Proprio la Resistenza è uno dei temi centrali del libro dei due giovani ricercatori, incentrato sulla storia di Otello Palmieri. Gli autori iniziano il racconto in ordine cronologico, partendo però dal loro punto di vista: dal primo incontro a Bologna con un conoscente di Palmieri, quando l’idea di realizzare un’intervista era già nell’aria ma non aveva ancora assunto un carattere definito, alla scoperta di nuove notizie sulla sua vita. Dopo le prime pagine sappiamo già che Otello Palmieri ha fatto per alcuni mesi il partigiano e che, a guerra finita da alcuni anni, è stato accusato di aver partecipato all’uccisione di un oste nel suo paese in provincia di Bologna, Oliveto. Proprio nel momento in cui la denuncia stava per trasformarsi in un mandato di cattura Palmieri lasciò l’Italia insieme a due suoi compagni per ritornare solo dopo aver ottenuto la sentenza di assoluzione. È proprio la sentenza il primo documento con cui gli autori si misurano: mettono in evidenza i tanti punti ancora poco chiari e iniziano a formulare alcune domande a cui però si può cercare di rispondere solo usando altre fonti, come le interviste allo stesso Palmieri. A questo punto gli autori portano il lettore a Oliveto e poi all’interno della casa di Palmieri a Crespellano, sempre in provincia di Bologna.
Si arriva così all’incontro e alla prima intervista: superata l’iniziale titubanza Palmieri inizia a raccontare, diventando in breve un fiume in piena, con i due autori che faticano a stargli dietro. Spuntano fuori anche due vecchie valigie riportate da Palmieri in Italia dalla Cecoslovacchia e piene di quaderni e di materiali utili. Arrivati a pagina 26 del libro sono già stati toccati i temi più importanti: la Resistenza e l’iscrizione al Partito comunista italiano, l’uccisione dell’oste di Oliveto, l’esilio in Cecoslovacchia, l’assoluzione, il ritorno in Emilia, il nuovo trasferimento in Svizzera. Tante cose, tutte insieme. Gli autori denunciano un certo smarrimento e forse per il lettore è lo stesso.
Decidono quindi di ricominciare da capo, dal 1927, anno della nascita di Otello Palmieri. Si arriva quasi subito a uno dei momenti chiave: il 17 agosto 1944 Palmieri, appena diciassettenne, venne catturato da un gruppo di repubblichini insieme ad altre persone e riuscì a sfuggire grazie all’aiuto di un medico e della sorella infermiera. Una volta tornato in paese si unì alla Resistenza. Gli autori però fanno notare come in alcuni documenti ufficiali Palmieri risulti partigiano già da prima del rastrellamento. È uno dei punti in cui Mignini e Pontieri tirano fuori le discrepanze fra ciò che ascoltano durante le interviste e ciò che risulta da altre fonti come il contenuto delle valigie conservate da Palmieri, documenti giudiziari e pubblicistica. Il pregio del metodo usato è di non arrivare a conclusioni affrettate o nette, mettendo però in evidenza i dubbi e cercando un modo per provare a scioglierli. Gli autori mettono quindi il luce la collaborazione che esisteva fra i partigiani della zona e i giovani del paese già prima del rastrellamento del 1944, soprattutto nel fornire informazioni sulla presenza di soldati tedeschi o repubblichini in zona [4]. La conoscenza reciproca facilitò l’ingresso di Palmieri fra i partigiani dove ottenne anche un nuovo nome, Battagliero (nome di un valzer emiliano e titolo del primo capitolo del volume). Palmieri a quel punto si trovò inserito in un gruppo in cui ci sono anche persone molto più grandi di lui e dei suoi amici: una di queste era Antenore Lanzarini, ucciso il 19 novembre 1944. Alla ricostruzione delle circostanze della morte di Lanzarini e alle due versioni proposte da Palmieri gli autori dedicano alcune delle pagine più interessanti del libro. Palmieri racconta poi dell’inverno del 1944 e dell’ordine del generale statunitense Harold Alexander di sospendere