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Greek Religion and Cult in the Black Sea region | David Braund

Il volume è l’ultimo contributo prodotto nell’ambito del Black Sea History Project. Si tratta di una linea di ricerche sulla colonizzazione greca nella regione del Bosforo, che l’Autore porta avanti, con interessi di respiro storico-archeologico ed epigrafico-letterario, ponendosi come interlocutore di una consolidata tradizione di studi di matrice europea orientale. Il contributo intende analizzare il ruolo di due divinità centrali del Bosforo, Parthenos e Afrodite Urania, e l’impatto che i loro culti ebbero in termini di mediazione tra gruppi sociali di matrice greca e gruppi autoctoni, coesistenti nella regione pontica, in un arco di tempo che va dal V sec. a.C. all’epoca romana.

Il libro si compone di sei capitoli, preceduti da un’utile premessa introduttiva alla ricerca, che si sofferma in modo dettagliato sulla peculiare conformazione geomorfologica dell’aera protesa sullo stretto del Bosforo. Definendo l’aspetto della regione an extraordinary phenomenon (p. 2), l’Autore pone in risalto la presenza di aree acquitrinose e di rilievi che fungono da confini naturali per i gruppi che la abitano, e la particolare posizione dello stretto di mare, che divide il regno in due blocchi antistanti – le attuali Crimea e penisola di Taman’ – e legati rispettivamente ai culti delle due divinità trattate. Questi, i due poli religiosi e geografici attorno ai quali si snoda il contenuto dei capitoli di un volume che, complessivamente, non perde mai di vista la fondamentale interazione fra territorio, componenti sociali e dimensione religiosa.

Nel primo capitolo (pp. 15-60) si tenta di delineare il profilo della dea chiamata Parthenos, il cui culto è radicato a Porthmium, nell’attuale Crimea, e di definire se questo sia di matrice greca o autoctona. Il titolo del capitolo, Crimean Parthenos, Artemis Tauropolos and Human Sacrifice, fa ben emergere la volontà di mantenere teso il filo tra la dea del pantheon attico e quella pontica, facendo leva sull’intersezione di funzioni divine e su alcuni fondamenti mitici e cultuali, che trovano nel sacrificio umano – centrale nelle narrazioni di Erodoto ed Euripide – una delle più celebri formulazioni narrative. Un ulteriore passaggio in direzione sincretistica è il rilevamento, nell’immaginario dei coloni greci di una triplice associazione fra la Parthenos pontica, la dea Artemide e Ifigenia, figlia di Agamennone e vittima di un sacrificio umano. Suggestivo, benché difficile da dimostrare, sarebbe rintracciare un’interazione fra il culto di Parthenos e quello di Achille, già praticato nella vicina isola di Leuke e nell’Achilleum antistante al santuario della dea, proprio dalla parte opposta dello stretto (p. 45). Pur riconoscendo più volte la scoraggiante scarsità delle fonti letterarie e materiali disponibili, Braund appare convinto della centralità di una dea paragonabile a Parthenos, ritenuta preesistente alla colonizzazione greca della antica Crimea, entrata in rapporto con Artemide e Ifigenia, per mezzo di comunità diverse. In questo capitolo di apertura, alcuni snodi dell’argomentazione danno al lettore l’impressione di essere condotto alla ricerca dell’identità della dea pontica. Il risvolto – diremmo – archetipico è, però, scongiurato dal momento che l’insieme delle prerogative della dea Parthenos viene riconosciuto come il frutto di un processo di ridefinizione costante, operato dai diversi gruppi sociali presenti sul territorio, sulla base di un’analogia di caratteristiche e rappresentazioni.

Il secondo capitolo (pp. 61-95) esplora le relazioni fra il culto di Parthenos e quelli ad esso affini nel bacino del Mediterraneo. L’elemento dello spargimento di sangue nel rituale mitico, benché mai concretamente attestato nella pratica storica, è il nucleo attorno al quale sorgono i culti di Atene (Halae e Brauron, p. 62), Sparta (Orthia, p. 73), quelli siriaci e infine romani. I greci di Crimea, infatti, percepivano e rappresentavano la Parthenos pontica come una divinità sanguinaria, da placare e inglobare nel panorama religioso ellenico. L’Autore mostra opportunamente le implicazioni socio-culturali di una simile ideologia, che si traduce nell’esaltazione di alcune istanze civilizzatrici, vantate dai greci del Ponto sul substrato di popolazioni barbare, identificate a turno con gli Sciti e con i Tauri delle narrazioni mitiche e tragiche.

