Enciclopédia de Guerras e Revoluções do Século XX – TEIXEIRA DA SILVA et al (DSSC)

TEIXEIRA DA SILVA, Francisco Carlos; MEDEIROS, Sabrina; VIANNA, Alexander Martins (Orgs). Enciclopédia de Guerras e Revoluções do Século XX, 3 voll. Rio de Janeiro: Campus/Elsevier, 2014-2015, 496 + 304 + 672 pp. Resenha de: CHAVES, Daniel. Diacronie Studi di Storia Contemporanea, v. 28, n. 4, 2016.

Inizialmente pubblicata nel 2004, sebbene in un unico e imponente volume, l’Enciclopédia de Guerras e Revoluções do Século XX veniva proposta all’alba del XXI secolo come un lavoro nel solco di una tradizione permeata da opere di riferimento utilizzate da diverse generazioni per avvicinarsi al campo della conoscenza, nelle scienze umane così come nel campo della tradizione brasiliana. In un simile contesto, non ci si basa perciò solo su una tradizione fondata su dizionari ed enciclopedie, ma è possibile dire che questa esperienza abbia conosciuto un rinnovamento attraverso il carattere peculiare, autonomo, plurale e autoriale che quest’opera possedeva.

È tuttavia necessario citare opere fondative che l’hanno preceduta come il Dicionário de Ciências Sociais1 o il Dicionário do pensamento social do século XX2 (curato da William Outhwaite e Tom Bottomore, con la consulenza di Ernest Gellner, Alan Touraine e Robert Nisbet, oltre all’essenziale contributo brasiliano di Wanderley Guilherme dos Santos e Renato Lessa), che hanno contribuito alla formazione di generazioni di studenti, ricercatori e professionisti. Queste opere, votate ad un interesse tecnico nei confronti degli scritti collettanei in grado di compendiare una conoscenza qualificata e ampia sui vari temi, riunivano voci e informazioni in modo strutturato e con una localizzazione precisa – grazie ad una definizione sintetica –, in tempi antecedenti alla vastità nebulosa del World Wide Web.

Al di là della concezione dei dizionari – la cui progettazione concettuale rigorosa prevede un giudizioso ricorso alla concisione in merito a ciò che viene affermato nelle sue voci o definizioni –, l’enciclopedia come progetto olistico di conoscenza è notoriamente più ampia e ricerca una maggior profondità analitica. L’enciclopedia come summa e riassunto del sapere, risale genealogicamente alle origini della nostra contemporaneità, in quelle colonne che vennero posate con il progetto illuminista europeo di D’Alembert e Diderot (Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, 1751-1766) o degli scozzesi Colin Macfarquhar e Andrew Bell (British Encyclopaedia, 1768-1771). In un periodo caratterizzato da una costante dialettica politica come il XIX secolo, la letteratura basata su una critica beffarda sviluppata dai detrattori dei Lumi metteva in scacco l’eccesso di descrizione concesso a concetti – per quanto innovatori – come quello economico del laissez-faire o delle allora contemporanee teorie politiche rivoluzionarie. Ancora oggi l’impresa enciclopedica è una missione audace.

La realizzazione di un’opera come questa è orientata intorno a concetti tanto vitali quanto lo possono essere l’idea di guerra o la forza trascendentale delle rivoluzioni, per giungere ad un approccio al tema che sia tecnicamente in grado di guidare gli sguardi concentrati sulle problematiche centrali care allo storico fedele alla tradizione, interessato ad osservare gli assi portanti, le questioni più rilevanti, le logiche sistemiche che si creano intorno a un’analisi categorizzante e tassonomica. Nella quarta di copertina gli organizzatori esplicitano la loro scelta affermando che «si tratta di opere complete, che presentano idee, movimenti, fatti e personaggi che hanno modellato l’inizio del secolo, tanto nel campo della politica e dell’economia, quanto nel campo delle arti e delle scienze». Non è pensabile affermare che ci sia stata una tematica durante il corso del XX secolo in grado di generare maggiore preoccupazione nelle menti – sia del popolo, sia delle élites – che i rischi e le opportunità delle rivoluzioni; allo stesso modo è difficile negare che le guerre siano state una costante durante l’intero secolo. La scelta – strategicamente posizionata tra la logica volta ad evidenziare gli elementi caratterizzanti di quei tempi e il riconoscimento della polisemia acquisita da tali termini per via della loro volgarizzazione – mostra la tenacia e l’eclettismo necessari per un lavoro di tale portata.

Il marchio concettuale di “rivoluzione” è impiegato nel suo significato originale, quello di mutamento e destrutturazione sociale o politica. Tuttavia, con l’evoluzione e l’uso costante, tale concetto finirà per abbracciare vari campi che trascendono la sua sola genesi politologica. Deve essere citata anche, a fronte di un simile eclettismo, la scelta di un linguaggio comprensibile e basato sull’utilità didattica dei riferimenti bibliografici per ulteriori approfondimenti. Ciò che sorprende, a distanza di dieci anni dalla prima edizione, sono l’audacia e la foggia di un’opera che non solo presenta la vivacità necessaria per rinnovarsi, ma che si sviluppa in tre volumi, proponendo in modo chiaro un approccio in segmenti periodizzanti per la comprensioni del “lungo” XX secolo. La riedizione dell’enciclopedia in quanto tale, in un’edizione più ampia e ambiziosa, indica la sorprendente vivacità delle opere di erudizione e della minuziosa analisi tecnica in sé, in tempi in cui l’informazione è accessibile, a portata di mano.

Il primo volume affronta in modo logico il primo momento della débâcle della belle époque, sottolineando i concetti e i termini fondamentali degli anni contraddittori del capitalismo liberale, degli imperialismi trionfanti e di una società peculiare – preconizzando, in un’epoca di autoregolazione, il termine della longeva capacità di esercizio critico di fronte al proprio tempo. Osservando il periodo compreso tra il 1901 e il 1919, emerge la preoccupazione per il preludio e lo schiudersi di un conflitto che avrebbe lasciato come eredità la fine dell’egemonia europea sul pianeta, per il clima di incertezza apportato dalla Grande guerra e dalle sue rovine, che inevitabilmente contraddistingue questo primo tomo.

