La Terra è finita. Breve storia dell’ambiente – BELIVACQUA (CN)

BEVILACQUA, Piero. La Terra è finita. Breve storia dell’ambiente. Roma-Bari: Editori Laterza, 2009. 209p. Resenha de BRIONI, Germana. Clio’92. 7 ago. 2019.

Anche in questo libro, La Terra è finita, Bevilacqua coniuga il rigore della ricerca con la disposizione intellettuale alla domanda di senso, propria di chi appartiene a una cultura civile che cerca nuove e vecchie responsabilità per evitare la ripetizione degli errori in futuro. Il suo itinerario storico è sintetizzato dalle sue stesse parole nell’introduzione: “Come siamo arrivati fin qui?” ed egli intende svolgerlo procedendo alla ricerca e alla ricostruzione di quei fenomeni che, nel passato remoto e più recente, sono stati e sono all’origine delle gravi problematiche ambientali di oggi, nell’intento di individuare le cause e i responsabili dell’attuale situazione di alterazione della natura. L’autore è consapevole che già molti studiosi, in campi disciplinari diversi, hanno fornito ipotesi interpretative alla domanda che egli ripropone: interpretazioni di tipo culturale (tra cui il concetto di natura per il cristianesimo) e di tipo economico, come l’approccio liberistico, o quello capitalistico. Di tali interpretazioni egli formula argomentate critiche, introducendo l’accenno a una posizione ambientalista che svilupperà nel prosieguo del libro. La sua dichiarazione di intenti è una ricostruzione della storia dell’ambiente rivolta al passato e nel contempo al futuro, pertanto cerca di coniugare le due diverse esigenze, e ritiene necessario considerare da un lato i danni, le distruzioni, le alterazioni che negli ultimi due secoli hanno cambiato la faccia della Terra; dall’altro le iniziative a livello politico e legislativo, congiunte ai mutamenti di sensibilità e di cultura nei riguardi dell’ambiente, che hanno contenuto i danni e cercano di impedire il peggioramento della situazione ambientale, a livello italiano, europeo e mondiale.

Bevilacqua dichiara apertamente che lo storico non deve rinunciare a giudicare, ma deve cercare la risposta al problema posto all’inizio, tenendo conto dei processi, non dei singoli fenomeni o protagonisti. Avvia perciò una accuratissima analisi di un complesso di processi storici, responsabili della degradazione dell’habitat, in primis il processo storico che si è svolto soprattutto in età contemporanea. (pag. 27)

L’oggetto primo di analisi è un tema di particolare interesse per Bevilacqua: il lungo processo che dall’agricoltura preindustriale ha portato all’agricoltura contemporanea. Mentre denomina l’agricoltura una delle attività più pericolose per la salute umana (p. 77), lo storico individua le ombre della Modernità, principalmente nello sfruttamento, da sempre presente, ma in età contemporanea divenuto abnorme, in maniera finora impensabile, di territori europei e extraeuropei, di risorse energetiche non rinnovabili; infine, ma soprattutto, nello sfruttamento delle risorse umane, cioè di quel frammento di natura che è l’uomo, dominato dalla tecnica. Processi di alterazione e contaminazione anche in passato riscontrabili a livello locale, ma che nel XX secolo, a seguito del processo di industrializzazione, a cui attribuisce la responsabilità maggiore, diventano universali. La trattazione dello storico si allarga a una visione planetaria; analizza e offre innumerevoli significativi esempi dell’accelerazione su scala globale di processi che minacciano la sopravvivenza stessa del genere umano. Egli mette continuamente a confronto la situazione della natura e dell’ambiente antropico nell’età preindustriale con la situazione dell’età industriale, in un arco temporale di due secoli. Ne coglie i più significativi fattori destabilizzanti: per il Novecento, fornendo precisi dati quantitativi e geografici risalenti al 2008, pone l’accento sull’accelerazione demografica, sull’urbanesimo vertiginoso e la formazione delle megalopoli, sulla crescita del consumo di beni alimentari. Individuando la relazione tra questi fenomeni tuttora in crescita e i trasferimenti di popolazione, introduce il concetto di “profughi ambientali”, ai nostri tempi di assoluta attualità. Profughi in fuga da fenomeni naturali antichi e nuovi, in massima parte imputabili all’uso sconsiderato del territorio. Tra i molti esempi citati di tale uso/abuso, l’erosione della Terra; il diboscamento; la presenza di rifiuti tossici; la radioattività, alterazione invisibile quanto pericolosa; la contaminazione delle campagne; la desertificazione e la perdita di terra fertile. In merito a quest’ultima, il dato totale risulta terribilmente allarmante: oggi (2008) l’area degradata dall’azione dell’uomo è calcolata in un quarto delle terre coltivate.

