GRUZINSKI, S. Abbiamo ancora bisogno della storia? Il senso del passato nel mondo globalizzato. Milano: Raffaello Cortina, 2016, p. 11. Resenha de: FAZZI, Patrizia. Novecento.org – Didattica dela storia in rete, n.8, febbraio, 2018.
Serge Gruzinski, invitato da un docente di storia del Lycée Jean Rostand di Roubaix, la sua città natale situata nella Francia settentrionale, è positivamente colpito dallo spettacolo teatrale messo in scena dagli studenti di età compresa tra i quindici e i sedici anni. I materiali utilizzati sono tratti da una sua precedente opera non concepita a tale scopo: L’Aigle et le Dragon, una ricerca specialistica, che si presenta poco fruibile a livello didattico[2]. Tuttavia due vicende storiche, che si sono sviluppate parallelamente all’inizio del Cinquecento: la conquista del Messico da parte degli spagnoli, l’Aquila, e il tentativo di penetrazione dei portoghesi in Cina, il Dragone, sono scelte per allestire lo spettacolo nel teatro di Pierre-de-Roubaix.
Nell’ambito del curricolare corso di storia di seconda in materia di “Nuovi orizzonti geografici e culturali degli europei in epoca moderna”, rielaborando documenti e carte geografiche, gli studenti hanno messo a confronto le colonizzazioni iberiche: due contesti analoghi quanto ad aggressione da parte dei due imperi europei, ma profondamente diversi quanto a protagonisti, contesti ed esiti. La prima impresa è terminata con l’annessione all’Europa di un’area del mondo da cui è nata l’America latina meticcia, la seconda con la sconfitta della potenza europea da parte dell’impermeabile Cina.
Nel corso della realizzazione del progetto, gli studenti sono diventati cinesi o aztechi, portoghesi o spagnoli, hanno inventato dialoghi di incontro e scontro tra gli europei e i loro ospiti, progettato scenografie e costumi che hanno consentito loro di prendere gradualmente dimestichezza con altri universi, con storie, società e tradizioni molto diverse tra loro. Un processo di mondializzazione mobilita sempre una pluralità di attori che infrange la dualistica contrapposizione vinti-vincitori e supera lo schematismo dei discorsi sull’alterità, poiché l’orizzonte globale diversifica le posizioni e i confronti. Sollecitati dal docente, i giovani interpreti hanno risposto a domande chiave per collocare le vicende nello spazio e nel tempo: chi sono i cinesi incontrati dai portoghesi che sbarcano a Canton? Chi sono gli indiani che affrontano i castigliani in America? Ma chi si trovano davanti? Con chi si scontrano cinesi e amerindi?
La drammatizzazione si è rivelata, dunque, un efficace incipit per tematizzare le origini della mondializzazione e ha costituito un vero e proprio esempio di narrazione multiforme per educare gli studenti, in maggioranza stranieri in una città dell’antica provincia delle Fiandre francesi, alla scoperta della “cultura mista” attraverso attività di finzione che hanno messo in sintonia tempi apparentemente estranei gli uni agli altri.
Per dare corpo alla storia nel presente, lo storico francese riconsidera le sovrapposizioni e le contaminazioni nate agli albori dell’età moderna, in una dialettica conflittuale dalle molteplici sfaccettature. Da una parte, si pone in veste critica nei confronti di quelle abitudini accademiche che considera alla base della parcellizzazione delle discipline storiche in settori a compartimenti stagni indeboliti e poco dialoganti, che coinvolgono cerchie di specialisti destinate ad assottigliarsi a mano a mano che ci si allontana dai mondi contemporanei. Dall’altra, nel superare l’eurocentrismo, la prospettiva prevalente per comprendere le storie del passato, non risparmia critiche nei confronti degli studi postcoloniali, poiché il ruolo storico dell’Europa ha costituito quel denominatore comune imprescindibile, seppur controverso e circoscritto nel tempo, per meglio comprendere il mondo globalizzato. Ma come recuperare parti consistenti del passato e opporsi a quell’appiattimento sul presente, esito inevitabile della globalizzazione? Come fare dialogare i passati del nostro pianeta con i suoi presenti sempre più multiculturali e multietnici?