le operazioni belliche su larga scala durante i mesi più freddi dell’anno. Gli autori però non si accontentano e ottengono informazioni sugli spostamenti delle colonne partigiane e su delle azioni volte a recuperare delle armi o del cibo a Oliveto e nelle zone limitrofe. Si arriva quindi al momento che fin dalle prime pagine è sembrato essere una svolta nella vita di Palmieri: i giorni dell’attentato al segretario del Partito comunista italiano Togliatti (14 luglio 1948). Palmieri racconta dell’occupazione del municipio con le armi della Resistenza e il conseguente intervento del Pci di zona che riportò la calma a Oliveto e generò una certa frustrazione fra i militanti: la Rivoluzione non era all’ordine del giorno. Arrivati a questo punto l’oste del paese era già stato ucciso (4 dicembre 1945) ma sarà solo nell’estate del 1949 che Palmieri e altri due suoi compagni finirono per essere vicini all’arresto. La fuga avvenne appena in tempo e, grazie all’aiuto del Partito comunista, Palmieri e gli altri riuscirono a raggiungere la Cecoslovacchia. Una volta arrivato a Praga, Palmieri, come tutti i suoi compagni, dovette cambiare (di nuovo) nome e su indicazione del Partito comunista iniziò a chiamarsi Enrico Grassi, titolo del secondo capitolo del libro.
Qui gli autori ricostruiscono la vita di Palmieri e degli altri italiani costretti a rifugiarsi al di là della Cortina di ferro: l’apprendimento della lingua ceca e la scuola di formazione politica predisposta dal Partito con la conseguente delusione di Palmieri una volta capito che il Partito non li stava facendo studiare per fare la Rivoluzione in Italia, i rapporti con degli emigrati ideologicamente più convinti, la nascita della redazione della trasmissione radiofonica Oggi in Italia, lo stupore di fronte all’epurazione del segretario generale del Partito comunista ceco, Rudolf Slánský [5]. Finita la scuola Palmieri, in controtendenza rispetto alle scelte dei suoi compagni, scelse di iniziare un percorso di formazione professionale e venne impiegato in un’industria meccanica. Nel giro di due anni si trasferì in un’altra città e qui incrociò alcuni ex membri della Volante rossa, ex partigiani di area lombarda fatti scappare dal Pci in Cecoslovacchia per metterli al riparo da accuse di omicidi e di altri reati. Il soggiorno all’estero era però ormai prossimo alla fine: nel settembre del 1953, arrivata la notizia dell’assoluzione, Palmieri tornò in Italia, in apparenza senza esitazioni. Una volta arrivato in Emilia si sposò con Giovanna, la sua fidanzata storica. Sembrava il preludio a una nuova fase di stabilità e invece nel giro di pochi mesi la coppia si spostò di nuovo, questa volta per raggiungere la Svizzera. Gli autori dedicano alla ricostruzione del ritorno in Italia e della scelta di tornare a emigrare un “Intermezzo” in cui cercano di andare oltre la prima risposta data da Palmieri, ossia la necessità di guadagnare una somma per ripagare un debito contratto in occasione del matrimonio. Tramite un gioco di ipotesi e frasi prese dalle interviste i due autori ci restituiscono l’insoddisfazione di Palmieri per l’ipotesi di un «posto» fisso in Italia proposto dal Partito comunista emiliano contrapposto a un «lavoro» da cercare, forse da inventare e poi da praticare in Svizzera [6]. Si arriva così al terzo capitolo, intitolato Otti, diminutivo di Otello in tedesco. Qui la storia di Palmieri si lega a quella dell’emigrazione italiana in Svizzera: Palmieri trova lavoro, è apprezzato anche grazie alla formazione ricevuta in Cecoslovacchia e nel tempo rafforza la sua posizione, anche se nel paese elvetico non tutti vedevano di buon occhio l’arrivo di tanti lavoratori dall’Italia. Finisce per ammirare il paese in cui si è stabilito e nel quale però non rimarrà una volta raggiunta la pensione [7], momento di un nuovo ritorno in Emilia.
