Posts com a Tag ‘Laterza (E)’
La liberazione di Roma. Alleati e Resistenza | Gabriele Ranzato
Nel 1997, all’ingresso del ponte dell’industria, che collega i quartieri Ostiense e Marconi, il comune di Roma fece erigere una lapide in bronzo con l’iscrizione: «In ricordo delle dieci donne uccise dai nazifascisti il 7 aprile 1944». Questa lapide commemora il cosiddetto eccidio del ponte dell’industria, che è stato menzionato per la prima volta in un saggio di Cesare De Simone nel 1994 1. Secondo la sua ricostruzione SS e militari della Guardia Nazionale Repubblicana fucilarono sul ponte dieci donne che avevano assaltato un forno vicino. Lo storico Gabriele Ranzato nel suo recente libro La liberazione di Roma ha però messo in dubbio la veridicità dell’episodio2. Mentre la lapide c’è ancora oggi, i curatori dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, in seguito alla pubblicazione del volume di Ranzato, hanno inserito l’eccidio nella sezione «Episodi dubbi o controversi» 3. Leia Mais
La pianta del mondo | Stefano Mancuso
Immaginiamo una ipotetica istituzione rappresentativa composta da 500 membri, ciascuno impegnato a rappresentare il proprio regno di appartenenza. Animali, vegetali, funghi e altri microrganismi riuniti per decidere le sorti del pianeta Terra. Quali fra loro avrà più voce in capitolo? Contrariamente a quanto accade nella realtà, in un organo come quello appena descritto le piante avrebbero a disposizione una rappresentanza di 425 membri (85%), seguita da 2 seggi per gli animali (0,3%), e la restante parte spetterebbe ai funghi e ai vari microrganismi. Con questa analogia, nel suo ultimo libro Stefano Mancuso vuole rendere evidente agli occhi del grande pubblico quanto gli esseri umani abbiano marginalizzato la vita e le attività delle principali abitanti del globo terracqueo1 . Neurobiologo vegetale nonché scienziato e divulgatore di fama mondiale, Mancuso racconta di provare un certo imbarazzo quando risponde alla domanda dei colleghi sul suo lavoro: Leia Mais
Il buon tedesco | Carlo Greppi
La storia non è tutta in bianco o in nero, ma è fatta di sfumature. E sono proprio queste sfumature ad interessare il lavoro degli storici. Il capitano della marina tedesca Rudolf Jacobs è stato una di queste sfumature; un uomo che ha deciso di prendere una posizione marcata e disertare il suo esercito per unirsi alla resistenza. Perché lo ha fatto? In questo libro Carlo Greppi svolge su di lui un’approfondita ricerca sfruttando al massimo i documenti, a volte solo brani, pezzi, brandelli, per narrare una parte della Storia poco conosciuta, magari non fatta pervenire a noi volutamente: quella di militari tedeschi e austriaci che hanno disertato il loro esercito per unirsi al partigianato. È un lavoro di pregio che racconta una storia, ma che svela anche, in modo sciolto e disinvolto, la metodologia di ricerca storica che ne è alla base. È un libro che invita alla riflessione sugli eventi, sulle scelte e, in definitiva, sulla natura stessa dell’uomo, posto a compiere scelte ardue in alcuni momenti cruciali della storia.
La svolta culturale. Come è cambiata la pratica storiografica | Carlotta Sorba e Federico Mazzini
Il sapere storico è stato a lungo concepito come un sapere unicamente empirico e artigianale, basato su rigorose ricerche documentarie volte a ricostruire il passato nella maniera più accurata e oggettiva possibile. Eppure, tale concretezza della pratica storiografica ha sempre dialogato, più o meno consapevolmente, con un quadro teorico e filosofico di riferimento, atto a indagare e comprendere il reale tramite riflessioni e interpretazioni soggettive, ma non per questo inattendibili. La storia senza teorizzazione, infatti, non può sussistere e le narrazioni del passato non possono prescindere da congetture e ipotesi circa le relazioni tra i fatti e il significato che essi assumono agli occhi di chi li studia. Tale è l’assunto di partenza del volume in esame, scritto a quattro mani da Carlotta Sorba e Federico Mazzini, docenti rispettivamente di Storia e teoria culturale e di Digital History e Storia dei media e della comunicazione presso l’Università degli Studi di Padova. Leia Mais
Mussolini contro Lenin | Emilio Gentile
Emilio Gentile | Imagem: Accenti, 2019
Em agosto de 2017, após um confronto entre neonazistas e antifascistas em Charlottesville, nos EUA, espalhou-se nas redes sociais uma ideia que, anos atrás, talvez só tivesse adeptos entre os cultores de teorias da conspiração e de modernas lendas urbanas: a de que o nazismo teria origem num movimento de esquerda ou seria ele mesmo um movimento de esquerda. O site de notícias UOL publicou, na ocasião, uma reportagem desmentindo essas afirmações. Historiadores foram consultados2, e os argumentos disparatados dos defensores dessa ideia exótica foram refutados pelo site (UOL, 2017).