Il secondo volume, incentrato sul periodo che va dal 1919 al 1945, discute uno dei periodi maggiormente indagati dalla storiografia contemporanea: l’epoca delle infruttuose trattative di pace, i “folli” anni Venti e la loro svolta radicale con la crisi del ’29, l’ascesa degli autoritarismi fascisti, le tragedie dell’olocausto e delle bombe atomiche, in quel contesto di insicurezza che avrebbe dato vita alle condizioni grazie alle quali lo scenario della Seconda guerra mondiale si sarebbe sviluppato in maniera inequivocabile, ponendo le condizioni per un nuovo ordine mondiale post-europeo dopo secoli di incontrastata egemonia. Gli anni che seguirono, tuttavia, non avrebbero mitigato la caratteristica che li avrebbe marcati: un terrore sviluppato per effetto delle minacce di violenza generalizzata come elemento fondamentale attraverso il quale comprendere le origini del nostro tempo.

Infine, con un maggior respiro, giustificato in funzione della maggior complessità degli studi storici, la fine dell’epoca dei grandi conflitti mondiali e i controversi tempi della Guerra fredda (1945-1991), oltre al già citato nuovo ordine mondiale, vengono trattati nel più voluminoso dei tre tomi. L’emergere di condizioni nuove e rivoluzionarie per l’ascesa della bipolarità sia sull’asse Nord-Sud sia su quello Ovest-Est, e successivamente temperate da quella rottura rappresentata dalla posizione terzomondista o non allineata, è considerata strutturale per la comprensione della guerra e della rivoluzione come elementi persistenti nella contemporaneità, anche attraverso nuovi campi come gli studi comportamentali, le epistemologie o il ruolo così intrigante e sensibile delle rivoluzione tecnologiche, che avrebbe sbilanciato le relazioni nel difficile e incerto avvio del XXI secolo.

La rilevazione di quella che è la forgia analitica dello storico, del politologo, del sociologo o dell’antropologo, dello specialista di studi internazionali e del giurista, ci distingue e ci rende in maniera costruttiva sempre di più lettori critici e globalmente attenti ai concetti, ai temi e ai problemi più rilevanti del corso dell’umanità relativamente a quel periodo storico. Il ruolo di sforzi onesti come questa Enciclopédia, nei suoi tre aggiornati volumi, è quello di espandere il carattere olistico di una simile discussione su temi di carattere storico, ma anche sul ruolo stesso del pensatore contemporaneo come costruttore di un interesse globale, antiutilitarista e unitario, che possa essere un lettore del tempo con una torcia in mano per aiutare ad orientarsi all’interno del dibattito pubblico. In tal senso, questa opera densa e fitta ci invita ad un’intensa passeggiata nella totalità come ad una questione propria delle Scienze umane, che non può essere affrontata da qualche viandante improvvisato e solitario, ma solamente attraverso il congiunto di una raccolta di idee.

Notas

1 Dicionário de Ciências Sociais, Rio de Janeiro, FGV, 1986.

2 OUTHWAITE, William, BOTTOMORE, Tom, Dicionário do pensamento social do século XX, Rio de Janeiro, Ed. Jorge Zahar, 1996.

Daniel Chaves – È professore associato di Storia Contemporanea presso l’Universidade Federal do Amapá (Unifap). Dottore in Storia comparata nel corso di laurea specialistica in Storia Comparata (UFRJ), è docente del Programa del corso di laurea specialistica Mestrado em Desenvolvimento Regional (PPGMDR) e ricercatore senior dell’Observatório de Fronteiras do Platô das Guianas (OBFRON) e del Círculo de Pesquisas do Tempo Presente (CPTP), entrambi afferenti all’Unifap.

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Por que as nações fracassam: as origens do poder, da prosperidade e da pobreza | D. Acemoglu e J. Robinson

  1. Introdução

O livro de Daron Acemoglu e James Robinson, Por que as Nações Fracassam: As origens do poder, da prosperidade e da pobreza, é um trabalho de aproximadamente 15 anos de pesquisa.

Os autores são, indubitavelmente, respeitadas autoridades do assunto. Acemoglu é professor titular de Economia do MIT (Massachusetts Institute of Technology) e detentor da medalha John Bates Clark, concedida a economistas com menos de 40 anos que tiveram uma considerável contribuição no pensamento econômico em nível global. Leia Mais

Novos Domínios da História | Ciro Flamarion Cardoso e Ronaldo Vainfas

Este texto procura apontar algumas discussões do livro “Novos Domínios da História”, organizado pelos historiadores Ciro Flamarion e Ronaldo Vainfas. A coletânea foi lançada em 2012 e procura oferecer ao leitor as tendências contemporâneas do campo epistemológico da História e de como os historiadores estão enveredando por caminhos, às vezes, divergentes, outras vezes de encontros. Na verdade a obra é uma complementação de “Domínios da História”, publicado em 1997 que se tornou referência nas discussões sobre Teoria e Metodologia da História e nas Áreas de Ciências Humanas e Sociais.

A coletânea apresenta um conjunto de 16 capítulos que podem ser lidos separadamente ou não, o fato é que se complementam e são temas em que o leitor pode exercitar uma interpretação transversal e interdisciplinar. Com isso, os autores levam-nos a examinar as dimensões conceituais da Área de História e os campos movediços que alguns títulos apresentam incitam-nos a refletir sobre a pesquisa e a forma que interpretamos as fontes e os sujeitos que selecionamos a perscrutar. Leia Mais

Novos Domínios da História – CARDOSO; VAINFAS (CTP)

CARDOSO, Ciro Flamarion; VAINFAS, Ronaldo. Novos Domínios da História. Rio de Janeiro: Elsevier, 2012. Resenha de: MOURA, Luyse Moraes. Novos Domínios da História, de Ciro Flamarion Cardoso e Ronaldo Vainfas. Cadernos do Tempo Presente, São Cristóvão, n. 10 – 10 de dezembro de 2012.

Publicado pela primeira vez em 1997, Domínios da História tornou-se uma obra de referência para os profissionais da área de história e das demais ciências humanas e sociais. O livro foi organizado por Ciro Flamarion Cardoso – Professor Titular de História Antiga e Medieval da Universidade Federal Fluminense (UFF) – e Ronaldo Vainfas – Professor Titular de História Moderna da Universidade Federal Fluminense (UFF) –, e contou com a colaboração de numerosos autores, resultando na compilação de diversos ensaios sobre teoria e metodologia da História.

Porém, mesmo com a contribuição de vários autores, o livro não contemplou alguns temas e aspectos da disciplina histórica e, em razão disso, os mesmos organizadores decidiram preparar um novo volume com características semelhantes às do primeiro. Novos Domínios da História foi lançado em 2012, pela Editora Elsevier, com o propósito de complementar a obra publicada em 1997.

