha assunto tratti peculiari e simili alla mafia siciliana del latifondo, sulle cui forme la storia e le scienze sociali hanno certamente rivolto maggiore attenzione, producendo una bibliografia assai più ricca1.
Il volume di Carolina Castellano, storica contemporaneista presso l’Università di Napoli Federico II, aggiunge interessanti tasselli alla comprensione delle camorre dell’entroterra. Da tempo attenta alla storia della giustizia, del settarismo ottocentesco e della criminalità organizzata campana, su questi temi Castellano è già autrice di una articolata produzione, al cui interno troviamo – tra gli altri – il volume Affari di camorra2. Curato con Luciano Brancaccio, sociologo, quel volume raccoglie i risultati di una ricerca condotta da diverse prospettive disciplinari, che alla storia contemporanea e alla sociologia affiancano l’economia, la teoria dell’organizzazione e le scienze giuridiche. La collaborazione tra queste e altre discipline è propria del Laboratorio di Ricerca sulle Mafie e la Corruzione (Lirmac), attivato presso il Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II, di cui Carolina Castellano è co-fondatrice. A parere di chi scrive, nell’ultimo lavoro di Castellano, Una questione di provincia. Criminalità e camorra tra età giolittiana e fascismo, si può apprezzare l’effetto positivo di questo percorso di cooperazione interdisciplinare. Cooperazione che non disconosce distinzioni e sensibilità, punti di vista e tradizioni di ricerca interne alle diverse prospettive: Una questione di provincia è un saggio di storia contemporanea. Eppure, prosegue e alimenta un confronto con strumenti metodologici e linguaggi differenti, rafforzando il tenore delle conoscenze acquisite e delle chiavi interpretative3 . Conoscenze e interpretazioni che in questo modo sono di maggiore interesse non solo per l’erudizione accademica, ma anche per il dibattito pubblico e per alimentare proposte politiche4 ; una angolatura che trova particolare riscontro nell’interesse che l’Autrice rivolge all’anticamorra storica, laddove le fonti giudiziarie e di polizia non sono unicamente contenitori di informazioni, ma punti di vista dai quali riflettere sulla costruzione pubblica e politica della “camorra rurale”, sulle politiche di sicurezza e di ordine pubblico, sull’uso partigiano della strumentazione giuridico-giudiziaria.
“Camorra rurale” è l’etichetta che emergeva già dal periodo dell’unificazione, vaga e onnicomprensiva di forme locali spesso assai variegate: dai gruppi che agivano per il controllo del territorio attraverso l’imposizione di guardiania e di colonia, a figure di mediatori nella regolazione violenta dei mercati ortofrutticoli, fino alla tessitura di legami con la politica e le clientele elettorali.
Una “questione di provincia” che resta centrale per comprendere le “camorre di città”, non solo perché con i gruppi dell’entroterra quest’ultime hanno sovente intessuto relazioni. Il nesso si può leggere su un altro versante, quello della repressione e delle retoriche che di volta in volta ne “giustificano” la virulenza. Nel primo dei tre capitoli di cui si compone l’opera, Carolina Castellano parte proprio dall’emersione dalla “questione camorrista” connessa agli “scandali” che a cavallo tra Ottocento e Novecento investono l’alta camorra o camorra amministrativa5, alimentati dalle emergenti posizioni socialiste che modificavano il linguaggio politico, attribuendo un rilievo di primo piano alla “questione morale”. Nel quadro della polemica antiparlamentare, la corruzione politica è definita nel linguaggio criminologico socialista come forma di civilizzazione di quella brigantesca. Approfondendo la costruzione pubblica e giuridico-giudiziaria dela criminalità nel noto processo Cuocolo, l’Autrice sottolinea l’immagine polarizzata tra crimine organizzato “urbano”, gerarchico e sofisticato, rispetto alla sua forma provinciale, arcaica, violenta, “tribale”6. Per paradosso, le inchieste del primo Novecento restano inefficaci nella repressione della camorra “alta”, traducendosi invece in ondate di violenta repressione nelle zone della provincia di Terra di Lavoro, specie intorno a Nola ed Aversa. Medesimo accanimento e analoghe retoriche che, dagli anni Venti, ispireranno il regime fascista nel reprimere la delinquenza rurale e “selvaggia” dei “Mazzoni”7. Specie derubricando in questioni di ordine pubblico le resistenze al latifondo e le massicce occupazioni di terre.