Le varie iniziative a scala planetaria per il contenimento e la riduzione dei danni provocati dai fenomeni ricordati, spesso non vengono rispettate: il Protocollo di Kioto del 2005, uno dei primi esempi di accordo internazionale, non viene rispettato proprio dalle potenze industriali come gli Stati Uniti, o in avanzato grado di industrializzazione, ugualmente responsabili dei danni maggiori. Lo storico compie un’analisi approfondita della situazione agricola in età contemporanea: se già a inizio Novecento l’agricoltura industrializzata presenta degli evidenti vantaggi, assicurando un enorme incremento produttivo, per lo meno nei paesi dell’Occidente, presenta anche molti limiti: infatti la trasformazione nell’uso di concimi, di risorse energetiche sprecate, di modalità di allevamento degli animali del tutto disgiunto dalla coltura del terreno provoca infiniti danni al territorio e al paesaggio.

Bevilacqua vede nell’agricoltura biologica un’alternativa indispensabile per rimediare, per mantenere la biodiversità, nella convinzione che l’agricoltura biologica rappresenta il corrispettivo agricolo di una fase superiore del processo di civilizzazione (pag. 104). Informazioni sulle iniziative legislative e su accordi a livello planetario arricchiscono il saggio: sono azioni non di facile attuazione, ma che impegnano i governi di tutto il mondo a incrementare l’uso di risorse rinnovabili, a incrementare la biodiversità, lo sfruttamento sostenibile delle acque; a limitare i prodotti ad alta tecnologia, come gli OGM, di cui lo storico vede l’inutilità, e anzi evidenzia i danni provocati dal loro uso distorto; a riciclare e a limitare gli scarti e i rifiuti inquinanti industriali, con sistemi che già oggi nuove tecnologie, intelligentemente applicate, consentono.

Dopo aver identificato i caratteri specifici dell’ambiente naturale italiano e le trasformazioni in esso avvenute, denunciando gli errati interventi del passato e del presente su paludi, laghi, habitat selvaggi, e la disordinata proliferazione urbana e industriale, come cause della degradazione dell’ambiente e del paesaggio italiano, Bevilacqua sottolinea come, da parte delle classi dirigenti, ci sia ancora scarsa percezione di quella casa comune che è l’ambiente (pag. 191) e che esso ha meno difensori che altrove. Nonostante l’amarezza suscitata dalle considerazioni precedenti, con sguardo sempre rivolto al futuro, egli sostiene un nuovo ambientalismo, come reazione di portata globale agli squilibri prodotti dall’insipienza delle azioni umane, compiute solo nella logica di puro sfruttamento economico.

Come si legge nell’introduzione a una antologia di saggi a cura di Leandra D’Antone e Marta Petrusewicz e a lui dedicati (La storia, le trasformazioni. Piero Bevilacqua e la critica del presente, Donzelli, 2015), “la storia per Bevilacqua […] è sapere che si rigenera costantemente; è coscienza critica del presente, consapevolezza del passato, immaginazione del futuro; è fertile lezione trasmessa ininterrottamente dalla generazione più anziana a quella più giovane”.

Germana Brioni

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Manifesto Del nuovo realismo – FERRARIS (ARF)

FERRARIS, Maurizio. Manifesto Del nuovo realismo. Romabari: Editori Laterza, 2012. Resenha de: RIBEIRO, Renato Railo. Aufklärung – Revista de Filosofia, João Pessoa, v.2, N.1, p. 209­-218, Abril de 2015.

O presente texto é uma resenha expositiva da obra Manual del Nuovo Realismo, escrita pelo filósofo italiano Maurizio Ferraris e publicada originalmente em italiano pela editora Laterza, em 2012(ISBN: 978­88­420­9892­8). O Manual já foi traduzido para o espanhol, francês, alemão e inglês, sem possuir ainda tradução paraportuguês1.