Neste novo livro, que também contou com a participação de diversos autores, novos campos da História foram explorados a exemplo da “História do Tempo Presente”, tema de Márcia Menendes Motta. Em seu texto, Motta discute as relações entre História, memória e tempo presente; e comenta sobre o surgimento e consolidação da História do Tempo Presente. Entretanto, ao mencionar os trabalhos desenvolvidos no Brasil inseridos neste novo campo disciplinar, a autora restringe as produções do Laboratório do Tempo Presente (UFRJ) à temáticas relacionadas apenas à América do Sul. Além disso, sua exposição exclui a possibilidade de pesquisas sobre a HTP desenvolvidas em outras regiões do país, que não o Sudeste. Nesse sentido, Motta não menciona, por exemplo, os trabalhos do Grupo de Estudos do Tempo presente (UFS).

Assim como a “História do Tempo Presente”, a “Nova História Militar”, apresentada por Luiz Carlos Soares e Ronaldo Vainfas; e a “Micro-história”, tema de Henrique Espada Lima, também são abordadas nesta obra. Tais autores analisaram as proposições dessas novas áreas de conhecimento e apontaram os principais desafios que a elas se impõem.

Além dos novos territórios explorados, o livro também apresenta algumas exposições sobre domínios da história bastante tradicionais que, nas últimas décadas, passaram por um processo de renovação. São os casos da “Nova História Política”, tema de Sônia Mendonça, Virginia Fontes e Ciro F. Cardoso; da “Biografia Histórica”, tema de Benito Shmidt; e da “História das Relações Internacionais”, abordada por Estevão R. Martins. Nestes capítulos, foram avaliados os avanços que cada um desses campos pôde alcançar ao longo dos últimos anos.

Algumas temáticas apresentadas no livro anterior foram atualizadas, passando a compor, também, o presente volume. Dentre as quais, podemos citar as relações entre “História e Antropologia”, tema de Maria Regina C. de Almeida; e a “História dos Movimentos Sociais”, campo que vem despertando nos últimos anos um crescente interesse entre os pesquisadores, e que foi abordado no livro por Hebe Matos. Uma outra temática também foi retomada nesta obra: os usos da informática no ofício do historiador. No capítulo “História e Informática”, Célia Tavares reflete sobre o impacto das novas tecnologias para a produção e divulgação do conhecimento científico.

Diferindo da edição de 1997, Novos Domínios da História apresenta abordagens mais profundas sobre certos campos da história, como “História e Cultura Material”, tema da contribuição de Marcelo Rede; “História e Imagem”, temática de Ulpiano de Menezes; “História e Fotografia”, abordada por Ana Mauad e Marcos Brum Lopes; “História e Cinema”, tema de Alexandre Valim; e “História e Textualidade”, tema de Ciro F. Cardoso. De acordo com os organizadores, esses domínios ganharam uma maior notoriedade no livro devido aos avanços e à especialização que vêm alcançando nas últimas décadas.

A “História Oral”, tema que não esteve presente no livro anterior, também ganhou espaço neste novo volume. Em seu ensaio, Marieta de Moraes Ferreira evidencia que a história oral, apesar de ter sido alvo de críticas de muitos historiadores nos anos 1960 e 1970, tornou-se no século XXI uma metodologia fundamental nas pesquisas realizadas no Brasil, sobretudo, nas relacionadas a temáticas contemporâneas.

Em Novos Domínios da História a introdução e a conclusão desempenham a função de equilibrar as discussões apresentadas ao longo dos capítulos. A introdução, escrita por Ciro F. Cardoso, apresenta os problemas específicos da epistemologia das ciências sociais e humanas, e discorre sobre as três modalidades básicas do conhecimento histórico: o reconstrucionismo, o construcionismo e o desconstrucionismo. A conclusão, elaborada por Ronaldo Vainfas, dialoga com a introdução, analisando os “novos domínios” da história apresentados no livro a partir da tipologia epistemológica desenvolvida por Ciro F. Cardoso na parte inicial da obra.

Como bem indicam os organizadores no prefácio do livro, nos dias atuais a história apresenta uma grande diversidade de abordagens, temas e conceitos. Sendo assim, Novos Domínios da História, ao oferecer um panorama amplo e atualizado dos domínios da história – novos e antigos –, torna-se extremamente útil aos estudiosos e profissionais da história, podendo interessar também aos que atuam nas demais ciências humanas e sociais.

Referências

CARDOSO, Ciro Flamarion; VAINFAS, Ronaldo. Novos Domínios da História. Rio de Janeiro: Elsevier, 2012.

Luyse Moraes Moura – Graduanda em História/UFS. Bolsista PIBIC/CNP sob orientação do Prof. Dr. Dilton Cândido Santos Maynard. Integrante do Grupo de Estudos do Tempo Presente. E-mail: luyse@getempo.org.

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O Mundo em 2050: como a Demografia, a Demanda de Recursos Naturais, a Globalização, a Mudança Climática e a Tecnologia Moldarão o Futuro | Laurence Smith

Editado recentemente pela Editora Elsevier, o livro do geocientista americano, especialista em impactos geofísicos da mudança climática e consultor do governo dos Estados Unidos Laurence C. Smith, com o título em português O Mundo em 2050. O Futuro de Nossa Civilização, a partir do próprio título deixa o leitor curioso a respeito do seu conteúdo.

Smith não se concentra somente em um setor, como o crescimento populacional, ou mesmo, o futuro das fontes energéticas. Ele procura mostrar, com a ajuda da Geografia e da História, como as condições atuais de tratamento da Natureza, deixarão marcas duradouras no futuro.

Para isso, se utiliza de modelos computacionais altamente sofisticados, pois, como se sabe, essas forças – demografia, demanda de recursos, globalização e mudança climática – estão intimamente interligadas, tendo o poder de moldar o nosso futuro. Daí, com a ajuda desses modelos, o cientista acredita ter condições de analisar tendências, convergências e possíveis paralelos entre elas. Pretende, através de uma base científica, formalizar uma ideia do que poderá ocorrer nos próximos 40 anos, a partir das tendências atuais, uma vez que estas poderão ser previstas e extrapoladas para o futuro.

Nas suas pesquisas, Smith chegou à conclusão que o aquecimento ampliado do clima começou no Norte, daí, faz as seguintes perguntas: qual o significado disso para os povos e ecossistemas da região? Quais as suas tendências políticas e demográficas? O que isso representaria no que diz respeito aos vastos depósitos de combustíveis fósseis que se acredita haver abaixo do leito dos seus oceanos? De que maneira se transformaria, por pressões ainda maiores que vem se acumulando ao redor do mundo? Que aconteceria se, como sugerem muitos modelos climáticos, nosso planeta for assolado por ondas de calor insuportáveis, secas e a consequente queda da produção agrícola? Será que haveria a possibilidade de surgir novas sociedades humanas em lugares que, hoje, nos parecem inóspitos?

