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La cultura giuridica dell’antica Grecia. Legge/politica/giustizia | Emanuele Stolfi

La cultura giuridica dell’antica Grecia è un libro portatore di novità nel vasto panorama di studi sul diritto greco. Esso si inserisce, infatti, come voce nuova all’interno di un dibattito assai vivo e produttivo, il quale, soprattutto a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, ha portato ad un rinnovamento e ad un progressivo ampliamento delle prospettive e delle modalità di interpretazione dell’esperienza giuridica ellenica. In questo orizzonte, il contributo di Stolfi si presenta come l’esito maturo di una riflessione di ampio respiro, fondata sui temi e sui metodi della storia dei diritti antichi, ma che attinge anche a categorie storico-antropologiche. L’argomento e il taglio dell’opera sono visibili già nel titolo: studiare la cultura giuridica dei Greci implica lo scostamento da un esame di complessi normativi, istituti e procedure, per indagare l’esperienza giuridica della civiltà greca individuando le «forme di pensiero razionale» (p. 63) che l’hanno costituita.

Il volume si articola in dieci capitoli, preceduti da una breve ma importante Premessa (pp. 11-12), finalizzata all’illustrazione del senso di un lavoro che si caratterizza per la sua peculiarità entro la contemporanea letteratura di studi giuridici. Questa peculiarità risiede nella scelta, esplicitata da Stolfi, di percorrere una strada diversa rispetto a quella, ampiamente esplorata, di una «trattazione esaustiva» (p. 11) e manualistica delle leggi e degli istituti che fanno parte dell’esperienza giuridica greca, rivolgendosi, invece, alla «trama teorica» (ibidem) inerente alla legge e alla giustizia elaborata dalla civiltà greca e della quale le testimonianze letterarie sono espressione. L’Autore propone, infatti, «un itinerario […] attorno alle peculiarità del lessico, dell’immaginario concettuale e dei grandi quesiti che, dalle società omeriche sino all’avvento macedone, possiamo individuare in relazione al diritto» (p. 11): lo studio viene svolto a partire dall’analisi delle occorrenze e dei significati assunti dai termini afferenti la vita giuridica, per approdare alla costruzione di una visione d’insieme, seppur complessa e problematica. Centro dell’indagine non è il volto tecnico e procedurale del diritto, ma «il nesso con la dimensione politica e le forme mentali proprie del contesto storico» (pp. 11-12), e dunque il pensiero sotteso ad esso – che è pensiero mitico, filosofico, religioso, politico, e che costituisce il contenuto più puramente culturale del fenomeno giuridico greco.

Il primo capitolo (Prima del viaggio, pp. 13-20) è funzionale alla definizione della cornice entro la quale collocare i ragionamenti che da qui prendono avvio e, parallelamente, allo scardinamento dell’ottica consueta attraverso la quale si tende a leggere il diritto greco. Stolfi introduce il lettore nell’insieme di questioni e problemi relativi alla nozione di diritto, comunemente intesa come «specifica e autonoma funzione sociale, distinta dai dettami della religione o della politica» (p. 13): egli rileva le forzature derivanti dall’applicazione di questa categoria al fenomeno giuridico greco, denotato invece dall’assenza di un sapere formale, allestito e gestito da un ceto professionale di esperti. L’Autore sceglie, al contrario, di adottare la nozione di “cultura giuridica”, la quale determina un ampliamento delle prospettive: intendendo il diritto come «fenomeno schiettamente sociale ed espressione culturale» (p. 15), è possibile dunque mettere in luce la fitta trama di dinamiche politiche, etiche e religiose costitutive della civiltà ateniese e inquadrare in modo più proficuo i tratti complessi e compositi del diritto greco.

Nel secondo capitolo (I tempi e i luoghi, pp. 21-37), Stolfi procede fissando le coordinate spaziali e temporali della sua analisi. Tema cruciale è l’eterogeneità delle esperienze politiche e istituzionali delle quali la Grecia si compone – eterogeneità che si traduce, sul piano giuridico, in una pluralità di diritti greci (pp. 33-37) – a fronte, invece, di un’identità culturale riconosciuta da numerose voci antiche (esemplare quella di Erodoto, VIII 144.2, p. 24). L’Autore esprime la necessità di ridefinire il problema di una prospettiva unitaria o pluralistica (p. 36): esistono i diritti greci, nella misura in cui ogni πόλις ha una sua autonomia legislativa, ma è altrettanto possibile parlare di diritto greco al singolare, laddove «il bagaglio di principi e prescrizioni comune» (p. 34) permette di identificare, nel pluralismo delle soluzioni tecniche, un’unitaria cultura giuridica.