Um ano mais tarde, em setembro de 2018, a embaixada da Alemanha em Brasília e seu Consulado Geral no Recife publicaram um vídeo em que se explicava como a história é ensinada às crianças alemãs. No material produzido afirmava-se que o nazismo era um movimento de direita. Foi o que bastou para que um grupo de brasileiros tentasse “corrigir” os alemães através de uma enxurrada de críticas: afirmavam que o nacional-socialismo era de esquerda e que o Holocausto não havia acontecido. Damaris Jenner, encarregada dos assuntos de imprensa da embaixada, explicou ao jornal El País que a ideia de falar sobre como se ensina a história na Alemanha surgiu precisamente nos dias em que aconteceram as manifestações neonazistas em Chemnitz (Rossi e Oliveira, 2018). Mas a reação dos internautas os surpreendeu. Leia Mais
Storia della famiglia in Europa – BARBAGLI; KERTZER (BC)
BARBAGLI, Marzio; KERTZER, David I. (a cura di). Storia della famiglia in Europa. Roma: Il Novecento; Bari: Laterza, 2005. Resenha de: RABUITI, Saura. Il Bollettino di Clio, n.13, p.127-130, lug., 2020.
Questo volume sul Novecento, è l’ultimo dei tre volumi della Storia della famiglia in Europa, la fortunata opera curata da Marzio Barbagli e David I. Kertzer. Nel 2002 e nel 2003 erano usciti i due precedenti volumi: Dal Cinquecento alla Rivoluzione francese e Il lungo Ottocento.
Ogni volume è aperto da una corposa introduzione dei curatori e raccoglie dieci saggi, articolati in quattro sezioni (economia e organizzazione della famiglia; lo Stato, la religione, il diritto e la famiglia; forze demografiche; relazioni familiari) che individuano gli ambiti considerati dalla ricerca, da quelli economici a quelli demografici, culturali, giuridici e sociali.
In questo terzo volume sul Novecento è particolarmente approfondita l’analisi delle politiche familiari, sia nei regimi dittatoria li (Le politiche sulla famiglia dei grandi dittatori di Paul Ginsborg e Famiglie socialiste? di Alain Blum) che democratici (Politiche sociali e famiglie di Chiara Saraceno) che in tempo di guerra (La famiglia in Europa e le due guerre mondiali di Jay Winter). Forte è anche l’attenzione al ruolo delle donne in rapporto all’economia, al lavoro, alle politic he governative e ai legami intergenerazio na li (Trasformazione economica, lavoro delle donne e vita familiare di Angélique Janssens; I legami di parentela nella famiglia europea di Martine Segalen).
Il volume si chiude fotografando il passaggio, soprattutto nell’ultima parte del secolo, dalla famiglia alle famiglie, alla varietà delle forme di famiglia (La famiglia contemporanea: riproduzione sociale e realizzazione dell’individuo di François de Singly e Vincenzo Cicchelli; Angéliq ue Janssens; I legami di parentela nella famiglia europea di Martine Segalen).
Nel suo complesso l’opera indaga le trasformazioni della famiglia nel lungo arco temporale di cinquecento anni e nel vasto spazio di tutta l’Europa, “intesa come continente di circa 10 milioni di chilometri quadrati, delimitato a ovest dall’oceano Atlantico, a est dalla dorsale degli Urali e dal fiume Ural, a nord dal mare Artico e a sud dal mare Mediterraneo, il mar Nero e il mar Caspio. Un continente che all’inizio del Cinquecento aveva circa 81 milioni di abitanti e oggi ne ha 730 milioni” (p. V) L’intento dichiarato dai curatori non è solo quello di esaminare in una prospettiva comparata “i modi in cui le famiglie si formano, si trasformano, si dividono, la frequenza dei matrimoni e l’età a cui li si celebra, le regole di residenza dopo le nozze, le relazioni fra mariti e mogli, genitori e figli, la fecondità, la frequenza delle separazioni legali e dei divorzi.” È anche quello di cercare i nessi tra i cambiamenti nella sfera domestica e le trasformazioni economiche, sociali, politiche e soprattutto di arrivare a individuare “se, e in che misura, le società europee siano diventate più simili o più dissimili riguardo alle caratteristiche della vita domestica” (pp. V-VI) nell’arco dei cinque secoli considerati.
