Posts com a Tag ‘Didática da História’
Elementos de Didática da História | Alfredo Braga Furtado
Elementos de Didática da História, como o próprio título sugere, foi escrito por Alfredo Braga Furtado para subsidiar o trabalho docente dos estudantes de bacharelado e licenciatura em História e auxiliar na formação continuada dos profissionais da área. (p.47). Faz parte de uma extensa coleção do próprio Furtado, que abrange manuais do mesmo gênero (e com igual título) para diversas áreas, como a “Didática das Ciências Sociais”, “Didática das Engenharias”, “Didática do Turismo” e a “Didática da Psicologia.
Tal fertilidade em termos de manuais de ensino é explicada pelo autor em longo relato autobiográfico. Com graduação e mestrado na área da computação, foi no doutorado em Educação Matemática que Furtado despertou para a Pedagogia e a Didática, áreas nas quais atuou, ministrando disciplinas de “Estrutura e Funcionamento da Educação Básica”, “Didática Geral”. Depois de produzir os Elementos de Didática da Computação, encorajou-se a replicar o modelo nas outras áreas e literalmente submeteu o seu trabalho “à avaliação do leitor”, que é o que fazemos agora, principalmente em relação às duas áreas que tenho maior familiaridade: a licenciatura em história e as questões que envolvem o mundo digital e a educação. Leia Mais
Cuadernos de Heródoto | Víctor Gómez Muñiz
Cuadernos de Heródoto es un conjunto de espacios on line dedicados a la didáctica y difusión de la Historia, la Geografía y la Historia del Arte, disciplinas que constituyen el campo de acción docente del profesorado de Ciencias Sociales en la enseñanza secundaria Está compuesto de una web (cuadernosdeherodoto.com), un canal de Youtube (Cuadernos de Heródoto) y perfiles en Facebook (Cuadernos de Heródoto), Twitter (@CdeHerodoto), Instagram (@cuadernos.de.herodoto) y Tiktok (@cuadernosdeherodoto), aunque esta última cuenta no aparece vinculada desde la web y parece tener carácter más personal. El motivo de reseñarlo de forma conjunta es su carácter complementario para la docencia, al facilitar tanto herramientas y recursos de apoyo a la docencia como con distintas actividades a realizar con y por el alumnado. Leia Mais
Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo – DAVIS (BC)
DAVIS, Natalie Zemon. Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo. Bari: Laterza, 1996. 372p. Resenha de: COCILOVO, Cristina. Il Bollettino di Clio, n.9, p.70-72, feb., 2018.
Tre donne introdotte da un’intervista impossibile, che le costringe a prender vita in un libro e a confrontarsi, loro così lontane nella religione (rispettivamente ebraica, cattolica, luterana). Ma al dunque, grazie alla caparbietà dell’autrice Natalie Zemon Davis, riescono nella simulazione a trovare il fondamento della loro identità comune: l’affermazione della loro autonomia, del loro talento, della loro intraprendenza. Eccezionale per un’epoca caratterizzata dal “silenzio” delle donne, dall’assenza di loro tracce, nella ricostruzione selettiva della storiografia ufficiale.
Glikl Bas Yehudah Leib, ebrea askenazita cioè di origine tedesca, a differenza delle altre donne del suo tempo non disdegna il lavoro. Nonostante una numerosa famiglia, collabora con l’attività dell’amato marito, commerciante di gioielli e prestatore di denaro, che a seconda del momento può portare a vistosi arricchimenti come a repentine rovine. Glikl non dà al denaro valore in sé. Non desidera vivere nel lusso. Come la maggior parte degli ebrei abita in una casa d’affitto, non potendo per legge possedere proprietà. Per lei il valore assoluto è l’onore, l’essere considerata degna di rispetto, lei come la sua famiglia. Sappiamo tutto questo da una autobiografia articolata in ben sette libri, in cui Glikl alterna la narrazione della sua vita a vere e proprie parabole, che hanno lo scopo di far comprendere i valori positivi della solidarietà, dell’amore, il senso della sofferenza. Una donna di grande cultura teologica e tecnico – commerciale, rispettata per la sua acutezza nel gestire questioni finanziarie e insieme profondamente religiosa e giusta. Sebbene lei e la sua famiglia abbiano talvolta subito le conseguenze di persecuzioni antiebraiche, che li costringono a trasferimenti forzati, accetta la sofferenza, mai si ribella a Dio che muto e immobile non interviene. Semmai lo interroga e con rassegnata accettazione e cerca di ricominciare ex novo.
Marie de l’Incarnation, se si può considerare per il nostro tempo personaggio singolare, per non dire psichicamente disturbato, è invece perfettamente inquadrabile nell’epoca della Controriforma. Ispirata fin da giovane dalla vocazione divina, trascorre la vita secondo due passioni apparentemente poco conciliabili: un forte trasporto per la vita mistica e una spiccata capacità organizzativa del quotidiano. Divenuta vedova precocemente, percepisce il potente richiamo del misticismo come altre “sante” dell’epoca, che trasfigurano in estasi religiosa le pulsioni del proprio corpo, ma nel contempo gestisce con molta maestria, quasi con piglio imprenditoriale, l’azienda commerciale della sorella e del cognato, che la ospitano insieme al figlioletto. Per il resto della sua vita vivrà questa difficile dicotomia. A circa trent’anni decide di prendere i voti come suor Orsolina, separandosi dal figlio adolescente e disperato. Vive in clausura, mortificando con sofferenze fisiche il suo corpo secondo l’esempio di Teresa d’Avila, finché non ha l’occasione di poter educare al pensiero cristiano i “selvaggi” del Nuovo Mondo. Si trasferisce in Canada, dove lavora con efficientismo invidiabile nelle difficili condizioni di una Missione delle suore Orsoline. Qui lei, che rifiutava il suo corpo, si accosta alla corporeità degli altri e tocca, cura, pulisce, insegna, impara le lingue locali, converte indios in un’opera pastorale a tutto campo. Soprattutto ha una ultra decennale corrispondenza con il figlio Claude, che a sua volta aveva preso i voti, e scrive testi religiosi per le genti locali nella loro lingua e scrive anche la sua autobiografia. Il figlio raccoglierà con devozione gli scritti della madre, ma li correggerà adattandone il linguaggio ingenuo allo stile sospettoso della Chiesa dell’epoca, per pubblicarli in un’opera postuma, “Vie”, dove però non inserisce gli scritti teologici di Marie in lingua irochese, algonchina e urone, utilizzati nella sua azione pastorale in Quebec.
