L’oggetto di indagine della più recente monografia di Julia L. Shear nasce, come lei stessa informa i suoi lettori nella prefazione (p. xvii), da uno dei primi interessi di ricerca dell’Autrice. Già verso la fine degli anni Novanta, la studiosa si era dedicata alla comprensione storica del fenomeno delle Panatenee, seguendo la discussione sviluppatasi nell’ambiente accademico statunitense intorno all’interpretazione di J.B. Connelly del fregio del Partenone. Oggi, la ricca esperienza da lei maturata nei diversi campi che contribuiscono alla comprensione della storia della Grecia antica ha consentito all’Autrice di presentare i risultati di un lavoro il cui scopo non è semplicemente quello di scrivere una storia delle Panatenee (p. 34). Come si evince subito dal sottotitolo, lo studio si pone in linea con uno dei temi più attuali delle scienze dell’antichità e, più genericamente, delle scienze umane. Con questo studio, l’Autrice si rivolge, senza discostarsi dall’analisi dei realia, ad un aspetto spesso trascurato, ma fondamentale, della festa ateniese, ossia la sua capacità di innescare dinamiche relazionali in grado di fornire ai partecipanti modelli identitari. Serving Athena è dunque un’esaustiva ricostruzione storica delle Panatenee sensibile alla diacronia del fenomeno analizzato, ma anche un saggio di metodo che mostra come si possa arricchire la produzione storiografica contemporanea sulle società antiche grazie all’integrazione di categorie operative e modelli ermeneutici provenienti dalle scienze sociali.
Il volume è composto da otto capitoli e otto appendici analitiche, in cui Shear passa in rassegna con doverosa minuzia (come le 119 pagine di appendici e tabelle poste in fondo al volume testimoniano) le fonti letterarie, epigrafiche, iconografiche ed archeologiche necessarie per comprendere gli elementi che componevano la festa dedicata ad Atena nei suoi quasi mille anni di storia. La sensibilità all’imperativo storicizzante che caratterizza il lavoro dell’Autrice interagisce in maniera particolarmente originale con la scelta di strutturare i capitoli del libro secondo un criterio non cronologico bensì tipologico. L’effetto prodotto, inizialmente disorientante, è quello di una ricostruzione complessa e frammentaria, in cui il lettore trova giustapposti una serie di elementi discontinui, se non contraddittori. Tale effetto rimane tuttavia solo apparentemente straniante e, anzi, perfettamente integrato nell’orizzonte di ricerca dettato dalla lunga premessa metodologica che costituisce la parte saliente del primo capitolo (The Panathenaia: An Introduction, pp. 1-38).
In questo, Shear chiarisce la necessità di proporre uno studio in grado di fornire uno sguardo d’insieme sull’esperienza storica delle Panatenee, superando la tendenza degli studi precedenti ad isolare singoli aspetti del fenomeno e a soffermarsi sull’epoca arcaica e classica (pp. 8-13). L’Autrice sottolinea l’importanza di analizzare i cambiamenti attraversati dalla celebrazione nell’arco della sua «longue durée» (p. 12), evitando di riprodurre ‘l’errore’ dei primi studiosi (tra cui cita Mommsen e Deubner) che, pur raccogliendo fonti in maniera sistemica e non settorializzata, presentavo risultati statici e ‘sincronistici’. Tale impostazione è dettata dal riconoscimento della correlazione esistita tra la festa e l’auto-determinazione (in inglese «self-definition», p. 13) della comunità politica ateniese: i mutamenti cui quest’ultima era soggetta producevano importanti cambiamenti nella percezione e nello svolgimento della prima.
