BACCI, Massimo Livi. In cammino. Breve storia delle migrazioni. Bologna: Il Mulino, 2010. 268p. Resenha de: DONDERO, Enrica. Il Bollettino di Clio, n.8, p.71-71, dic., 2017.
Il passato, il presente e il futuro delle migrazioni. Livi Bacci, uno dei massimi esperti italiani di demografia storica, non limita tuttavia il suo studio a una storia dei gruppi migranti nel lungo periodo, ma inserisce le dinamiche demografiche in una complessa rete di relazioni con quelle economiche, sociali, antropologiche, politiche e giuridiche. A partire da un presupposto – il desiderio di spostarsi è prerogativa ed essenziale componente dell’essere umano – il fenomeno migratorio è osservato da una pluralità di punti di vista: correlato nei suoi sviluppi ad atti politici che, di volta in volta, lo hanno favorito, vincolato o negato; strettamente connesso al progresso tecnico nella comunicazione e nei trasporti; fattore di powerful delle relazioni umane e delle interazioni, delle mescolanze bioenergetiche e culturali, della conoscenza, dei tratti culturali, dei linguaggi e dei comportamenti.
L’attenzione verso il solo aspetto demografico, unitamente alle alterazioni date da distorsioni percettive, luoghi comuni e stereotipi, ha prodotto una visione limitata e riduttiva del fenomeno: nel mondo del XXI secolo, le grandi migrazioni non vengono considerate un motore primario delle società, ma piuttosto una componente deformata del cambiamento sociale, un agente ingovernabile, un disturbo di fondo che distorce la regolarità della vita organizzata. In realtà, homo sapiens è homo movens; quasi il 10% della popolazione dei paesi ricchi ha avuto una storia di migrante: condizione esistenziale comune, quindi, non eccezionale.
Il testo di Livi Bacci, nato dalla sistematizzazione di riflessioni, spunti e scritti precedenti, si basa perciò sull’interpretazione delle migrazioni come specificità umana e fenomeno costitutivo delle società. L’ambizione è quella di precisare, provare e sostenere tale convinzione attraverso il metodo di studio del fenomeno e la sua sostanza e la struttura del volume rispecchia puntualmente le intenzioni: i primi tre capitoli fondano alcuni concetti e schemi interpretativi essenziali per uno sguardo ampio sul fenomeno migratorio; i tre successivi analizzano i sistemi migratori attraverso un indicatore diacronico; gli ultimi due capitoli, a partire da raffronti e analisi incrociate a livello mondiale, prefigurano politiche migratorie tendenti a rendere effettivo il diritto allo spostamento e a dare dignità a una popolazione “con diritti dimezzati”. È presente un’appendice che riporta puntuali dati statistici.
L’onda di avanzamento e le migrazioni lente: il paradigma è tipico degli spostamenti delle società agricole in territori spopolati o radamente insediati. Due aspetti sono caratterizzanti: la capacità di adattarsi ad ambienti diversi e la possibilità di generare un surplus demografico sufficiente per operare ulteriori avanzamenti. Sono coerenti con tale modello le forme di migrazioni preistoriche, ad esempio; o la grande colonizzazione medievale (Drang nach Osten) che, tra XI e XIV secolo, spinse l’espansionismo delle popolazioni germaniche a nord dei rilievi centrali della Boemia fino alla costa baltica; nell’area intermedia dai Paesi Bassi alla Turingia, alla Sassonia e alla Slesia; a sud in direzione delle pianure ungheresi lungo la via naturale del Danubio.
Questo processo di insediamento solleva rilevanti spunti di interesse: fu infatti un movimento intenzionale, organizzato e guidato da una vera e propria politica migratoria; ebbe un cospicuo effetto ‘fondatore’ (pochi capostipiti, molti discendenti); fu sostenuto da una notevole disponibilità di capitali. Tratti similari a quell’onda di avanzamento si possono ritrovare nel graduale popolamento del continente nordamericano, nel quale lo spostamento delle frontiere avvenne per fattori di natura politica, di attrazione e tecnologica (il completamento della ferrovia transcontinentale). Anche relativamente allo stanziamento nella Russia asiatica nel periodo precedente la prima guerra mondiale si possono rinvenire tracce di un’onda di avanzamento; ma in quel caso le intrusioni della politica zarista furono più vincolanti.