Nonostante gli attacchi di misticismo e autoflagellazione, Marie ha un aspetto che la avvicina alla nostra sensibilità, per la relazione che ha creato con i “selvaggi”. Il suo scopo non è quello di emarginarli, ma di includerli nel mondo dei cristiani, in una visione universalistica, secondo cui non esiste differenza fra esseri umani, se questi abbracciano la parola di Cristo. Marie, mentre cerca di convertirli, educa gli indios al rispetto dell’igiene, della lettura e della scrittura. Qualora essi fuggano per l’innato desiderio di libertà di vivere nella natura, lontano da un convento di clausura, Marie li comprende e li perdona, riscoprendo il ruolo di madre generosa, che non aveva saputo assumere con il figlio al momento dell’abbandono.
Maria Sibylla Merian, luterana, originaria di Francoforte, figlia d’arte di un famoso incisore, non visse una vita familiare e borghese, come le sue condizioni le consentivano, allineandosi così alle stranezze delle altre due donne del libro. Si trasferì nel corso della vita in diversi luoghi, in seguito a scelte di vita radicali. La sua vita si potrebbe definire una metamorfosi, mimando il titolo della sua opera più famosa “Metamorfosi degli insetti del Suriname”, una raccolta di incisioni artistico-scientifiche che rappresentano la stupefacente natura tropicale. Acquisita fin da giovane una certa notorietà, grazie al suo talento di incisore1, diventa famosa dopo la pubblicazione nel 1679 del libro in due volumi “I bruchi. Le meravigliose metamorfosi dei bruchi“, in cui affianca a un centinaio di splendide incisioni di bruchi e insetti, descrizioni basate sulle sensazioni soggettive provate nell’osservazione degli aspetti naturali. Nell’organizzazione dei libri, rifiutò ogni criterio classificatorio, ritenendolo inadeguato. Non seleziona i viventi distinguendoli in catalogazioni di piante, bruchi e insetti; la sua osservazione ruota attorno a una foglia di cui si nutrono simultaneamente bruchi ed altri insetti, mentre le crisalidi si trasformano in farfalle. Evidenzia la vitalità delle relazioni fra gli esseri di un medesimo habitat. Tuttavia la sua visione della natura è profondamente religiosa, perché vi individua la straordinaria onnipotenza divina.
Morto il padre, probabilmente in crisi con il marito, si separa e sceglie di andare a vivere con le due figlie in Frisia, presso la comunità luterana dei Labadisti, che praticavano una fratellanza mistica. Qui rinuncia a ogni bene terreno e tronca le relazioni con l’esterno. Dopo pochi anni vissuti come cristallizzati in quella realtà, ecco la metamorfosi di Maria. L’eccessiva mortificazione, il distacco dalle cose del mondo e della natura, persino il ripudio del suo orgoglio di creatrice di oggetti artistici la spingono a un nuovo cambiamento.
Abbandona la comunità e si trasferisce ad Amsterdam per ricostruire la vita sua e delle figlie, ritornando all’arte incisoria, intraprendendo la strada dell’insegnamento e costruendosi una solida vita borghese, in piena autonomia di scelte anche economiche. Grazie poi al genero, che commercia con le colonie del Suriname, incuriosita dalla ricchezza di vita di quei luoghi, vi si trasferisce per due anni con la figlia minore.
In seguito a quella esperienza, pubblicò la sua opera più originale “Metamorfosi”, in cui riaffermò la sua visione della natura come un insieme di relazioni dinamiche tra viventi, che mutano nel tempo e a seconda del luogo in cui si realizzano. Consultò, senza i pregiudizi coloniali del tempo, indios e schiavi neri, che le diedero preziose indicazioni sulle caratteristiche di piante e animali del luogo, oltre alle loro abitudini di vita. Informazioni che riportò nel libro, anticipando aspetti delle attuali ecologia e antropologia. Tornata in patria, ottenne fama e riconoscimenti.
Che cosa hanno in comune queste tre donne così diverse tra loro, vissute in un periodo storico che condannava al silenzio le figure femminili? La cultura innanzitutto. Tutte e tre abitanti di città hanno realizzato importanti opere nel loro campo specifico con una cultura libera da schemi. Tutte e tre hanno superato radicali cambiamenti, hanno impostato un rapporto profondo con la divinità che prospettava una vita migliore, per superarla e trovare riscatto nel lavoro. Tutte e tre erano esperte contabili, avevano indubbio talento per gli aspetti organizzativi del lavoro e non mancavano di spirito d’avventura.
Ma vivevano ai margini. In che senso? Perché lontane dal potere politico ed economico, perché la loro era una cultura da autodidatta, non costruita nelle accademie. Grazie alla loro intraprendenza riuscirono però a dare significato originale alle loro opere.
Cosa ci resta di loro? L’autobiografia di Glikl ebbe diverse edizioni e una certa diffusione nel mondo ebraico, finché non fu dichiarato libro “velenoso” dal nazismo. Fortunatamente l’autrice ne ha ritrovato una copia alla biblioteca di Berlino.
Le opere in lingua algonchina, irochese e urone di Marie forse andarono disperse dai missionari che si avventurarono all’ovest. Invece è rimasto come testo di riferimento per le Orsoline la sua “Vie” curata dal figlio.
Maria Sibylla ebbe più fortuna. Le sue opere vennero utilizzate e citate da Linneo e la sua raccolta postuma di incisioni fu acquistata da Pietro il grande. Oggi fa bella mostra di sé nella Kunstkammer dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, mentre il suo libro delle Metamorfosi è considerato patrimonio nazionale dal Suriname.
Le storie ritrovate delle tre donne potrebbero rientrare nella storia scolastica per ricostruire quadri d’insieme: la vita di ebrei askenaziti in Germania, il rapporto contorto con la religione controriformista di sante in estasi mistica, le relazioni contraddittorie con le genti del Nuovo Mondo, la faticosa affermazione del metodo d’osservazione scientifica.