Questo tratto era già stato individuato da Christiane Sourvinou-Inwood, con il cui modello di polis religion Shear interagisce spesso nel corso del proprio lavoro. Ciò che manca tuttavia all’analisi di Sourvinou-Inwood, nella prospettiva dell’Autrice, è l’individuazione precisa dei meccanismi identitari coinvolti. Da ciò, la proposta ermeneutica di Shear di passare dall’interpretazione del nome ‘Panatenee’ come festa ‘tutta Ateniese’ a festa di ‘tutti gli Ateniesi’ (pp. 4-5). Mettere al centro della propria indagine gli agenti della festa intesa come istituzione (termine per il quale l’Autrice fornisce una definizione a p. 25 tratta dal sociologo Richard Jenkins, ampiamente citato in questo primo capitolo), consente all’Autrice di porre le domande analitiche che guidano il suo studio. In che modo si partecipava alle celebrazioni? Perché partecipare alle celebrazioni ‘di tutti gli Ateniesi’ era percepito come particolarmente importante? In che modo questa partecipazione creava identità per i gruppi e gli individui coinvolti?
Lo scopo di Shear è quello di offrire una panoramica storica non tanto sullo sviluppo della festa in sé, quanto piuttosto sul mutamento storico, disomogeneo e non necessariamente lineare, dei singoli elementi che consentivano agli individui di partecipare alle Panatenee o crearne una narrazione simbolica. In questo senso l’Autrice si concentra sulle narrazioni legate alla festività, sulla processione, sui sacrifici e i doni votivi offerti alla dea e sui diversi agoni svolti in suo onore.
Il secondo capitolo (Giants and Heroes: The Mythologies of the Panathenaia, pp. 39- 82) si apre con l’ipotesi operativa secondo la quale le diverse storie associate alla celebrazione delle Panatenee rivelano la cornice semantica entro la quale i partecipanti potevano spiegarsi origini e funzioni dell’evento. La molteplicità delle storie individuate suggerisce tuttavia una molteplicità di cornici, talvolta contemporaneamente operanti. Questo dato, come sottolinea l’Autrice, non stupisce in un contesto politeistico e, aggiungerei io, diacronicamente stratificato. Al contrario, sottolinea la natura contestuale delle narrazioni e degli orizzonti interpretativi da esse offerti. Ogni storia conferiva significato ad un determinato elemento della celebrazione, contribuendo a costruire un’interpretazione complessiva dell’evento. Shear individua dunque quattro narrazioni fondamentali, che passa in rassegna secondo un ordine di apparente importanza identitaria.
La prima narrazione analizzata è quella che più evidentemente fornisce l’eziologia per la festa in onore di Atena, ossia la vittoria degli dèi nella Gigantomachia e, in particolare, l’uccisione da parte della dea del gigante Asterio o Encelado (pp. 41-50). L’Autrice collega questo nucleo narrativo alla riorganizzazione delle Panatenee nel 566 e lo pone in stretta correlazione con alcuni degli elementi identitari più significativi: il sacrificio alla dea nel suo tempio sull’Acropoli, la decorazione del peplo votivo, la competizione organizzata per gruppi tribali della danza pirrica e, in generale, la marcata connotazione guerriera della celebrazione. Il secondo nucleo narrativo è strettamente associato al primo e concerne il ruolo del mitico re ateniese Erictonio nella celebrazione della vittoria della madre adottiva Atena e nella fondazione delle Panatenee (pp. 50-66). Questa storia delle origini, il cui ovvio senso è quello di sottolineare il rapporto speciale che lega gli Ateniesi alla dea eponima e all’Attica, viene ricollegata all’istituzione della gara in quadriga e alla gara dell’apobates, due competizioni previste negli agoni panatenaici dal marcato valore identitario. Gareggiare come apobates, in particolare, prevedeva un processo di identificazione con Erictonio e la dea stessa (e proprio per questo era riservato ai soli cittadini ateniesi).
