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#ODIO. Manuale di resistenza alla violenza delle parole | Federico Faloppa (R)
Federico Falopa | Foto: Piano P |
Il tema dei discorsi d’odio ha oramai una consolidata tradizione di studi, in particolare in campo sociale e giuridico [1]. Quel che appare realmente nuovo nel panorama degli hate speech è la pervasività e la rapidissima diffusione di questi stessi per effetto della diffusione che viene oggi consentita ai messaggi d’odio dai social network. È in questo contesto che si inserisce il libro del linguista Federico Faloppa [2], professore di Italian Studies and Linguistics all’Università di Reading, dedicato proprio al tema dei discorsi d’odio e alla loro proliferazione sul web. L’autore ci offre una prima, parziale, risposta agli interrogativi “Perché questo è avvenuto e perché si è verificato in questi termini”:
Usiamo in modo interconnesso i social media come strumento di supporto alle nostre reti sociali, di espressione della nostra identità e di analisi dell’identità altrui. Nel giro di pochi anni è decisamente cambiato il nostro approccio al mezzo, il senso della nostra comunicazione, il modo in cui produciamo i nostri messaggi. E questo – va da sé – vale anche per i messaggi che veicolano odio[3].
Il manuale, come viene definito il volume dall’autore nel sottotitolo, è diviso in cinque sezioni. La prima di esse (capp. 1 e 2) è dedicata a cercare di tratteggiare il significato di hate speech: una definizione che, sottolinea Faloppa, rimane problematica. Quella fornita dal Consiglio d’Europa può tuttavia costituire una base di partenza:
l’istigazione, la promozione o l’incitamento alla denigrazione all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo, e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione, fondata su una serie di motivi, quali la “razza”, il colore, la lingua, la religione o le convinzioni, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza, l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e ogni altra caratteristica o situazione personale [4].
Per un ulteriore schema interpretativo utile a classificare i discorsi d’odio, Faloppa ci invita a guardare alla Pyramid of Hatred proposta dalla Anti-Defamation League e dallo Shoah Foundation Institute della California all’inizio del XXI secolo: in questa rappresentazione l’espressione di sentimenti negativi può giungere sino, al vertice della piramide, alla volontà di sterminio deliberata e sistematica, ultimo stadio prima della traduzione in realtà e pratiche concrete dell’hate speech. Dal punto di vista storico il secondo capitolo, “Genealogie”, ci aiuta a comprendere come ci troviamo di fronte a un fenomeno di lungo periodo: se è nella seconda metà dell’Ottocento che prende avvio lo studio sistematico delle espressioni offensive e discriminanti nei confronti di altri popoli, è di un secolo più tardi l’istituzione di strumenti volti a limitare il razzismo linguistico.
La seconda sezione (capp. 3 e 4) si sofferma invece sul quadro normativo e offre al lettore una vista d’insieme. Uno dei meriti principali del volume è infatti quello di analizzare in prospettiva comparata la situazione di diversi paesi, argomentando le ragioni per cui i legislatori hanno preferito muoversi in un senso estremamente permissivo – ad esempio, negli Stati Uniti, dove questo atteggiamento ha originato un vasto dibattito [5] – o ponendo maggiori limiti, come è avvenuto in Europa [6]. Si ha così l’opportunità di contestualizzare la situazione italiana confrontandola, ad esempio, con quella britannica, tedesca o francese. Quel che emerge è una pluralità di risposte, in cui molto spesso il risultato finale in termini normativi è frutto di una mediazione fra l’esigenza di intervenire e la tradizione culturale del singolo paesi in termini di libertà di espressione. L’equilibrio è sempre sottile perché, almeno nel caso italiano: «Quando […] l’espressione è discriminante, insultante, diffamante o quando sfocia in un’azione delittuosa può – deve – conoscere restrizioni, previste dalla legge» [7].
La terza sezione (capp. 5, 6 e 7) “Hate speech 2.0” ritorna sulla questione degli interventi normativi nel campo del discorso d’odio, in particolare sul web. È qui che troviamo il nucleo dell’analisi di Faloppa. Per comprendere il fenomeno l’autore si sofferma su due caratteristiche: da una parte la “virtualità” dell’hate speech, dall’altra la sua viralità. La mancanza di un rapporto diretto fra chi offende e chi viene offeso impedisce di prendere atto degli effetti innescati dall’espressione di odio: un meccanismo che genera un processo di progressiva deresponsabilizzazione. Deresponsabilizzazione che è anche alla base dell’atteggiamento di una parte della politica, che cavalca le espressioni d’odio per costruire il suo consenso e assicurarsi un tornaconto elettorale, come Faloppa evidenzia a più riprese [8]. Inoltre la viralità del messaggio – e la sua permanenza – creano effetti perniciosi, in grado di dar luogo a effetti duraturi e difficilmente reversibili perché replicabili e moltiplicabili quasi all’infinito, in un effetto “camera dell’eco”. L’odio, inoltre, sottolinea Faloppa, si dissemina in forma individuale e con maggior facilità, quasi per effetto di un riflesso condizionato, secondo la logica del re-post.