Per gli studenti il libro costituisce probabilmente una lettura impegnativa, ma in un laboratorio storico di 17/18enni può essere interessante delineare temi come quelli accennati attraverso la costruzione di tre biografie femminili. Potrebbe diventare un’operazione capace di dare una luce diversa a queste tematiche e insieme di valorizzare i contributi ignorati di tre grandi donne del passato.
[Notas]1 Significativo che in italiano non esista la versione femminile del termine incisore.
Cristina Cocilovo
[IF]Didáticas da História – entre filósofos e historiadores (1690-1907) | Itamar Freitas
Itamar Freitas (2015) não se furta a dar resposta à questão motivadora e espinal desta obra, mesmo que a faça com certa dose de anacronismo, como alerta durante o texto. Aliás, o que poderia representar para muitos historiadores como uma falha estrutural na urdidura da sua hipótese, levando ao esfacelamento e descrédito dos argumentos, Freitas vale-se do “bicho papão” dos historiadores, o anacronismo, para construir uma interpretação ousada e coerente para questão: “o que é pensar historicamente em…?”. O autor indaga a questão a cinco filósofos e historiadores que entre os séculos XVIII e XX, trataram de alguma forma dos usos da história na formação de pessoas em uma duração conjuntural.
O historiador nos informa que a opção por autores com vivência na Alemanha, França, Espanha, Estados Unidos e Inglaterra está justificada pelos nos nossos modos de ensinar história, que estiveram ancorados em epistemologias de fundo dominantemente empirista (nos casos de J. Lock e F. Herbart) e empirista/evolucionista (J. Dewey), panorama esse, que somente se alteraria no início do século XX, momento em que tais suportes são, em parte, substituídos por uma epistemologia histórica, ainda empirista, embora não positivista (R. Altamira e C.-V. Seignobos). Leia Mais
Faire apprendre l’histoire: pratiques et fondements d’une didactique de l’enquête en classe secondaire – JADOULLE (DH)
JADOULLE, Jean-Louis. Faire apprendre l’histoire: pratiques et fondements d’une didactique de l’enquête en classe secondaire. Resenha de: NICOD, Michel. Didactica Historica – Revue Suisse pour l’Enseignement de l’Histoire, Neuchâtel, v.2, p.159-160, 2016.
Comment enseigner l’histoire en 2016, avec quelle méthode ? Quelles démarches ? Et sur quels fondements ? Plusieurs chercheurs s’efforcent de répondre à ces questions depuis plus de 25 ans. Un ouvrage remarquable de Jean-Louis Jadoulle met en valeur une synthèse qui couronne ces travaux sur la didactique d’histoire.
Son livre se destine, en premier lieu, aux didacticiens et aux enseignants formateurs, puis aux enseignants en histoire, qui profiteront d’une table des matières développée, d’une écriture soignée au service d’une analyse pointue des différents objets sur lesquels repose, depuis 20 ans, la didactique en histoire.
À cette maîtrise fine de la didactique, Jadoulle ajoute son expérience personnelle en Belgique, tant par son enseignement universitaire, l’édition de deux collections de manuels d’histoire que par des enquêtes menées sur les pratiques enseignantes.
Dès lors, l’ambition de son ouvrage est annoncée dès sa première page ; proposer une « mise au point théorique », brève, puis des « pistes d’action opérationnelles », détaillées, illustrées d’exemples de travaux d’élèves, d’enseignants en formation et de plans d’études. L’auteur y relève la tension existant entre les travaux de recherche et les programmes scolaires. Ces tensions relèvent des questions fondamentales telles que: les attentes sociales face à la matière à enseigner aux élèves ; l’ouverture aux autres cultures, la question de l’identité, celle de la transmission du patrimoine aux jeunes générations…
Pour illustrer ses propos, Jadoulle défend et expose la démarche d’enseignement de l’histoire basé sur l’enquête historique à laquelle l’élève est invité à s’exercer. Ainsi, cette pratique permet à l’élève un réel exercice d’acquisition de compétences. Il devient l’acteur de ses apprentissages, alors même que, selon l’auteur, les pratiques de nombreux enseignants persistent selon le modèle transmissif1.
Pratique dont la subsistance peut être complémentaire au modèle d’une didactique de l’enquête.
Précisons que les attentes de l’auteur envers les enseignants sont élevées:
- Une connaissance affinée des ressources documentaires pour disposer de textes riches, complexes, mais accessibles à la compréhension des élèves.
- Une planification fine quant à l’élaboration des tâches à demander aux élèves leur permettant de développer la compétence visée par l’enseignant.
Pour ce faire, l’auteur structure sa réflexion en trois parties:
- Dans la première, il définit les objets de l’histoire enseignée tels que l’identification des acteurs, les causes et les conséquences des faits historiques…
- Dans la seconde, la plus développée, il détaille les objets et les étapes nécessaires pour l’élaboration d’une séquence d’histoire. Il insiste sur la mise en place de la phase de démarrage de la séquence, sur la place des concepts, sur la temporalité, sur les compétences, et finalement sur l’évaluation. Dès lors, l’évaluation des compétences de l’élève doit être le corollaire de la démarche d’enquête suivie pendant les cours.
En effet, l’auteur accorde une large place à la notion de compétence – 70 pages sur 400 – dans lesquelles il défend une optique « situationnelle ». Il propose ainsi de concevoir une « famille de situations » aux caractéristiques semblables dans lesquelles la compétence de l’élève peut s’exercer. Le choix de cette « famille de situations » permet aux enseignants des évaluations comparables des compétences des élèves. Or, cette pratique pourrait restreindre, en soi, la liberté des enseignants et susciter leurs réserves.
- Et finalement, la troisième partie est consacrée aux finalités, aux fondements épistémologiques et éducatifs de l’enseignement de l’histoire où la « didactique de l’enquête » trouve sa justification dans la démarche des historiens. L’auteur s’appuie ici sur les travaux des historiens, notamment P. Veyne, M. Certeau, H.-I. Marrou et A. Prost.
