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Novecento.org – (CN)
Novecento.org. Resenha de: COCILOVO, Cristina. La nuova edizione della rivista dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia. Clio’92, 7 ago. 2019.
Torna in veste rinnovata Novecento.org, la rivista on line di didattica della Storia dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e degli altri 68 Istituti italiani ad esso associati. È un bentornato a una rivista che ha avuto un illustre passato per il livello dei contributi e la partecipazione degli utenti, per lo più insegnanti e ricercatori, interessati ai temi della didattica della Storia del 900. Appunto per questo, nella pagina di profilo della rivista , non manca un ampio ricordo di Antonino Criscione che aveva progettato e curato la precedente versione, chiusa ormai da un decennio.
L’intenzione degli editori/autori è di continuare la tradizione, innovandola e adeguandola ai tempi. La mission della versione del 1999 è stata infatti ripresa in pieno: “L’ ambizione di questa rivista on line è quella di raccogliere, condividere e redistribuire saperi, conoscenze, risorse utili per la ricerca didattica e l’innovazione su questo terreno utilizzando a questo fine le potenzialità di Internet e stimolando la nascita e lo sviluppo della comunità virtuale degli insegnanti-ricercatori di storia.” Ma l’aggiunta di un’indicazione significativa può permettere ora di ampliare lo sguardo dei docenti, grazie alla rete di relazioni scientifiche degli Istituti: “La rivista è stata quindi pensata e progettata come uno strumento affidabile per i docenti italiani che vogliano aggiornarsi dal punto di vista storico e didattico, … un punto di riferimento[… ] su quanto avviene in Europa in questo specifico ambito di insegnamento.“
Sin dal numero 0 del giugno del 2013 la rivista si è confermata come un formidabile supporto per la didattica della Storia del ‘900, sia per le riflessioni metodologiche che per i materiali offerti e immediatamente fruibili. Ben presto ci auguriamo che diventi uno strumento indispensabile per i docenti che desiderano aggiornarsi.
Si assiste infatti da molti anni all’assenza di un serio processo di formazione pubblica degli insegnanti. Essa viene gestita, fra mille ostacoli, da associazioni disciplinari o appunto Istituti di ricerca come l’ISMLI, consapevoli di supplire a un compito fondamentale per l’educazione dei futuri cittadini.
Diretta da Antonio Brusa, colonna portante della didattica della Storia, assistito a sua volta da una redazione che raccoglie i nomi di maggior esperienza dell’ISMLI e del Landis, la rivista ha avuto il suo battesimo in un riuscito convegno, tenutosi a Piacenza nel marzo 2013, sul tema “La Storia nell’era digitale”. Introdotto da una stimolante relazione di Antonio Brusa, il convegno ha visto succedersi in due mattinate docenti e ricercatori esperti nell’utilizzo delle tecnologie digitali applicate alla storia. Nel corso del pomeriggio, tre laboratori didattici rivolti ai docenti della primaria (a cura di Paola Limone), secondaria di primo e di secondo grado (gestiti da Cristina Cocilovo e Patrizia Vajola), hanno messo a fuoco le modalità innovative di una didattica centrata sulla costruzione di conoscenze e di competenze storiche attraverso l’uso del digitale.
Gli atti del convegno sono pubblicati nella sezione “Dossier”, con la riproposizione in modo pressoché integrale di molti interventi (Brusa, Cigognetti, Ferri, Noiret, Biondi, Di Tonto, Mattozzi, Facci, Formenti), seguiti dai materiali presentati nei laboratori.
Gli atti del convegno sono pubblicati nella sezione Dossier, con la riproposizione pressoché integrale degli interventi (Antonio Brusa, Luisa Cigognetti, Paolo Ferri, Serge Noiret, Giovanni Biondi, Ivo Mattozzi, Giuseppe Di Tonto, Carlo Formenti, Michele Facci), seguiti dai materiali presentati nei laboratori.
Sarebbe opportuno guardare la sequenza degli interventi videoregistrati, sempre accompagnati da un fedele testo scritto: si affrontano temi chiave dell’uso di Internet da parte di allievi e docenti che affrontano la Storia, senza dimenticare che (citando Brusa) ” La disciplina storia è uno statuto di regolazione dei saperi, cioè un insieme di regole e operazioni da compiere per la specificità della formazione storica: la messa in prospettiva, la contestualizzazione, i lessici e le grammatiche fondamentali del sapere storico, la costruzione di grandi codici di senso.”
Il dibattito sull’uso della rete, che può essere spaesante, rischioso, e insieme un’inesauribile risorsa, ha accompagnato tutto il percorso del convegno nella consapevolezza che l’epistemologia, la grammatica e la sintassi della Storia sono da anteporre alle tecnologie, sebbene possano trarne reciproci vantaggi se messe in sinergia.
I materiali pubblicati in Laboratori – Storia e nuove tecnologie, offrono spunti per il docente che vuole affrontare la Storia secondo un approccio costruttivista, per attivare gli studenti secondo percorsi coerenti con la propria modalità cognitiva, approfittando dei vantaggi offerti dalla rete e dalle nuove tecnologie (ma fino a che punto sono nuove? Se lo domanda maliziosamente Facci).