La quarta sezione (capp. 8, 9) è quella in cui emerge la forza dell’analisi di Faloppa, che tratteggia un’analisi quantitativa, ma soprattutto qualitativa del discorso d’odio sul web in Italia. Lo sguardo viene così spostato anche sui sotterfugi impiegati per veicolare messaggi d’odio: i grafismi, l’utilizzo di scritte apparentemente non offensive o persino l’impiego di alcuni font. Un tema che rappresenta un filone assai prolifico, come dimostrano recenti analisi, ad esempio, sui meme [9].
Gli ultimi capitoli del manuale (10, 11 e 12) sono invece dedicati al contrasto degli hate speech, alle strategie da impiegare. Faloppa, da linguista, osserva come sarebbe necessario guardare.
[…] proprio alle modalità – che passano attraverso il linguaggio e la sua dimensione pragmatica – si dovrebbe forse guardare con più attenzione. Non tanto lo studio dei possibili profili quanto l’analisi dei comportamenti e delle modalità in cui i messaggi d’odio vengono prodotti e diffusi mi sembra infatti offrire un approccio più funzionale e aderente alla realtà […] [10]
L’autore suggerisce di distinguere fra troll e odiatori seriali, odiatori occasionali e semplici follower: discriminare il profilo di chi sta esprimendo un sentimento negativo è utile perché sulle ultime categorie di haters è possibile agire, sostiene Faloppa, nell’intento di interrompere la spirale dell’odio.
Una considerazione non dissimile da quella sviluppata da Littler e Kondor riguardo all’islamofobia.
We also highlight the role that can be played by civil society organisations, in particular identifying the potential for social and economic pressure to be exerted against mainstream media forums promoting islamophobia, and for micro-targeting to be employed on social media to reach and challenge those who are most at risk of engaging in Islamophobic hate crime [11].
Il volume – come specifica l’autore – è largamente ispirato dalla riflessione collettiva sorta intorno al Tavolo per il contrasto ai discorsi d’odio: si può in qualche modo considerare come un manuale engagé, come dimostra proprio la quinta parte, più espressamente dedicata alle strategie da mettere in campo per contrastare i discorsi d’odio. Una parte dell’analisi che viene sviluppata è però un utile strumento anche per gli storici. Di fronte al fenomeno dell’hate speech diventa essenziale dotarsi degli strumenti cognitivi e interpretativi giusti per potersi orientare: se da una parte il tema del quantitativo si innesta su quello di lungo periodo dei discorsi d’odio [12], dall’altra per ogni studioso di scienze sociali diviene una necessità confrontarsi e gestire grandi quantità di dati [13].
Faloppa rimarca infine la labilità del confine fra discorso e crimine d’odio:
Spesso si sente dire – da chi vuole minimizzarne la portata – che il discorso d’odio è molto diverso dal crimine d’odio per il fatto che in un caso si tratta solo di parole (‘ma che cosa vuoi che sia’, ‘stavo scherzando’, ‘e che sarà mai, sono solo parole’), nell’altro di un atto di discriminazione vera e propria, o di un’aggressione fisica, che sarebbe cosa ben più grave al punto da condurre alla probabile istruttoria di un procedimento penale. Ma la differenza tra hate speech e hate crime, come sappiamo, è prevalentemente giuridica. […] Non si tratta tanto di ribadire – con John L. Austin e la sua «teoria degli atti linguistici» – che con le parole non solo si dice, ma si fa qualcosa. Si tratta piuttosto di considerare quale peso abbia l’hate speech tanto a livello individuale quanto a livello collettivo, colpendo indirettamente tutto il gruppo di cui fa o potrebbe far parte la persona aggredita. Si tratta di capire quali sono le sue conseguenze reali: nel breve, medio e lungo periodo [14].
Gestire questa mole di informazioni e saper individuare le linee di faglia su cui si muovono i sentimenti – grazie ai social media – è un’opportunità che si offre agli storici di oggi: sarà fondamentale, negli anni a venire costruire competenze e metodologie in grado di riuscire a raffinare l’indagine sociale. In questo senso libri come #Odio potranno rivelarsi non solo manuali per la resistenza, ma anche per la costruzione di una consapevolezza condivisa.