L’ouvrage remarquable de Jadoulle se distingue par sa qualité d’analyse des sujets abordés, n’esquivant aucun des débats et des difficultés soulevés par la tension existante entre les chercheurs, les enseignants et les attentes de la société. Simples d’accès pour le lecteur et structurés dans leur déroulement, les chapitres comportent de nombreux schémas, extraits de plans d’études, et travaux d’élèves ou préparations des leçons par les enseignants. Par ailleurs, de nombreuses synthèses avec présentations des controverses ponctuent les chapitres et éveillent le plaisir du lecteur.
Jadoulle invite son lecteur à partager le fruit de ses réflexions par une pensée aiguisée, colorée de rencontres à l’occasion d’enquêtes menées et d’échanges riches avec les enseignants, en ayant le souci d’outiller les élèves et les enseignants face aux attentes actuelles et futures de notre société.
[NotaS]1 Modèle « transmissif » signifie que l’élève reçoit passivement le savoir émis par l’enseignant.174 | Didactica Historica 2 / 2016
Jean-Louis Jadoulle – Professeur à l’Université de Liège, est directeur de plusieurs collections de manuels scolaires d’histoire et auteur de nombreux articles en didactique de l’histoire.
[IF]Didattica della storia. Manuale per la formazione degli insegnanti – PANCIERA; ZANNINI (DH)
PANCIERA, Walter; ZANNINI, Andrea. Didattica della storia. Manuale per la formazione degli insegnanti (1). Firenze: Le Monnier Università, 2006/2013, p. I-VIII, 1-232. Resenha de: FRIGERI, Alessandro. Didactica Historica – Revue Suisse pour l’Enseignement de l’Histoire, Neuchâtel, v.2, p.171-172, 2016.
In Italia, tra la fine degli anni Novanta e la fine degli anni Duemila, vennero istituite le SSIS (Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario), che per dieci anni risultarono essere il principale canale di formazione e reclutamento degli insegnanti. In alcune università, attorno alle SSIS, si creò un clima favorevole alla sperimentazione didattica e, in quel quadro, venne rilanciata la riflessione sulle didattiche disciplinari, che nel Paese vantava una significativa tradizione, perlomeno nell’ambito dell’insegnamento dell’italiano e delle scienze umane. Di quell’esperienza – chiusasi senza che le SSIS siano state sostituite da enti di formazione paragonabili e finita dunque con l’affievolirsi delle iniziative volte a valorizzare il tema della mediazione didattica nell’insegnamento – oggi rimangono, per quanto riguarda la storia, alcune importanti tracce: tra queste, degno di nota è sicuramente il manuale scritto da Walter Panciera e Andrea Zannini, docenti presso le università di Padova e di Udine, giunto ormai alla sua terza edizione1.
Il libro ha riscontrato un interesse tra insegnanti e specialisti difficilmente ascrivibile al solo fatto che attualmente è uno dei pochi strumenti di questo tipo presenti sul mercato italiano (non l’unico, d’altronde). A nostro giudizio, vi sono altre due sue precipue caratteristiche che ne spiegano almeno in parte la buona diffusione.
La prima riguarda il suo esplicito taglio manualistico, cioè il fatto che dietro all’opera vi è il dichiarato intento di proporre un testo capace di offrire ai lettori un insieme coerente e completo di informazioni considerate imprescindibili nella formazione iniziale dell’insegnante di storia. In meno di 250 pagine vengono affrontate questioni assai diverse tra loro: si richiamano le peculiarità epistemologiche della disciplina, il metodo in uso tra gli storici, le principali tappe della storia della storiografia; si sintetizzano i principali vincoli della normativa italiana; si ricordano infine i cambiamenti vissuti negli ultimi decenni dalle forme e dagli strumenti della didattica della storia, non omettendo di parlare dell’apporto vieppiù importante delle nuove tecnologie. Si tratta di un’impostazione che ha costretto gli autori a uno sforzo di sintesi notevole, che in alcuni passaggi può non soddisfare pienamente colui che cerca l’approfondimento di questioni qui solo accennate, ma che non può non dirsi riuscito. L’insegnante di storia – che in Italia sovente ha alle spalle una formazione filosofica o letteraria, cioè non specificatamente storica – troverà infatti in questo libro riferimenti a tutto ciò che dovrebbe comporre il suo bagaglio di conoscenze didattiche fondamentali. Egli potrà successivamente, orientato dalle ricche e curate note bibliografiche inserite alla fine di ogni capitolo, intraprendere quei percorsi di sviluppo professionale che, per loro stessa natura, non possono certo basarsi sulla sola lettura di testi manualistici.
Per quanto concerne l’altro ipotizzabile motivo del relativo successo del libro, va a nostro avviso segnalato il fatto che esso fa il punto del dibattito italiano sulla didattica della storia e sulle relative pratiche d’aula con un equilibrio non scontato. In Italia, come altrove, è presente da tempo tra gli “addetti ai lavori” un confronto, fatto di consensi ma anche di divergenze, attorno a modi e finalità dell’insegnamento della storia. Numerosi sono gli argomenti su cui si è sviluppata tale controversia: sull’utilità dei manuali scolastici, sull’apporto che la world history potrebbe dare alla ridefinizione dei contenuti dell’insegnamento, sulla cosiddetta didattica modulare (approccio che propone di non basare più la programmazione didattica sul solo principio cronologico-sequenziale) o sul nodo dell’insegnamento per competenze, solo per fare qualche esempio. Troppo spesso tali diatribe sono state sbrigativamente presentate come uno scontro tra innovatori e fautori della tradizione: Panciera e Zannini non lo fanno. Certo, non si esimono dal toccare molti di questi temi delicati, ma problematizzando le questioni, presentando le diverse posizioni in campo, evitando di aderire acriticamente alle mode passeggere: un approccio che, tra gli insegnanti, è facilmente apprezzato.
[Notas](1) Delle numerose pubblicazioni che rendono conto di quella stagione dal punto di vista della didattica della storia vanno citate almeno anche: Greco Gaetano e Mirizio Achille, Una palestra per Clio. Insegnare ad insegnare la storia nella scuola secondaria, Torino: UTET, 2008, che – al pari del libro qui recensito – ambisce a presentarsi come un vero e proprio manuale di didattica della storia, e Bernardi Paolo (a cura di), Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio, Torino: UTET, 2006, 20122, che sembra essere stato apprezzato a sua volta dal corpo insegnanti. Non si possono inoltre mancare di ricordare i pochi ma pregevoli numeri della rivista Mundus (2008-2010), diretta da Antonio Brusa, e l’instancabile attività dell’associazione Clio ‘92, presieduta da Ivo Mattozzi.172 | Didactica Historica 2 / 2016
Alessandro Frigeri – Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.
