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Introduzione alla World History – VANHAUTE (BC)

VANHAUTE, Eric. Introduzione alla World History. Bologna: Il Mulino, 2015. 268p. Resenha de: GUANCI, Enzo. Il Bollettino di Clio, n.5, p.61-63, giu., 2017.

Per segnalare questo bel libro di storia cominceremo dalla fine, dall’ultima pagina. Qui E. Vanhaute conclude la sua chiara illustrazione della world history, affermando che in buona sostanza, con la sua moltitudine di scale e di paradigmi, essa ha l’ambizione di spiegare, dandole un senso, la presenza umana sul pianeta; e lo fa inquadrando la storia dell’umanità in un “contesto sempre più vasto, coordinato e organico”. La parola-chiave è appunto “contesto”. La storia, infatti, viene compresa quando si riesce a coglierne l’essenza e ciò è possibile quando si riesce a guardare gli umani muoversi nel mondo, nel mondo intero. Per secoli così non è stato. Vanhaute, citando Braudel, ricorda che “avendo inventato il mestiere dello storico, l’Europa se n’è avvalsa a proprio vantaggio”, costruendo una storia eurocentrica.

Ancora oggi che disponiamo di un patrimonio di conoscenze sterminato, molto più vasto che nel passato, la storia della non-Europa stenta a farsi, a causa della disparità a favore della civiltà occidentale nella distribuzione di conoscenza.

L’abbandono del modello eurocentrico non significa, però, la ricerca di un altro “centro”. La wh non adotta un’unica scala di spazio e di tempo, da cui far scaturire tutte le altre. Ogni scala ha una sua autonomia, anche se parziale, in quanto interdipendente da tutte le altre. Le società umane, ricorda Vanhaute, sono sempre collegate tra loro per mezzo di una molteplicità di sistemi: sistemi economici, sistemi migratori, sistemi ecologici, sistemi culturali. Mediante analisi comparate dei sistemi e delle loro interconnessioni in un quadro transnazionale si può riuscire a fornire qualche risposta alle domande basilari della wh, che sono:  

In che modo i gruppi delle popolazioni appartenenti a differenti contesti spazio-temporali conseguono obiettivi simili con mezzi diversi (la riproduzione del sé fisico, del lavoro, delle conoscenze e delle scoperte a cui sono giunti, dei modelli sociali e culturali e, infine, della loro società)? Quali fattori (esterni, ossia ecologici; interni, e dunque sociali) producono risultati simili o dissimili?  In che modo le popolazioni sviluppano le loro società? E in che modo i sistemi sociali cambiano in seguito al contatto, all’interazione o al conflitto con altre società? Fino a che punto determinati sistemi sociali convivono fianco a fianco o prendono il sopravvento su altri sistemi?” (p.29).

Tre sono le dimensioni in cui si articolano le scienze umani e sociali: quella spaziale, quella temporale e quella tematica. Tutte e tre sono sempre frutto di scelte culturali: le scale spaziali, le periodizzazioni temporali, le unità di analisi tematiche. A tale proposito vale la pena di ricordare cosa non è (o non è soltanto) la wh. Essa non è:

“una storia universale o totalizzante: la storia di «tutto»;  una storia internazionale: non è solo la storia dei rapporti tra le «nazioni»;  una storia della civiltà (occidentale): è più di una storia dell’ascesa di una civiltà (occidentale);.

la storia del non-Occidente (in precedenza chiamata storia «coloniale» o «d’oltreoceano»: è più di una storia del mondo al di fuori dell’Occidente);  una storia sociale comparata: è più di una storia comparata delle società;  una storia della globalizzazione: il suo campo d’indagine è ben più vasto rispetto a quello della storia della globalizzazione.” (p. 27)

Vanhaute fa bene a sottolineare che le storie “universali” non costituiscono un’invenzione recente, anzi. Le narrazioni storiche che vanno oltre i confini spaziali del proprio paese hanno una lunga tradizione in Cina, Giappone, Asia sudoccidentale, nel mondo islamico, oltre che nella cultura occidentale. Ma sempre la concezione è teleologica: la propria civiltà costituisce il naturale punto di partenza e di arrivo, a dimostrazione della naturale propria superiorità. Le maggiori religioni monoteiste hanno elaborato un proprio specifico mito della creazione, mescolando predestinazione divina, mito e linguaggio simbolico con eventi realmente accaduti, con l’obiettivo di presentare una “verità generale, universale e spesso eterna”.

Vale la pena di ricordare due tra gli esempi riportati da Vanhaute: il De civitate Dei di sant’Agostino, la cui storia teleologica e senza tempo della città dell’uomo e della città di Dio fonda la tradizione dell’historia universalis del cristianesimo e le Storie nelle quali Erodoto cerca e descrive differenze e somiglianze dei popoli non-greci (barbaroi) con i greci.

Da segnalare, infine, la breve cronologia della storia umana proposta dall’autore all’inizio del volume, dopo aver precisato che il computo del tempo, pur rifacendosi al calendario cristiano, utilizza la dicitura “avanti e dopo era volgare”, «a.e.v.» e «d.e.v.», invece di «a.C.» e «d.C.» in quanto più neutra, così come vengono evitate categorie eurocentriche come «antichità», «Medioevo», «Rinascimento», «età moderna»:

Se questa è la scansione temporale delle principali trasformazioni che segnano i periodi della storia dell’umanità a scala mondiale, i temi presentati e sviluppati sono: la trasformazione demografica (un mondo umano), l’ecologia (un mondo naturale), l’alimentazione (un mondo agrario), le sovranità e i poteri (un mondo politico), le culture e le religioni (un mondo divino), l’Occidente e il resto del mondo (un mondo diviso), globalizzazione o globalizzazioni? (un mondo globale), sviluppo e povertà (un mondo diviso), unità e frammentazione (un mondo frammentato).

Sedici pagine di bibliografia e sitografia forniscono indicazioni di studio generale e tematico per una nuova storia dell’umanità.

Enzo Guanci Acessar publicação original

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Itamar Freitas

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