A questo interrogativo i curatori offrono una risposta conclusiva nelle quaranta pagine dell’Introduzione ai saggi che compongono questo terzo volume, là dove individ uano processi di convergenza e di divergenza fra le società europee. A conclusione del percorso di ricerca e in estrema sintesi, Barbagli e Kertzer ritengono infatti di poter affermare che “nei primi tre secoli [considerati] siano prevalse le tendenze alla divergenza” (p. 32), ovvero che siano cresciute, alla fine del Settecento, le differenze tra i vari paesi e regioni d’Europa (volume 1); che nell’Ottocento invece si siano registrate tendenze sia divergenti che convergenti e che siano continuate ad esistere, fra le diverse aree, differenze enormi (volume 2); che Il Novecento sia da considerarsi infine “il secolo della convergenza”, un secolo che ha visto “il mondo domestico dei vari paesi europei sempre più simile” (p. 38) Forti convergenze fra i paesi europei si sono avute per tutto il Novecento per quel che riguarda le strutture degli aggregati familiari.
Da questo punto di vista infatti nel corso del secolo si è affermata la famiglia nucleare e coniugale: è diminuito ovunque e continuativamente il numero medio di persone per famiglia e il numero di persone che dopo le nozze andava ad abitare con i genitori del marito o con parenti ed è cresciuto ovunque, soprattutto nella seconda metà del secolo, il numero di quelle che vivono sole, in conseguenza del più alto livello sia del reddito che della speranza di vita.
Ancora più forte, seppur assai discontinua, è stata poi la convergenza sul declino della fecondità, un processo che ha investito, con forti oscillazioni nei periodi bellici e postbellici, la popolazione europea di tutti gli strati sociali e fedi religiose, sia delle città che delle campagne. Altrettanto forte e discontinua è stata la tendenza all’aumento delle separazioni legali e dei divorzi, che nel corso del Novecento sono diventati un fenomeno di massa, mentre nei secoli precedenti avevano riguardato un numero molto limitato di coppie.
Meno netta e ancor meno lineare è stata la convergenza su altri aspetti quali ad esempio la nuzialità (rispetto alla quale l’Europa occidentale si differenzia ancora da quella orientale) o il divorzio o la convivenza more uxorio. In questo caso è l’Europa nord occidentale che si differenzia da quella mediterranea (vedi il saggio Una transizione prolungata: aspetti demografici della famiglia europea di Theo Engelen).
Nel corso del secolo, le somiglianze sono cresciute anche per quel che riguarda la divisione del lavoro e la distribuzione del potere all’interno delle famiglie (fra mariti e mogli, genitori e figli), il diritto di famiglia, le norme sul matrimonio, i rapporti patrimonia li fra i coniugi, le successioni, il divorzio, lo stato dei figli un tempo “illegittimi”.
La riduzione (e non certo l’azzeramento ) delle differenze tra aree geografiche e sociali dell’Europa non è il risultato di un processo lineare. Solo alcune delle trasformazioni che sottendono le convergenze sono state continue e lineari (ad esempio la semplificazione delle strutture familiari). Altre invece (come ad esempio il declino della fecondità) hanno oscillato fra accelerazioni, rallentamenti e anche inversioni di tendenza.
Le profonde trasformazioni della vita familiare che il Novecento ha conosciuto sono state a volte precedute mentre altre volte hanno fatto seguito a cambiamenti del diritto che (vedi Il diritto di famiglia in Europa di Paola Ronfani), all’inizio del secolo, in tutti i paesi, attribuiva in ambito domestico particolari poteri al marito (capofamiglia, con potestà maritale e patria potestà, col diritto di controllare e gestire il patrimonio familia re …). Queste trasformazioni hanno intaccato ma non eliminato diseguaglianze di genere e si sono accompagnate e intrecciate con due tendenze di convergenza generalizzabili in tutta Europa: l’aumento delle donne occupate in attività extradomestica retribuita e l’invecchiamento della popolazione.