[IF]Didactica Historica | GDH/DGGD | 2015
Didactica Historica. Revue suisse pour l’enseignement de l’histoire (2015-) est une revue accordant une place importante aux pratiques et aux ressources consacrées à l’enseignement de l’histoire. Elle a été créée par le Groupe d’étude de didactique de l’histoire de la Suisse romande et italienne (GDH) et par la Deutschschweizerische Gesellschaft für Geschichtdidaktik (DGGD).
Elle succède au Cartable de Clio, publié depuis 2001. Le changement de nom correspond à un changement de formule : depuis 2015, Didactica Historica se lit dans un grand format illustré et en couleur, avec une édition en ligne prolongeant l’édition papier. La parution est annuelle
Vous trouverez sur le site les contributions de tous les numéros précédents (à l’exception du numéro de l’année en cours) avec les contributions en ligne (suppléments). Le site fournit également des informations sur la manière de soumettre des contributions (feuille de style, délais et processus de publication et de révision) ainsi que sur la politique de commande et de libre accès.
Pour plus d’informations, nous vous renvoyons au site de notre partenaire, la maison d’édition Alphil: www.alphil.ch/
[Periodicidade anual]ISSN : 2297-7465
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Aprendizagem histórica: fundamentos e paradigmas | Jörn Rüsen
A obra de Jörn Rüsen (1938 –) tem sido bem divulgada entre as ciências humanas no Brasil, sobretudo em função dos esforços concentrados de alguns grupos de pesquisa, em teoria da história e historiografia ou na área de educação histórica, por meio de seus periódicos; entre eles, esta Revista de Teoria da História (UFG). A maneira como o autor tem sido recepcionado entre nós pelo público universitário, isto é outra questão. É fora de dúvida, todavia, que encontram-se entre nós pesquisadores muito bem equipados e habilitados para uma avaliação apurada das contribuições de Rüsen e da aplicabilidade de suas teorias à historiografia ou à didática da história. Para uma análise detida de sua Historik, aprendemos com eles que há que se considerar as discussões da historiografia alemã pós-guerra e, igualmente, os debates teóricos e epistemológicos nas ciências humanas desde o XIX – ou antes, desde a filosofia das luzes – até a atualidade. Além disso, o contexto de europeização e história global, assim como algumas questões políticas, tais quais a alteridade, os direitos do homem e o meio ambiente, próprias do humanismo contemporâneo. Notem-se bem, por fim, a amplitude e a impressionante coerência interna de seu projeto e a filosofia da história subjacente, mantenedora de uma compreensão otimista do mundo. Leia Mais
Didáctica de la Historia y multimedia expositiva – TREPAT; RIVERO (D-HHT)
TREPAT, C; RIVERO, P. Didáctica de la Historia y multimedia expositiva. Barcelona: Graò, 2010. Resenha de: ETXWBERRÍA, Ibánez. Clío – History and History Teaching, Zaragoza, n.36, 2010.
El libro presenta una propuesta de preparación y utilización de presentaciones realizadas con powerpoint o impress para las clases de Historia en ESO y Bachillerato. Esta propuesta se considera didácticamente efectiva por dos motivos fundamentales. El primero, porque el modelo de organización de la información que se presenta, se basa en los estudios experimentales que desde universidades norteamericanas han llevado a desarrollar la teoría cognitiva del aprendizaje multimedia, cuyo máximo exponente es el profesor R. E. Mayer de la Universidad de Cambridge. El segundo, porque los dos autores plantean la propuesta respaldados por investigaciones experimentales que ellos mismos han dirigido, aplicando el modelo a presentaciones en las que se han tenido en cuenta los problemas de aprendizaje asociados a esta disciplina, la naturaleza variada de las fuentes de información histórica y la relevancia en la enseñanza del trabajo procedimental que lleva asociada la materia. En el estudio, han participado 1075 alumnos y 39 profesores, pertenecientes a 25 centros diferentes de las comunidades autónomas de Aragón y Cataluña, a lo largo del periodo 2004-2009 y desde primero de ESO a Bachillerato. Por tanto, la propuesta para el aula y las conclusiones que se presentan en el estudio, cuentan con el apoyo de un trabajo de campo riguroso, y el aval del grupo de investigación DHIGECS de la Universitat de Barcelona.
La publicación se estructura en cuatro partes. La primera explica los principios básicos de la teoría cognitiva del aprendizaje multimedia, seleccionando aquellos que pueden ser aplicados a las presentaciones realizadas con powerpoint o impress, incluyendo una serie de criterios de calidad para cuya definición se ha contado con la opinión de docentes de enseñanza secundaria entrevistados a lo largo de la investigación. La segunda parte, constituye un manual práctico para el profesorado de enseñanza secundaria para diseñar sus presentaciones multimedia, de manera que resulten efectivas para mejorar la comprensión y retención de la información histórica.
Su lectura, debe ir acompañada de la consulta del aparato gráfico que compone la cuarta parte del libro. Ambos bloques conforman uno solo, separado en la publicación posiblemente para simplificar la edición, pero es la lectura conjunta de ambos, lo que proporciona una visión clara del método propuesto. La tercera parte, presenta los resultados obtenidos por los autores al aplicar este método en esos 25 centros escolares, lo cual resulta de sumo interés para abordar la tarea desde una perspectiva realista, teniendo en cuenta lo que ha sucedido en la experimentación.
El libro no presenta una innovación de software de trabajo, sino que su valor, es su propuesta de utilización adecuada a la especificidad de la enseñanza de la Historia. También es un valor recurrente, la posibilidad de llevarla a cabo sin grandes conocimientos técnicos y sin recurrir a programas informáticos complejos o escasamente conocidos, lo que redunda en la autonomía y autoconfianza del profesorado, destinatario último de este libro. Finalmente, las afirmaciones sobre la mejora en el aprendizaje, se basan en experiencias piloto reales, con alumnos reales y herramientas de recogida de información rigurosas (entrevistas, cuaderno de aula, cuestionarios, grupos de discusión), y no en reflexiones teóricas realizadas desde el despacho, lo cual permite a los autores realizar una propuesta sólida, práctica y comprensible, que sin duda debe ser de gran interés para el profesorado en ejercicio.
