In un’intervista rilasciata per la rivista «Geography Notebooks» nel 2020, Marco Armiero ha definito l’ecologia politica come «quel campo di ricerca indisciplinato dove si guarda alle relazioni socioecologiche senza nascondere il potere e le diseguaglianze»1. Il libro L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, la discarica globale, pubblicato per Einaudi nel 2021, si colloca precisamente lungo questa direttiva: proporre una narrazione politica capace di inquadrare la crisi socio-ecologica in atto a partire dal rapporto tra «scarti, diseguaglianze e il mondo che stiamo creando»2.
Armiero è uno storico dell’ambiente, direttore di ricerca presso l’Istituto di Studi sul Mediterraneo del CNR e direttore dell’Environmental Humanities Laboratory del Politecnico di Stoccolma (KTH). I suoi principali temi di ricerca sono stati i conflitti ambientali, l’uso delle risorse naturali, la politicizzazione della natura e del paesaggio, e la storia ambientale delle migrazioni. Il libro L’era degli scarti arriva dopo due decenni di ricerca sul campo sulla questione rifiuti nella sua città natale – Napoli – e in Campania dalla prospettiva di analisi della giustizia ambientale, per aprirsi poi al contesto globale.
Questo prodotto editoriale, nel suo essere capace sia di dialogare con la comunità accademica che di parlare al grande pubblico, propone una chiave interpretativa per comprendere la crisi socio-ecologica che sfugge alla trappola della reificazione – cioè a guardare agli effetti di tale crisi come problematiche meramente materiali che richiedono una soluzione tecnico-scientifica – e si concentra invece sulle dinamiche relazionali e di potere che l’hanno generata e la riproducono. Per sintetizzare la propria chiave interpretativa, Armiero introduce il concetto di Wasteocene – in italiano “era degli scarti” – per denotare l’epoca in cui viviamo, un’epoca fondata sulle «wasting relationship» 3: l’insieme delle relazioni socio-ecologiche, planetarie, e allo stesso tempo situate, che producono luoghi e persone di scarto. Lo scarto, o il rifiuto, è sì la cifra della nostra epoca, manon unicamente in quanto elemento materiale isolato e isolabile che diventa sempre più predominante nel discorso pubblico, nelle vite di individui, nelle politiche, bensì anche come relazione generativa insita nella modernità capitalista. Proporre la categoria di Wasteocene risponde all’esigenza di ripoliticizzare la categoria connessa di Antropocene. Secondo l’autore, infatti, il termine Antropocene oltre a rappresentare uno dei concetti scientifici più popolari del nostro tempo, genera e rinforza la narrazione dominante che la specie umana, in quanto agente climatico e geologico, sia responsabile dell’attuale crisi ecologica. Teorizzando il Wasteocene, Armiero sposa l’argomento principale condiviso dalla critica femminista, decoloniale e marxista all’interno del dibattito accademico sulla categoria Antropocene. Accettare il termine Antropocene implica accettare una narrazione universalistica che invisibilizza le diseguaglianze sociali, storiche, etniche e di genere, rendendo il concetto stesso neutrale e depoliticizzato. Armiero esprime, quindi, l’esigenza di rifiutare il “noi” universalistico dell’Antropocene sulla base di due considerazioni principali: non siamo tutti ugualmente responsabili della crisi ecologica e non viviamo tutti le sue catastrofiche conseguenze con la stessa intensità. È attraverso il riconoscimento delle origini coloniali della crisi ecologica4, nonché del «capitalismo razziale»5 e eteropatriarcale6 nel suo sviluppo e consolidamento, che è possibile superare la logica di specie dell’Antropocene e riscriverne la narrazione in senso politico, non invisibilizzando i conflitti e le differenze.
Il primo capitolo introduce una possibile interpretazione dello scarto e chiarisce la dinamica che sta alla base delle wasting relationship sia la stessa dell’othering – in italiano pratica di “alterizzazione” – coloniale: si scarta per produrre un altro da sé funzionale al mantenimento del proprio privilegio. La creazione di scarti è vista da Armiero come «un processo sociale tramite il quale le ingiustizie di classe, etnia e genere vengono incorporate nel metabolismo socio-ecologico che produce tanto i giardini quanto le discariche, corpi sani e corpi malati, luoghi puri e luoghi contaminati»7. Armiero riconosce il proprio debito nei confronti del pensiero di Mary Douglas8, che, più di mezzo secolo fa, aveva teorizzato che ciò che definisce lo scarto/il rifiuto non sono le sue qualità intrinseche, ma la dimensione relazionale e spaziale. In più, l’autore amplia il raggio di azione della relazione di scarto e la concepisce come una relazione di potere: «non solo [la relazione di scarto] trasforma qualcosa in un residuo indesiderato della produzione ma, nel farlo, produce persone e luoghi di scarto»9.