Infine va ricordato che la riduzione delle differenze fra aree geografiche e sociali non ha riguardato tutti i molteplici aspetti del mondo familiare, neppure tutti quelli indagati nei saggi che compongono il terzo volume. La fine del secolo registra insomma ancora importanti differenze nella vita familiare dei vari paesi, alcune di antichissima origine altre più recenti.
Per quel che riguarda le prime, basti ricordare ad esempio che risalgono alla seconda metà del Cinquecento i diversi atteggiamenti, basati sul credo religioso, rispetto al divorzio, ancora meno frequente nei paesi mediterranei. (Alla fine del ‘900, il numero dei divorzi/separazio ni legali andava da 10 a 20 su ogni 100 matrimo ni in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo mentre era superiore a 40 in molti paesi dell’Europa settentrionale e orientale).
Fra le differenze di origine più recente, basti ricordare ad esempio quelle riconducibili alle nettamente diverse politiche sociali e familiari perseguite dai paesi nord occidentali e da quelli del Mediterraneo. Italia, Spagna, Grecia, Portogallo poco sostengono il costo dei figli o la cura degli anziani e poco aiutano a concilia re lavoro e famiglia, scaricando i compiti di cura e di riproduzione sociale quasi esclusivamente sulla famiglia o per essere più precisi sul lavoro domestico non pagato delle donne. Non a caso, alla fine del secolo, la quota di donne con un lavoro retribuito era nei paesi mediterranei assai più bassa che nei paesi nord occidentali.
Dalla pubblicazione del volume sul Novecento sono trascorsi quindici anni, durante i quali la ricerca sulla famiglia ha continuato a rinnovarsi. I meriti dell’inte ra opera comunque rimangono tutti e stanno innanzitutto nella ricca e chiara sintesi che offre sul tema, in una prospettiva comparata, su un lungo arco temporale e un vasto spazio territoriale. Stanno anche nell’ approccio multidisciplinare che ha visto all’opera studiosi di storia, sociologia, antropologia, demografia, economia, diritto, ambiti tutti necessari per delineare il complesso e variegato quadro delle famiglie, oggi come ieri. Stanno infine – e penso ovviamente ad un suo possibile utilizzo a scuola- nel mostrare il ‘900 non solo come il secolo delle guerre mondiali, delle crisi economiche, delle dittature, dei totalitarismi, dei genocidi, ma anche come il secolo dei diritti civili e sociali, dell’avvento dello Stato di welfare, delle profonde trasformazioni della vita familia re che hanno modificato in particolare la condizione delle donne, i loro diritti e quelli del lavoro.
Saura Rabuiti
[IF]L’età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017 – DETTI; GOZZINI (BC)
DETTI, T.; GOZZINI, G. L’età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017. Bari-Roma: Laterza, 2018. 210p. Resenha de: PERILLO, Ernesto. Il Bollettino di Clio, n.11/12, p.190-192, giu./nov., 2019.
Cinque anni nel cuore del Novecento trasformano il XX secolo: dal 1968 al 1973 si manifestano o accelerano in modo significativo mutamenti strutturali che, spesso in modo graduale e in parte inavvertito, danno forma al mondo attuale. Questa è la tesi dei due autori: in quegli anni si sono poste le radici di uno stravolgimento economico, sociale e culturale che ha generato un grande disordine planetario, vissuto spesso con ansia e paura; una congiuntura che richiede l’elaborazione di coordinate orientative, al fine di affrontare le sfide globali che ci sovrastano: migrazioni, disuguaglianze, clima, finanza, povertà.