L’operazione fascista in Terra di lavoro è discussa nel secondo capitolo ed è inserita, appunto, nel duro conflitto sociale che attraversava la provincia tra Napoli e Roma. Qui Castellano propone frequenti aperture comparative con la più nota e studiata missione antimafia in Sicilia. Come per l’integrazione della riottosa periferia isolana, anche nella provincia di Caserta l’operazione di ordine pubblico inaugurata dal fascismo nel periodo 1926-1928 gioca un ruolo dirimente nella propaganda e nella stabilizzazione del regime. Castellano si concentra in particolar modo sull’uso del reato associativo nelle imputazioni e nelle sentenze penali del tribunale di Santa Maria Capua Vetere8 e di quelle della Corte d’Appello di Napoli. Nel caso siciliano, l’imputazione associativa era utile a identificare nella mafia un ordinamento alternativo e opposto allo Stato fascista. In quello casertano l’orientamento repressivo resta analogo anche se, come mostra l’analisi degli incartamenti processuali, l’imputazione associativa non resse quasi mai. Tra le sentenze prese in analisi, presso la Corte d’Assise di Santa Maria nel periodo 1926-1930, un solo processo per associazione a delinquere giunge a dibattimento, analizzato alla fine del secondo capitolo.
Il terzo e ultimo capitolo torna su Napoli, parzialmente esclusa dalla repressione militare fascista. Qui l’“epurazione” dalla malavita prende forme legate al decoro urbano, escludendo dal proprio orizzonte il crimine organizzato. Tuttavia, l’approfondimento di alcune inchieste scaturite proprio nel Ventennio consente all’Autrice di cogliere nessi tra profili individuali di mediatori violenti attivi sul mercato napoletano e circuiti criminali della provincia. Riemerge qui, attraverso alcuni casi analizzati, la dimensione cittadina della camorra di provincia, dove si intravedono le connessioni tra gli ambiti del potere locale ed i traffici illegali, nonché le pratiche di controllo violento del territorio che rimangono ai margini della propagandata operazione di ordine pubblico, centrata sugli aspetti delinquenziali “puri” di un’enclave rurale.
Il volume Una questione di provincia approfondisce l’analisi di fonti giudiziarie e di polizia inedite o sinora non considerate nella pienezza dei loro contenuti e offre interessanti implicazioni teoriche e metodologiche, assai stimolanti per la storia e le scienze sociali più in generale. La ricerca documentaria è assai corposa, come si evince dalla trattazione del materiale descritto lungo i capitoli di cui si compone l’opera. Meritorio lo sforzo dell’Autrice di ovviare alle consuete lacune e inadeguatezze degli archivi.
L’opera aggiunge un tassello a una componente di quella letteratura accademica che tenta di riflettere sullo “statuto ontologico” dei fenomeni mafiosi, pluralizzando – come fa anche l’Autrice – la gerarchia delle fonti in uso per comprenderli o relativizzando la portata della narrazione statuale (giudiziaria, penale ecc.). La trattazione della qualificazione legale e giuridica dell’associazione criminale o di malfattori e – in generale – dell’evoluzione degli strumenti delle politiche penali a cavallo tra Ottocento e Novecento rendono meglio intelligibili il profilo delle imputazioni e l’applicazione di “leggi”, “poteri” e “polizie” speciali9 che hanno implicazioni cruciali per l’analisi del fenomeno, influenzando la delimitazione dell’oggetto stesso camorre.