São essas as questões que o autor tenta responder ao longo da discussão que, como vemos pelo próprio título da obra, trata do futuro do planeta. No diagnóstico desse futuro, o autor analisa, por exemplo, os gases do efeito estufa e a oferta de recursos naturais. O autor tem, ainda, a preocupação de projetar quarenta anos no futuro, estudando de perto o que se passa hoje na natureza e o porquê dos fatos.

Para discutir o futuro é preciso entender o passado. Assim, em ordem histórica de importância, o autor analisa as quatro forças globais que há séculos vem, em processo, contribuindo para moldar o nosso mundo em 2050: a demografia, a demanda por recursos naturais, a globalização e a mudança climática.

Ao tratar da primeira força, a demografia, o autor traz uma série de números a respeito do crescimento populacional, desde o advento da agricultura, quando “havia talvez um milhão de pessoas no mundo”, até os dias de hoje, quando a população mundial chegou aos “sete bilhões em 2011” (p.9). A crescente demanda por recursos naturais e serviços, resultante de uma população mundial que não para de crescer também é motivo de sua análise. O fenômeno da globalização é visto pelo autor, como um conjunto de processos econômicos, sociais e tecnológicos, que está tornando o mundo mais interconectado e interdependente – aí ele percebe implícita uma política cultural e ideológica.

No que tange às mudanças climáticas, faz um histórico do desenvolvimento do efeito estufa que, já em 1820, teve sua existência deduzida pelo matemático francês Joseph Fourier (que deduziu que a terra estava muito mais quente que costumava ser, dada a sua distância em relação ao sol). Smith não deixa de citar, neste sentido, o papel da tecnologia, considerada por ele a quinta força, que pode servir de capacitador ou freio para as quatro forças globais, na medida em que tem condições de corrigir problemas.

A partir desta introdução o autor passa a fornecer ao leitor dados e tendências essenciais que ajudam a entender a dinâmica do desenvolvimento que engendrará a imagem do ano 2050. Para isso, recorre ao debate que os cientistas vêm fazendo em nível mundial e que diz respeito à substituição de combustíveis fósseis por tipos de energias renováveis, assim como a possibilidade de reciclagem e poupança dos citados materiais. Abalizando os prós e contras da utilização de diferentes tipos de energia e matérias primas, Smith não descarta o grande potencial de conflito que poderá se desenvolver na exploração de recursos naturais, como água, petróleo e gás natural.

Nesse sentido, de onde viriam essas novas fontes de energia, em 2050? Através do hidrogênio como nos filmes de ficção científica? Dos biocombustíveis (etanol, a partir da cana ou da beterraba)? Da energia nuclear com seus riscos a saúde pública? Da energia hidrelétrica que gera atualmente 16% da eletricidade do mundo? Da energia eólica ou solar, setores em crescimento, sobretudo em países de altitudes médias e altas?

O autor é conclusivo no que diz respeito ao aumento de fenômenos climáticos extremos ou a elevação do nível do mar, mostrando como a mudança climática conduz a tempestades devastadoras.

Nesta perspectiva, cita a catástrofe que se abateu em 2008 sobre o estado de Iowa, que se destacou como a segunda maior em 136 anos. Em maio do mesmo ano, um tornado de categoria f5 atingiu o estado, além de outros 48 menores, todos eles com vítimas fatais. Enquanto isso, em 4 de junho do mesmo ano, o governado Arnold Schwarzneger anunciou uma grande seca no estado da Califórnia, grande produtor de produtos agrícolas dos EUA. Assim, de repente, a Califórnia se viu em meio a uma crise econômica histórica que atingiu o setor da habitação e os mercados de crédito globais, na eminência de perder mais de 80 mil empregos e U$$ 3 bilhões em receitas agrícolas.

Secas excepcionais castigaram países no mundo inteiro, ameaçando a agricultura e provocando incêndios (p.70), como os que alcançaram a Austrália, matando 200 pessoas. Em Chattisgarh, na Índia, 1.500 agricultores cometeram suicídio porque, com a seca, tiveram suas terras confiscadas pelo não pagamento das dívidas.

Para Smith, o problema central no futuro é que uma parcela crescente da população mundial viverá em locais onde a água, sem dúvida, será escassa. Na página 75, o autor comenta que,

enquanto 8 em cada 10 pessoas tem acesso a algum tipo de água melhorada, essa media global mascara intensas discrepâncias geográficas. Alguns países como Canadá, Japão e Estônia fornecem água potável a todos os seus cidadãos. Outros, especialmente na África, oferecem água potável a menos da metade da sua população. (SMITH, 2011, p. 75)

Outro fato aterrorizante, discutido pelo autor, é que já se pode constatar que cada vez mais multinacionais estão privatizando e consolidando os sistemas de abastecimento de água. Cita três exemplos destas: Suez Veolia Enviromental Services (ex- Vivendi) e Thames Water, que, expandindo-se, transformaram-se em empresas de comercialização de água em todo o mundo em desenvolvimento. Em 2009 a Siemens pagou um U$$ bilhão pela U.S Filter, maior fornecedor de produtos e serviços para tratamento da água da América do Norte. A General Eletric e a Dow Chemical também estão entrando no ramo da água (p.77) ao lado da Nalco, ITT e Danaher Corporation.

Contrariando o senso comum, o crescimento populacional e a industrialização representam, para o suprimento de água global, um desafio ainda maior que a mudança climática. O fornecimento de uma quantidade adequada de água para essa produção, a expansão dos parques industriais e, paralelamente, a necessidade de manter a água limpa nesse processo, será, para o autor, o grande desafio do século.

Ao considerar as mudanças climáticas o autor se concentra na análise da elevação das temperaturas no Norte, fato que está ocorrendo mesmo no período do inverno e em altíssimas altitudes. Ele afirma que qualquer processo de mudança climática “é errático ao longo do tempo” (p.104). A mudança climática apresenta ainda um segundo fato: a sua geografia nem sempre é global e nem sempre tende ao aquecimento. A mudança climática não é apenas errática no que diz respeito ao tempo, mas também em termos geográficos. Outro fato é que a mudanças climáticas ocorrerão diferentemente no globo, assim como as situações a elas ligadas: quando existe um aumento de temperatura em um local, não significa que em todos os lugares do globo ela sofra o mesmo aumento. Em alguns locais poderá ocorrer um aumento mais acentuado e em outros poderá ocorrer até mesmo um resfriamento.

O segundo cenário considera igualmente uma população mundial estabilizada e uma pronta adoção de novas técnicas de produção de energia, advindas tanto dos combustíveis fósseis como de combustíveis não fósseis. O terceiro cenário pressupõe um mundo heterogêneo, com forte crescimento populacional, um lento desenvolvimento econômico e uma lenta transição para novas tecnologias que produzam energia.