Ferraris formou-­se, sob orientação de Gianni Vattimo, pela Università degli Studi di Torinoe atualmente leciona nesta mesma universidade, além de ser também professor visitante de universidades europeias e estadunidenses. É editorialista do jornal diário La Repubblica e reconhecido internacionalmente por seus trabalhos desenvolvidos no campo da hermenêutica. Eis algumas de suas obras: Aspetti dell’ermeneutica del Novecento (1986); Storia dell’ermeneutica (1988); Il gusto del segreto (1997, escrita com Jacques Derrida); L’ermeneutica (1998); Introduzione a Derrida (2003). Desde os anos de 1990, porém, o filósofo vem gradualmente se afastando dessa linha de pensamento e adotando o realismo como fio condutor de sua filosofia.

No Manual del Nuovo Realismo o filósofo italiano pretende alcançar dois objetivos: (1) expor, segundo sua visão, as razões pelas quais a filosofia contemporânea teria se inclinado ao realismo; (2) expor sua concepção de realismo. A obra em questão é dividida em quatro capítulos2, sem contar o Prólogo. Neste último, o autor expõe seus pressupostos e a justificativa para a elaboração da obra, enquanto que no primeiro capítulo (“Realytismo”: o ataque pós-­moderno à realidade) desenvolve sua argumentação visando alcançar o objetivo (1). Por fim, com os demais capítulos (capítulo 2:Realismo: coisas que existem desde o início do mundo; capítulo 3:Reconstrução: porque acrítica parte da realidade; capítulo 4:Emancipação: a vida não examinada não tem valor), o filósofo visa atingir o objetivo (2).

Começando pelo Prólogo, deste pode-­se depreender que Ferraris parte do pressuposto de que, se por um lado, ao longo do século XX, o pêndulo do pensamento teria se orientado ao antirrealismo (diz o autor, em suas várias versões: “hermenêutica, pós-­modernismo, ‘reviravoltalinguística’”3), por outro lado, com a virada do século, teria passado apender para o realismo (segundo o autor, em seus muitos aspectos: “ontologia, ciências cognitivas, estética como teoria da percepção”4).

De modo a incluir sua filosofia nesse movimento em direção ao realismo, Ferraris aponta as causas que o conduziram a essa mudança, identificando-­as com os efeitos decorrentes daquilo que denomina “dois dogmas dopós­modernismo”5: (a) o de que toda a realidade é socialmente construída e infinitamente manipulável; (b) o de que a verdade é uma noção inútil, sendo a solidariedade mais importante do que a objetividade. Os efeitos ocasionados por esses “dois dogmas”, de acordo com Ferraris, teriam sido: (i) o fortalecimento do populismo em política; (ii) a alienação da filosofia em relação à realidade cotidiana;(iii) a noção de que toda desconstrução (filosófica, política, social) tem valor por si própria.

Assim, a justificativa dada por Ferraris para a escrita do Manifesto– bem como para sua mudança de pensamento, que o motivara elaborar a presente obra – é pautada por seu julgamento acerca da necessidade de se negar os “dois dogmas”, de modo a se evitar tais efeitos. O realismo, assim, é visto por ele como alternativa às diferentes ramificações pós­-modernas da filosofia contemporânea e seus “dogmas”.

Porém, de acordo com suas palavras, adotar essa alternativa não significa querer ostentar um monopólio filosófico do real – como se poderia crer, em função da longa história que o termo “realismo” temem filosofia – mas sim

“sustentar que a água não é socialmente construída, que a sacrossanta vocação desconstrutiva que está no coração de toda filosofia digna deste nome deve medir­-se pela realidade, caso contrário configura-­se como jogo fútil, quetodadesconstruçãosemreconstruçãoéirresponsabilidade”6.

Assim, segundo o autor, caberia à filosofia examinar quais são os aspectos da realidade socialmente construídos e quais não são, de modo a salientar o que pode e o que não pode ser tomado como verdadeiro e extrair daí implicações de natureza cognitiva, ética e política. Neste ponto, o filósofo italiano sentira necessidade de sublinhar o contexto ao qual sua posição se insere, aqui expresso por suas próprias palavras:

Aquilo que chamo de “novo realismo” é de fato antes de tudo o reconhecimento de uma reviravolta. A experiência histórica dos populismos midiáticos, das guerras pós­11de setembro e da recente crise econômica conduziu a uma forte descrença naqueles que, para mim, são os dois dogmas do pós-­modernismo: o de que toda a realidade é socialmente construída e infinitamente manipulável, e ode que a verdade é uma noção inútil porque a solidariedade é mais importante do que a objetividade. As necessidades reais, as vidas e mortes reais, que não aceitam ser reduzidas a interpretações, têm feito valer seus direitos, confirmando a ideia de que o realismo (assim como o seu contrário) possui implicações não simplesmente cognitivas, mas éticas e políticas7.

