The Unsettled Plain: An Enviromental History of the Late Ottoman Frontier | Chris Gratien
«Çukurova è inesauribile»1: questa espressione dello scrittore Yaşar Kemal, riportata nei ringraziamenti da Chris Gratien è l’espressione più calzante per riassumere in una battuta l’ottimo saggio The Unsettled Plain. La frontiera del tardo periodo ottomano analizzata è la Cilicia: le sue pianure e i ritmi di vita dei suoi abitanti tracciano un percorso attraverso le diverse e convulse fasi finali dell’impero ottomano e degli albori della Repubblica di Turchia. L’autore analizza la regione della Cilicia nei suoi mutamenti da vilayet (provincia) ottomano dell’Ottocento a protettorato francese degli anni Venti del Novecento, alla sua trasformazione durante la Repubblica di Turchia.
Quest’opera prima di Gratien, Assistant Professor presso la University of Virginia (USA), raccoglie anni di studi e di “immersione” negli archivi, nei giornali, nelle memorie e soprattutto nelle canzoni tradizionali e fornisce un’analisi basata su fonti turche e armene dell’evoluzione e dei cambiamenti ambientali della Cilicia tra i secoli XIX e XX. Il volume si inserisce nell’ormai ampia storiografia ambientale della regione mediorientale e si ritaglia un ruolo di sicura importanza poiché l’autore non solo ricostruisce le trasformazioni degli ecosistemi della regione di Adana (centro principale della regione e per estensione rappresentazione della stessa Cilicia), ma le lega a doppio filo alla loro evoluzione politica e alla componente umana. Questa componente risulta fondamentale sia per l’impatto che essa ha avuto sulla regione, sia per le ripercussioni da essa patite nelle diverse fasi storiche indagate da Gratien.
Che gli aspetti culturali e sociali siano al centro del saggio lo si intuisce fin dalle prime pagine in cui l’autore introduce la propria ricerca legandola strettamente alle canzoni del folklore locale e alla vicenda di un singolo individuo, Ömer, nato a Taf nell’Antolia centrale. Ömer trova prima lavoro poi la morte, a causa di una febbre malarica, nella città di Adana. La storia di Ömer, identica a quella di molti altri giovani arrivati in cerca di lavoro e fortuna e poi morti a causa della malaria, diventa quindi epitome delle trasformazioni e dei cambiamenti che hanno condizionato la vita delle popolazioni della piana di Çukurova tra il 1860 e il 1950.
Il concetto di frontiera che appare nel titolo si pone su due livelli: da un lato quello territoriale, dall’altro quello sociale. Se dal punto di vista territoriale le evoluzioni che hanno interessato la Cilicia tra Otto e Novecento hanno portato la regione a divenire la frontiera politica del nuovo stato turco; dal punto di vista sociale, invece, l’autore descrive come la piana di Çukurova sia stata progressivamente oggetto di progetti di colonialismo interno e ingegneria sociale.
Uno dei fili rossi che si dipana attraverso le pagine di questo saggio è il rapporto, a volte violento, tra tradizione e modernità; tra ritmi di vita e dinamiche tradizionali – vale la pena menzionare la migrazione stagionale che portava i pastori a operare una vera e propria transumanza verso i loro yayla2 durante i mesi più caldi – e le politiche di età imperiale e repubblicana votate alla sedentarizzazione delle popolazioni, allo sfruttamento delle terre, allo sviluppo economico e alla trasformazione del territorio. Un confronto che ha al centro le popolazioni rurali e le zone da loro abitate3, e che emerge come effetto delle Tanzimat (le riforme ottomane della metà del XIX secolo)4 con i tentativi del governo centralizzato ottomano di riaffermare la propria presenza in Cilicia alla fine del XIX secolo, e prosegue sino agli anni 1950 attraverso diverse fasi descritte nei cinque capitoli.
Il primo capitolo si concentra sulla descrizione della frontiera interna ottomana spiegando come essa sia stata il risultato di un processo secolare strettamente connesso all’ecologia locale da un lato e, dall’altro, alla transumanza/migrazione stagionale verso i pascoli montani del Tauro e dei monti Amanus che regolava i ritmi di vita delle popolazioni locali. Esaminando fonti ottomane ed europee, soprattutto anglo-francesi, viene fuori una immagine della Cilicia influenzata da un forte «orientalismo epidemiologico» 5 che influenzava l’interpretazione proposta dagli attori locali. In secondo luogo, viene messo in risalto come il ritmo della transumanza stagionale fosse condiviso da tutte le comunità locali con l’unica finalità di trovare una soluzione all’imperversare della malaria nei mesi estivi. Infine, Gratien mette in luce il ruolo politico e strategico delle montagne, fondamentale per il controllo della regione sia da parte degli Armeni che dei Turchi, e come il governo centrale si impose inizialmente con un atteggiamento flessibile e regole diversificate in funzione delle diverse realtà locali.