La logica del Wasteocene rivela le dinamiche alla base del capitalismo contemporaneo: perché il capitalismo possa riprodursi deve necessariamente produrre persone, entità non umane e territori di scarto. Per questo, è proprio all’interno del più ampio concetto di Capitalocene10 che il concetto di Wasteocene può essere compreso: «come il Capitalocene parla delle origini, o meglio, delle cause, della crisi socio-ecologica, il Wasteocene svela gli effetti prodotti dal capitalismo sulla vita»11. Il concetto di Wasteocene esplicita la «natura contaminante del capitalismo» 12 e come questa tossicità venga introiettata, tramite l’oppressione e lo sfruttamento, nella sfera del vivente e delle relazioni che consentono la vita sulla terra, l’organosfera. È a questo punto che Armiero individua nel corpo – umano e “non umano”13,– una fondamentale dimensione politica, in quanto il corpo è al contempo «spazio di oppressione e di liberazione» 14. Gli effetti contaminanti delle relazioni di potere capitaliste sono quindi immanenti, incorporate e politiche, e non come per l’Antropocene rintracciabili e quantificabili primariamente nella geosfera. Il corpo, umano e “non umano”, diventa sensore e testimone della crisi ecologica, nonché agente/soggetto politico, che nella sua lotta per la sopravvivenza è capace di sabotare la logica del Wasteocene. L’approccio ermeneutico indicato da Armiero coniuga la dimensione relazionale con quella della materialità dell’esperienza, attribuendo una fondamentale funzione conoscitiva ai sensi e ai saperi situati15. Lo stesso Armiero afferma infatti che lui non ha “solo” teorizzato il Wasteocene, ma lo ha “vissuto” ed esperito direttamente per anni vivendo e facendo ricerca a Napoli.
L’«esperienza incarnata del Wasteocene» 16 porta le persone, le comunità e i territori di scarto a nuove forme di soggettivazione politica e a «creare immaginari collettivi capaci di cambiare radicalmente il presente» 17. Tale potenziale politico è esplicitato nei capitoli secondo e terzo. Nel secondo capitolo l’autore, a partire da una critica autoriflessiva in merito al ruolo che la storiografia ufficiale ha e ha avuto nel riprodurre l’infrastruttura narrativa delle wasting relationship, identifica nel recupero e nella valorizzazione delle autobiografie tossiche, narrazioni contro-egemoniche in merito alle esperienze incorporate di tossicità e scarto, lo strumento metodologico più efficace per sovvertire la «narrazione del padrone» che esclude sistematicamente «i soggetti che non sono padroni, riducendoli a componenti del racconto» 18 della crisi ecologica. Il ruolo politico di chi incorpora il Wasteocene è oggetto capitolo successivo dove l’autore analizza due eventi storici che hanno segnato la storia recente della città di Napoli, l’epidemia di colera degli anni Settanta e la crisi dei rifiuti degli anni Novanta-Duemila. Questi due eventi vengono definiti «epifanie del Wasteocene» in quanto «momenti rivelatori che aprono una frattura nella struttura normalizzante del Wasteocene portando alla luce l’altro della sua linea di separazione» 19. Per Armiero tali epifanie non hanno unicamente una funzione rivelatrice della logica violenta del Wasteocene, ma sono capaci di provocare un’attivazione politica inedita all’interno delle comunità e dei territori di scarto. Queste comunità rifiutano le misure emergenziali messe in campo dalla politica ufficiale per risolvere la crisi in senso tecnicoscientifico, reclamando una validità scientifica e politica della loro esperienza di tossicità. Attraverso l’attivazione politica – proteste, produzione di conoscenze, costruzioni di reti di solidarietà, narrative situate e alternative alla narrativa dominante – sono capaci di immaginare e mettere in campo nuove relazione socioecologiche, disarcionando le wasting relationship, al fine di ricostruire un futuro basato su diverse dinamiche relazionali e di potere sul proprio territorio.
Al tema dell’immaginario e della costruzione politica di un futuro di riscatto è dedicato l’ultimo capitolo del libro, dove, a partire da un’altra “epifania del Wasteocene”, la pandemia da COVID-19, Armiero individua una serie di esperienze politiche che si sono rivelate capaci di sabotare il Wasteocene20. Il tratto comune di queste esperienze è il loro radicarsi nelle pratiche di commoning, che Armiero definisce come le pratiche collettive che generano allo stesso tempo beni comuni e comunità. Queste pratiche mettono in crisi la logica alterizzante del wasteocene attraverso l’inclusione e la cura. Riprendendo la lezione di Lauren Hudson21 e quella di Ashley Dawson22 sugli esperimenti di disaster communism, Armiero individua nella pratica del mutuo aiuto la capacità politica di modificare la relazione tra le persone, valorizzando l’interdipendenza come cifra dei nuovi esperimenti di organizzazione sociale che diventano realizzabili sulle rovine del Wasteocene.
