Die Achse. Berlin-Rom-Tokio 1919-1946 | Daniel Hedinger

L’Asse Berlino-Roma-Tokyo – secondo la denominazione adottata, soprattutto nel mondo anglosassone, per definire l’insieme di accordi che unirono Italia, Germania e Giappone dal Patto anticomintern al Tripartito – appare ancora oggi uno dei costrutti politico-internazionali più controversi dell’età contemporanea. Onnipresente fino al termine della Seconda guerra mondiale tanto nella propaganda dei tre regimi quanto nelle rappresentazioni e nelle considerazioni strategiche dei loro avversari, nonché assunta come capo d’imputazione per “cospirazione contro la pace” nei processi di Norimberga e Tokyo, l’alleanza tripartita scomparve rapidamente dalla memoria pubblica del dopoguerra, oscurata da una percezione nazionale delle singole esperienze autoritarie e da una visione regionalizzata del conflitto mondiale, con la netta distinzione del teatro bellico europeo da quello asiatico-orientale e una gerarchia d’importanza che subordinava il secondo al primo. A partire dagli anni Cinquanta, la storiografia sul Tripartito si è concentrata prevalentemente sugli aspetti diplomatici e sui contatti bilaterali, ponendo al centro la Germania e i suoi rapporti con Italia e Giappone, mentre le relazioni italo-giapponesi erano liquidate come un prodotto secondario dell’avvicinamento italo-tedesco. In questa prospettiva l’Asse parve un’«alleanza senza alleati» 1, debole e «inefficace» 2 perché minata da insanabili contraddizioni interne – dipendessero queste dall’accesa rivalità ideologica tra Roma e Berlino oppure dall’innaturale collaborazione tra il razzismo nazista e un paese asiatico che aveva presentato una proposta di uguaglianza razziale alla Conferenza di pace di Parigi.

Studi successivi hanno approfondito la storia del Tripartito rafforzando questo giudizio. In primo luogo, è emersa l’autonomia della politica asiatica del fascismo alla metà degli anni Trenta e la sua concorrenzialità rispetto a quella nazista3, mentre una prospettiva trilaterale è stata adottata nella ricostruzione di specifici momenti facendo emergere l’intreccio di reciproci sospetti e incomprensioni che caratterizzò i processi decisionali delle potenze dell’Asse4. Al contempo, l’analisi delle ragioni dell’alleanza nippo-tedesca vide il sostanziale rifiuto della categoria di “fascismo giapponese”, e quindi dell’idea di una comune base ideologica, concentrandosi invece sull’appartenenza dei due paesi alla categoria dei latecomer e sulla comune adozione – dovuta, in ultima analisi, all’influenza tedesca sulle riforme dell’età Meiji – di un modello di modernizzazione basato sull’esternalizzazione dei problemi interni e su una politica estera espansionista5 . Nel complesso, l’Asse risultava un’alleanza «priva di sostanza», tenuta assieme più da aspetti negativi che positivi – la contrapposizione ad avversari comuni, ossia il materialismo comunista e quello capitalista, che non riusciva però a tradursi in una strategia condivisa – e caratterizzata da una strutturale incapacità alla collaborazione, da una serrata rivalità interna e da una serie di errori di valutazione attribuiti – con una lettura “culturalista” – a peculiarità del sistema politico e sociale giapponese incomprensibili per la mentalità razionalista europea6 . A questo si aggiungeva l’incompatibilità degli scopi bellici, con Germania e Italia che miravano a rafforzare il dominio europeo sul mondo, mentre il Giappone intendeva contrastare l’egemonia dell’“uomo bianco” in Asia orientale7.

Gli studi comparati sul fascismo – rivitalizzati negli anni Novanta dal dibattito sul cosiddetto fascist minimum – hanno tuttavia gettato le basi per un ripensamento dell’alleanza tripartita e del suo significato. La recente storiografia sui fascismi ha infatti cominciato a indagare le relazioni tra i diversi regimi e movimenti, adottando prospettive che esulano dalla storia diplomatica ed esplorando, ad esempio, la dimensione transnazionale del fascismo8, la politica culturale italotedesca9 e le influenze in ambito coloniale10. Una crescente attenzione è stata rivolta al concetto di “guerra fascista” 11 e al ruolo dei “mediatori” nello sviluppo dei rapporti tra le potenze dell’Asse12, mentre gli ultimi vent’anni hanno visto anche numerosi studi sulle reciproche percezioni e le relazioni politico-culturali tra Germania e Giappone13 – e, in misura minore, tra Italia e Giappone14 – che hanno contribuito a rendere meno scontato il rapporto tra razzismo europeo e panasiatismo nipponico. Il libro di Daniel Hedinger15, Die Achse. Berlin-Rom-Tokio 1919-1946, si inserisce in questi indirizzi di ricerca e, per certi versi, offre una sintesi efficace dei principali risultati prodotti dalla letteratura comparata sui fascismi. L’obiettivo dell’opera è ambizioso: raccontare per la prima volta la storia dell’Asse considerando tutti e tre i protagonisti e confrontandosi in maniera critica con la precedente tradizione di studi sul Tripartito, al fine di rilevare tanto i punti di forza e la portata globale dell’alleanza, quanto l’esistenza di una comune base ideologica che ne orientò lo sviluppo e la progressiva radicalizzazione.