Il secondo capitolo entra nel vivo della nuova presenza ottomana nella regione analizzando le riforme operate durante le Tanzimat e in modo peculiare i primi tentativi di sedentarizzazione e di sfruttamento del territorio pianeggiante di Çukurova negli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento. A partire da questo capitolo le vicende locali si intrecciano sempre più con quelle delle migliaia di rifugiati (muhacir) 6 provenienti da tutto l’impero che il governo di Istanbul stava inserendo nei programmi di modernizzazione. Il tema centrale di questo capitolo è l’affermazione dello stato moderno in Cilicia. Gli effetti delle Tanzimat resero la Cilicia una frontiera di insediamento massivo e un campo di sperimentazione politica che ha portato a inglobare nella visione modernista anche la tradizionale migrazione stagionale verso gli yayla.
L’analisi di come la modernità esplose in Cilicia si arricchisce nel terzo capitolo degli aspetti economici, in particolare del ruolo del capitalismo nel ridisegno della piana di Çukurova alla fine del XIX secolo. L’idea di fare della Cilicia un «secondo Egitto » era collegata allo sviluppo di un’economia commerciale basata sul cotone e sul riso come chiave di radicali cambiamenti sociopolitici. La sedentarizzazione seppur contrastata e spesso poco efficace modificò notevolmente la struttura sociale locale, che a sua volta assistette tra Otto e Novecento a un altro fenomeno migratorio significativo, quello legato agli operai stagionali. L’immigrazione di forza lavoro stagionale influenzò notevolemente anche l’usanza autoctona della transumanza e portò, secondo l’autore, a profonde tensioni sociali sfociate nei massacri di Adana del 1909.
La Prima guerra mondiale, analizzata nel quarto capitolo, sconvolse completamente la regione, che da frontiera interna si trovò a essere ultimo baluardo del nuovo assetto territoriale della Turchia. La deportazione di massa, soprattutto degli Armeni, e le radicali trasformazioni ambientali dovute alla guerra fanno da sfondo al nuovo assetto della proprietà terriera della Cilicia e all’intensificarsi del processo di modernizzazione grazie allo sviluppo ferroviario e di un sistema economico sempre più rivolto al mercato. Il capitolo racconta la guerra dal punto di vista della società provinciale analizzando le ripercussioni subite dalla Cilicia non solamente dal punto di vista economico e sociale (mobilitazione di massa e deportazioni) ma, soprattutto, ecologico. Gli sconvolgimenti sociali causati dalla guerra modificarono profondamente anche la natura del luogo provocando le prime epidemie di malaria anche nei territori montani, sino ad allora utilizzati come salubre rifugio dalle tribù locali.
La spinta alla modernizzazione non mutò nemmeno negli anni Venti durante il protettorato francese, che, nonostante gli scarsi risultati ottenuti sia a livello politico che socio-economico, fu il trampolino per la nuova politica turca nella regione. La reazione alla dominazione francese servì, infatti, come leva per l’affermazione del nuovo governo centrale turco di Ankara. Tuttavia, pur se in dichiarato contrasto con il passato ottomano, il governo turco adottò strategie simili a quelle già sperimentate alla fine del XIX secolo. Questa divergenza solo apparente viene evidenziata dall’autore: le strategie di Ankara differirono infatti dalle precedenti strategie ottomane solo nel tipo di tecnologia utilizzata ma non nella finalità.
La Cilicia, come già lo era stata durante le Tanzimat e il declinare dell’impero ottomano, si presentava agli occhi dei governanti di Ankara come un laboratorio in cui sviluppare forme di cittadinanza, nuove tecnologie agrarie, meccanizzazione del territorio e radicale modificazione del paesaggio. In questa fase, anche la mobilità stagionale locale mutò divenendo sinonimo di villeggiatura. Le montagne e i pastori diventarono invece archetipi della nazione turca.
Un tema centrale nel volume di Gratien è, come appare evidente da quanto scritto, la malaria, e con essa anche la lotta contro questa malattia ambientale. Endemica da tempi remoti in Cilicia, la malaria è parte integrante di Çukurova e dei ritmi di vita dei suoi abitanti. Gli yayla e la transumanza avevano, infatti, come obiettivo quello di sfuggire a questo pericolo durante i caldi mesi estivi. Le trasformazioni socio-economiche imposte dalla modernizzazione e dalle nuove tecnologie imposero nuove tecniche per proteggersi da questa malattia che influirono sulle politiche di sedentarizzazione ottomane. Gratien dimostra come sia le popolazioni locali che i governi centrali operarono su due linee diverse: le prime riadottando i tradizionali ritmi della transumanza, gli altri affidandosi alla scienza e alla tecnologia che trasformarono Adana e la regione circostante in laboratori per lo studio della malaria.