No primeiro capítulo, Ferraris sugere que o pós-­modernismo teria entrado em filosofia a partir da publicação da obra do filósofo francês Jean­ François Lyotard, A condição pós-­moderna, publicada em1979 e pela qual teriam se difundido a ideia de “fim das ideologias” e a noção de que as “grandes narrativas” (Iluminismo, Idealismo, Marxismo) teriam deixado de “mover as consciências e de justificar o saber e a pesquisa científica”8. Sem desconsiderar as várias manifestações pós-­modernistas e seus vários aspectos, desenvolvido sem diversas áreas do conhecimento e das artes, Ferraris aponta o que para ele seria o mínimo denominador comum a todas essas, a saber, o fim da ideia de progresso. No caso específico da filosofia, para a qual noção de verdade é central, insiste Ferraris que “(…) a descrença pós­-moderna no progresso comportava a adoção da ideia – que encontra a sua expressão paradigmática em Nietzsche – segundo a qual a verdade pode ser um mal e a ilusão um bem”9, ideia esta que segundo o autor poderia ser resumida na proposição nietzscheana “não existem fatos, só interpretações”.

Maurizio Ferraris frisa não querer atacar diretamente o pós-­modernista, pois este é “(…) muitas vezes animado por admiráveis aspirações emancipativas (…)”10. O problema, diz, é o populista, que“(…) tem se beneficiado com a potente, ainda que em boa parte involuntária, ajuda ideológica do pós­modernista”11. Isto porque, em sua visão, com o pós-­modernismo (e, como decorrência deste, primado das interpretações sobre os fatos e a superação da noção de objetividade), “(…) não se viu a libertação dos vínculos de uma realidade monolítica, compacta, peremptória (…)”12, tal como seus mentores profetizaram, mas sim o êxito do populismo, “(…) um sistema com o qual (desde que se tenha o seu controle) se pode pretender fazer crer em qualquer coisa”13– o que teria transformado o mundo em um reality.

O filósofo italiano, então, sugere a necessidade de se examinar de perto a concretização (e adulteração) das teses pós­-modernistas (os“dois dogmas”) e aquelas que aponta como suas três principais características: aironização, segundo a qual “(…) aferrar-­se a teorias é indício de dogmatismo, e que, portanto, deve-­se manter um distanciamento irônico em relação às próprias afirmações”14–distanciamento em geral expresso pelo uso de aspas; a dessublimação,“(…) a ideia de que o desejo constitui em quanto tal uma forma de emancipação, já que a razão e o intelecto são formas de domínio”15; a desobjetivação, a ideia de que “(…) não existem fatos, só interpretações, e o seu corolário de que a solidariedade amigável deve prevalecer sobre a objetividade indiferente e violenta”16– o que legitimaria, para Ferraris, a máxima “a razão do mais forte é sempre a melhor”.

Sobre aironização, diz Ferraris que o uso das aspas teria permitido aos teóricos a adoção de uma postura irônica diante de suas próprias proposições e o decreto de que qualquer um que as tentasse suprimir estaria exercendo um ato de inaceitável violência ou ingenuidade, pois trataria como real aquilo que, na melhor das hipóteses, era “real”. De acordo com o autor, essa postura teria impedido o progresso em filosofia, “(…) transformando-­a em uma doutrina programaticamente parasitária que remetera à ciência qualquer pretensão de verdade e de realidade (…)”17. Para Ferraris, a origem disso estaria no radicalismo de Nietzsche em sua posição contra a filosofia sistemática, ou mesmo, ainda, naquilo que o filósofo italiano chama de “revolução ptolomaica”18de Kant, por entender que com este último o homem teria passado a ser o centro do universo como mero fabricante de mundos por intermédio de conceitos. Assim, “o pós-­modernismo não foi um devaneio filosófico, mas sim o êxito de uma reviravolta cultural que coincide em boa parte com a modernidade, ou seja, a prevalência dos esquemas conceituais sobre o mundo externo”19, o que explicaria o uso de aspas, já que não se estaria ocupado com o mundo mas tão somente com fenômenos mediatos. Neste cenário, à filosofia caberia, na melhor das hipóteses, diz Ferraris, aceitar-­se como tipo de conversação ou gênero de escritura – atividade anti-­iluminista que, com a cumplicidade da ironia e das aspas, ocasionara, entre outros problemas, “o equívoco de pensadores de direita se tornarem ideólogos da esquerda”20 (quando então cita e comenta Heidegger como caso paradigmático).