Lo shock petrolifero del ’73 pone per la prima volta in modo drammatico l’Occcidente di fronte al problema delle fonti di energia; il ciclo economico innescato determina un lungo periodo di stagnazione e di inflazione, accelerando processi ancora in atto. La globalizzazione acutizza fenomeni capaci di trasformare radicalmente gli equilibri mondiali. È l’”incubo dei nostri tempi”? Forse sì, se pensiamo alla finanza, quella “bolla di carta” sempre più svincolata e distante dalla ricchezza tangibile. Ma la globalizzazione, scrivono Detti e Gozzini, non è un complotto, è l’insieme dei movimenti internazionali di merci, persone, capitali e informazioni ed è tanto velleitario pensare di annullarla quanto necessario provare a controllarla. Certamente, tra le sue conseguenze ci sono l’approfondirsi del dislivello di ricchezza tra le parti del mondo industrializzato e le altre, così come disoccupazione e sotto-occupazione nei Paesi ricchi, migrazioni, sfruttamento incontrollato e distruzione dell’ambiente in quelli poveri. Tuttavia, i dati evidenziano che è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per un possibile processo di convergenza. Riforme agrarie, scolarizzazione di massa, qualificazione, innovazione tecnologica hanno una forte potenzialità nell’aumento del reddito e nell’uscita dalla povertà: in Asia le grandi carestie sono state sconfitte; dal 1980 in poi i poveri di tutto il mondo sono considerevolmente calati. Permangono, però, forti fragilità nell’Africa subsahariana ed equilibri instabili sul piano sociale ed economico sia all’interno di un Paese, sia fra Paesi diversi. Ne sono emergenze ben visibili le tragedie umanitarie del Terzo mondo, la povertà persistente fra gli anziani e nelle famiglie numerose dell’Occidente avanzato, ma anche quel mutamento antropologico, indotto dai media e dai consumi, che si manifesta nell’individualismo acquisitivo di massa e nel prevalere delle ragioni della libertà economica sulla giustizia.
Nel ’68 si accesero i riflettori internazionali sulla prima grande crisi umanitaria nella regione nigeriana del Biafra, a seguito di una guerra civile. Migrazioni, carestie e profughi si sono drammaticamente replicati con andamento altalenante: segno che la politica e la diplomazia possono fare molto per contenerli e per indirizzare verso la pace, ma anche che raramente questa volontà si manifesta in maniera concorde nelle nazioni più potenti.
Le migrazioni sono, infatti, attualmente uno dei maggiori fattori di ‘disordine’ mondiale. Certo, è difficile e fuorviante accordare le tendenze demografiche con i tempi brevi dei cambiamenti economici e politici. Tuttavia, le legislazioni restrittive adottate l’indomani della crisi petrolifera del 1973, finalizzate a fornire risposte a un’opinione pubblica spaventata dalla recessione, hanno inciso sulle caratteristiche e sulla visione pubblica del fenomeno: da arrivo favorito dal bisogno di forza lavoro cento anni fa, a viaggi di fortuna e ingressi illegali e osteggiati, spesso sostenuti dalla delinquenza organizzata. L’andamento ondulatorio dei flussi è un segno che le crisi si possono limitare, se sono coordinate sul piano internazionale e se si elabora la complessità economica e sociale del problema: “Abbiamo di fronte esseri umani non interessati a prendere le nostre terre, ma alla ricerca di un futuro migliore. Ci si può intendere, basta che ci sia una politica con l’intento di farlo”.
Il quinquennio 1968-1973 si apre con un ciclo di mobilitazioni studentesche che, per la prima volta nella storia, assume una dimensione globale; una massa critica di giovani con aspirazioni e speranze molto maggiori di quelle dei genitori si scontra con una realtà che non corrisponde alle loro aspettative: società tradizionalista, strutture universitarie inadeguate, docenti distaccati e retrogradi. I loro sogni spesso si frantumano, ma nello stesso tempo si affermano due processi nuovi correlati: il potenziamento dei media, ancorché inegualmente distribuiti, tendenzialmente al servizio del potere e generatori di conformismo, ma dotati di dirompente potenzialità: “Ci furono foto pubblicate sui giornali che contribuirono a cambiare la storia”; la svolta sui diritti sociali e civili delle donne: sale percentualmente in modo significativo l’occupazione femminile, aumenta l’impiego in settori qualificati, crescono le iscrizioni all’Università. Negli anni Settanta, gli stessi movimenti rivendicano la parità ma chiedono il riconoscimento della differenza tra uomini e donne e la valorizzazione delle specificità. Si avvia così l’elaborazione del concetto di gender, una categoria interpretativa che supera il determinismo biologico di quella di sesso e privilegia gli aspetti sociali e culturali, storicamente variabili nello spazio e nel tempo.