La strada maestra, per rispondere a questi interrogativi, consiste nella ricerca di storie parallele in grado di coniugare “locale e globale”, nell’individuare parentele inaspettate, insolite e singolari. Si può procedere con la ricostruzione di analogie e differenze attraverso fonti poco frequentate o ricorrendo alle molteplici culture della contemporaneità: dalla musica all’arte, dal cinema al teatro, di cui l’autore fornisce una vasta quanto dettagliata disamina. Mettendo in guardia su quelle produzioni dell’industria di intrattenimento, che raramente propongono innovative chiavi di lettura di un mondo globalizzato e cancellano le specificità locali, lo storico si sofferma sui numerosi presenti e sui frammenti accumulatisi nel tempo. Si spazia dai venditori di strada di dvd “piratati” di film asiatici venduti sulle rive del fiume Tapajós a Santarém, seconda città dello Stato di Pará, ai viaggi di scoperta dell’ammiraglio cinese Zheng He, che nel XV secolo tentò di “connettere il mondo”, dai film di Zhang Yimou ai documentari di Aleksandr Sokurov, dalle opere fotografiche dell’artista Kader Attia, che “afferra il presente” dalle antiche rovine di Tazoult, alle opere del brasiliano Carlo Gomes, rappresentate con successo sia a Città del Messico sia nei teatri italiani.
Si tratta in prevalenza di strumenti di comunicazione che possono diffondere buone pratiche, se il docente è in grado di riconoscere il passato “riciclato”, che propone raramente chiavi interpretative, e collega la fascinazione delle immagini del passato alla corretta riflessione storiografica.
L’attento lavoro ruota intorno all’ibridazione e al “meticciato”, che costituiscono l’ambito dentro il quale l’autore colloca la specificità dei fenomeni coloniali intesi come processi di scambio, seppur diseguale, di dominio e sopraffazione ma anche di contaminazioni reciproche, che determinano quelle stratificazioni culturali e mescolanza di componenti tali da mettere in discussione ogni forma di idealizzazione o purezza nativista. Nell’agile volume non troviamo dunque movimenti unidirezionali che dall’Europa o dall’Occidente giungono alle periferie del mondo, ma traiettorie più complesse e meno evidenti che si diramano da centri diversi, anche molto distanti tra loro; si reinquadrano storie locali, che costituiscono quell’eredità con cui lo storico è chiamato a confrontarsi, pur nella consapevolezza che una loro ricalibratura non è un’operazione storiografica sufficiente a configurare lato sensu una “storia globale”.
Nell’intento di definire una nuova storia da insegnare nel XXI secolo, si seguono trame narrative nate dalla connessione di diversi punti di vista locali che si confrontano con la pluralità delle realtà globali in una prospettiva di lungo periodo che invita a ricontestualizzare i passati dei popoli che abitano il pianeta.
Abbiamo dunque ancora bisogno della storia, secondo Serge Gruzinski, ma di una storia in grado di riconnettere realtà globali e di travalicare quei confini nazionali che troppo spesso la storiografia non ha osato oltrepassare. Le connessioni e i nuovi piani di comparazione storica devono mettere in relazione fatti e problemi, ma da angolature plurime, non a partire da un unico modello eurocentrico come termine di confronto obbligato da cui ricavare permanenze e cambiamenti. È necessario ridimensionare l’eurocentrismo, senza tuttavia limitarsi a una inversione di prospettiva da cui inquadrare la “visione dei vinti”, poiché lo schematismo binario è di fatto riduttivo.
«La globalizzazione, la rivoluzione digitale, lo sgretolarsi della supremazia dell’Occidente, il risveglio dei mondi islamici, il ritorno della Cina, l’affermazione dei nuovi paesi emergenti stanno modificando in modo irreversibile i nostri orizzonti. Senza dimenticare, in contesti a noi più vicini, i processi di ricomposizione delle popolazioni europee, palpabili tanto nelle campagne del Nord Italia e nelle città olandesi quanto nei quartieri fino a qualche tempo fa proletari di Roubaix-Tourcoing[3]».
L’Europa è parte del mondo e si comprende solo tenendo conto del mondo, ricostruendone la complessità e riconoscendo quelle connessioni che delineano la fitta trama tra le diverse parti che lo compongono, seguendo una cronologia che non può essere unica, poiché la sovrapposizione dei tempi crea inevitabilmente discordanze e anacronismi. E la pluralità dei tempi è tanto orizzontale quanto verticale: tempi estranei gli uni agli altri si materializzano, entrano in sintonia e mostrano sul piano locale il corso della globalizzazione.
Note
[2] Gruzinski S., L’Aigle et le Dragon. Démesure européenne et mondialisation au XVIe siècle, Fayard, Paris 2012.
[3] Cfr. Gruzinski S., Abbiamo ancora bisogno della storia?, op. cit., p. 7.
Patrizia Fazzi
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