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La cultura americana e il PCI. Intellettuali ed esperti di fronte alla “questione comunista” (1964- 1981) | Alice Ciulla

La pluralità di voci che tra anni Sessanta e Settanta animò il dibattito accademico-politico statunitense sulla “questione comunista” in Italia è al centro del volume di Alice Ciulla, assegnista presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Roma Tre. In questa sede, l’autrice ha discusso la tesi di dottorato dalla quale è tratto il libro. Per la stesura di quest’ultimo, Ciulla ha tuttavia approfondito alcuni temi attraverso esperienze di ricerca in archivi italiani e americani, integrandole con interviste ad alcuni studiosi dell’epoca raccolte durante i soggiorni negli Stati Uniti.

Il volume è strutturato in quattro capitoli che affrontano in maniera dettagliata l’evoluzione di quel dibattito nell’arco temporale compreso tra il 1964 e il 1978, sebbene il campo di indagine si estenda oltre tali estremi cronologici. Il primo capitolo si apre infatti con la ricostruzione delle analisi di alcuni scienziati politici statunitensi nella fase più acuta della Guerra fredda. Vengono perciò passati in rassegna i primi studi sul movimento comunista internazionale condotti intorno alla metà degli anni Cinquanta da politologi di fama internazionale tra i quali Zbigniew Brzezinski e Carl Friedrich. Per alcuni anni, nelle loro riflessioni si impose il “paradigma totalitario”: «agli occhi degli osservatori statunitensi, il movimento comunista internazionale non era solo monolitico ma rappresentava anche il dispiegamento del totalitarismo sovietico al di fuori dei confini dell’Urss», una lettura che forniva a Washington «tutti gli elementi di alterità necessari per promuovere un’immagine del conflitto come quello di una guerra senza sconti»1. Ritenuto un valido strumento analitico per tutti gli anni Cinquanta, il modello totalitario fu applicato anche all’indagine dei partiti comunisti europei occidentali confinati all’opposizione dei governi dei loro paesi, con la conseguenza di produrre tesi aderenti alle letture dominanti nelle quali venivano rimosse le specificità nazionali delle singole organizzazioni politiche.

L’autrice prosegue la ricostruzione sottolineando quali fattori determinarono un ripensamento, e poi l’abbandono, della lettura monolitica del comunismo internazionale. In primo luogo fu la crisi delle relazioni tra Cina e Urss a provocare all’inizio del 1960 quella frattura nel movimento comunista che sarebbe diventata irreversibile alla fine del decennio, contribuendo fortemente alla disgregazione di fatto del movimento internazionale2. Le tensioni sino-sovietiche si inasprirono infatti in un quadro reso progressivamente sempre più complesso dalla nuova centralità assunta dal Terzo mondo nello scontro bipolare e dalla radicalizzazione dei movimenti di liberazione e post-coloniali3. A partire dai primi anni Sessanta, parallelamente allo sviluppo delle “teorie della modernizzazione” e soprattutto grazie alle intuizioni di alcuni sociologi e politologi, si delineò pertanto il superamento degli strumenti analitici utilizzati in precedenza a favore di nuovi approcci metodologici orientati a cogliere i diversi modelli di socialismo che stavano emergendo nel corso del decennio. Questo insieme di novità favorì anche dibattiti sul comunismo europeo occidentale, con l’avvio di studi più sistematici sui partiti di quest’area a cominciare da quello italiano. Come ricostruito dall’autrice, alcuni scienziati sociali iniziarono infatti ad analizzarne gli aspetti che lo differenziavano dal modello sovietico.

Un significativo progresso nella conoscenza del Pci da parte degli accademici statunitensi fu realizzato dal 1964 in avanti grazie ai lunghi soggiorni in Italia di Donald Blackmer e Sidney Tarrow, i quali riuscirono ad avere contatti diretti con esponenti del comunismo italiano politico, culturale e sindacale. A questi studi, l’autrice affianca quelli di uno dei più celebri e influenti politologi “italianisti”, Joseph LaPalombara, del quale ripercorre tutti i lavori di quegli anni.