È in questo senso che – come anticipato in apertura – le fonti non vengono usate unicamente per ricostruire la genesi sociale delle camorre nella provincia e nell’entroterra rurale campano, ma sono una base per ricostruire in maniera originale anche il dibattito pubblico, le strategie comunicative della stampa, l’uso politico della repressione e delle forze di polizia, la tematizzazione partigiana dello scandalo e dell’accusa di corruzione e di camorra, l’etichettamento, le rappresentazioni e i discorsi stessi sulle “camorre”, di cui si conferma la stretta interdipendenza delle forme urbane e rurali, tanto nelle reazioni dello Stato, quanto nelle interazioni interne alla criminalità locale e ai mercati illeciti.
Oltre alla ricostruzione del profilo delle organizzazioni/associazioni, della sociologia degli imputati – e delle imputate – e della loro operatività nei mercati illegali e legali, originale è anche l’affondo sistematico sulle condizioni sociali, economiche e soprattutto istituzionali e politicoamministrative che fungono da contesti entro cui la fenomenologia camorrista – o l’accusa di associazione – si “incastra” a cavallo tra Ottocento e Novecento. Partendo da quest’ultimo aspetto, in conclusione, vorrei portare l’attenzione su alcuni spunti che derivano dalla lettura del testo, piste di riflessione e approfondimento futuro specie per gli studi storico-sociali su ambiente e território.
La ricostruzione e contestualizzazione storica dei processi di camorra rappresenta un’angolatura di particolare interesse se inserita nel più ampio processo di produzione della territorialità, intesa come continua stratificazione di attività antropiche sull’ecosistema10. Più nello specifico, la profondità storica offre stimolanti spunti per riflettere sulle implicazioni territoriali dei processi di edificazione dello Stato unitario nella Campania rurale, specialmente in merito all’istituzionalizzazione della democrazia locale (criteri di legittimazione e strategie – spesso violente – di costruzione e gestione del consenso), ai meccanismi di regolazione dell’economia locale (anch’essa pregna d’una irriducibile componente violenta, funzionale all’estrazione di valore e alla sua accumulazione) e all’ecologia politica che ha presupposto la trasformazione del territorio e il suo consumo (con riferimento ai circuiti politico-criminali per la privatizzazione del suolo demaniale e ai processi di disboscamento e perdita di natura, alle vocazioni produttive locali e alla struttura della proprietà fondiaria). Si tratta di una postura non banale, che inverte il nesso di causalità che di solito attribuisce unicamente alle mafie le responsabilità di lunghi processi di deterritorializzazione e degradazione che vanno invece inscritti nella combinazione di procedure storiche, sociali, politiche ed ecologiche.
Qui l’analisi del ruolo dei socialisti nella denuncia, nella costruzione dello scandalo, nella controversia politico-amministrativa, fino alla organizzazione di cooperative e di scioperi dei braccianti è in tal senso un punto di inizio assai stimolante e da proseguire. Non emerge, infatti, una relazione tra mobilitazioni e violenza camorrista, sia in senso positivo (le istanze dei braccianti riuniti in cooperative, organizzate dal partito socialista e dai suoi organi di stampa, si oppongono anche al giogo camorrista, non solo a quello dei latifondisti), sia in senso negativo (la violenza professionale e organizzata delle bande criminali usata per la repressione del dissenso e la tenuta del locale blocco agrario). Più chiaro, invece, è il ruolo delle diverse “voci” che partecipano alla definizione di un problema pubblico e che, a seconda dei “saperi” di volta in volta egemonici, contribuiscono a costruire un “paradigma mafioso” che pure ha funzioni performative nella costruzione della territorialità, in tal senso costruzione dei “margini” tanto nelle loro forme, quanto nelle loro rappresentazioni pubbliche. La denigrazione del rurale è così l’esito di una progressiva stratificazione di politiche repressive e di ordine pubblico che sviliscono la complessità dei margini e prefigurano presupposti di separazione, distanza, sregolazione istituzionale ed ecologica.