La linea di indagine che privilegia gli excursus sui contesti cultuali limitrofi al Bosforo si snoda anche nel terzo capitolo (pp. 96-133), dove sono indagate rispettivamente l’ingerenza di Efeso nella colonizzazione nel Mar Nero e le influenze del suo celebre Artemision nell’installazione di culti nel Bosforo nella prima età Ellenistica. L’Autore presenta una serie di testimonianze scritte, di provenienza non letteraria (iscrizioni e dediche, p.101) e di cultura materiale (reperti in terracotta, p.106), ammettendone però la sostanziale insufficienza a giustificare modo esaustivo la presenza di Efeso, ed evidenziando, in conclusione, l’unico dato concretamente attestabile, e cioè l’enigmatica scomparsa dell’Artemide efesina dalle fonti relative al Bosforo, subito dopo il IV sec. a.C.

Il quarto capitolo (pp. 134-186) sposta l’attenzione su divinità femminili, diffuse nel bacino del Mediterraneo, alle quali si riconosce una certa centralità anche nel panorama religioso del Mar Nero. Tracciando un parallelo tra Iside e Demetra, e poi tra Iside e l’Argiva Io, l’Autore sembra tracciare un percorso di associazioni geografiche e mitico-cultuali che avrebbero portato la giovenca in Crimea, a partire dal III sec. a.C. dopo le lunghe peregrinazioni note dal mito. Appare condivisibile l’insistenza di Braund sui risvolti politici di questo sincretismo che, non a caso, svolse una funzione legittimante per la regalità degli Spartocidi e, più tardi, dei Tolomei (p.152).

Nel quinto capitolo (pp. 187-255) si tratta, ormai più diffusamente, della dea che aveva, accanto a Parthenos, un ruolo polare nella regione del Mar Nero: Afrodite Urania. L’abbondanza di testimonianze epigrafiche accolta dall’autore come fenomeno peculiare dell’area del Bosforo, appare in contrasto, da un lato, con l’assenza di riferimenti espliciti sulla datazione di tali fonti e, dall’altro lato, con l’esiguità di attestazioni letterarie disponibili, precedenti al I sec. d.C. Privilegiando un’indagine che valorizzi il rapporto tra poleis greche e colonie, l’Autore va alla ricerca delle radici del culto di Urania nelle madrepatrie Mileto e Teo, ma l’assenza di tracce in questi due centri porta a concludere che la dea fosse nota al sostrato pre-greco, già stanziato sul Mar Nero. La scelta di utilizzare una fonte come Strabone (11.2.10), per portare avanti l’indagine sull’Afrodite del Bosforo, sposta l’analisi su un versante etimologico relativo al sito cultuale di Apatouron – di localizzazione altamente incerta – che suggerisce un’associazione onomastica tra il luogo di culto della dea Urania e una delle sue più celebri modalità di intervento: l’apatē. Escludendo una mediazione ellenica nell’installazione del culto, si deve quindi immaginare un’origine scitica del nome di Apatouron, ricondotto poi dai coloni greci ad un significato più familiare, modellato su contesti rituali greci, come le Apaturie ateniesi (p. 234).

La conclusione del volume (pp. 256-278) ripercorre i punti affrontati nei singoli capitoli, per dare coerenza ai contenuti esposti e, come di riflesso, per ricongiungere le sfere di competenza delle due divinità centrali nella trattazione. Il nucleo tematico principale di questo studio, che coincide con il suo merito, è la scelta di porre l’accento sull’impatto unificante che Parthenos e Afrodite Urania ebbero in due aree distinte del Bosforo, svolgendo una funzione agglutinante per comunità eterogenee, stanziate in un territorio dalla morfologia complessa. La regione si configura, così, come un’area che vanta la sua appartenenza alla cultura greca, ma che non se ne appropria mai in modo passivo e disinteressato. Al contrario, l’Autore ci conduce attraverso alcuni dei più importanti processi di risemantizzazione e di autorappresentazione delle comunità che abitarono la regione, valorizzando gli aspetti che lo resero un unicum nel panorama coloniale greco e poi romano.


Resenhista

Giulia Re – Università di Pisa – École Pratique des Hautes Étude. E-mail: giulia.re@phd.unipi.it


Referências desta Resenha

BRAUND, David. Greek Religion and Cult in the Black Sea region. Cambridge: Cambridge University press,  2018. Resenha de: RE, Giulia. Grecorromana. Revista Chilena de Estudios Clásicos. Santiago, v. 2, p. 165- 168, 2020. Acessar publicação original [DR]

Itamar Freitas

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