Altri processi toccano il sistema politico democratico. Si afferma, in quegli anni, una forte proliferazione del numero degli Stati, ma si ridimensiona la loro sovranità a seguito dell’avvento di una governance sovranazionale. La speranza che il nuovo sistema riesca ad assicurare definitivamente una diffusione della democrazia, però, si rivela presto un’illusione: la democrazia appare un processo evolutivo, conflittuale e reversibile. Ne sono testimonianza i golpe in Uruguay e Cile, lo stato d’emergenza in India, la primavera di Praga, la rivoluzione dei garofani in Portogallo. Ma lo spirito dei tempi sembra decisamente a suo favore: molti regimi autoritari si rivelano incapaci di legittimarsi come modelli alternativi e migliori. Altrettanto lacerata è l’area mediorientale, dove, a seguito dello shock petrolifero del ’73 che rilancia il ruolo di alcuni Paesi esportatori di petrolio (in particolare l’Arabia Saudita), ha inizio un’era islamista. Nel difficile contesto della decolonizzazione, emergono gravi contraddizioni e si radica il fondamentalismo; l’11 settembre 2001 aprirà lo scenario a una serie di prolungati conflitti nel mondo musulmano, incapace di garantire benessere e libertà, che dimostrano quanto sia difficile la transizione di queste società alla democrazia.
Globalizzazione, disordine, democrazia: la dialettica fra i tre termini lancia numerosi spunti di riflessione e costituisce una buona base di partenza per comprendere il nostro tempo. Certo – scrivono Detti e Gozzini – la globalizzazione contemporanea non è molto diversa da quella di cento anni fa, quando movimenti umani, di merci e informazioni si spostavano in misure altrettanto consistenti. Allora la politica la fermò con i nazionalismi e due guerre mondiali, al prezzo di settanta milioni di morti. Per non ripercorrere quella strada c’è bisogno di una nuova politica che non ceda.
Enrica Dondero Acessar publicação original
[IF]Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo – DAVIS (BC)
DAVIS, Natalie Zemon. Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo. Bari: Laterza, 1996. 372p. Resenha de: COCILOVO, Cristina. Il Bollettino di Clio, n.9, p.70-72, feb., 2018.
Tre donne introdotte da un’intervista impossibile, che le costringe a prender vita in un libro e a confrontarsi, loro così lontane nella religione (rispettivamente ebraica, cattolica, luterana). Ma al dunque, grazie alla caparbietà dell’autrice Natalie Zemon Davis, riescono nella simulazione a trovare il fondamento della loro identità comune: l’affermazione della loro autonomia, del loro talento, della loro intraprendenza. Eccezionale per un’epoca caratterizzata dal “silenzio” delle donne, dall’assenza di loro tracce, nella ricostruzione selettiva della storiografia ufficiale.
Glikl Bas Yehudah Leib, ebrea askenazita cioè di origine tedesca, a differenza delle altre donne del suo tempo non disdegna il lavoro. Nonostante una numerosa famiglia, collabora con l’attività dell’amato marito, commerciante di gioielli e prestatore di denaro, che a seconda del momento può portare a vistosi arricchimenti come a repentine rovine. Glikl non dà al denaro valore in sé. Non desidera vivere nel lusso. Come la maggior parte degli ebrei abita in una casa d’affitto, non potendo per legge possedere proprietà. Per lei il valore assoluto è l’onore, l’essere considerata degna di rispetto, lei come la sua famiglia. Sappiamo tutto questo da una autobiografia articolata in ben sette libri, in cui Glikl alterna la narrazione della sua vita a vere e proprie parabole, che hanno lo scopo di far comprendere i valori positivi della solidarietà, dell’amore, il senso della sofferenza. Una donna di grande cultura teologica e tecnico – commerciale, rispettata per la sua acutezza nel gestire questioni finanziarie e insieme profondamente religiosa e giusta. Sebbene lei e la sua famiglia abbiano talvolta subito le conseguenze di persecuzioni antiebraiche, che li costringono a trasferimenti forzati, accetta la sofferenza, mai si ribella a Dio che muto e immobile non interviene. Semmai lo interroga e con rassegnata accettazione e cerca di ricominciare ex novo.