Referencia
Cristòfol A. Trepat y María Pilar Rivero / Título: Didáctica de la historia y multimedia expositiva / Editorial: Graò / Lugar de Edición: Barcelona / Fecha de edición: septiembre de 2010 / ISBN: 987-84-7827-963-0 / DL: B-31377-2010 /Número de páginas: 153.
Alex Ibáñez Etxeberría – Universidad del País Vasco. E-mail: alex.ibanez@ehu.es
[IF]La transmission de l’histoire – MESSMER (CC)
MESSMER, Kur. La transmission de l’histoire. Irène Hermann ; Jonas Römer (Hg.), vol. 32, 2/2004, pp. 130-138. Resenha de: BUGNARD, Pierre-Philippe. Le cartable de Clio – Revue romande et tessinoise sur les didactiques de l’histoire, Lausanne, n.4, p.300-303, 2004.
Dans la dernière livraison de Traverse consacrée à la transmission de l’histoire (voir la table des matières ci-dessous), Kurt Messmer, didacticien de l’histoire au « Pädagogisches Zentrum » de Lucerne, propose une très intéressante réflexion sur ce qu’il appelle un Röstigraben de la didactique de l’histoire… qui n’aurait en fait aucune raison d’exister.
Je résume d’abord l’article de façon très libre. La Suisse alémanique compte essentiellement sur son grand frère du nord, non seulement pour ses manuels d’histoire du secondaire II mais aussi pour ses quatre revues de didactique de l’histoire. Le problème c’est que dans les revues allemandes, en ce qui concerne l’histoire helvétique, il n’est fait allusion qu’à des questions secondaires. Dès lors, la seule révolution libérale qui n’est pas traitée dans les cahiers spéciaux de l’année anniversaire 1998 par exemple, c’est celle de l’Etat fédéral de 1848 ! La faute en incombe aux historiens et didacticiens suisses, tant de la partie alémanique que de la partie latine. Car il existe bien un Röstigraben de la didactique de l’histoire. L’exemple le plus flagrant est celui du canton de Fribourg qui cultive deux concepts, un pour chacune de ses parties linguistiques, la partie alémanique travaillant de concert avec les six cantons du Sonderbund emmenés par Lucerne, césure qui justement remonte, encore une fois, à 1848 (1845). Pourtant, de chaque côté de la Sarine, par-dessus ce fossé, on reste uni. La Suisse des enseignants d’histoire est bien coupée en deux, sans compter une sorte de Chiantigraben avec la Suisse italophone ! Or depuis bientôt trente ans se tiennent autour d’un Bodenseekreis des Journées de didactique de l’histoire avec une orientation internationale mais suivies presque exclusivement par des participants en provenance des régions d’expression allemande de l’Europe. Et si l’on sonde la production courante de didactique de l’histoire en Allemagne, on s’apercevra que les travaux issus de la sphère d’expression française y sont ignorés. Kurt Messmer ne cherche en aucune manière à jeter la pierre aux autres et se remet aussi en question. Il voit cependant un nouvel exemple de l’érection de la frontière des langues en barrière dans la création du Cartable de Clio, traduit en un joli « Der Schulsack der Frau Clio », revue au sein de laquelle pratiquement tout est axé sur des contributions en français ou traduites de l’italien.
Au sein du relativement mauvais classement de la Suisse dans le domaine de l’éducation à la citoyenneté en comparaison internationale, les régions française et italienne fournissent de meilleurs scores que la partie allemande, et la vente des premiers tomes du DHS marche mieux en Suisse romande qu’en Suisse allemande. Qui s’étonnera dès lors qu’une revue comme Le Cartable de Clio démarre en Romandie? La revue est animée par un bureau de quatre historiens didacticiens et elle bénéficie d’un réseau international de correspondants mais dont aucun ne provient des mondes germanique ou anglo-saxon.
Et ce qui frappe particulièrement Kurt Messmer, c’est l’appel de la revue aux historiens universitaires pour qu’ils se préoccupent des usages publics de l’histoire et de la transmission de la discipline, notamment dans l’enseignement, sachant que s’il y a une nouvelle éducation et une nouvelle histoire, une nouvelle didactique de l’histoire peine à émerger. Justement, bien des historiens se sentent plus que jamais sollicités pour descendre de la tour d’ivoire des recherches savantes et apporter leur contribution à la compréhension du passé jusque dans la société, rappelle Messmer. Les sciences historiques ne se dénigreraient nullement en poursuivant une telle finalité. Ce serait plutôt une occasion de démontrer leur efficacité, en toute indépendance.
Suit la présentation des sept rubriques de la revue, ainsi que de l’approche compréhensive et structurelle en neuf propositions affichées dans le numéro 1, une approche jugée en phase avec celle préconisée également dans l’espace allemand, approche que revendiquait d’ailleurs déjà le didacticien allemand Ebeling… en 1965 (pour le primaire?) ! Dans le monde germanique, on parle maintenant de deux compétences clés. Celle de la reconstruction: à partir des matériaux bruts et en usant de méthodes de travail spécifiques à l’histoire, les élèves peuvent se mettre à donner sens à une histoire qu’ils construisent en autonomie. Inversement, par une déconstruction à partir d’une histoire rationnelle, les élèves peuvent développer leur capacité à l’analyse, une capacité à la déconstruction d’autant plus précieuse que, une fois leur cursus scolaire achevé, ils n’auront plus d’autre alternative que d’être confrontés à une histoire « finie ». La rédaction du Cartable de Clio a donc opté, poursuit Messmer, pour une approche recouvrant les deux conceptions. Ainsi, permettre aux élèves d’entrer dans les grandes questions à différents niveaux, selon la formulation du Cartable de Clio, recoupe tout à fait les préoccupations du projet international de recherche FUER Geschichtsbewusstsein (Förderung und Entwicklung von reflektiertem und -selbst-reflexivem Geschichtsbewusstsein).