De acordo com Ferraris, a dialética que se manifesta na ironização seria a do desejo como elemento que por si próprio constituiria a emancipação humana. Em sua visão, a noção de revolução dos desejos teria se iniciado com Nietzsche e sua revolução dionisíaca, quando o homem trágico, antítese do homem racional representado por Sócrates, fora antes de tudo um homem de desejos. Só que, com o populismo, diz, tal noção teria encontrado verdadeira expressão a partir do desenvolvimento “(…) de uma política ao mesmo tempo dos desejos e reacionária”21– comentando para tal as investigações de Adorno e Horkheimer sobre o mecanismo da dessublimação repressiva, segundo o qual “o soberano concede ao povo liberdade sexual e em contrapartida mantém consigo não só a liberdade sexual mas também as outras”22. Neste cenário, o desejo, no início elemento emancipativo, passaria então a ser elemento de controle social. Afora isso, o anti-­intelectualismo se faria presente, já que o enlaçamento entre corpo e desejo favoreceria o antissocratismo (i. e., a atividade racional). E assim, diz Ferraris, a legitimidade de uma categoria fundamental do Iluminismo seria atacada, a da opinião pública, que passaria, citando Habermas, “(…) de espaço de discussão a espaço de manipulação das opiniões por parte dos detentores dasmassmedia”23, momento em que se manifestaria repressão à discordância, cuja perfeição seria alcançada com a incorporação, por parte da coletividade, do hábito de desenhar qualquer atividade crítica.

Sobre adesobjetivação, Ferraris diz ser esta a noção de que a objetividade, a realidade e a verdade seriam maléficas, e a ignorância, benéfica. Essa ideia, segundo sua visão, teria se difundido no pós-­modernismo por três reflexões de grande peso cultural: a noção nietzschiana de verdade como metáfora; o recurso ao mito levado acabo por Nietzsche e Heidegger; e a noção presente em parte da filosofia analítica segundo a qual não existiria acesso ao mundo sem a mediação de esquemas conceituais e representações – sobre a qual Ferraris investiga tomando como case studya afirmação de Paul K.Feyerabend segundo a qual não existiria método privilegiado para a ciência, pois as teorias científicas seriam visões de mundo em larga parte incomensuráveis (o que, por consequência, faria com que não fosse tão óbvio assim que Galileu tivesse tido razão em relação àqueles que o condenaram). Neste sentido, a desobjetivação formulada com intenções emancipativas se transformaria em deslegitimação do saber humano e no reenvio da humanidade a um fundamento transcendente (no sentido místico ­religioso).

A consequência da ação conjunta de ironização, dessublimação e desobjetivação é, para Ferraris, o realytismo, estado em que “vem revogada qualquer autoridade ao real, e em seu lugar se prepara magnificamente uma quase ­realidade com fortes elementos fabulares(…)”24. Por outras palavras, orealytismo para Ferraris seria o pós-­modernismo concretizado pelo populista, cenário em que o real, ao invés de ser investigado com vistas à construção de novos mundos possíveis, seria posto ao nível da fábula (ou equiparado a um realityshow), sendo esta ação considerada como única libertação possível. Diz o autor, então, que dessa forma não haveria mais nada a se construir – e a realidade nada mais seria do que mero sonho.

Para Ferraris, fora contra esse estado de coisas que desde a virada do século viria se desenvolvendo o realismo, tentativa de restituir legitimidade, em filosofia, em política e na vida cotidiana, a uma noção que no pós­-modernismo fora considerada ingenuidade filosófica e manifestação de conservadorismo político, a saber: a de realidade. O filósofo italiano oferece, então, a partir deste ponto, sua concepção de realismo, desenvolvendo-­a entre os capítulos 2 e 4, baseada em três conceitos: Ontologia, Crítica e Iluminismo.