In questa sezione, Shear propone di leggere il noto episodio del ritorno ad Atene di Pisistrato alla guida di una quadriga contenente la giovane Fia come tentativo di appropriazione della rete di immagini legate a questa competizione. Tale lettura è volta a retrodatare l’inserimento della gara dell’apobates nel programma dei giochi panatenaici. Non bisogna tuttavia sminuire la correlazione tra la storia narrata da Erodoto (Hdt. I, 60) e l’immaginario guerriero-aristocratico diffuso prevalentemente dall’epica omerica: sarebbe interessante far interagire la proposta di Shear con le analisi che leggono l’episodio alla luce delle pratiche matrimoniali aristocratiche arcaiche. Molto utili invece le pagine che esplicitano le diverse identità di Erictonio ed Erecteo, giustificando la confusione (moderna) tra le due figure con l’insorgere di una mancata comprensione delle due distinte figure mitologiche ateniesi in epoca tardo-antica (pp. 66-72).
Le ultime due narrazioni analizzate sono quella riguardante una nuova fondazione delle Panatenee ad opera di Teseo (pp. 72-6) e la storia dei Tirannicidi Armodio e Aristogitone (pp. 76-9) che, proprio durante la celebrazione del 514, tentarono di rovesciare il regime tirannico dei Pisistratidi e il cui culto nell’agorà veniva celebrato, secondo Shear, durante le Panatenee. La storia legata a Teseo, come specifica l’Autrice, è attestata solo a partire dall’epoca imperiale e fornisce un buon esempio, già in questa prima parte del libro, di come Shear maneggi con cura le fonti provenienti da diverse epoche, ponendo grande attenzione alla loro possibile (o impossibile) diacronia. Secondo la studiosa, una serie di caratteristiche dell’eroe ateniese potrebbe permettere di retrodatare l’esistenza di questa storia, spiegandone l’origine nella volontà della polis democratica di associare alla sua festa più importante la figura leggendaria che maggiormente rappresentava la volontà di unire l’Attica in una sola comunità politica.
Gli elementi addotti potrebbero tuttavia essere egualmente ricondotti alla relazione, già attestata nel V secolo e ampiamente riconosciuta, tra la figura di Teseo e la festa dei Synoikia, che si svolgeva verosimilmente 12 giorni prima delle Panatenee, il 16 di Ecatombeone. Per quanto Shear riconosca questa più semplice associazione, la convinzione che una figura come Teseo potesse svolgere un ruolo simbolicamente fondamentale nelle Panatenee dopo la riforma clistenica la spinge a non escludere che le testimonianze di epoca imperiale tramandino elementi culturali di origine ben più antica.
Avendo ben delineato le narrazioni identitarie legate alla festa e le modalità con cui esse interagivano con determinati aspetti della celebrazione, Shear si concentra sui singoli momenti che costituivano la festa ‘di tutti gli Ateniesi’. Il terzo capitolo (The Little Panathenaia, pp. 83-115) è interamente dedicato alle celebrazioni delle Panatenee dette ‘piccole’ (utilizzando una differenziazione terminologica presente già in Lys. 21. 1-2, citato da Shear a p. 5), ossia quelle Panatenee che, nel sistema penteterico che regolava questa festività, si svolgevano nei tre anni che separavano le celebrazioni delle Grandi Panatenee. Questa scelta, spiega l’Autrice, è dettata dalla relativa scarsità di testimonianze specificatamente riconducibili a questa versione della festa e all’importanza metodologica di distinguerla dalla sua versione ‘Grande’. La minor quantità di dati da passare in rassegna permette di individuarne gli elementi essenziali, o meglio il nucleo («core», p. 85), ossia la processione dal Dipylon all’acropoli, la gestione delle offerte sacrificali alla dea con la conseguente ridistribuzione della carne e lo svolgimento della pannychis, la festa ‘che dura tutta la notte’ e che rimane l’unico elemento di entrambe le versioni delle Panatenee escluso dall’indagine dell’Autrice, a causa dell’estrema frammentarietà delle testimonianze in nostro possesso.