Il secondo capitolo introduce il concetto di fitness, capacità di adattamento. Il riferimento non va in modo esclusivo agli elementi biologici, ma anche ai tratti sociali, culturali, antropologici. I migranti non sono un campione casuale della popolazione di partenza: sono selezionati per alcuni caratteri, quali l’età, lo stato di salute, la capacità riproduttiva, la resistenza, la forza fisica; ma anche l’inclinazione a sperimentare il nuovo o caratteristiche acquisite, come un mestiere, possono costituire un vantaggio.
D’altra parte, l’ambiente di destinazione svolge una funzione altrettanto decisiva, anche in relazione all’’effetto fondatore’, cioè al processo che determina lo sviluppo di una nuova popolazione a partire da un ridotto numero di individui. Il caso delle migrazioni funzionali allo schiavismo evidenzia come l’insuccesso dipenda da fattori plurimi: le attività pesanti delle donne, la ridotta possibilità di trovare compagni, la bassa proporzione di coppie, la preferenza dei padroni a investire nel lavoro femminile piuttosto che nella nascita di creoli, la mortalità durante il viaggio e nelle piantagioni, la malnutrizione, il difficile acclimatamento, l’alta densità abitativa e la scarsa igiene.
Le politiche migratorie costituiscono un potente fattore facilitante o ostacolante le migrazioni, di cui si avverte il peso con lo svilupparsi delle prime entità statuali: in che modo influenzano gli esiti, le fitness dei migranti e il loro successo sociale ed economico? Un esempio paradigmatico di influenza positiva è individuato da Livi Bacci nel governo degli Inca, che organizzava insediamenti a carattere coloniale con finalità di presidio, di consolidamento della conquista e di specializzazione produttiva, ma con attenzione alla compatibilità ambientale ed ecologica. Impegno che non ebbero gli Spagnoli, i quali causarono conseguenze nefaste sugli altipiani e compromisero la fitness degli abitanti, indebolendone la sopravvivenza.
Un altro caso interessante si rinviene nella migrazione tedesca (Drang nach Osten) di cui si è già riferito, in particolare nel forte ruolo organizzativo dei principi, della Chiesa o degli ordini cavallereschi. Fu decisiva, in quel caso, la capacità di scegliere i terreni incolti, di distribuirli oculatamente ai coloni, di dotare questi ultimi di materie prime e utensili. L’accortezza della politica messa in atto portò, di conseguenza, a un successo demografico.
In epoca moderna, le monarchie assolute d’Europa ricorsero frequentemente a migrazioni organizzate, sulla base di una filosofia mercantilista sostenuta dall’idea che una popolazione numerosa fosse un pilastro del benessere delle nazioni. Due fattori principalmente motivavano le scelte migratorie: il primo, di natura economica, consisteva nel mettere in valore terre ancora incolte o poco coltivate; il secondo, di natura politica e strategica, mirava a rafforzare le aree di confine adiacenti a Stati ostili di cui si temeva l’aggressività.
Il caso della Maremma toscana, nel XVIII secolo, testimonia invece un tentativo finito in disastro. Pochi anni dopo l’insediamento voluto dal granduca lorenese Francesco II, la colonia era già sull’orlo dell’estinzione. Il rapidissimo declino fu dovuto sia all’abbandono, sia all’alta mortalità favorita da pessime condizioni igieniche, inadeguatezza delle abitazioni, abusi nella distribuzione del cibo, febbri malariche.
Le numerose analisi condotte e i confronti anche sul piano mondiale, gli esempi di migrazioni nel lungo e lunghissimo periodo e gli episodi che si esauriscono in pochi anni confermano la complessa struttura metodologica adottata dall’autore e la sua scelta di non limitarsi alla prospettiva demografica: i fenomeni migratori non possono essere ridotti alla contabilità dei flussi che partono o rientrano. Anche il fattore tempo incide sulle caratteristiche delle migrazioni: la periodizzazione adottata da Livi Bacci nei capitoli specificamente dedicati (XVI-XIX secolo; 1800-1913; 1914-2010) permette l’emersione di alcuni elementi significativi per capire come le condizioni interne a un’epoca siano influenti.