Et Kurt Messmer de se réjouir que les principes affichés par Le cartable soient ensuite réellement transposés. En particulier dans la livraison de 2002 avec cinq contributions jugées « stimulantes », dont un exemple particulièrement « convaincant » pour l’approche de déconstruction, en ce sens qu’il fournit aux élèves les versions contrastées en provenance des sept collections suisses de manuels d’histoire (donc y compris alémaniques) sur la question des relations de la Suisse avec le IIIe Reich durant le Second conflit mondial. Mais la formule d’une nouvelle histoire enseignée n’est-elle pas dépassée? Certains historiens sont devenus prudents avec l’acception « nouvelle » qu’ils associent au mouvement de 68 (en fait, la nouvelle histoire, pour l’école française, remonte au moins aux années 1940). Messmer présente alors les caractéristiques d’une histoire enseignée plus concrète et plus globale, à l’occasion d’un tournant sans doute moins marquant que celui des années 1970 mais qui se laisse maîtriser. « Chapeau » au Cartable de Clio, conclut Kurt Messmer, qui constate que les questions de didactique se posent finalement de la même manière de chaque côté du Röstigraben et qu’en fait les Suisses latine et alémanique poursuivent des buts analogues. Et de lancer en français un appel à la coopération du Léman au Bodensee et de Bâle à Lugano! L’article mérite un prolongement.
L’analyse de Kurt Messmer réjouira les enseignants romands et tessinois. L’hommage qu’il rend au Cartable en montrant que l’initiative d’une revue de didactique de l’histoire en Suisse revient aux Latins sera apprécié à sa juste valeur. Nous nous rendons compte à notre tour combien nous fonctionnons, à notre façon, de la même manière… sans le savoir. La Romandie aussi est tournée vers son grand frère (de l’ouest) qui lui fournit pour le secondaire II les manuels qu’elle ne produit pas et qui lui propose les revues de didactique de l’histoire qu’elle ne… rédigeait pas, tout comme l’Allemagne pour la Suisse alémanique. A cela près que la France ne produit qu’une seule revue de didactique de l’histoire (celle, prolixe, de la puissante association des professeurs d’Histoire-Géographie, mais qui est plutôt une revue d’histoire tout court), si l’on fait exception des nombreuses publications spécifiques des centres de recherche en didactique rattachés aux IUFM ou à l’INRP. Et il en va de même pour la Suisse italienne.
En ce qui concerne le Bodenseekreis également, les didacticiens de la Suisse française participent aux Journées d’histoire de Blois (où Le cartable de Clio tient un stand et un forum), ainsi qu’aux Journées françaises des didactiques de l’Histoire-Géograhie. Des terreaux précieux pour la réflexion disciplinaire ou didactique, journées auxquelles les participants affluent quasi exclusivement de la francophonie.
En fait, si le Cartable a lancé l’idée d’une nouvelle didactique de l’histoire, c’est bien parce qu’à l’origine, la revue dépendant d’un groupe d’étude des didactiques de l’histoire affilié au WBZ/CPS de Lucerne, donc centré sur le secondaire II, il apparaissait assez clairement que dans les établissements préparant à la maturité, la didactique avait relativement moins renouvelé les pratiques qu’aux autres niveaux d’enseignement.
Finalement, les premiers contacts noués avec le groupe alémanique de didactique de l’histoire du WBZ, en particulier avec sa présidente actuelle, Christiane Derrer de Zurich, les articles consacrés par le Cartable aux manuels alémaniques, comme l’a souligné Kurt Messmer, au lancement du concours suisse d’histoire « Historia» ou à l’enseignement comparé entre gymnase hessois et lycée français, montrent un Röstigraben dépassé en ce qui concerne les points de vue entre régions culturelles. Pour autant, cela signifie-t-il que les cultures d’enseignement de l’histoire fonctionnent à l’identique? Pour en savoir plus, il faudrait répondre à l’appel de coopération lancé par Kurt Messmer, ouvrir Le cartable de Clio, et aussi peut-être « ein alemannischen Schulsack der Frau Clio », aux contributions des pays anglo-saxons. Avec le risque de produire une revue dont l’ancrage régional ne constituerait plus un caractère, voire une richesse.
Pierre-Philippe Bugnard – Universités de Fribourg et Neuchâtel.
Traverse, table du volume 32
Schwerpunkt
Roger Sablonier: Schweizergeschichte: ein Sonderfall?
Charles Heimberg: Comment communiquer l’histoire, la transmettre et la faire construire à l’école?
Interview mit Heinz Horat (von Jonas Römer): Vermittlung durch Inszenierung. Das historische Museum als «Depot » und Schauspieler als «Lagerführer »
Jeanne Pont, Irène Herrmann, Jonas Römer: Quand l’histoire s’expose. Transmission et mise en scène du passé dans les musées d’arts et d’histoire genevois
Evgenija Kolomenskaja: Russie: Un présent aux passés pluriels
Irène Herrmann: L’histoire entre Eltsine et Poutine. La vision du passé dans le discours politique russe
Boriana Panayotova: Les limites des transformations possibles au récit scolaire d’histoire nationale en Bulgarie
Frédéric Demers: Fiction sérielle et conscience historique dans le Québec d’aujourd’hui
Gerald Munier: Geschichte im Comic. Können ernsthafte historische Themen auch in Form von Bildergeschichten behandelt werden?
Debatte:
Peter Kamber: Hitler als «Charismatiker »? – «Zweiter Dreissigjähriger Krieg? » Zur Kritik an Hans Ulrich Wehlers «Deutscher Gesellschaftsgeschichte »
Kurt Messmer: Der geschichtsdidaktische Röstigraben. Anmerkungen aus der Deutschschweiz zur Westschweizer Revue «Le cartable de Clio »
[IF]Pistes didactiques et chemins d’historiens. Textes offerts à Henri Moniot – BASQUÈS et al (CC)
BAQUÈS, Marie-Christine; BRUTER, Annie; TUTIAUX-GUILLON, Nicole (Org). Pistes didactiques et chemins d’historiens. Textes offerts à Henri Moniot. Paris, Budapest et Turin: L’Harmattan, 2003. 382p. Resenha de: Charles Heimberg. Le cartable de Clio – Revue romande et tessinoise sur les didactiques de l’histoire, Lausanne, n.3, p.321-322, 2003.