Notas
1 Sul punto si vedano, tra gli altri: LUPO, Salvatore (a cura di), «Mafia e fascismo», numero monografico di Meridiana. Rivista di Storia e Scienze Sociali, 63, 2008; LUPO, Salvatore, Il fascismo. La politica in un regime totalitario. Roma, Feltrinelli, 2013; COCO Vittorio, PATTI Manoela, Relazioni mafiose. La mafia al tempo del fascismo, Roma, XL edizioni, 2010; PATTI, Manoela, La mafia alla sbarra. I processi fascisti a Palermo, Palermo, Istituto Poligrafico Europeo, 2014.
2 BRANCACCIO, Luciano, CASTELLANO, Carolina (a cura di), Affari di camorra. Famiglie, imprenditori e gruppi criminali, Roma, Donzelli, 2014.
3 Sulla crescente rilevanza del rapporto tra storia e scienze sociali, specie se declinato in termini di interdisciplinarità, cfr. «Storia e scienze sociali», numero monografico di Meridiana. Rivista di Storia e Scienze Sociali, 100, 2021.
4 Il libro è pubblicato nella nuova Collana del Centro ReS Incorrupta. Come si legge nella presentazione curata dai Direttori della Collana in apertura del volume, essa intende «dotare di parola scritta le iniziative culturali sviluppate nell’ambito del Centro di ricerche sulle mafie e la corruzione ReS Incorrupta, istituito nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli nel 2016».
5 Cfr., ad esempio, MARMO, Marcella, Il coltello e il mercato. La camorra prima e dopo l’Unità d’Italia, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2011.
6 Come riporta Castellano, nella nota inchiesta sulle condizioni dei contadini del 1909, Oreste Bordiga documenta l’esistenza di forme compatte di malavita organizzata dedite alla guardiania campestre, tipicamente ricondotte alle forme peculiari di vita nell’azienda bufalina, isolata, malarica, affidata a “tribù di difesanti” (la difesa è il nome attribuito ai pascoli incolti, delimitati da palizzate), che la percorrevano a cavallo.
7 La camorra dei Mazzoni è già tratteggiata nelle inchieste di polizia di inizio Novecento sull’area a sud di Capua, nella bassa e media pianura del Volturno fino ad arrivare ad Aversa, collegata alla regolazione violenta della produzione caseario-bufalina in espansione grazie alle bonifiche in corso ormai da un secolo. Anche con l’obiettivo dichiarato di reprimere la diffusa e violenta criminalità locale, il regime abolisce la provincia di Terra di Lavoro dividendone i territori tra la provincia di Roma e di Napoli con il Garigliano a fungere da nuovo confine amministrativo.
8 Competente per l’area del Casertano.
9 COCO, Vittorio, Polizie speciali. Dal fascismo alla Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 2017.
10 Per un riferimento sul concetto di territorio in quanto «prodotto di un dialogo, una relazione fra natura e cultura» si veda MAGNAGHI, Alberto, Il progetto locale: verso la coscienza di luogo, Torino, Bollati Boringhieri, 2010, p. 17. Le questioni di potere che presiedono alla produzione e all’organizzazione della natura sono particolarmente attenzionate negli approcci socio-ecologici o dall’ecologia politica (cfr. ad esempio ROBBINS, Paul, Political Ecology. A Critical Introduction, London, Wiley-Blackwell, 2012).
Resenhista
Vittorio Martone – Professore associato in Sociologia dell’ambiente e del territorio presso il Dipartimento di Culture, politiche e società dell’Università di Torino, dove insegna Sociologia dell’ambiente e Territorio ecologia e politica. Tra le sue recenti pubblicazioni: Politiche integrate di sicurezza. Tutela delle vittime e gestione dei beni confiscati in Campania (Roma, Carocci, 2020) e – con M. Massari – Mafia Violence. Political, Symbolic, and Economic Forms of Violence in Camorra Clans (London, Routledge, 2019). URL: http://www.studistorici.com/progett/autori/#Martone
Referências desta Resenha
CASTELLANO, Carolina. Una questione di provincia. Criminalità e camorra tra età giolittiana e fascismo. Napoli: Editoriale Scientifica, 2020. Resenha de: MARTONE, Vittorio. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, v.49, n.1, p.201-207, 2022. Acessar publicação original [DR]
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