Con il terzo capitolo (Del linguaggio giuridico greco, e dei suoi vuoti, pp. 39-62), Stolfi affronta il problema lessicale, illustrando le carenze terminologiche, ravvisabili nella lingua greca, relative alla sfera della giustizia: spicca, tra le altre, l’assenza di un termine che indichi la nozione specifica e astratta di diritto. Questa insufficienza lessicale è, per l’Autore, portatrice di significato, e riconducibile da una parte all’inesistenza del diritto come sapere formale e, dall’altra, all’assenza di giuristi, detentori e creatori di una scienza giuridica. Stolfi si addentra quindi tra le ipotesi di spiegazione di questa lacuna, proponendo come giustificazione «la pervasiva onnipresenza del “politico”» (p. 52), «un altro paradigma di produzione normativa, che faceva capo all’esercizio del potere cittadino» (ibidem). Nella pars costruens del capitolo (Il lessico della legalità, pp. 52-58), l’Autore esamina la terminologia presente in greco relativa all’ambito giuridico. In vocaboli come νόμος, θέμις, θεσμός e ῥήτρα, Stolfi ravvisa complesse stratificazioni semantiche e la coesistenza, nel medesimo termine, di nozioni divine e trascendenti con quelle puramente laiche e politiche, senza soluzione o evoluzione, né prevalenza delle une sulle altre.

Nel quarto capitolo (Alle origini di diverse forme di pensiero razionale, pp. 63-67), Stolfi opera un confronto tra Atene e Roma, a partire dal quale egli indaga l’origine delle rispettive esperienze giuridiche. Evitando poco produttive assimilazioni o sovrapposizioni, Stolfi mira a rintracciare che cosa abbia determinato lo sviluppo delle due differenti forme di pensiero razionale, l’una rivolta verso la speculazione filosofica, pur senza giungere a un’elaborazione scientifica del diritto, l’altra tendente invece alla prassi e alla disciplina e creatrice di una vera e propria teoria giuridica. La risposta viene individuata nei «diversi stili di religiosità» (p. 66) che connotarono la civiltà greca e quella romana, posti rispettivamente dall’Autore attorno ai due poli di mito e rito.

Il quinto capitolo (Dall’Olimpo alla polis, pp. 79-116), cuore dello studio lessicale, è interamente dedicato alla voce che occupa il posto principale nel lessico giuridico greco: νόμος. Stolfi passa in rassegna un gran numero di testimonianze letterarie, registrando il «dilatarsi della portata del termine nomos e la sua progressiva affermazione come segno privilegiato per indicare la legislazione che viene dalla politica» (p. 97) e tracciandone la storia e lo stratificarsi, su di esso, di significati nuovi ma sempre dipendenti tra loro. L’Autore enfatizza il doppio binario sul quale corre il termine: norma trascendente, sovrana di uomini e dei, la quale allo stesso tempo permette l’esistenza della πόλις umanizzandosi e agendo da regolatrice delle istanze dei cittadini, senza che vi sia nel tempo un’evoluzione e una compiuta trasformazione dal religioso al laico, ma mantenendo sempre vivi e attivi in sé i suoi molteplici significati.

Connesso al capitolo precedente, in quanto ne costituisce il capovolgimento, il sesto capitolo (Il nomos «padrone dei potenti», pp. 117-151) contiene una rassegna di «voci discordanti» (par. 6.1): tema fondamentale è il versante opposto della teoria del νόμος, che ne evidenzia, a scapito della sua divina sacralità, il carattere immanente, utilitaristico e dispotico. L’Autore mette a fuoco il rapporto che si instaura tra legge e potere, ponendo al centro del cambiamento di prospettiva sul νόμος la δημοκρατία, la quale implica la fondamentale nozione di ἰσονομία e, di conseguenza, la costante e ad essa connaturata opposizione alla tirannide. Stolfi riprende inoltre il tema della sovranità del νόμος e della necessità che essa venga esercitata non solo sui cittadini, ma soprattutto sui potenti.

Nel settimo capitolo (Forme e correttivi della giustizia, pp. 153-185) Stolfi esplora la dimensione della giustizia e del rapporto tra essa e i νόμοι. Tra i complicati intrecci del dibattito antico, spicca il tema aristotelico dell’ἐπιείκεια (parr. 7.4-7.5), il correttivo che permette di integrare e interpretare il νόμος rendendolo più conforme a giustizia. Il cuore del capitolo è tuttavia costituito da una nuova lettura che Stolfi dà dell’Antigone, «tragedia del nomos» (p. 160), le cui intrinseche e variamente interpretate polarità sono ricondotte dall’Autore non più ad un antagonismo tra una forma di νόμος e il suo contrario, ma ad un dissidio interno al νόμος stesso, nelle stratificazioni e nelle pieghe che la nozione assume nella lunga parabola della sua esistenza.