Lo studio degli elementi centrali delle Piccole Panatenee permette all’Autrice di mostrare come queste fossero incentrate sulle sotto-categorie («subgroups», p. 85 et alibi) che formavano la più ampia categoria di ‘tutti gli Ateniesi’. I documenti attestano infatti una maggiore focalizzazione sull’appartenenza («membership», p. 93 et alibi) di un individuo a un demo oppure a un genos, un dato che Shear giustifica con l’assenza di partecipanti o spettatori provenienti da altre poleis. Si creava dunque un contesto in cui ogni sotto-categoria poteva ribadire la peculiarità del proprio rapporto con la dea poliade differenziandosi dalle altre, soprattutto durante l’offerta sacrificale. Sono molto interessanti le osservazioni sviluppate dall’Autrice sulla distribuzione della carne ricavata dai sacrifici come momento di creazione identitaria per contrasto (pp. 85-94). Verosimilmente, un individuo aveva la possibilità di accedere a distribuzioni di carne quantitativamente e qualitativamente diverse: chi poteva vantare una membership a più sotto-categorie impegnate nei sacrifici aveva accesso a più porzioni di carne. Inoltre, è molto utile la distinzione tracciata da Shear tra partecipanti ‘marcati’ e partecipanti ‘non marcati’, ossia gli spettatori. Questi, pur simbolicamente inclusi nella categoria di ‘tutti gli Ateniesi’, erano esclusi da una parte significativa della distribuzione della carne, godendo dunque di una membership limitata, più strettamente connessa alla propria partecipazione passata o alla possibilità di partecipare attivamente in futuro (pp. 94-5 e 109).
Ne emerge dunque un quadro di «multiplicity of identities which individuals have and their contextual and social natures, which require constant (re)negotiation» (p. 108). Tale proposta interpretativa, fondata sull’idea che le identità si creino tramite procedimenti di comparazione e contrasto (in linea con la Social Identity Theory di Jenkins citata nel primo capitolo), anticipa nell’ambito delle Piccole Panatenee le conclusioni che l’Autrice trarrà dall’analisi degli elementi costitutivi delle Grandi Panatenee.
Nel quarto capitolo (The Great Panathenaia: Ritual and Reciprocity, pp. 116-70), Shear si concentra sugli elementi che ritiene più direttamente legati alla creazione e al mantenimento di rapporti di reciprocità con la dea: la processione dal Ceramico al Grande Altare della dea sull’acropoli (pp. 118-48), la gestione del sacrificio animale (pp. 148-56) e l’offerta di doni votivi (pp. 156-65). A una descrizione strutturale dei tre momenti individuati si affianca un’analisi diacronica dei mutamenti a cui sono stati soggetti dall’epoca arcaica a quella imperiale. A interessare l’Autrice è tuttavia il meccanismo culturale per cui la partecipazione alle diverse attività rituali comportava l’assunzione di determinati ruoli, sia per gli individui che per le sotto-categorie di appartenenza, le cui funzioni erano riconosciute dagli altri membri della collettività. Soprattutto, Shear osserva come i confini tra questi ruoli potessero cambiare sia nell’arco degli anni sia nell’arco della stessa celebrazione, rendendo dunque i processi identitari particolarmente complessi e instabili. Interessante il caso dei meteci, che pur facendo parte integrante della categoria identitaria di ‘tutti gli Ateniesi’ durante la processione in quanto skaphephoroi (pp. 124-8), ne venivano verosimilmente esclusi durante la distribuzione della carne dopo i sacrifici (nonostante una contrastante attestazione di Esichio che l’Autrice tratta cautamente in maniera aporetica, p. 124 n. 40 e p. 156).