Il Sessantotto rappresentò da molti punti di vista uno spartiacque simbolico nel panorama internazionale e, stando alla ricostruzione di Ciulla, anche nel dibattito accademico statunitense sul movimento comunista. Con il 1968, il paradigma totalitario fu infatti definitivamente abbandonato e nel secondo capitolo l’autrice illustra l’evoluzione degli studi statunitensi alla luce dei nuovi scenari politici internazionali. In sintesi, negli anni Settanta, «la lettura della politica italiana e della questione comunista negli Stati Uniti fu, ancor più che negli anni precedenti, il prodotto di analisi diverse maturate in una dialettica di confronto tra attori italiani, europei e americani»4. Del resto quelli furono gli anni in cui le amministrazioni Nixon, Ford, e più tardi Carter, tentarono − sia pure con metodi diversi che rivelavano anche la compresenza di differenti orientamenti tra Casa Bianca e Dipartimento di Stato − di influenzare le dinamiche della politica interna italiana e le decisioni del paese in politica estera5. Nel campo delle analisi politologiche il nuovo contesto, segnato anche dalla maggiore autonomia dei comunisti italiani da Mosca dopo l’invasione di Praga, si tradusse nell’estensione del dibattito oltre i tradizionali circoli intellettuali grazie all’interesse rivolto al Pci da parte di reti di esperti non appartenenti al solo mondo accademico. L’autrice individua infatti l’avvio del dibattito sul comunismo europeo all’interno di think tank come il Council on Foreign Relations (CFR) come un punto di svolta nel percorso ricostruito nel volume6. In una serie di incontri tenuti alla metà degli anni Settanta, un gruppo di lavoro composto da studiosi, giornalisti e diplomatici mise perciò a confronto differenti percezioni degli sviluppi nel mondo comunista. Sullo sfondo, i grandi cambiamenti nelle relazioni tra Stati Uniti e Urss da una parte, con l’apice della distensione, e tra Washington e Pechino dall’altra; inoltre, l’Europa mediterranea era teatro di nuovi equilibri politici derivanti dai processi di transizione democratica in corso in alcuni paesi dell’area7.

Contemporaneamente − e non senza difficoltà, come dimostra la vicenda della politica della concessione dei visti ripercorsa nel libro – alcune personalità dell’accademia statunitense e del personale diplomatico dell’ambasciata a Roma incoraggiarono contatti con esponenti del Pci. L’autrice spiega però che scarsità e lacunosità delle fonti non consentono purtroppo agli studiosi di fare chiarezza su quali fossero i reali obiettivi strategici e diplomatici dei funzionari americani rispetto all’intenzione dichiarata riservatamente al responsabile della sezione Esteri del Pci, Sergio Segre, di stabilire un dialogo con i dirigenti comunisti italiani8 . È certo tuttavia che a motivare questo nuovo interesse concorsero sia le trasformazioni economiche e politiche internazionali (centrale a questo proposito fu il tema dell’interdipendenza) sia i cambiamenti che riguardarono il partito da vicino: dal progetto dell’eurocomunismo, lanciato dal segretario Enrico Berlinguer contestualmente alla proposta del “compromesso storico”, fino alle vittorie elettorali del 1975 e 1976 che posero al centro del dibattito l’eventuale ingresso dei comunisti nell’area di governo. Il terzo capitolo si concentra dunque sulle analisi di accademici ed esperti sulle prospettive aperte dall’eurocomunismo e sul tipo di strategia che a loro giudizio gli Stati Uniti avrebbero dovuto adottare nei confronti di questo nuovo progetto politico. Lo scambio di opinioni su eurocomunismo e partecipazione dei comunisti all’esecutivo, riportato in maniera puntuale da Ciulla, attesta una notevole difficoltà a comprendere il significato e le ambizioni della politica estera ed interna del Pci e a contestualizzarli nella crisi politica, economica e sociale attraversata dall’Italia.

Tale difficoltà contraddistinse d’altra parte tutte le analisi compiute in quel quindicennio da questa rete di scienziati politici: concentrarsi sull’elaborazione di modelli teorici fece infatti perdere di vista la politica effettivamente svolta sul campo dal Pci come dagli altri partiti comunisti occidentali. A ciò non giovò ovviamente la scarsa conoscenza reciproca tra Pci e Stati Uniti; anche quando, nella seconda metà degli anni Settanta, sembrarono aprirsi nuovi canali (culturali, ma non politici) per superare tale circostanza, essi si chiusero in realtà assai rapidamente, come ha ricordato nelle sue memorie Antonio Rubbi9.