Por Ontologia Ferraris pretende significar simplesmente que “o mundo tem as suas leis, leis estas que se fazem respeitar (…)”25. Por outras palavras, segundo sua visão existiriam coisas que resistem e permanecem independentemente de esquemas conceituais capazes de avaliá­las. Ferraris denomina sua posição de “teoria da incorrigibilidade”26, de modo a reforçar, como faz ao longo do capítulo2, o caráter saliente do real, i. e., a existência de um mundo externo aos esquemas conceituais, e a ideia de que certas coisas diante de nós não poderiam ser corrigidas ou transformadas27. Desta forma, com ontologia e incorrigibilidade Ferraris pretende confrontar o que chama de falácia do ser- ­saber28, i. e., noção segundo a qual só se poderia dizer como existente aquilo que se pudesse conhecer – o que, para o filósofo italiano, nada mais seria do que expressão da confusão entre epistemologia e ontologia.

Por Crítica Ferraris diz significar a possibilidade inerente ao realismo de criticar e transformar a realidade – como oposição àquilo que, no capítulo 3, chama de falácia do averiguar­-aceitar29, segundo a qual a averiguação da realidade necessariamente implicaria na aceitação de existência de um estado de coisas imutáveis. Neste sentido, diz Ferraris que sua Crítica deveria ser entendida tanto no sentido kantiano de julgar o que é e o que não é real, como no sentido marxista de transformar o que não é justo, contrapondo-­se assim ao pós-­modernismo que, segundo ele, se contentaria em sustentar que tudo é socialmente construído (como forma de se proteger do atrito com o real ausentando-­se deste conflito). Logo, se por um lado seria possível afirmar que existem elementos com características alheias a todo e qualquer esquema conceitual capaz de descrevê-­las, por outro se poderia afirmar que somente com a reflexão crítica a falsificação pode ser evitada. Com noção de Crítica Ferraris sustenta que “(…) a incorrigibilidade como caráter ontológico resulta central na medida em que não indica uma ordem normativa (…) mas simplesmente uma linha de resistência contra a falsificação e a negação”30. Portanto, o ponto não seria apenas desvalorizar a cética noção de descontinuidade entre fatos e interpretações, mas sim procurar entender o que é e o que não é humanamente construído – algo implícito na seguinte questão: quais os limites dos esquemas conceituais?

Por fim, com a noção de Iluminismo– a qual permite Ferraris citar as expressões consagradas por Kant (“ousar saber” e “sair doestado de minoridade”) como opostas àquilo que chama de falácia dosaber­poder31(noção segundo a qual, tal como explicitada no capítulo4, em toda forma de saber se esconderia um poder negativo, ou seja, o saber serviria não como emancipação, mas como instrumento de dominação) – o filósofo italiano diz não duvidar que a ciência é, muitas vezes, animada “pela vontade de potência”, mas defende que não se deveria, em função disso, duvidar de todos os seus resultados32. Ou seja, o autor concorda que motivações de poder influenciam em muitos casos as conclusões de práticas filosóficas e científicas, mas poder e saber seriam, segundo sua concepção, noções distintas, não equivalentes. Identicamente, não seriam noções equivalentes as de verdade e de dogmatismo, pois salienta que “(…) realidade e verdade sempre foram a tutela dos fracos contra a prepotência dos fortes”33.Segundo o filósofo não faria sentido, assim, abandonar a noção de verdade em nome da noção de solidariedade (tal como desenvolvida por Rorty), uma vez que “(…) o regime nazista é o exemplo macroscópico de uma sociedade fortemente solidária”34. Logo, para Ferraris seria irresponsável desconstruir sem construir algo em seu lugar, e, portanto, ao invés de se duvidar da capacidade humana de conhecer, seria melhor aceitar que só o conhecimento, e não sua deslegitimação, pode emancipar os homens.

Por fim, Maurizio Ferraris oferece uma interpretação particular de que três filósofos tradicionalmente associados ao pós-­modernismo (Foucault, Derrida e Lyotard) teriam manifestado a exigência de retorno aos ideais iluministas. Além disso, declara o filósofo italiano:

Julgo fundamental acreditar naquilo que era importante e vivo no pós­modernismo, i. e., a reivindicação de emancipação, que tem início no ideal de Sócrates sobre os valores morais do saber e se assenta no discurso de Kant sobre o Iluminismo – talvez a mais caluniada entre as categorias do pensamento e que merece uma nova leitura na cena intelectual contemporânea diante das consequências da falácia do saber­poder35.