Die Achse prende le mosse dalla Conferenza di pace di Parigi e da quella navale di Washington che, con il trattato di Versailles per la Germania e le “vittorie mutilate” di Italia e Giappone, posero le basi per la convergenza delle rispettive istanze revisioniste. La comunanza d’interessi non era tuttavia una condizione sufficiente per creare l’alleanza, che invece necessitava di un fondamento ideologico capace di sviluppare un progetto condiviso per la creazione di un nuovo ordine. Tale fondamento venne offerto dal fascismo, del quale Hedinger rifiuta di dare una definizione generica, preferendo considerare le affinità e i processi di radicalizzazione come il prodotto di influenze reciproche anziché come percorsi lineari secondo un modello per “stadi del fascismo”. Questa rete di intrecci è ricostruita attraverso otto «momenti globali» della storia dell’Asse – suddivisi in un prologo, sei capitoli e un epilogo – in cui vengono individuate tre fasi: gravitazione (1932-35), collaborazione (1936-39) ed escalation (1940-42).

La prima fase si apre con l’aggressione alla Manciuria e si conclude con l’invasione dell’Etiopia, comprendendo quindi la prima radicalizzazione politica del Giappone, la presa del potere di Hitler e l’“universalizzazione” del fascismo italiano. In questo periodo i rapporti fra i tre paesi erano improntati soprattutto alla rivalità, e ognuno approfittò del caos economico e politico dei primi anni Trenta, nonché delle crisi provocate dai futuri partner, per ottenere successi immediati ma limitati – il Giappone in Manciuria, l’Italia in Etiopia e la Germania in Renania – che contribuirono a isolarli sul piano internazionale e a favorirne la convergenza. Dalla gravitazione si passò dunque alla collaborazione, necessaria per un’ulteriore messa in discussione dell’ordine mondiale che avrebbe inevitabilmente portato a un confronto diretto con le grandi potenze. La collaborazione si tradusse nel Patto anticomintern, nell’Asse Roma-Berlino e nella partecipazione italo-tedesca alla guerra civile spagnola – dove emergono gli stretti legami tra quest’ultima e il conflitto riapertosi nel 1937 in Cina. Due aspetti caratteristici della collaborazione furono il ruolo dei canali diplomatici informali nel preparare il terreno dell’alleanza e l’importanza della “messinscena” propagandistica dell’Asse, che contribuì a farla apparire più solida e minacciosa di quanto fosse effettivamente – un’illusione che aiuta a comprendere l’appeasement franco-britannico alla Conferenza di Monaco. La terza e ultima fase ricostruisce le conseguenze del Patto Hitler-Stalin, la stilizzazione della Blitzkrieg tedesca come autentica “guerra fascista” e la sua influenza sulla politica giapponese, che condusse a un’ulteriore radicalizzazione interna e alla scelta, carica di conseguenze, di espandersi nei mari del sud, mettendo in pratica la “guerra lampo” da Pearl Harbor alla Malesia. Centrale, in questa parte, è l’analisi del Tripartito e della successiva divisione delle aree operative sul 70° parallelo che, anziché provare l’inconciliabilità degli scopi bellici delle potenze dell’Asse, testimonierebbe l’esistenza di una visione condivisa del nuovo ordine postbellico secondo la logica dei grandi spazi continentali. Il libro propone infine una disamina degli sviluppi che portarono al ridimensionamento del significato dell’Asse nel secondo dopoguerra e si conclude con una riflessione sull’attualità del suo studio nell’epoca odierna.