La grande rivoluzione geografica di inizio Cinquecento o la Rivoluzione industriale accelerarono i processi migratori interni ed esterni agli Stati perché fattori oggettivi migliorarono le condizioni della mobilità: progresso nella navigazione, aumento delle disponibilità energetiche, potenziamento delle infrastrutture, innovazioni tecnologiche, aumento dei consumi calorici.
La profonda trasformazione del mondo rurale e il dissolversi dell’antico equilibrio conseguenti allo sviluppo industriale determinarono un nuovo modello di migrazione nel XIX secolo. L’emigrazione europea assunse le caratteristiche di un fenomeno di massa: è il tentativo di uscire dalla trappola della povertà, la rottura di uno storico equilibrio tipico delle campagne basato sulla forza di tolleranza a condizioni ritenute immutabili. La migrazione, in questo caso, seleziona chi ha una solida motivazione, chi rifiuta l’adattamento, chi sa sfruttare appieno le opportunità offerte dal dislivello di circostanze economiche tra paesi di origine e paesi di destinazione.
A partire dalla metà del XX secolo e ancor più nel passaggio del millennio, assistiamo a una serie di fenomeni – alcuni congiunturali, altri strutturali – che modificano le caratteristiche delle vicende migratorie: l’inversione del ciclo di crescita economica, il ripiegamento demografico di alcune aree del pianeta, l’allentamento dei legami umani fra Europa e resto del mondo, l’esplosione di conflitti con sconvolgimenti che hanno pochi paragoni nella storia. Tutto ciò implica la necessità di riconsiderare i fenomeni migratori e le condizioni che li generano; si impone, ad esempio, il riconoscimento della differenza concettuale tra migrazione fisiologica e migrazione di rifugiati e profughi. Pezzi di mondo sono crollati, falliti, e la loro fine innesca partenze che portano sulle nostre coste il migrante nigeriano che fugge la fame e quello siriano che abbandona una città bombardata. Il loro arrivo confligge con le difficoltà legate all’assorbimento nell’attuale contesto economico occidentale, contrassegnato da una forte disoccupazione: come affrontare il problema, come valorizzare la possibilità di accoglienza senza che sia stravolta la struttura sociale ed economica del paese? Come conciliare il diritto che gli Stati hanno di governare i flussi migratori con il dovere di accogliere chi ha lo status di rifugiato? D’altra parte, l’attuale Europa a produttività frenata, in cui la popolazione anziana ostacola l’inserimento dei giovani ma determina anche un forte aumento della domanda di servizi personali, in cui si afferma una richiesta di qualificazione ad alto livello ma anche di sostegno a lavoro poco qualificato in settori come l’agricoltura e l’edilizia, apre altri interrogativi e rende problematico ogni tentativo di soluzione: ad esempio, l’idea di armonizzare andamento economico e migrazione e di programmare i flussi, da molti sostenuta, è risultata finora fallimentare.
I costrutti delle scienze economiche e sociali restituiscono la complessità della situazione e la necessità di alcuni radicali cambiamenti di rotta; voce sempre più isolata o almeno in controtendenza, Livi Bacci sostiene l’ipotesi di un governo internazionale del fenomeno, una istituzione sovranazionale alla quale possano essere cedute frazioni, anche minime, della sovranità statuale in ambiti connessi con le migrazioni. Ma suggerisce anche di cambiare la struttura mentale nell’approccio al fenomeno: non considerare il migrante solo nella sua condizione economica di forza lavoro, elemento estraneo alla società che lo accoglie, ma valorizzare la qualità del capitale umano, attivando politiche sociali finalizzate.
Ciò implica integrare i modelli interpretativi usuali con le idee di immigrazione di insediamento e di cittadinanza e affrontare nel dibattito pubblico, e quindi anche a scuola, i temi della crisi della regione di arrivo e di una strategia politica che contempli la volontà di inclusione.
Il libro fornisce agli insegnanti una grande ricchezza di elementi per un approccio ampio e articolato sul piano interdisciplinare, ma non elude un presupposto valoriale. Livi Bacci ricorda, infatti, in conclusione, una lezione fondamentale: “Quanta strada c’è ancora da fare per dare ordine e dignità a una delle prerogative fondamentali dell’individuo: quella di spostarsi nello spazio, senza ledere i diritti altrui e senza il timore che ai propri venga fatta violenza”.
Enrica Dondero
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