Com isso, o autor pretende reforçar sua crença no conhecimento humano como único meio a se evitar, contra o populismo, a alternativa de “(…) seguir o caminho do milagre, do mistério e da autoridade”36, associando tal crença ao realismo a que vem se propondo desenvolver.

Notas

1 Em espanhol: Manifiesto del nuevo realismo. Trad. José Blanco Jiménez.Santiago de Chile: Ariadna, 2012;Manifiesto del nuevo realismo. Trad.e intr. F. José Martín. Madrid: Biblioteca Nueva, 2013; em francês: Manifeste du nouveau réalisme. Trad. Marie Flusin e AlessandraRobert. Paris: Hermann, 2014; em alemão: Manifest der neuen Realismus. Trad. Malte Osterloh. Frankfurt am Main: Klosternann,2014; em inglês:Manifesto of New Realism. Trad. Sarah De Sanctis.New York: SUNY Press, 2014.

2 Cap. 1:Realitysmo. L’ attacco postmoder no alla realtà; Cap. 2:Realismo.Cose che esistono dall’ inizio del mondo; Cap. 3:Riconstr uzione.Perché la critica incomincia dalla realtà; Cap. 4:Emancipazione. Lavita non esaminata non ha valore.

3 “(…) ermeneutica, postmodernismo,‘ svolta linguistica’ (…)” (2012: ix).

4 “(…) ontologia, scienze cognitive, estetica come teor ia della percezione (…)”(Idem).

5 “(…) i due dogmi del postmoder no (…)” (Ibidem, xi).

6 “(…) sostenere che l’ acqua non è socialmente costr uita; che la sacrosantavocazione decostr uttiva che sta al cuore di ogni filosofia degna diquesto nome deve misur ar si con la realtà, altr imenti è un gioco futile; eche ogni decostr uzione senza r icostr uzione è ir responsabilità”(Ibidem).

7 “Quello che chiamo“ nuovo realismo” è infatti anzitutto la presa d’ atto diuna svolta. L’ esper ienza stor ica dei populismi mediatici, delle guer repost 11 settembre e della recente crisi economica ha por tatounapesantissima smentita di quelli che a mio avviso sono i due dogmi delpostmoder no: che tutta la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile, e che la ver ità sia una nozioneinutileperché la solidar ietà è più impor tante della oggettività. Le necessitàreali, le vite e le mor ti reali, che non soppor tano di essere ridotte ainter pretazione, hanno fatto valere i loro dir itti, confermando l’ ideache il realismo (così come il suo contrario) possieda delle implicazionenon semplicemente conoscitive, ma etiche e politiche” (Ibidem).

8 “(…) che par lava [ a obra de Lyotard] della fine delle ideologie, cioè diquelli che Lyotard chiamava i‘ grandi racconti’ : Iluminismo,Idealismo, Marxismo. Questi r acconti er ano logor i, non ci si credevapiù, avevano cessato di smuovere le coscienze e di giustificare il saperee la r icerca scientifica” (Ibidem, 3).

9 “(…) la sfiducia postmoder na nel progresso compor tava l’ adozionedell’ idea, che trova la sua espressione par adigmática in Nietzsche,secondo cui la ver ità può essere un male e l’ illusione un bene” (Ibidem,4).

10 “(…) il più delle volte animato da ammirevoli aspir azioni emancipative(…)” (Ibidem, 6).

11 “(…) ha beneficiato di un potente anche se in buona par te involontar iofiancheggiamento ideologico da par te del postmoder no” (Ibidem).

12 “(…) non si è vista la liber azione daí vincoli di una realtà troppomonolitica, compatta, perentor ia (…)” (Ibidem, 5).

13 “(…) un sistema nel quale (purché se ne abbia il potere) si può pretenderedi far credere qualsiasi cosa” (Ibidem, 6).

14 “(…) prendere sul ser io le teor ie sia indice di una for ma di dogmatismo, esi debba mantenere nei confronti delle propr ie affer mazioni un distaccoironico” (Ibidem, 7).