Il quinto capitolo (The Panathenaic Games: Entertaining the Goddess, pp. 171-211) segue la stessa struttura espositiva del precedente ed è dedicato alla componente agonale della festa, ossia una «elaborate series of competitions which entertained Athena and simultaneously allowed the human participants to show off their prowess» (p. 171). Proprio la presenza dei giochi panatenaici è ciò che, secondo Shear, maggiormente distingue le Grandi Panatenee dalle Piccole, soprattutto sul piano del potenziale identitario offerto dalle celebrazioni penteteriche. Queste gare attiravano una grande mole di persone, atleti e spettatori, provenienti da un’ampia fascia del mondo dei parlanti-greco. La presenza di questi stranieri, che erano esclusi dal partecipare alle azioni sacre in grado di instaurare una relazione di reciprocità con la dea, forniva agli Ateniesi, e soprattutto ai partecipanti ‘marcati’, un importante elemento di contrasto nella definizione della categoria di ‘tutti gli Ateniesi’. Inoltre, l’Autrice sottolinea l’importanza dell’esistenza di una serie di competizioni ‘tribali’ dalla marcata connotazione marziale e riservate ai cittadini ateniesi in quanto rappresentanti delle tribù clisteniche di appartenenza. Ciò permetteva ai gareggianti di operare processi identitari sia di confronto, differenziandosi dagli stranieri che a quegli agoni potevano soltanto assistere come spettatori, sia di comparazione, riconoscendosi reciprocamente come cittadini pronti a lottare per la polis democratica.
Attraverso la rassegna delle liste dei vincitori e di molteplici fonti iconografiche, l’Autrice nota come nel contesto degli agoni alcune sotto-categorie della popolazione ateniese potessero trovare uno spazio privilegiato per operare un proprio percorso di riconoscimento identitario. È il caso dei paides, ossia i figli dei cittadini, che rimanevano altrimenti esclusi da una partecipazione attiva alla festa. Benché in maniera discontinua lungo l’arco della storia delle Panatenee, l’esistenza di competizioni tribali aperte ai soli paides consentiva loro di identificarsi nel ruolo di futuri cittadini. A questi Shear affianca l’interessante sotto-categoria degli ageneioi, i giovani ‘sprovvisti di barba’, ossia coloro che, giunti alla soglia dei 18 anni, rappresentavano i cittadini più recenti della polis, formalmente dotati di una piena membership, ma sprovvisti dell’esperienza data dalla vita politica e militare attiva. Tenendo dunque conto di queste distinzioni categoriali per età, il capitolo passa in rassegna agoni musicali (pp. 174-80), ‘atletici’ (pp. 180-5), ippici (pp. 185-90), agoni tribali a competizione individuale (pp. 191-6) e agoni tribali a squadre (pp. 196-201).
Nella parte finale del volume, Shear rielabora il materiale raccolto per individuare i ‘ruoli ideali’ che la polis, nel suo tentativo ideologico di formare una ‘comunità ideale’ di ‘tutti gli Ateniesi’, forniva tramite il meccanismo culturale della partecipazione alla festa (p. 213). Ribadendo e sviluppando molti degli spunti già discussi, l’Autrice dedica il sesto capitolo alle identità accessibili agli uomini ateniesi (Creating Identities at the Great Panathenaia: Athenian Men, pp. 212-52), mentre il settimo esplora le possibilità riservate a tutte le altre categorie partecipanti (Creating Identities at the Great Panathenaia: Other Residents and Non-Residents, pp. 253-313), dalle donne ateniesi ai meteci, fino alle delegazioni di città altrimenti estranee ad Atene che, a partire dal 229, iniziarono a partecipare alla processione e al sacrificio.