Il libro termina con il racconto di una passeggiata degli autori insieme a Palmieri a Oliveto, sui luoghi che sono stati lo scenario di una parte dei fatti descritti nelle pagine precedenti. Proprio nelle ultime righe Mignini e Pontieri riconoscono che diversi punti della storia non sono stati chiariti del tutto, ci sono ancora dei dubbi e non è stato possibile fugarli. Non si è riusciti a chiarire del tutto la vicenda dell’uccisione dell’oste e il ritrovamento di un faldone all’interno dell’archivio del Tribunale di Bologna con le carte del processo proprio nelle settimane di chiusura del lavoro si è scontrato con la quasi indifferenza di Palmieri che ha smorzato l’entusiasmo dei due ricercatori. Rimane il dubbio che in un archivio di Praga ci sia ancora l’autobiografia che al momento dell’arrivo in Cecoslovacchia il Partito comunista chiedeva agli emigrati di scrivere. Resta soprattutto il rammarico per un diario smarrito da Palmieri al ritorno dalla Cecoslovacchia. Rimangono poi altri punti non chiariti, altre strade non prese, altre domande non fatte o delle risposte non approfondite. Questo però è ciò che accade in ogni ricerca storica, anche se non sempre viene esplicitato e il lettore quindi può non accorgersene. Pontieri e Mignini si sono messi invece in gioco fin dalla prime pagine e, condividendo con il lettore la storia della ricerca e mettendo in mostra i limiti della stessa, hanno finito per scrivere un ottimo libro di metodo, godibile anche dal punto di vista narrativo.
Notas
1 PORTELLI, Alessandro, Problemi di metodo. Sulla diversità della storia orale, in BERMANI, Cesare (a cura di), Introduzione alla storia orale, vol. I, Storia, conservazione delle fonti e problemi di metodo, Roma, Odradek, 1999, pp. 149-166 (in particolare, pp. 160-161). Il contributo è stato originariamente pubblicato in Primo maggio, Saggi e documenti per una storia di classe, 13, 1979, pp. 54-60.
2 MIGNINI, Alfredo, Un lavoro da non sfruttare nessuno. Storie di vita dalla periferia di Bologna, Roma, Aracne, 2016. Si veda in particolare la parte introduttiva in cui l’autore riflette sull’uso delle fonti orali.
3 CAPUZZO, Paolo (a cura di), Il Pci davanti alla sua storia: dal massimo consenso all’inizio del declino. Bologna 1976, Roma, Viella, 2019.
4 MIGNINI, Alfredo, PONTIERI, Enrico, Qualcosa di meglio. Biografia partigiana di Otello Palmieri, Bologna, Pendragon, 2019, p. 43.
5 Ibidem, p. 102.
6 Ibidem, p. 138.
7 Ibidem, p. 166.
Alessandro Stoppoloni (Roma, 1989) è un archivista libero professionista. Si è laureato in scienze storiche nel 2015 nell’ambito del corso integrato italo-tedesco organizzato dall’Università di Bologna e da quella di Bielefeld con una tesi dal titolo Fra teoria e pratica: la psicologia politica di Peter Brückner (1966-1978). Per «Diacronie» si occupa di recensioni e cura saltuariamente le traduzioni dalla lingua tedesca.
MIGININI, Alfredo; PONTIERI, Enrico. Qualcosa di meglio. Biografia partigiana di Otello Palmieri. Bologna: Pendragon, 2019, 222p. Resenha de: STOPPOLONI, Alessandro. Diacronie – Studi di Storia Contemporanea, v.45, n1, mar. 2021. Acessar publicação original [IF].
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