Notas
1. Cfr., tra gli altri: MATSUDA, Mari et al. (eds.), Words That Wound: Critical Race Theory, Assaultive Speech, and the First Amendment, Boulder (CO), Westview Press, 1993; HERZ, Michael, MOLNAR, Peter (eds.), The Content and Context of Hate Speech. Rethinking Regulation and Responses, New York, Cambridge University Press, 2012. In ambito storico gli studi si sono sinora concentrati sul tema del negazionismo, intimamente legato al tema del discorso d’odio.
2. Tra le pubblicazioni dell’autore sul tema del razzismo e dei discorsi d’odio: FALOPPA, Federico, : f mu z n d “d v ”, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2000; ID., Parole contro: la rappresentazione d “d v ” n ngu n n d , Milano, Garzanti, 2004; ID., Razzisti a parole (per tacer dei fatti), Roma-Bari, Laterza, 2011; ID., n un : ng n d un n , Roma, Aracne, 2013.
3. [libro digitale: epub] FALOPPA, Federico, #ODIO. Manuale di resistenza alla violenza delle parole, Torino, UTET, 2020, cap. 6 “Tutta colpa della rete?”, par. “Odio onlife”.
4. Ibidem, cap. 1 “Definire il discorso d’odio”, par. “Una definizione di partenza”.
5. Cfr. fra gli altri: DELGADO, Richard, STEFANCIC, Jean, Must We Defend Nazis? Why The First Amendment Should Not Protect Hate Speech And White Supremacy, New York, New York University Press, 2018.
6. Si veda ad esempio la vicenda di Geert Wilders: HOWARD, Erica, Freedom of Expression and Religious Hate Speech in Europe, London – New York, Routledge, 2018, pp. 138-165.
7. [libro digitale: epub] FALOPPA, Federico, #ODIO, cit., cap. 4 “Il caso italiano”, par. “Alcune certezze e molti dubbi”.
8. Cfr. Le analisi sui tweet e i post di Matteo Salvini: ibidem, cap. 9 “Oltre il lessico”, par. “Noi, loro”.
9. TUTEN, Marc, HAGEN, Sal, «(((They))) rule: Memetic antagonism and nebulous othering on 4chan», in new media & society, 22, 12/2020, pp. 2218-2237.
10. [libro digitale: epub] FALOPPA, Federico, #ODIO, cit., cap. 11 “L’incognita delle emozioni”, par. “Haters and Co.”.
11. LITTLER, Mark, KONDOR, Kathy, Terrorism, h h nd ‘ umu v x m m’ n F k: udy, in ZEMPI, Irene, AWAN, Imran (eds.), The Routledge International Handbook of Islamophobia, London – New York, Routledge, 2019, pp. 374-384, p. 382.
12. Cfr. ad esempio: FINKELSTEIN, Joel, ZANNETTOU, Savvas, BRADLYN, Barry, BLACKBURN, Jeremy, «A Quantitative Approach to Understanding Online Antisemitism», in Arxiv.org, 5 settembre 2018, URL: < arXiv:1809.01644v1 > [consultato il 27 febbraio 2021].
13. SALGANIK, Matthew J., Bit by bit. L n ’ d g , Bologna, Il Mulino, 2020.
14. [libro digitale: epub] FALOPPA, Federico, #ODIO, cit., cap. 12 “Il bisogno di reagire”, par. “Dalla parte delle vittime”.
Jacopo Bassi ha conseguito la Laurea Triennale in «Storia del mondo contemporaneo» presso l’Università di Bologna sostenendo una tesi in Storia e istituzioni della Chiesa ortodossa dal titolo Tra Costantinopoli e Atene: Il passaggio delle d d ’E ’ mm n z n d Ch d G ‘P x ’ d 1928; presso lo stesso ateneo, nel 2008, ha discusso la tesi specialistica in Storia della Chiesa dal titolo Epiro crocifisso o liberato? La Chiesa ortodossa in Epiro e in Albania meridionale nel XX secolo (1912-1967). Attualmente collabora con le case editrici Il Mulino e Zanichelli. URL: < http://www.studistorici.com/progett/autori/#Bassi >
FALOPPA, Federico FALOPPA. #ODIO. Manuale di resistenza alla violenza delle parole. Torino: UTET, 2020, 291p. Resenha de: BASSI, Jacopo. Diacronie – Studi di Storia Contemporanea, n.45, v.1, mar. 2021. Acessar publicação original [IF].