Questa è indubbiamente la sezione più densa del volume è risulta più difficilmente consultabile senza un’attenta lettura dei capitoli che la precedono. Ciò dimostra la forte organicità del progetto di Shear e la consapevolezza delle difficoltà poste da un’indagine su un’operazione culturale complessa quale la creazione di dinamiche identitarie lungo un articolato arco storico. I risultati che l’Autrice riesce tuttavia a trarre sono di notevole interesse. Shear evince in maniera convincente l’importante dicotomia esistente tra le dinamiche identitarie percorribili dai maschi ateniesi adulti, i cittadini della democrazia nel senso stretto e aristotelico di coloro che a turno governano e vengono governati (Arist. Pol. 1277b13-16, citato a p. 36), e i ruoli identitari accessibili a tutti gli altri partecipanti. Per i primi, infatti, Shear conclude che l’identità era ‘fluida’ (p. 246), ossia situazionale e molteplice: un aspetto identitario, quale quello di ‘servo della dea’ (ossia impegnato in prima persona durante la processione o i sacrifici), era a tratti più o meno importante di un altro, quale quello di cittadino disposto a combattere per la città durante la gara dell’apobates o le competizioni nella danza pirrica. Egli era membro di ‘tutti gli Ateniesi’ durante i sacrifici, ma anche membro del proprio demo, e potenzialmente anche di un proprio genos di appartenenza durante le diverse distribuzioni di carne, così come un membro della propria tribù durante gli agoni suddivisi per tale categoria. Queste identità non erano mai mutualmente esclusive, portando dunque ad una costruzione identitaria ricca e complessa, per la quale era importante, se non necessaria, una partecipazione reiterata nel tempo alle attività connesse alla festa ‘di tutti gli Ateniesi’ (p. 248).
Le altre categorie coinvolte, al contrario, fruivano di un processo identitario molto limitato e unidirezionale, ricoprendo sostanzialmente soltanto uno di due ruoli ideali generali: quello di servi della dea o quello di cittadini in fieri, o neo-cittadini la cui membership era ancora da consolidare con l’esperienza (p. 298). Qualsiasi molteplicità o fluidità identitaria era negata a questi individui, i quali, anche partecipando più volte alle celebrazioni, avrebbero sempre potuto ricoprire solamente lo stesso ruolo. Shear spiega questa ‘immobilità’ (“fixity”) identitaria ricorrendo alla sua natura subalterna (per quanto le categorie di ‘egemonico’ e ‘subalterno’ non siano esplicitamente impiegate dall’Autrice). Le loro identità hanno, nelle parole dell’Autrice, una “imposed nature” in quanto “originally created by the male citizens who organised the celebrations” (p. 298). Shear interpreta le Grandi Panatenee come una dimostrazione ideologica di una ‘politica dell’identità’ (“politics of identity”, p. 312) gestita dalla categoria egemonica a danno delle categorie subalterne. Queste ultime avevano lo scopo imposto di risaltare, tramite i processi di comparazione e contrasto, il ruolo fondamentale dei maschi ateniesi adulti nella costituzione della comunità di ‘tutti gli Ateniesi’.
Il capitolo conclusivo (The City, the Goddess and the Festival, pp. 314-35), serve da epilogo all’Autrice, che sfrutta queste pagine per ripercorrere somiglianze e differenze tra Piccole e Grandi Panatenee, e tra Panatenee e altre feste ateniesi, in particolare le Dionisie Urbane e le feste eleusine. Le ultime pagine, sottotitolate «Consequences» (pp. 333-5), sottolineano la specificità delle dinamiche culturali analizzate lungo l’arco del volume e la necessità di applicarle esclusivamente a una comprensione delle Panatenee, evitando l’errore di impiegare l’interpretazione di questo fenomeno storico come paradigma per lo studio di altre feste ateniesi. Questo monito finale, credo, riassume la cifra euristica di uno studio complesso che offre ai suoi lettori un prezioso strumento di consultazione, un utile saggio di metodo e, infine, un importante invito a continuare a studiare i rapporti tra fenomeni religiosi, o culturali, e processi identitari, aggiustando di volta in volta i nostri schemi interpretativi, «so they can accomodate the complexities and multiplicity involved» (p. 334).
Resenhista
Sonny Wyburgh – Università degli studi di Pisa. E-mail: sonny.wyburgh@phd.unipi.it
Referências desta Resenha
SHEAR, Julia L. Serving Athena: the festival of the Panathenaia and the construction of Athenian identities. Cambridge – New York: Cambridge University Press, 2021. Resenha de: WYBURGH, Sonny. Grecorromana. Revista Chilena de Estudios Clásicos. Santiago, v. 4, p. 129- 135, 2022. Acessar publicação original [DR/JF]
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