Marie de l’Incarnation, se si può considerare per il nostro tempo personaggio singolare, per non dire psichicamente disturbato, è invece perfettamente inquadrabile nell’epoca della Controriforma. Ispirata fin da giovane dalla vocazione divina, trascorre la vita secondo due passioni apparentemente poco conciliabili: un forte trasporto per la vita mistica e una spiccata capacità organizzativa del quotidiano. Divenuta vedova precocemente, percepisce il potente richiamo del misticismo come altre “sante” dell’epoca, che trasfigurano in estasi religiosa le pulsioni del proprio corpo, ma nel contempo gestisce con molta maestria, quasi con piglio imprenditoriale, l’azienda commerciale della sorella e del cognato, che la ospitano insieme al figlioletto. Per il resto della sua vita vivrà questa difficile dicotomia. A circa trent’anni decide di prendere i voti come suor Orsolina, separandosi dal figlio adolescente e disperato. Vive in clausura, mortificando con sofferenze fisiche il suo corpo secondo l’esempio di Teresa d’Avila, finché non ha l’occasione di poter educare al pensiero cristiano i “selvaggi” del Nuovo Mondo. Si trasferisce in Canada, dove lavora con efficientismo invidiabile nelle difficili condizioni di una Missione delle suore Orsoline. Qui lei, che rifiutava il suo corpo, si accosta alla corporeità degli altri e tocca, cura, pulisce, insegna, impara le lingue locali, converte indios in un’opera pastorale a tutto campo. Soprattutto ha una ultra decennale corrispondenza con il figlio Claude, che a sua volta aveva preso i voti, e scrive testi religiosi per le genti locali nella loro lingua e scrive anche la sua autobiografia. Il figlio raccoglierà con devozione gli scritti della madre, ma li correggerà adattandone il linguaggio ingenuo allo stile sospettoso della Chiesa dell’epoca, per pubblicarli in un’opera postuma, “Vie”, dove però non inserisce gli scritti teologici di Marie in lingua irochese, algonchina e urone, utilizzati nella sua azione pastorale in Quebec.
Nonostante gli attacchi di misticismo e autoflagellazione, Marie ha un aspetto che la avvicina alla nostra sensibilità, per la relazione che ha creato con i “selvaggi”. Il suo scopo non è quello di emarginarli, ma di includerli nel mondo dei cristiani, in una visione universalistica, secondo cui non esiste differenza fra esseri umani, se questi abbracciano la parola di Cristo. Marie, mentre cerca di convertirli, educa gli indios al rispetto dell’igiene, della lettura e della scrittura. Qualora essi fuggano per l’innato desiderio di libertà di vivere nella natura, lontano da un convento di clausura, Marie li comprende e li perdona, riscoprendo il ruolo di madre generosa, che non aveva saputo assumere con il figlio al momento dell’abbandono.
Maria Sibylla Merian, luterana, originaria di Francoforte, figlia d’arte di un famoso incisore, non visse una vita familiare e borghese, come le sue condizioni le consentivano, allineandosi così alle stranezze delle altre due donne del libro. Si trasferì nel corso della vita in diversi luoghi, in seguito a scelte di vita radicali. La sua vita si potrebbe definire una metamorfosi, mimando il titolo della sua opera più famosa “Metamorfosi degli insetti del Suriname”, una raccolta di incisioni artistico-scientifiche che rappresentano la stupefacente natura tropicale. Acquisita fin da giovane una certa notorietà, grazie al suo talento di incisore1, diventa famosa dopo la pubblicazione nel 1679 del libro in due volumi “I bruchi. Le meravigliose metamorfosi dei bruchi“, in cui affianca a un centinaio di splendide incisioni di bruchi e insetti, descrizioni basate sulle sensazioni soggettive provate nell’osservazione degli aspetti naturali. Nell’organizzazione dei libri, rifiutò ogni criterio classificatorio, ritenendolo inadeguato. Non seleziona i viventi distinguendoli in catalogazioni di piante, bruchi e insetti; la sua osservazione ruota attorno a una foglia di cui si nutrono simultaneamente bruchi ed altri insetti, mentre le crisalidi si trasformano in farfalle. Evidenzia la vitalità delle relazioni fra gli esseri di un medesimo habitat. Tuttavia la sua visione della natura è profondamente religiosa, perché vi individua la straordinaria onnipotenza divina.
Morto il padre, probabilmente in crisi con il marito, si separa e sceglie di andare a vivere con le due figlie in Frisia, presso la comunità luterana dei Labadisti, che praticavano una fratellanza mistica. Qui rinuncia a ogni bene terreno e tronca le relazioni con l’esterno. Dopo pochi anni vissuti come cristallizzati in quella realtà, ecco la metamorfosi di Maria. L’eccessiva mortificazione, il distacco dalle cose del mondo e della natura, persino il ripudio del suo orgoglio di creatrice di oggetti artistici la spingono a un nuovo cambiamento.