Nel corso dell’opera Hedinger riesce a far emergere con chiarezza la dimensione transimperiale dell’alleanza e i tratti specifici dell’imperialismo fascista, che fu al tempo stesso una radicalizzazione dell’imperialismo tradizionale e un fenomeno caratterizzato da elementi postcoloniali, dove l’espansione era considerata un atto di “decolonizzazione” del proprio paese – dalle forze plutocratiche, dalla “cospirazione ebraica” oppure, per il Giappone, dall’egemonia occidentale. Inoltre Die Achse offre un’immagine convincente delle peculiarità della “diplomazia fascista”, facendo apparire meno casuale e disfunzionale la convergenza tra i tre paesi, e segnala i momenti in cui l’alleanza si dimostrò effettivamente efficace – spesso evidenziando come la sua esistenza condizionasse le scelte degli avversari – senza trascurare le ragioni che condussero al suo fallimento, individuate tanto nella mancanza di coordinazione quanto, soprattutto, nell’incapacità di creare benessere e stabilità nei territori conquistati. Il merito maggiore dell’opera di Hedinger è tuttavia quello di mettere in discussione alcuni luoghi comuni attorno ai fascismi e alla storia dell’Asse, tra cui l’idea di una Sonderweg tedesca – relativizzata dalla stessa ricostruzione delle influenze reciproche –, la spiegazione “culturalista” delle debolezze dell’alleanza e la tesi, diffusa tanto in Italia quanto in Giappone, secondo cui l’adesione al Tripartito sarebbe dipesa dalla paura della Germania e che sia stata quest’ultima a determinare lo scontro con Londra – mentre furono proprio le ambizioni italiane e nipponiche, e soprattutto la politica mediterranea fascista, a imprimere all’Asse il suo carattere anti-britannico.

Meno convincente è invece l’analisi del rapporto tra ideologia razziale e politica estera nazista, in cui Hedinger sostiene che «i nazisti non svilupparono mai i propri programmi di alleanza e di politica estera in base alle convinzioni teorico-razziali; al contrario, fu la politica di alleanze a ripercuotersi su quella razziale»16, con riferimento all’idea del “pericolo giallo”. Indubbiamente il razzismo nazista si dimostrò oltremodo flessibile sul piano internazionale, ma questa interpretazione ha due vizi di fondo: da una parte dà eccessivamente per scontata la pervasività della retorica del “pericolo giallo” nella Germania pre-nazista e, dall’altra, trascura completamente l’atteggiamento tedesco verso la Gran Bretagna e il suo impero – in particolare riguardo alla “questione indiana”, inspiegabilmente omessa nella trattazione, nonostante l’opportunità che avrebbe offerto per rilevare importanti casi di collaborazione tra alleati nonché significative divergenze negli obiettivi bellici. A questo si aggiunge un ulteriore problema. Secondo Hedinger, in una storia globale dell’Asse il Giappone non apparirebbe più come un attore secondario o un mero imitatore – un‘affermazione, quest’ultima, che non pare sufficientemente supportata dalla ricostruzione proposta. L’influenza del Giappone sui fascismi europei è evidente nel 1932, quando offrì un modello di espansione e messa in discussione dell’ordine internazionale. Successivamente le influenze sembrano invece muoversi soprattutto da ovest verso est, con importanti conseguenze in ambito politico, militare e sociale, mentre gli stimoli che giunsero a Roma e Berlino dal Giappone si riducevano a poche suggestioni momentanee, prive di qualsiasi conseguenza pratica se non nel campo della propaganda. In questo senso, Die Achse non riesce a fugare l’impressione che i rapporti trilaterali poggiassero su una sostanziale asimmetria. Un quadro cronologico più ampio avrebbe forse offerto l’opportunità di trarre una valutazione diversa, senza riproporre la logica dei latecomer, giustamente relativizzata da Hedinger, ma indagando il ruolo svolto dall’immagine del Giappone negli ambienti politici dell’estrema destra primo-novecentesca – come nel caso, peraltro accennato nel libro, del nazionalismo di Enrico Corradini – anche al fine di ricostruire le origini di quel mito dell’“invincibilità” giapponese che giunse ad avere una certa influenza su alcuni processi decisionali degli anni Trenta e Quaranta – tra cui la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti nel 1941.

Al di là di questi rilievi l’innegabile valore di Die Achse consiste nel mostrare i limiti di una storia dei fascismi svolta in una prospettiva esclusivamente nazionale che – oltre a riproporre l’autorappresentazione dei fascismi stessi – impedisce di cogliere la dimensione globale di questo fenomeno politico e il significato della sua sfida all’ordine internazionale.


Notas

1 PRESSEISEN, Ernst, Germany and Japan. A Study in Totalitarian Diplomacy 1933-1941, Den Haag, Martinus Nijhoff, 1958, p. 281.