Smith mostra, ainda, de forma clara, que a mudança climática será bem mais pronunciada na região Norte. Em 2007 foi comprovado que 40% da calota polar derreteu, desaparecendo em questão de meses. Os modelos climáticos existentes não haviam previsto um fenômeno como esse, até pelo menos em 2035. Tais modelos não acompanharam a rapidez que o fenômeno se deu de fato. A fauna e a flora também sofreram o impacto dessa mudança de temperatura.

O autor mostra a mudança de comportamento do urso polar cujo lar é o gelo flutuante, onde caça, dorme e se acasala. O urso polar não hiberna no inverno. No verão, quando o gelo se desintegra e diminui, eles são forçados a migrar para a terra, por conseguinte sendo forçados a jejuar até a volta do gelo. Com isso, em 2004, foram confirmadas pelos biólogos três ocorrências em que ursos polares caçaram e comeram uns aos outros. O que significa dizer que a cadeia alimentar como um todo – do microscópico fitoplâncton ao urso polar –, que está intrinsecamente associada à presença do gelo oceânico está sendo prejudicada.

Não se pode esquecer que seres humanos também dependem do gelo, como os esquimós que vivem no litoral do Oceano Ártico, caçando focas, ursos polares, baleias, e outros peixes, onde já se vê uma mudança de hábitos. Milhares de quilômetros de distancia, nem por isso se entregam ao desespero. Toda essa discussão precedente levará o autor ao ponto principal, ou seja, as consequências dessa situação de aquecimento global e esgotamentos das fontes de energia tradicionais para os oito países que estão na zona do ártico: Rússia, EUA, Canadá, Islândia, Noruega, Finlândia, Dinamarca e Suécia, que terão possibilidades de se beneficiar, haja vista as riquezas do subsolo da região e outros valiosos recursos naturais. A partir dessas novas previsões, esses países estão, pelo menos, avaliando a implementação de novos esquemas na região.

Ampliando suas análises a respeito de 2050 o autor calcula que: a) a população mundial terá aumentado neste ano quase 50%, formando aglomerados urbanos próximos as latitudes mais baixas e quentes do planeta; b) estão surgindo países com grande potencial econômico como China, Índia e Brasil; c) grande parte da população viverá nas cidades e estará mais velha e mais rica; d) a água em muitos locais se tornará escassa; e) cidades sofrerão com a elevação do nível do mar; f) a agricultura irrigada praticamente não existirá.

Comprovadamente, o livro de Laurence C. Smith vale a pena ser lido. Escrito de modo fascinante o livro mostra metodologicamente as consequências socioeconômicas que derivam das mega-tendências do desenvolvimento mundial até o ano 2050, se valendo, para tanto, de dados respaldados em estudos econômicos, sociológicos, ecológicos e geológicos. O livro impressiona ainda pela abundancia de dados apresentados de forma clara e inteligente, numa leitura leve que não cansa o leitor (apesar das interligações feitas entre passado, presente e futuro). É leitura obrigatória para aqueles que se preocupam com a história ambiental e o futuro do planeta.

Ana Maria Barros dos Santos – Doutora pela Universidade Friedrich Alexander Erlangen-Nurnberg (Alemanha). Professora do Departamento de História da Universidade Federal de Pernambuco. AMBS/UFPE.


SMITH, Laurence C. O Mundo em 2050: como a Demografia, a Demanda de Recursos Naturais, a Globalização, a Mudança Climática e a Tecnologia Moldarão o Futuro. Trad. Ana Beatriz Rodrigues. Rio de Janeiro: Elsevier, 2011. Resenha de: SANTOS, Ana Maria Barros dos. CLIO – Revista de pesquisa histórica. Recife, v.30, n.1, jan./jun. 2012. Acessar publicação original [DR]

O Futuro da Inovação – Usando as Teorias da Inovação Para Prever Mudanças no Mercado – CHRISTENSEN et al (CTP)

CHRISTENSEN, Clayton M.; SCOTT D. Anthony, ROTH, Erik A. O Futuro da Inovação – Usando as Teorias da Inovação Para Prever Mudanças no Mercado. Rio de Janeiro: Campus/Elsevier, 2007. Resenha de: RIBEIRO, Daniel Santiago Chaves. O Futuro da Inovação – Usando as Teorias da Inovação Para Prever.    Cadernos do Tempo Presente, São Cristóvão, n. 06–06 de janeiro de 2012.

Tido como revolucionário na administração de empresas, o consultor Clayton Christensen, ph.D. em Economia e professor de Harvard, juntamente com os seus assessores diretos, avisa: não há formula mágica para o sucesso neste livro,2 e não há caminho simples para o que ele considera o elemento central de sobrevivência das grandes companhias no mercado globalizado: a inovação. A aplicação de novas ideias com sucesso – bem como o convívio dos outros elementos no contexto o qual o processo irrompe – é fundamental para a gestão perspicaz em futuro mais próximo, ou seja, o tempo presente. E estar preparado para quando as oportunidades ou intempéries surgirem, é tão significante quanto  O mote que sugere a abordagem do autor norte-americano indica – seja no incentivo às oportunidades ousadas ou apoio à sobrevivência – formas mais inteligentes e eficazes de se relacionar com as mudanças e inovações do mercado. Esse comportamento decorre, invariavelmente, de relevo apropriado de teorias e conceitos adequados e funcionais ao invés do recolhimento de dados sistematicamente compilados e indicadores obsoletos que, via de regra, só se tornam confiáveis depois de consumada a transformação – isso quando não são sempre tidos como “escassos”. É a figura do rabo que abanaria o cachorro: as características explicativas e sintomáticas da realidade são tidas como um problema insolúvel e interminável.

Consequentemente, quando nos agarramos ao pragmatismo ilusório, as tendências não são compreendidas, o tempo de resposta se torna reduzido, a margem de manobra asfixiada e a gestão se vê comprometida. Tão perigoso quanto, ainda, é se agarrar na âncora do procedimento-padrão como salvaguarda furado, perdendo a dimensão do aprendizado histórico fundamental para reconhecer as lições do passado. Como dizem os próprios autores, mais importante do que correr atrás da bola, é correr na direção da bola.