La tradition des « Mélanges » offerts à un chercheur qui part à la retraite débouche souvent sur des volumes très éclectiques. Mais avec Henri Moniot, la diversité des approches, pardessus les frontières, de l’histoire occultée de l’Afrique à la question récemment soulevée de la didactique de l’histoire, ne fait que refléter la richesse et l’originalité d’un parcours scientifique hors du commun.
Parmi les nombreux thèmes évoqués dans ce volume, il en est qui interrogent la différence et son occultation. Ainsi la visibilité des femmes dans l’histoire enseignée est-elle évoquée pour ses limites. Annie Rouquier regrette à juste titre une réduction régulière de leur place dans les manuels et les programmes français (mais en va-t-il autrement ailleurs?). Autre dimension de la différence, celle du racisme et de la conception ethnique de la nation. Claude Liauzu traite la question de l’ethnocentrisme des savoirs universitaires, qui sont nés avec la modernité et l’émergence de l’État nation, et s’interroge sur l’opacité des ressorts profonds du racisme, ainsi que sur les points communs du racisme colonial, de la xénophobie et de l’antisémitisme, autant de manières problématiques de gérer le rapport à Catherine Coquery-Vidrovitch s’interroge sur les liens inavoués entre histoire et propagande. Les faussaires de l’histoire sont certes identifiables, mais le rapport entre histoire engagée, dans le bon sens du terme, et parti pris idéologique est plus complexe. En principe, c’est l’apport de la connaissance qui devrait distinguer l’histoire de ses usages pervertis. Mais la nature même d’une science sociale ne permet pas de régler complètement la question. D’où l’intérêt, par exemple, des Subaltern Studies, ces études d’historiens de pays anciennement colonisés qui tentent de redonner une certaine pluralité à leur discipline.
Il n’est pas possible de rendre compte brièvement ici de toutes les contributions de ce volume. Notons toutefois la présence d’une série d’auteurs polonais, ce qui témoigne des réseaux de réflexion et de recherche comparée qu’Henri Moniot a su tisser au cours de sa carrière.
La question de l’enseignement de l’histoire est au centre d’un grand nombre de textes. Par exemple, les tentatives internationales de réécrire l’histoire dans un sens pacifique, favorable à l’entente entre les peuples, qui ont été impulsées au cours de l’entre-deuxguerres par le Bureau International de l’Éducation de Genève sont analysées par Maria Cristina Giuntella. Le bilan qu’elle en dresse n’est pas brillant, mais il est intéressant de constater que le débat se déroulait alors entre les tenants d’une approche éducative et morale de l’histoire enseignée et ceux qui tenaient à transmettre les connaissances spécifiques de la discipline, un débat qui n’est toujours pas épuisé aujourd’hui. De son côté, Anne Morelli relate la période où la Belgique a connu un enseignement rénové de l’histoire, un programme problématisé et susceptible de favoriser les activités des élèves qui a été généralisé à la fin des années soixante,puis supprimé par un ministre conservateur au début des années quatre-vingt. Encore une fois, ce cas nous montre l’inscription dans la longue durée de certains débats fondamentaux sur l’enseignement de l’histoire. Les propos de Christian Laville sont encore plus inquiets pour la période récente. Il note en effet une certaine tendance, dans bien des pays, à vouloir revenir à un récit fermé destiné à « mouler les consciences ». La dimension civique de l’enseignement de l’histoire devrait pourtant nous mener à aller dans le sens du développement d’un sens critique. Sur le même thème, François Audigier appelle de ses vœux un développement des réflexions et des recherches en didactique pour que l’on sache mieux quels récits communs sont à construire et ce que les élèves s’approprient vraiment en termes de citoyenneté et de sens critique.
Nicole Tutiaux-Guillon insiste à juste titre sur la valorisation de l’adhésion et la prédominance d’une histoire scolaire, en France, qui prétend dire la réalité du monde en évitant de laisser planer le doute et les incertitudes. Enfin, les deux dernières contributions de l’ouvrage, dues à Théodora Cavoura et Nicole Lautier, portent sur la pensée historique, notamment autour du raisonnement analogique. Mais comment passe-t-on de l’analogie spontanée à l’analogie scientifiquement raisonnée? Selon quels critères peut-on sortir du sens commun et entrer réellement dans une pensée historique? C’est tout le problème de la pensée et de la conscience historiques qu’affronte désormais la recherche didactique pour développer une construction lucide de l’histoire scolaire par ses acteurs.
Ce volume, décidément, est d’une très grande richesse!
Charles Heimberg – Institut de Formation des Maîtres (IFMES), Genève.
[IF]Didática da História – Patrimônio e História local – MANIQUE; PROENÇA
MANIQUE, Antonio Pedro; PROENÇA, Maria Cândida. Didática da História – Patrimônio e História local. Lisboa: Texto Editora, 1994. 104p. Resenha de: FONSECA, Selva Guimarães. Revista Brasileira de História, São Paulo, v.16, n.31/32, p.377-379, 1996.
Selva Guimarães Fonseca – Universidade Federal de Uberlândia.
[IF]Panta Rei | UM | 1995
Panta Rei (1995-) es una revista científica digital de carácter internacional que publica investigaciones sobre Historia, Didáctica de la Historia y disciplinas afines.
Desde esa fecha la filosofía de la revista ha perseguido los mismos fines. El objetivo es recoger nuevas propuestas e investigaciones que favorezcan el avance del conocimiento histórico, siempre en constante evolución y movimiento.
Edita
Centro de Estudios del Próximo Oriente y la Antigüedad Tardía – CEPOAT
Edificio Universitario Saavedra Fajardo. Universidad de Murcia C/ Actor Isidoro Máiquez, 9 / 30007 – MURCIA – ESPAÑA / TFNO: 868883890
cepoat(arroba)um.es / Web: www.um.es/cepoat/pantarei
La periodicidad de la revista es anual.
ISSN 2386-8864 (electrónico)
ISSN 1136-2464 (impreso)
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