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La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto – FECI; SCHETTINI (BC)

FECI, Simona; SCHETTINI, Laura Schettini. La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto. (Secoli XV-XXI). Roma: Viella, 2017. 287p.  Resenha de: GUANCI, Vicenzo. Il Bollettino di Clio, n.9, p.73-74, feb., 2018.

Le guerre di fine Novecento si sono distinte non solo per il 95% di vittime civili non combattenti ma per l’uso del corpo delle donne come arma. In particolare le guerre etniche nella ex Jugoslavia e in Ruanda hanno messo in evidenza come gli stupri di guerra fossero programmati e usati come un’arma vera e propria. Un’arma particolarmente efficace nelle società patriarcali fondate su una concezione proprietaria del corpo femminile. La guerra non solo rende legittimo infrangere i comandamenti divini del non rubare e non uccidere ma anche quello di non desiderare la “donna d’altri”; lo stupro della “donna del tuo nemico”, infatti, ha la duplice funzione di umiliare nell’immediato il nemico incapace di proteggere la “propria” donna e di garantirsi in aggiunta effetti dirompenti che vanno oltre la fine del conflitto.

Del resto, la retorica nazional-patriottica usa la metafora della nazione-donna da difendere e lo sfondamento dei confini un disonore; proprio questo fece assumere allo stupro un valore chiave nei conflitti tra nazionalismi, rendendolo nel corso del Novecento una tra le più efficaci e ricercate pratiche di guerra.

Ma andiamo per ordine. Il volume curato da S. Feci e L. Schettini affronta il tema della violenza maschile sulle donne nell’Europa degli ultimi cinquecento anni. Le fonti principali sono di tipo giuridico: testi normativi e atti processuali.

Analizzati e interpretati alla luce del contesto storico e sociale nel quale venivano utilizzati e applicati.

Ad esempio, in età moderna (e medievale) le prerogative del capofamiglia di esercitare un diritto di correzione (ius corrigendi) nei confronti della moglie, dei figli, dei domestici era considerato ovvio, riconosciuto ovunque in Europa e nei domini coloniali, qualsiasi fosse la confessione religiosa, la situazione patrimoniale della famiglia, il contesto politico e sociale. Era considerato, altresì, ovvio l’uso della forza per correggere e imporre comportamenti adeguati all’obbedienza e al rispetto che si deve al capofamiglia.

Tuttavia, l’uso della “forza” non doveva eccedere, sconfinando nella “violenza”. In questo caso, la moglie poteva ricorrere a istituzioni e magistrature per denunciare gli abusi. Diventava in quel caso decisiva la testimonianza dei vicini, la percezione che il contesto sociale aveva delle violenze. Va detto che la tendenza naturale di magistrati sia ecclesiastici che laici era quella di salvaguardare l’unità della famiglia limitandosi, nei casi più favorevoli alle donne, ad un ammonimento al maschio violento.

La cosa interessante è che l’esame attento delle carte processuali, pur narrando storie di violenze prolungate nel tempo e di progressiva gravità, consentono di individuare un limite, una “soglia”, pur flessibile, tra l’uso della forza per correggere comportamenti ritenuti inaccettabili e l’abuso violento e ingiustificato.

Oggi la violenza contro le donne, in particolare i tanti femminicidi degli ultimi anni, da qualcuno è stata vista come un ultimo colpo di coda del patriarcato declinante.

Non è detto. La partita è lunga. L’indagine storica può aiutare a capire di più e meglio. Si pensi, per esempio, al rifiuto inflessibile e religiosamente fanatico del “matrimonio affettivo” in molte società, ritenendo un sacro obbligo divino per il pater familias scegliere lo sposo per la “propria” figlia. La storia ci fa capire tanto. Prima di tutto ci rende chiari i tratti costitutivi del patriarcato ancora presente nelle nostre società contemporanee; in secondo luogo, fa piazza pulita di ogni generalizzazione e semplificazione circa i contesti nei quali è presente la violenza maschile contro le donne. Essa non conosce confini geografici né epoche storiche; non ha barriere culturali né di classe né tantomeno religiose.

“D’altronde, scrivono nell’introduzione le curatrici nell’Introduzione, tra uomini e istituzioni era e resta a lungo in atto una partita circa i margini di immunità e impunità spettanti al pater familias, condotta e giocata con variazioni ed esiti difformi nel tempo e nei diversi contesti, ma assai viva.”

Vicenzo Guanci

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Itamar Freitas

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