Configura-se, no sentido de responder a algumas dessas questões, um esforço analítico de grande utilidade, reforçada com linguagem objetiva e simples, cujo diálogo flui com diversas expectativas disciplinares. Seja estrategista, empresário, diretor-executivo, acadêmico ou qualquer outro tipo de leitor que se depare com a necessidade de interagir dialeticamente com o que é novo, sem dúvida terá bom espaço de reflexão no trabalho de Christensen, Anthony e Roth. Discutindo precisamente a inovação como processo, os autores destacam que o grande desafio é saber distinguir o que é ruído do que é sinal do novo em um momento histórico cuja informação é abundante, quase sempre como uma avalanche no instável contexto que dá significado a essa informação.

Quando essa distinção já se consolida no texto, o binômio fundamental para compreender o trabalho surge de forma clara, como a chave inovadora de Christensen: a inovação disruptiva e a inovação sustentadora. Alguns traços tornam o primeiro tipo de inovação mais relevante ao nosso comentário – o que não necessariamente descarta a importância da segunda.

A inovação disruptiva, ou “disruptive innovation” é um termo que surge do conceito de “tecnologia disruptiva”, forjado por Christensen e Bower em 1995 na revista Harvard Business Review. Naquele momento, a inovação ainda não possuía o destaque prioritário do atual período, mas já se mostrava francamente incontornável na formulação de políticas públicas e de planejamentos estratégicos privados. Além disso, Christensen compreendeu que a inovação na gestão estratégica e desenvolvimento de modelo de negócios vêm antes da implementação tecnológica, o que sem dúvida deve ser bem observado nesse sentido.

Em termos gerais, a inovação disruptiva seria uma inovação decorrente de uma transformação ou introdução tecnológica diretamente relacionada a um serviço, produto ou mercado específico, que é/são reformulados (ou forjados) de modo a se reconhecer novos consumidores, inesperados ou simplesmente não considerados pelo mainstream em vigência. No seu par conceitual gêmeo – muitas vezes de difícil distinção -, a “inovação sustentadora” seria fundamentalmente o tipo de inovação que possibilita a satisfação imediata dos clientes em face de complexos problemas anteriores, a otimização da gestão dentro dos padrões estabelecidos ou a redução de custos e preços. Com franqueza, o autor afirma que a segunda é tão importante quanto a primeira, sendo muitas vezes lucrativa, estratégica e inclusive mais frequente. No entanto, a contrariedade evasiva e encabulada em relação à disrupção seria um erro tolo cometido por várias empresas, deixando de lado janelas de oportunidade, a mera sobrevivência ou a ingrata surpresa da derrota.

Além da telecomunicação (que, sem trocadilho infame, é o principal caso em debate, o fio condutor da explanação), os autores situam as assimetrias de recursos, processo e valores como a espinha dorsal da compreensão das transformações futuras, bem como da fricção entre empresas líderes e empresas emergentes. Enquanto capacitação e motivação são importantes índices primários de análise de mercado e cenários de transformação, é tão necessário quanto reconhecer as facilidades e oportunidades propiciadas por empresas baseadas em modelos de negócios de diferente natureza, ou ainda com franca disparidade nas suas proporções corporativas. Mesmo que essas assimetrias sejam não necessariamente o determinante básico para a detecção da disrupção, geralmente a valoração, míope ou clarividente, de determinadas grandes empresas é categórica para o futuro próximo em aceleração franca.

Conforme já apontou Christensen em várias declarações públicas à revistas e jornais, o Brasil é um país com diversas oportunidades onde paira o não-consumo apto para o salto da inovação disruptiva. A tenacidade absorvente dos quadros técnicos e acadêmicos, por sua vez abalizada por uma legislação que caminha objetivamente ao incentivo, é fundamental para um ambiente inovador no âmbito nacional. Ao contrário de uma expectativa primária, em princípio Christensen não é contrário à regulação, citando a experiência do DARPA norte- americano (Agência de Projetos e Pesquisa em Defesa Avançada) como caso de sucesso. Pelo contrário, a preparação para o start-up e o relacionamento com a inovação deve considerar objetivamente o relacionamento e a detecção inteligente sobre forças não-mercadológicas como sindicatos, padrões setoriais, normas culturais, estágio de desenvolvimento tecnológico e infraestrutura sobre propriedade intelectual, entre outros elementos.

Se observarmos atentamente a condição cada vez mais próspera do Brasil enquanto país emergente, com as políticas dos últimos governos em sintonia com empresas em franca internacionalização, é impreterível adequar os modelos de negócios a big wave da inovação. Não necessariamente a inovação disruptiva é temerária. Sem mesmice, sem mecanicismo ou rotinas envelhecidas, é preciso estar atento às transformações que acontecem nas margens do sistema, aparentemente fora do alcance do topo da cadeia. O distanciamento pode gerar a calcificação desses topos de cadeia gerencial, afastando o novo e tornando-se obsoletas no seu modelo de gestão. É necessário, nessa leitura, saber conviver com a inovação e a disrupção de forma a desenvolver redes capacitadas com valor a gerir as transformações setoriais e recriar os mercados.

Notas

2 Clayton M. Christensen, Scott D. Anthony, Erik A. Roth. O Futuro da Inovação – Usando as Teorias da  Inovação Para Prever Mudanças no Mercado.Rio de Janeiro: Campus/Elsevier, 2007.

Referência

CHRISTENSEN Clayton M., SCOTT D. Anthony, ROTH Erik A. O Futuro da Inovação – Usando as Teorias da Inovação Para Prever Mudanças no Mercado. Rio de Janeiro: Campus/Elsevier, 2007.

Daniel Santiago Chaves Ribeiro – Professor de História Contemporânea da empresa Universidade Federal do Amapá.

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Impérios na história | Francisco Carlos Teixeira da Silva, Ricardo Pereira Cabral e Sidnei J. Munhoz

SILVA, Francisco Carlos Teixeira da; CABRAL, Ricardo Pereira e MUNHOZ, Sidnei J. Impérios na história. Rio de Janeiro: Campus; Elsevier, 2009. Resenha de: CHAVES, Daniel Santiago. Revista Maracanan. Rio de Janeiro, v.5, n.5, p.203-205, 2009.

Acesso apenas pelo link original [DR]

Integração Regional: os Blocos Econômicos nas Relações Internacionais | Alfredo da Mota Menezes e Pio Penna Filho

Em setembro de 2006, ao comentar a reunião do Grupo Mercado Comum (GMC) que se realizara naquele mês em Brasília, o jornalista Sérgio Léo, do Valor Econômico, comentava: “A burocracia tem suas vantagens, e uma delas é a falta de dúvidas existenciais: enquanto se debate publicamente o risco de dissolução do Mercosul, as instâncias burocráticas do bloco continuam funcionando com certa normalidade.” Provavelmente não assistimos à “dissolução” do bloco, mas, sem dúvida, estamos longe de um período em que o otimismo quase generalizado com relação ao Mercosul justificava-se sem maiores explicações e as notícias dos jornais o reproduziam abundantemente. O que se passou desde então?