La crescente necessità di trattamenti a base di chinino e le difficoltà nel reperirli, soprattutto durante le due guerre mondiali, così come la scoperta del vettore della malattia furono due passaggi fondamentali. L’autore sottolinea però come la malaria, nonostante queste scoperte, abbia avuto notevoli recrudescenze ed epidemie virulente sino agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Tali fenomeni furono dovuti alla peculiare situazione socio-economica imposta dalla sedentarizzazione e dalla stagionalità del lavoro. La presenza di un numero sempre più alto di persone nei mesi più caldi dell’anno e la richiesta sempre crescente di manodopera stagionale produssero un ambiente favorevole allo sviluppo della malaria.
Il saggio di Gratien è ricco di spunti e con analisi approfondite grazie all’intenso lavoro svolto dall’autore presso gli archivi ottomani e turchi e grazie alla raccolta di fonti immateriali del folklore locale. La ricca bibliografia e uno stile fluido rendono questo volume una piacevole lettura e, soprattutto, un testo accademico utile per avvicinarsi alla storia ambientale del tardo impero ottomano e della prima Repubblica di Turchia.
Notas
1 GRATIEN, Chris, The Unsettled Plain: An Enviromental History of the Late Ottoman Frontier, Stanford, Stanford University Press, 2022, p. 231.
2 Gli yayla sono villaggi e/o acquartieramenti sulle montagne del Tauro e sui monti Amanus in cui le popolazioni della Cilicia si trasferivano durante i mesi estivi per evitare i miasmi malarici della pianura paludosa dove risiedevano. La pratica di trasferirsi sulle montagne veniva attuata sia dai pastori che dagli agricoltori di tutte le diverse comunità locali, dagli Armeni alle tribù turkmene.
3 GRATIEN, Chris, op. cit., p. 4.
4 Tanzimat sono le riforme attuate dai sultani e dai governi ottomani durante il XIX secolo. Prendono avvio ufficialmente con l’editto imperiale di Gülhane del 1839, a cui fece seguito l’editto del 1856 (Islahat Hatt-ı Hümayunu) che diede il primo significativo impulso alle riforme soprattutto agrarie ed economiche nella regione di Cilicia. Per una panoramica delle Tazimat e della relativa applicazione si rimanda al recente KÖKSAL, Yonca, The Ottoman Empire in the Tanzimat Era: Provincial Perspectives from Ankara to Edirne, London, Routledge, 2019.
5 L’espressione è tratta da VARLIK, Nükhet, “Oriental Plague” or Epidemiological Orientalism? Revisiting the Plague Episteme of the Early Modern Mediterranean, in VARLIK, Nükhet (edited by), Plague and Contagion in the Islamic Mediterranean, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2017, pp. 57-88.
6 I muhacir (rifugiati) sono le famiglie ottomane provenienti dai Balcani, dalla Crimea e dal Caucaso che a causa delle guerre e della contrazione dei possedimenti ottomani si trovarono senza terra e costretti a emigrare verso il centro dell’impero. Molti di loro, come analizzato da Gratien, furono impiegati nelle politiche di sedentarizzazione/colonizzazione della frontiera interna ottomana in Cilicia.
Resenhista
Luca Zuccolo – Dopo aver conseguito la laurea in Storia Contemporanea e il titolo di dottore magistrale in Storia d’Europa presso l’Università di Bologna (2005 e 2008), ha ottenuto il titolo di Dottore di ricerca in Storia Contemporanea presso il SUM – Istituto Italiano di Scienze Umane – Napoli. I suoi campi di ricerca sono; la modernizzazione dell’Impero Ottomano (XIX-XX secolo), il ruolo della stampa ottomana nel contesto imperiale ed europeo e i movimenti sociali che hanno preparato l’avvento della società turca contemporanea. URL: http://www.studistorici.com/progett/autori/#Zuccolo
Referências desta Resenha
GRATIEN, Chris. The Unsettled Plain: An Enviromental History of the Late Ottoman Frontier. Stanford: Stanford University Press, 2022. Resenha de: ZUCCOLO, Luca. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, v.52, n.4, p.290-296, 2022. Acessar publicação original [DR/JF]