Nei primi tre capitoli, quindi, l’autrice ricostruisce molto dettagliatamente i dibattiti di quella sezione della scienza politica statunitense interessata allo studio del comunismo internazionale ed italiano in particolare. Il capitolo finale, invece, è un focus sulla presidenza Carter, la cui elezione nel novembre 1976 aveva aperto tra i dirigenti del Pci la speranza di un mutamento delle posizioni degli Stati Uniti nei confronti del partito. Qui vengono evidenziate ambiguità e contraddizioni con cui la nuova amministrazione gestì la “questione comunista”: dopo che per lungo tempo Carter aveva preferito non esprimersi sull’eurocomunismo né sulla eventuale partecipazione dei comunisti a governi di paesi occidentali, la dichiarazione del Dipartimento di Stato del gennaio 1978, che come è noto riproponeva il veto anticomunista nei termini tradizionali, fu rilasciata quasi contemporaneamente alla visita di Giorgio Napolitano, la prima di un esponente di primo piano del Pci negli Usa. I contenuti del Memorandum sono allo stesso tempo indicativi della impossibilità della comunità accademica liberal, in buona parte incline ad un’apertura di credito verso il Pci e gravitante soprattutto nei circuiti newyorkesi, di influenzare decisioni ed orientamenti politici a Washington.

Un breve epilogo sui primi anni Ottanta chiude il volume: dopo il 1978, l’interesse verso il Pci scomparve dalle analisi del CFR e da quelle dei funzionari dell’amministrazione americana, tornando ad assumere una dimensione strettamente accademica10. Il comunismo italiano, e più in generale quello europeo occidentale, era del resto entrato in una fase declinante, e anche il processo di distensione internazionale conosceva una profonda crisi, divenuta ben presto ancora più acuta sotto l’amministrazione Reagan, insediatasi alla Casa Bianca nel gennaio 1981.

La circostanziata ricostruzione delle posizioni espresse in quindici anni di dibattiti da accademici ed esperti statunitensi sul comunismo italiano rende il volume un importante contributo in ambito storiografico. La completezza della ricostruzione, di per sé meritoria per l’accuratezza, lascia forse poco spazio alle ipotesi interpretative proposte dall’autrice e ad una verifica sul piano storico dei modelli elaborati da questa rete di intellettuali statunitensi. Questo studio ha comunque il pregio di restituire la grande varietà delle analisi emerse nel campo dela scienza politica americana, a testimonianza di un confronto molto più articolato di quanto non si sia solitamente portati a ritenere.


Notas

1 CIULLA, Alice, La cultura americana e il PCI. Intellettuali ed esperti di fronte alla “questione comunista” (1964-1981), Roma, Carocci, 2021, p. 25.

2 Su questi temi si rinvia a PONS, Silvio, La rivoluzione globale. Storia del comunismo internazionale 1917-1991, Torino, Einaudi, 2012.

3 Cfr. WESTAD, Odd Arne, La guerra fredda globale. Gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e il mondo. Le relazioni internazionali del XX secolo, Milano, Il Saggiatore, 2015 [ed. orig.: The Global Cold War: Third World Interventions and the Making of Our Times, Cambridge, Cambridge University Press, 2005].

4 CIULLA, Alice, La cultura americana e il PCI, cit., p. 59.

5 Su questi aspetti si rimanda a COMINELLI, Lucrezia, L’Italia sotto tutela. Stati Uniti, Europa e crisi italiana degli anni Settanta, Firenze, Le Monnier-Mondadori, 2014.

6 CIULLA, Alice, La cultura americana e il PCI, cit., p. 81.

7 Sui processi di transizione democratica in Grecia, Spagna e Portogallo cfr. DEL PERO, Mario, GAVIN, Victor, GUIRAO, Fernando, VARSORI, Antonio (a cura di), Democrazie. L’Europa meridionale e la fine delle dittature, Firenze, Le Monnier, 2010.

8 CIULLA, Alice, La cultura americana e il PCI, cit., p. 90.

9 RUBBI, Antonio, Il mondo di Berlinguer, Roma, Napoleone, 1994, pp. 41-62.

10 CIULLA, Alice, La cultura americana e il PCI, cit., p. 131 e p. 196.


Resenhista

Valentina Casini – Cultore della materia in Storia contemporanea presso l’Università di Bologna ed è stata borsista della Fondazione Gramsci di Roma. Ha scritto saggi sulla storia di partiti e movimenti politici in Italia, e il volume Il IX Centenario dell’Università di Bologna e il processo di internazionalizzazione dell’Accademia italiana. Evoluzione nazionale e contesto europeo (Bologna, BUP, 2017). Attualmente collabora alla Edizione Nazionale delle Opere di Aldo Moro. URL: < http://www.studistorici.com/progett/autori/#Casini >


Referências desta Resenha

CIULLA, Alice. La cultura americana e il PCI. Intellettuali ed esperti di fronte alla “questione comunista” (1964- 1981). Roma: Carocci, 2021. Resenha de: CASINI, Valentina. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, v.51, n.3, p.106-112, 2022. Acessar publicação original [DR/JF]

Itamar Freitas

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