Aos interessados em conhecer não só o processo de construção do Mercosul, mas também a história e os principais desafios atuais encontrados em vários processos de integração econômica pelo mundo, uma boa pedida é a leitura do livro de Alfredo da Mota Menezes e Pio Penna Filho. Em linguagem bastante acessível, o livro dirige-se ao leitor não-especialista, que poderá compreender esse fenômeno internacional. Quais as diferenças entre uma união aduaneira e uma zona de livre comércio? A integração deve melhorar o bem-estar social das sociedades integradas, mas como integrar economias tão díspares como as da Alemanha e de Portugal ou como as do Brasil e do Paraguai? Embora, em geral, a integração seja vista pelo cidadão comum como uma forma a ser buscada para que os países atinjam um bom padrão de inserção internacional, obstáculos das mais diversas naturezas devem ser enfrentados, e os de natureza política não são os menores deles. Leia Mais

Economia internacional: teoria e experiência brasileira | Renato Bauman e Otaviano Canuto || Organizações internacionais: história e práticas | Mônica Hers e Andrea Ribeiro Hoffmann || Teoria das relações internacionais: correntes e debates | João

Não se faz necessário grande exercício analítico para perceber que a área de Relações Internacionais no Brasil sofreu um importante processo de evolução nos últimos quinze anos. De uma rápida leitura dos jornais diários, até um passeio em qualquer grande livraria dos centros comerciais das metrópoles brasileiras, percebe-se ao mesmo tempo o aumento da atenção da sociedade pelos temas atinentes da disciplina e o nível variado de relevância e qualidade de certas reflexões.

Esses dois fenômenos foram acompanhados de um acontecimento marcante no ensino de Relações Internacionais no país: a explosão dos cursos de graduação no país, notadamente na região sudeste e sul. Esse movimento, por seu turno, também significou na área do ensino uma pulverização e falta de consistência disciplinar no tratamento da literatura reverberada pelas dezenas de programas que foram criados e sustentados sem uma boa literatura de apoio. Leia Mais

Economia Internacional: teoria e experiência brasileira | Renato Baumann, Otaviano CAnuto e Reinaldo Gonçalves

Presente, com considerável importância, em toda a história brasileira e notoriamente a partir do processo de abertura ocorrido no início dos anos 90, as relações econômicas com o resto do mundo adquirem indiscutível relevância tanto na promoção de políticas públicas quanto no cotidiano dos indivíduos. O fato de que, atualmente, o comportamento de uma outra economia pode afetar as taxas de juros internas rapidamente e de que é possível adquirir facilmente bens e serviços de outros países – através da internet, por exemplo – relevam a importância da compreensão dos conceitos e das teorias sobre economia internacional.

A obra escrita por Renato Baumann, Otaviano Canuto e Reinaldo Gonçalves dirige-se, principalmente, para cursos de graduação e de pós-graduação de economia internacional. Encaixa-se na recente demanda por parte do setor público, do setor privado e da academia por indivíduos qualificados em compreender o meio internacional. Em que se reconhece a inegável preponderância do caráter econômico. Como se observa, por exemplo, no papel fundamental que tiveram as relações econômicas como fator estimulante e balizador das relações entre a sociedade internacional européia do século XIX e o resto do mundo, originando o sistema interdependente em vários aspectos que hoje se observa. Leia Mais

A África e os africanos na formação do mundo atlântico / John Thornton

Uma das principais lições da exposição sobre a arte africana realizada no ano passado, que apresentou ao público brasileiro uma parte do acervo do Museu Etnológico de Berlim, foi a de mostrar que a África subsaariana, região de profundas ligações com o Brasil e de onde vieram muitos de nossos ancestrais, era formada por sociedades com um alto nível tecnológico e artístico. Isso foi revelado quando se deparava, com certa dose de emoção, com as esculturas em bronze, latão e mesmo terracota, produzidas nos reinos dos lundas, em Ifé, no Benin e nos Camarões, entre os séculos X I I I e XIX, ou quando se observava os registros históricos feitos na perspectiva dos africanos sobre os primeiros tempos de contato, deixados nas placas que revestiam o palácio do Benin e nas quais estavam reproduzidas as imagens dos portugueses recém-chegados.

O mérito da obra de John K. Thornton, A África e os africanos na formação do mundo atlântico (1400-1800) —cuja tradução há muito aguardada f o i , sem dúvida, bem vinda— é o de tratar de maneira eqüitativa os mundos que se encontram a partir da expansão marítima ibérica, nos inícios da modernidade. Referência obrigatória para os estudos sobre as relações entre a América, a Europa e a África pré-colonial, as teses de Thornton contribuem para que seja ampliado o entendimento do papel das sociedades africanas na formação do complexo intercontinental atlântico.

E tema que nos interessa de maneira particular. Não só a América Portuguesa foi constituída como parte do mesmo processo, como a escravidão africana f o i o eixo em torno do qual a sociedade brasileira se desenvolveu durante pelo menos três séculos de história. Por este motivo, as conexões entre a África e o Brasil tem sido a tônica de importantes estudos sobre a sociedade do Brasil colonial e imperial —de Pierre Verger a José Honório Rodrigues e Maurício Goulart e, mais recentemente, João José Reis, Luis Felipe de Alencastro, Manolo Florentino, Alberto da Costa e Silva, Selma Pantoja e Roquinaldo Ferreira, só para mencionar alguns. Alargando os horizontes da pesquisa sobre um período crucial das histórias dos dois lados do oceano, a preocupação que Thornton compartilha com estes autores é a de tratar as sociedades africanas como parte integrante e ativa da constituição do Atlântico Sul; o ponto de partida é o rompimento com os vieses eurocêntricos, de fundo colonialista e racial, que deixaram marcas profundas nos estudos históricos e que precisam ser constantemente revistos.

A obra f o i publicada em 1992, por este historiador responsável por um conjunto expressivo de trabalhos sobre diversos aspectos da história da África subsaariana. Especialista nas sociedades centro-ocidentais, analisou desde estruturas políticas e conflitos do mundo pré-colonial às figuras femininas de projeção histórica como a rainha Njinga (ou Nzinga), do reino de Ndongo-Matamba, em luta pelo reconhecimento de seu poder político, e a profeta D . Beatriz Kimpa Vita, líder dos antonianos que sonhava, nos finais do século X V I I , com a restauração do reino do Kongo. Perseguiu, além disso, em artigos publicados nas principais revistas internacionais, imbricações entre dinâmicas africanas e movimentos ocorridos na América, perscrutando a presença de ideologias políticas e estratégias militares africanas em movimentos de escravos, como na Revolução de São Domingos de 1791, e na Revolta de Stono, nos Estados Unidos, em 1739. Temas audaciosos que abrem novas perspectivas não só para o entendimento dos nexos entre os dois continentes como para o significado amplo da diáspora africana.