15 “(…) l’ idea che il desider io costituisca in quanto tale una for ma diemancipazione, poiché la r agione e l’ intelletto sono for me di dominio”(Ibidem).

16 “(…) non ci sono fatti, solo inter pretazioni, e il suo corollar io per cui lasolidar ietà amichevole deve prevalere sull’ oggettività indifferente eviolenta” (Ibidem).

17 “(…) transfor mandola in uma dottrina programaticamente par assitar ia,che rimeteva alla scienza ogni pretesa di ver ità e di realtà (…)”(Ibidem, 9).

18 “Rivoluzione tolemaica” (Ibidem, 10).

19 “(…) il postmoder no non è stato uma spazzatur a filosofica.È stata l’ esitodi una svolta cultur ale che coincide in buona par te con la moder nità,ossia il prevalere degli schemi concettuali sul mondo esterno” (Ibidem,11).

20 “(…) È in questo clima anti­ illuministico che (…) si attua l’ equivoco dipensator i di destr a che diventano ideologi della sinistr a (…). Il caso diHeidegger (…) è da questo punto di vista par adigmatico” (Ibidem, 13­14).

21 “(…) la cronaca dei populismi ha insegnato come sia possibile sviluppareuna politica contempor aneamente desider ante e reazionar ia” (Ibidem,16).

22 “Il sovr ano concede al popolo liber tà sessuale, e in cambio tiene per sénon solo la liber tà sessuale che ha concesso a tutti gli altr i, ma anchetutte le altre liber tà assunte come pr ivilegio esclusivo” (Ibidem, 17).

23 “(…) da spazio di discussione a spazio di manipolazione delle opinioni dapar te dei detentor i dei massa media” (Ibidem, 19).

24 “Viene revocata qualsiasi autor ità al reale, e al suo posto siimbandisceuna quasi­ realtà con for ti elementi favolistici (…)” (Ibidem, 24).

25 “(…) il mondo ha le sue leggi, e le fa r ispettare (…)” (Ibidem, 29).

26 “Inemendabilità” (Ibidem, 48).

27 “(…) il fatto che ciò che cista di fronte non può essere cor retto otr asfor mato attraver so il mero ricor so a schemi concettuali,diver samente da quanto avviene nell’ ipotesi del costr uzionismo”(Ibidem).

28 Fallacia dell’ essere­ sapere.

29 Fallacia dell’ accer tare­ accettare.

30 “(…) l’ inemendabilità come car attere ontologico fondamentale r isultacentr ale, propr io nella misur a in cui non indica un ordine nor mativo(…) ma semplicemente una linea di resistenza nei confronti dellefalsificazioni e delle negazione” (Ibidem, 66).

31Fallacia del sapere­ potere.

32 “Indubbiamente il sapere può essere animato da volontà di potenza (…). Da questo, per ò, non segue che si debba dubitare dei r isultati delsapere (…)” (Ibidem, 88).

33 “(…) realtà e ver ità siano sempre state la tutela dei debolicontro leprepotenze dei for ti” (Ibidem, 96).

34 “(…) in gener ale il regime nazista è l’ esempio macroscopico di una societàfor temente solidale al propr io inter no (…)” (Ibidem, 94).

35 “Credo che sia meglio tener fede a ciò che er a impor tante e vivonelpostmoder no, e cioè appunto la richiesta di emancipazione,che prendel’ avvio dall’ ideale di Socrate sul valore mor ale del sapere e si precisanel discor so di Kant sull’ Illuminismo–for se la più calunniata tr a lecategor ie del pensiero, e che mer ita una nuova voce nella scenaintellettuale contempor anea di fronte alle conseguenze della fallaciadel sapere­ potere” (Ibidem, 112).

36 “(…) prendere la via del mir acolo, del mistero e dell’ autor ità” (Ibidem,112).

Renato Railo Ribeiro – Bolsista de Mestrado (CAPES) do Programa de Pós­Graduação em Língua, Literatura e Cultura Italianas, Departamento de Letras Modernas da Faculdade de Filosofia Letras e Ciências Humanas da Universidade de São Paulo (DLM/ FFLCH/USP). Bacharel em Filosofia pela Universidade São Judas Tadeu (USJT) e em Biblioteconomia pela Escola de Comunicações e Artes da Universidade de São Paulo (ECA/ USP). E-mail: m@ilto: renatorailo@yahoo.it

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