In conclusione, possiamo dire che il grande contributo di L’era degli scarti è quello di aprire a nuove linee di ricerca che si concentrino sullo studio della rilevanza politica delle relazioni di scarto nella produzione e riproduzione della crisi ecologica. In questo senso, l’invito di Armiero è quello di sottoporre a critica i paradigmi dominanti della scienza storica e del sapere scientifico a partire dai saperi subalterni e incorporati di chi paga in prima persona gli effetti tossici del capitalismo. Per fare ciò è, inoltre, necessario procedere a una costante autoriflessione rispetto al posizionamento e alle metodologie messe in campo, in modo tale da non riproporre le stesse dinamiche di alterizzazione che si vorrebbero contrastare. La ricerca e la produzione teorica assumono per Armiero un valore politico nel momento in cui si è capaci di praticare il commoning anche all’interno del mondo accademico. Per questo, in conclusione al libro, afferma: «posso davvero affermare che il Wasteocene sia un’idea mia, originale e autoprodotta? Sono felice di poter pensare di no. Si tratta sempre di commoning contro l’appropriazione, a partire da dove ci si trova» 23.
Notas
1 BANDIERA, Michele, BINI, Valerio, «Ripoliticizzare le questioni ecologiche. Intervista a Marco Armiero», in Geography Notebooks, 3, 2/2020, pp. 27-32, p. 28.
2 ARMIERO, Marco, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, Torino, Einaudi, 2021, p. 4.
3 Ibidem, p. 5.
4 A questo proposito Armiero si riferisce a due lavori di Lewis e Maslin: LEWIS, Simon L., MASLIN, Mark A., «Defining the anthropocene», in Nature, 519/2015, pp. 171-180; LEWIS, Simon L.; MASLIN, Mark A, The human planet: How we created the Anthropocene, London, Penguin, 2018.
5 Cfr. PULIDO, Laura, Racism and the Anthropocene, in MITMAN, Gregg, ARMIERO, Marco, EMMETT, Robert S. (edited by), Future remains: A cabinet of curiosities for the Anthropocene, Chicago, University of Chicago Press, 2018, pp. 116-28.
6 Cfr. BARCA, Stefania, Forces of Reproduction. Notes for a counter-hegemonic Anthropocene, Cambridge (Mass), Cambridge University Press, 2020.
7 ARMIERO, Marco, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, cit., p. 20.
8 ARMIERO, Marco, «The Case for the Wasteocene», in Environmental History, 26, 3/2021, pp. 425-430.
9 Ibidem, p. 425, traduzione mia.
10 Cfr. MOORE, Jason, Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, Verona, ombre corte, 2017.
11 ARMIERO, Marco, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, cit., p. 21.
12 Ibidem, p. 20.
13 Termine utilizzato dalla filosofia e dalle scienze sociali contemporanee per definire tutte le forme del vivente diverse dalla specie umana come gli animali, le piante, i microorganismi. Cfr., GRUSIN, Richard (edited by), The Nonhuman Turn, Minneapolis, Minnesota, University of Minnesota Press, 2015.
14 ARMIERO, Marco, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, cit., p. 22.
15 Cfr., HARAWAY, Donna J., Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano, Feltrinelli, 2018.
16 ARMIERO, Marco, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, cit., p. 79.
17 Ibidem.
18 Ibidem, p. 35.
19 Ibidem, p. 99.
20 Le Brigate di solidarietà attiva, nate in Italia durante la pandemia; le associazioni di raccoglitori di rifiuti di Rio de Janeiro; le lotte per le condizioni di lavoro e la bonifica dei lavoratori e cittadini dell’ex città industriale di Tuzla, in Bosnia Erzegovina; l’esperienza del lago dell’ex-Snia a Roma; la lotta contro l’inquinamento industriale della comunità subalterna di Can Sant Joan in Catalogna.
21 Cfr. HUGSON, Lauren T., Bulding where we are. The Solidarity-Economy Respons to Crisis pandemic and the crisis of capitalism, in LYON-CALLO, Vincent, MADRA, Yahya M. et al. (edited by), A Rethinking Marxism Dossier, Pandemic and the Crisis of Capitalism, Brighton, Massachusetts, ReMarx Books, 2020, pp.172-180.
22 Cfr., DAWSON, Ashley, Extreme Cities, London, Verso, 2017.
Resenhista
Giulia Arrighetti – Dottoranda in Antropologia presso l’Università degli Studi di Torino. I suoi interessi di ricerca includono l’Antropologia Medica, l’Antropologia del lavoro e l’Ecologia Politica. Si occupa dello studio delle patologie lavoro correlate e dell’impatto ecologico e sociale dell’espansione del settore logistico nel contesto italiano. È parte del collettivo di ricerca Epidemia (http://www.collettivoepidemia.org/it/). URL: http://www.studistorici.com/progett/autori/#Arrighett
Referências desta Resenha
ARMIERO, Marco. L’era degli scarti. Torino: Einaudi, 2021. Resenha de: ARRIGHETTI, Giulia. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, v.52, n.4, p.283-289, 2022. Acessar publicação original [DR/JF]
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