O trabalho em questão encontra-se dividido em duas partes. A primeira examina aspectos das sociedades africanas substanciais para se entender a relação com os europeus e o envolvimento progressivo destas no comércio de escravos. Após pontuar características da navegação e da expansão atlânticas do século X V , acompanha a natureza dos laços estabelecidos entre parceiros comerciais (africanos e europeus), analisando o rol de mercadorias trazidas à costa, em grande parte artigos supérfluos ao gosto dos dignitários africanos e de suas cortes. N um movimento analítico similar, mas com implicações contrapostas à idéia da vitimização do continente, considera que a inserção das sociedades da África no tráfico atendeu a dinâmicas internas, mobilizou uma rede de intermediários locais e fortaleceu o poder de elites e de senhores da guerra. Estabelecendo as correlações entre armamentos-guerras- escravos, Thornton deixa no ar, no entanto, uma questão substancial: considerando o século X V I I I , indaga-se até que ponto as sociedades africanas, antes soberanas, tornam-se prisioneiras de um circuito do qual dificilmente conseguem sair. A não ser quando, a partir dos inícios do X I X , os europeus mudam de perspectiva e passam a questionar a própria continuidade do tráfico. Mas, política que preconizava, de fato, um outro e mais formidável ataque.

A segunda parte trata dos africanos em diáspora e aprofunda temas relativos às mudanças que introduziram nos territórios coloniais para os quais foram levados. A começar pela fisionomia de muitas das cidades americanas que mais se assemelhavam a Guinés transplantadas do que a mundos de colonização branca. Embora não ofereça, nesta parte, a mesma densidade de informações que na anterior, a interpretação de Thornton é sugestiva, pois se orienta a importantes direções. Uma delas pontua os movimentos da escravidão na perspectiva do conjunto das colônias na América, nas ilhas atlânticas e no Caribe. Sem perder de vista as singularidades de cada uma das sociedades, acompanha as condições de vida e de trabalho dos escravos nos engenhos de açúcar do nordeste brasileiro, nas plantations antilhanas e no sul dos Estados Unidos, bem como nas haáendas da América Espanhola e oferece ao leitor um quadro das diferenças e recorrências existentes entre os mundos da escravidão americana.

Numa outra direção analítica, o autor destaca a diversidade africana que se transfere para a América não só por meio de culturas transformadas pela diáspora, como por meio de agrupamentos étnicos criados pela escravidão.

Assinala que escravos e forros de uma mesma nação —tal como estes agrupamentos foram chamados nas fontes portuguesas, bem como de terre nos documentos franceses e de country, nos de língua inglesa — trabalhavam juntos ou próximos, encontravam-se com freqüência em cerimônias das irmandades religiosas e nas reuniões de sociedades secretas, e consolidavam uniões matrimoniais, relações de compadrio e parentelas amplas. Entre estas nações, Thornton sublinha grupos como os minas, os nagôs, os lucumis, os congo-angolas e os bambaras que, de fato, não existiam como tais no continente africano, mas que se tornaram referência para a organização dos africanos e dos afrodescendentes no Novo Mundo. Nesse aspecto particular, suas interpretações decorrem da premissa — inovadora para a época em que o livro f o i escrito — de que o tráfico não f o i exclusivamente um elemento de dispersão e ruptura. A o contrário, na ótica de conceitos interpretativos amplos como o de grupos de procedência e de zonas culturais, concentrou determinados grupos em regiões e épocas históricas específicas.

Na área de conhecimento histórico num campo relativamente recente, Thornton não se exime de estabelecer polêmicas ao longo das argumentações. Discute com Walter Rodney os efeitos das ações européias sobre o desenvolvimento africano pré-colonial e o sentido de ruptura social atribuído ao tráfico; com Paul Lovejoy, a natureza da instituição da escravidão na África; com Sidney Mintz e Richard Price, a fisionomia das culturas escravas.

Além disso, suas colocações oferecem aos leitores a oportunidade de refletir sobre a produção historiográfica brasileira que amplia o debate sobre relações étnicas, identidades afro-brasileiras e nações diaspóricas —entre outros, os trabalhos de João José Reis, Mary Karash, Robert Slenes, Mariza Soares, Maria Inês Cortês de Oliveira, Luis Nicolau Pares, Lorand Matory etc. Produção que sublinha, acima de tudo, a propriedade de serem historicizadas as trajetórias de africanos e afrodescendentes na diáspora.

Sem minimizar a importância da publicação, é necessário considerar dois percalços. O primeiro diz respeito à extensão cronológica dada ao estudo em sua segunda edição (de 1998 e base para a tradução brasileira), que levou até 1800 os marcos da edição de 1992, limitados ao período de 1400 a 1680. Dada a complexidade do tema, acredito que a ampliação para o longo século XVIII mereceria explanações mais profundas não plenamente contempladas no capítulo adicional — o 11, “Os africanos no mundo atlântico do século XVIII”. O segundo refere-se a imprecisões da tradução que poderia ter sido feita com mais cuidado. Só para exemplificar, chamo a atenção para a tradução literal de New-Christians por “novos-cristãos” (pp. 435,242); a denominação da Escola dos Annales como “Escola dos Anais” (p. 44); ou a expressão the English-speaking world (p. 321 da 2a . ed. norte-americana) como “no mundo do inglês falado” (p. 415).

Num mercado editorial carente, a disponibilidade para o público brasileiro da tradução de África e os africanos naformação do mundo atlântico deve ser dimensionada, por f i m , à luz de uma proposta programática ampla, acompanhando o estudo de parte dos temas exigidos pela Lei 10.639/03. O livro de John Thornton oferece, sem dúvida, um ótimo começo para se problematizar os novos conteúdos.

Maria Cristina Cortez Wissenbach – Professora do Departamento de História da Universidade de São Paulo.


THORNTON, John K. A África e os africanos na formação do mundo atlântico (1400-1800). Tradução Marisa Rocha Morta; Coordenação editorial Mary dei Priore; Revisão técnica, Márcio Scalercio. Rio de Janeiro, Editora Campus / Elsevier, 2004, 436 páginas. XVIII. Resenha de: WISSENBACH, Maria Cristina Cortez. Textos de História, Brasília, v.12, n.1/2, p.223-227, 2004. Acessar publicação original. [IF]