Abbandona la comunità e si trasferisce ad Amsterdam per ricostruire la vita sua e delle figlie, ritornando all’arte incisoria, intraprendendo la strada dell’insegnamento e costruendosi una solida vita borghese, in piena autonomia di scelte anche economiche. Grazie poi al genero, che commercia con le colonie del Suriname, incuriosita dalla ricchezza di vita di quei luoghi, vi si trasferisce per due anni con la figlia minore.
In seguito a quella esperienza, pubblicò la sua opera più originale “Metamorfosi”, in cui riaffermò la sua visione della natura come un insieme di relazioni dinamiche tra viventi, che mutano nel tempo e a seconda del luogo in cui si realizzano. Consultò, senza i pregiudizi coloniali del tempo, indios e schiavi neri, che le diedero preziose indicazioni sulle caratteristiche di piante e animali del luogo, oltre alle loro abitudini di vita. Informazioni che riportò nel libro, anticipando aspetti delle attuali ecologia e antropologia. Tornata in patria, ottenne fama e riconoscimenti.
Che cosa hanno in comune queste tre donne così diverse tra loro, vissute in un periodo storico che condannava al silenzio le figure femminili? La cultura innanzitutto. Tutte e tre abitanti di città hanno realizzato importanti opere nel loro campo specifico con una cultura libera da schemi. Tutte e tre hanno superato radicali cambiamenti, hanno impostato un rapporto profondo con la divinità che prospettava una vita migliore, per superarla e trovare riscatto nel lavoro. Tutte e tre erano esperte contabili, avevano indubbio talento per gli aspetti organizzativi del lavoro e non mancavano di spirito d’avventura.
Ma vivevano ai margini. In che senso? Perché lontane dal potere politico ed economico, perché la loro era una cultura da autodidatta, non costruita nelle accademie. Grazie alla loro intraprendenza riuscirono però a dare significato originale alle loro opere.
Cosa ci resta di loro? L’autobiografia di Glikl ebbe diverse edizioni e una certa diffusione nel mondo ebraico, finché non fu dichiarato libro “velenoso” dal nazismo. Fortunatamente l’autrice ne ha ritrovato una copia alla biblioteca di Berlino.
Le opere in lingua algonchina, irochese e urone di Marie forse andarono disperse dai missionari che si avventurarono all’ovest. Invece è rimasto come testo di riferimento per le Orsoline la sua “Vie” curata dal figlio.
Maria Sibylla ebbe più fortuna. Le sue opere vennero utilizzate e citate da Linneo e la sua raccolta postuma di incisioni fu acquistata da Pietro il grande. Oggi fa bella mostra di sé nella Kunstkammer dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, mentre il suo libro delle Metamorfosi è considerato patrimonio nazionale dal Suriname.
Le storie ritrovate delle tre donne potrebbero rientrare nella storia scolastica per ricostruire quadri d’insieme: la vita di ebrei askenaziti in Germania, il rapporto contorto con la religione controriformista di sante in estasi mistica, le relazioni contraddittorie con le genti del Nuovo Mondo, la faticosa affermazione del metodo d’osservazione scientifica.
Per gli studenti il libro costituisce probabilmente una lettura impegnativa, ma in un laboratorio storico di 17/18enni può essere interessante delineare temi come quelli accennati attraverso la costruzione di tre biografie femminili. Potrebbe diventare un’operazione capace di dare una luce diversa a queste tematiche e insieme di valorizzare i contributi ignorati di tre grandi donne del passato.
[Notas]1 Significativo che in italiano non esista la versione femminile del termine incisore.
Cristina Cocilovo
[IF]I Cognomi degli italiani: una storia lunga 1000 anni | Roberto Bizzocchi
Outro livro que fala de cognomi (sobrenomes, em italiano)? É o próprio autor – Roberto Bizzocchi, professor de História Moderna da Universidade de Pisa – que se faz esta pergunta na primeira linha de apresentação deste trabalho, uma reconstrução pontual da história da antroponímia italiana desde a Idade Média até a atualidade. De fato, sobre tal assunto, não faltam textos e contribuições valiosas, que se limitam, contudo, ao esclarecimento do significado linguístico dos vários sobrenomes, por meio de uma impostação principalmente descritiva e tipológica. Este livro, ao contrário, tem um objetivo mais ambicioso, querendo reconstruir os vários acontecimentos históricos relacionados ao nascimento e ao uso dos sobrenomes na Península Itálica. Trata-se acerca de 250 páginas divididas em 44 capítulos tematicamente circunscritos, baseados em documentos de arquivo e em um poderoso material bibliográfico. Leia Mais