L’ottavo capitolo (Amministrare la giustizia: un’ossessione (non solo) democratica, pp. 187-207) sposta l’attenzione del lettore dal concetto di giustizia all’amministrazione della stessa da parte della compagine politica ateniese. Il tema dell’analisi è, questa volta, il termine δίκη e l’ampio ventaglio lessicale ad esso correlato, che si estende fino a coprire l’intero campo semantico di ciò che è relativo al giudizio. Stolfi pone al centro della sua indagine l’elemento umano della macchina processuale, il πολίτης, nelle mani del quale è posto il voto e, di conseguenza, il potere nella πόλις. Rilevante, nel delineare i contorni della prassi giudiziaria ateniese, è l’inquadramento della stessa in quello che l’Autore definisce «tratto capillare e nevralgico» dell’antropologia greca (p. 203), l’agonalità: il processo come lotta, la cui violenza viene sublimata e trasformata in procedura, permettendone l’esistenza pacifica nella comunità.

Al tema del fenomeno oratorio e dell’uso pubblico della parola l’Autore dedica il nono capitolo (La parola che convince, e di cui si risponde, pp. 209-235). Degno di nota è l’accento posto da Stolfi su un ideale originale della democrazia ateniese, quello della παρρησία: possibilità di prendere la parola in pubblico (e connesso pertanto alla nozione di ἰσηγορία), ma anche di esprimersi apertamente e con franchezza, una libertà non priva di conseguenze e, talvolta, suscettibile di pene severe.

Nel capitolo conclusivo (Alterità e “inattualità” dell’esperienza giuridica greca, pp. 237-253), l’Autore getta uno sguardo verso l’itinerario ormai concluso e riflette su alcune questioni metodologiche. Considerazioni fruttuose sono esposte soprattutto riguardo al metodo comparativo, sia diacronico che sincronico, il quale deve essere volto a fare emergere «le peculiarità e le distanze, i tratti di differenza nella somiglianza e di somiglianza nella differenza» (p. 237): questo è ancora più vero a proposito del confronto sovente operato con l’esperienza giuridica romana, il quale «finiva col favorire quasi un’omologazione della Grecia a Roma, facendo della prima solo un calco minore della seconda» (p. 240).

Il libro di Emanuele Stolfi è denso di stimoli e spunti interessanti. Degna di nota è una capacità espressiva che traduce la densità dei concetti in un’esposizione sempre limpida, ma mai a scapito della profondità della discussione, e che rende un testo di spessore accademico – rivolto, come l’Autore dichiara, tanto agli studiosi di diritto, quanto a quelli di letteratura e storia antica – fruibile anche da parte di un pubblico meno avvezzo a questi ambiti di ricerca antichistica, guidandolo in un percorso altrimenti difficile.

Colpisce il gran numero di fonti antiche evocate, tratte dall’intero panorama letterario greco, costantemente problematizzate e inquadrate nel loro contesto storico. La complessità dei termini giuridici in analisi emerge ed assume forma attraverso l’aggregazione progressiva di testimonianze antiche e si addensa con il procedere degli esempi che l’Autore riporta. E tuttavia la galleria di testimonianze non rende mai il ragionamento dispersivo, anzi contribuisce a renderlo sfaccettato e profondo, espressione di un pensiero – quello giuridico dei Greci – che è altrettanto pluriforme. Scegliere di partire dai Greci stessi e di dare loro la parola attraverso ciò che essi stessi hanno prodotto, ha consentito ad Emanuele Stolfi di addentrarsi con successo nella cultura giuridica greca e di farla comparire in trasparenza, interrogando gli stessi poeti, filosofi, oratori sul significato di nozioni che è difficile cogliere pienamente attraverso uno sguardo alle sole disposizioni normative.

I temi principali e ricorrenti dell’opera, quelli della legge e della giustizia, sono definiti nella loro natura politica e sociale prima ancora che formale, e il pregio dell’analisi lessicale e tematica risiede nella capacità di mostrare la complessità dietro ad ogni nozione, la sedimentazione di idee sacre e laiche, antiche e recenti, che non si risolve mai nel netto predominio delle une sulle altre, ma i cui significati affiorano sempre tra le righe di tutta la riflessione greca. Ad essere importante, oltre a ciò, è soprattutto la metodologia applicata concretamente e, di volta in volta, esplicitata mediante considerazioni cariche di conseguenze scientifiche e meritevoli di ricevere uno sfruttamento più diffuso nell’ambito degli studi giuridici, in modo particolare per quanto riguarda il metodo comparativo.

La cultura giuridica dell’antica Grecia è un libro importante, poiché pone un’attenzione rinnovata – sia nei suoi mezzi che nei suoi fini – sul diritto greco e su esso soltanto, e richiama tanto i giuristi quanto i filologi a compiere un diverso sforzo intellettuale volto alla comprensione della “inattualità” di questa esperienza.


Resenhista

Cristiana De Luca –  Università di Pisa. Laboratorio di Antropologia del Mondo Antico. E-mail: cristianadeluca@outlook.it


Referências desta Resenha

STOLFI, Emanuele. La cultura giuridica dell’antica Grecia. Legge, politica, giustizia. Roma: Carocci, 2020. Resenha de: DE LUCA, Cristiana. Grecorromana. Revista Chilena de Estudios Clásicos. Santiago, v. 2, p. 151- 156, 2020. Acessar publicação original [DR]

Itamar Freitas

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