2 SOMMER, Theo, Deutschland und Japan zwischen den Mächten 1935-1940, Tübingen, Mohr, 1962, pp. 1-16, 450.

3 FERRETTI, Valdo, Il Giappone e la politica estera italiana 1935-41, Roma, Giuffrè, 1983.

4 HERDE, Peter, Italien, Deutschland und der Weg in den Krieg im Pazifik 1941, Wiesbaden, Steiner, 1983.

5 MARTIN, Bernd, «Zur Tauglichkeit eines übergreifenden Faschismus-Begriffs. Ein Vergleich zwischen Japan, Italien und Deutschland», in Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 29, 1/1981, pp. 48-73.

6 MARTIN, Bernd, Der Schein des Bündnisses. Deutschland und Japan im Krieg (1940-1945), in KREBS, Gerhard, MARTIN Bernd (herausgegeben von), Formierung und Fall der Achse Berlin-Tokyo, München, Iudicium, 1994, pp. 27-53.

7 KREBS, Gerhard, Von Hitlers Machtübernahme zum Pazifischen Krieg (1933-1941), in KREBS, Gerhard, MARTIN, Bernd (Hg.), Formierung und Fall der Achse Berlin-Tokyo, cit., pp. 11-26.

8 BAUERKÄMPER, Arnd, ROSSOLIŃSKI-LIEBE, Grzegorz (eds.), Fascism without Borders. Transnational Connections and Cooperation between Movements and Regimes in Europe from 1918 to 1945, New York, Berghahn, 2017.

9 MARTIN, Benjamin, The Nazi-Fascist New Order for European Culture, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2016.

10 BERNHARD, Patrick, «Borrowing from Mussolini: Nazi Germany’s Colonial Aspirations in the Shadow of Italian Expansionism», in The Journal of Imperial and Commonwealth History, 41, 4/2013, pp. 617-643.

11 KLINKHAMMER, Lutz, OSTI GUERRAZZI, Amedeo, SCHLEMMER, Thomas (herausgegeben von), Die «Achse» im Krieg. Politik, Ideologie und Kriegführung 1939-1945, Paderborn, Schöningh, 2010.

12 FEHLHABER, Nils, Netzwerke der „Achse Berlin–Rom“. Die Zusammenarbeit faschistischer und nationalsozialistischer Führungseliten 1933–1943, Köln, Böhlau, 2019.

13 MALTARICH, Bill, Samurai and Supermen. National Socialist Views of Japan, Oxford, Peter Lang, 2005; SPANG, Christian, WIPPICH, Rolf-Harald (eds.), Japanese-German Relations 1895-1945. War, Diplomacy and Public Opinion, London, Routledge, 2006; BIEBER, Hans-Joachim, SS und Samurai. Deutsch-japanische Kulturbeziehungen 1933- 1945, München, Iudicium, 2014; LAW, Ricky, Transnational Nazism. Ideology and Culture in German-Japanese Relations 1919-1936, Cambridge, Cambridge University Press, 2019.

14 HOFMANN, Reto, The Fascist Effect. Japan and Italy 1915-1952, Itacha, Cornell University Press, 2015; MONSERRATI, Michele, «Fascist Samurais: The Japanese race in the Italian imaginary during the Second World War and beyond», in Modern Italy, 25, 1/2020, pp. 63-77.

15 Lo storico e nipponista svizzero Daniel Hedinger insegna presso l’Università di Kyoto. Tra i suoi lavori principali si possono ricordare: HEDINGER, Daniel, Im Wettstreit mit dem Westen. Japans Zeitalter der Ausstellungen 1854-1941, Frankfurt am Main, Campus, 2011; ID., «The imperial nexus: The Second World War and the Axis in global perspective», in Journal of Global History, 12, 2/2017, pp. 184-205.

16 HEDINGER, Daniel, Die Achse. Berlin-Rom-Tokio 1919-1946, München, C.H. Beck, 2021, p. 418.


Resenhista

Nicola Bassoni – È Marie Skłodowska-Curie Postdoctoral Fellow presso il Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia con il progetto “YTOPIA – Yamatology of the Axis. Japan as a NaziFascist Utopia of Political Renewal”, in collaborazione con l’Universität Konstanz e la Kyoto Sangyo University. Si occupa di storia dei fascismi, dell’immagine europea del Giappone e di storia della geopolitica. È autore di Haushofer e l’Asse Roma-Berlino (Roma, Viella, 2020). URL: http://www.studistorici.com/progett/autori/#Bassoni


Referências desta Resenha

HEDINGER, Daniel. Die Achse. Berlin-Rom-Tokio 1919-1946. München: C.H. Beck, 2021. Resenha de: BASSONI, Nicola. Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, v.52, n.4, p.248-254, 2022. Acessar publicação original [DR/JF]

Itamar Freitas

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