Infine sono state attivate le altre sezioni nel Menù del sito. In Pensare la didattica viene recensito l’avvincente romanzo In territorio nemico, sulla maturazione di due giovani attraverso l’avventura partigiana. Scritto secondo il metodo di Scrittura Industriale Collettiva (SIC), offre spunti operativi alle classi che vogliono cimentarsi nella produzione di un testo storico. In Didattica in classe (un chiaro riferimento all’intenzione espressa nell’introduzione di pubblicare riflessioni teoriche e percorsi di didattica praticata) è presentato “Lettere dall’America. Una storia d’amore e di emigrazione, affinità elettive“: un epistolario di M.G. Salonna, che, oltre ad essere una lettura stimolante in sé, si accompagna ad altri materiali che lo collocano nel contesto storico del suo tempo. Il tutto infine viene impiegato in un il bellissimo laboratorio didattico che consente agli studenti di rivivere la grande Storia attraverso la storia di gente “apparentemente” comune. In Uso pubblico della storia troviamo ricche riflessioni per la valorizzazione del calendario civile, che può diventare uno strumento per il curricolo di Storia, a cominciare dalle giornate della memoria e del ricordo.
Una citazione a parte merita l’ultima sezione del Menù, Ipermuseo, dove sono pubblicate sotto forma di presentazione o slide share mostre realizzate dagli Istituti della Resistenza in anni recenti su temi caldi del ‘900: avvento del fascismo, resistenza, deportazione, la difficile convivenza sul confine orientale nell’alto Adriatico, la realizzazione dell’esperienza pedagogica innovativa nel Convitto Rinascita di Venezia. L’uso della rete rende queste mostre fruibili a distanza di tempo, ancora spunto di riflessioni e di possibili approfondimenti nelle classi.
La nuova versione del sito si presenta con una veste grafica molto lineare, ben leggibile e invogliante. La navigazione è semplice e immediata. I materiali facilmente scaricabili. Comodo poi è l’indice di ogni numero della rivista, che permette di consultarla in modo sequenziale come se fosse una pubblicazione cartacea (vedi alla voce Indici del Menù).
Un particolare prezioso: la vecchia rivista resta in consultazione ed è velocemente raggiungibile dalla pagina home d’apertura del sito. Di fatto è ancora un pozzo di informazioni. Inoltre la distanza temporale fra la vecchia e la nuova versione offre poi il vantaggio di cogliere la dimensione storico-cronologica dello sviluppo della ricerca didattica.
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Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo – DAVIS (BC)
DAVIS, Natalie Zemon. Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo. Bari: Laterza, 1996. 372p. Resenha de: COCILOVO, Cristina. Il Bollettino di Clio, n.9, p.70-72, feb., 2018.
Tre donne introdotte da un’intervista impossibile, che le costringe a prender vita in un libro e a confrontarsi, loro così lontane nella religione (rispettivamente ebraica, cattolica, luterana). Ma al dunque, grazie alla caparbietà dell’autrice Natalie Zemon Davis, riescono nella simulazione a trovare il fondamento della loro identità comune: l’affermazione della loro autonomia, del loro talento, della loro intraprendenza. Eccezionale per un’epoca caratterizzata dal “silenzio” delle donne, dall’assenza di loro tracce, nella ricostruzione selettiva della storiografia ufficiale.
Glikl Bas Yehudah Leib, ebrea askenazita cioè di origine tedesca, a differenza delle altre donne del suo tempo non disdegna il lavoro. Nonostante una numerosa famiglia, collabora con l’attività dell’amato marito, commerciante di gioielli e prestatore di denaro, che a seconda del momento può portare a vistosi arricchimenti come a repentine rovine. Glikl non dà al denaro valore in sé. Non desidera vivere nel lusso. Come la maggior parte degli ebrei abita in una casa d’affitto, non potendo per legge possedere proprietà. Per lei il valore assoluto è l’onore, l’essere considerata degna di rispetto, lei come la sua famiglia. Sappiamo tutto questo da una autobiografia articolata in ben sette libri, in cui Glikl alterna la narrazione della sua vita a vere e proprie parabole, che hanno lo scopo di far comprendere i valori positivi della solidarietà, dell’amore, il senso della sofferenza. Una donna di grande cultura teologica e tecnico – commerciale, rispettata per la sua acutezza nel gestire questioni finanziarie e insieme profondamente religiosa e giusta. Sebbene lei e la sua famiglia abbiano talvolta subito le conseguenze di persecuzioni antiebraiche, che li costringono a trasferimenti forzati, accetta la sofferenza, mai si ribella a Dio che muto e immobile non interviene. Semmai lo interroga e con rassegnata accettazione e cerca di ricominciare ex novo.
Marie de l’Incarnation, se si può considerare per il nostro tempo personaggio singolare, per non dire psichicamente disturbato, è invece perfettamente inquadrabile nell’epoca della Controriforma. Ispirata fin da giovane dalla vocazione divina, trascorre la vita secondo due passioni apparentemente poco conciliabili: un forte trasporto per la vita mistica e una spiccata capacità organizzativa del quotidiano. Divenuta vedova precocemente, percepisce il potente richiamo del misticismo come altre “sante” dell’epoca, che trasfigurano in estasi religiosa le pulsioni del proprio corpo, ma nel contempo gestisce con molta maestria, quasi con piglio imprenditoriale, l’azienda commerciale della sorella e del cognato, che la ospitano insieme al figlioletto. Per il resto della sua vita vivrà questa difficile dicotomia. A circa trent’anni decide di prendere i voti come suor Orsolina, separandosi dal figlio adolescente e disperato. Vive in clausura, mortificando con sofferenze fisiche il suo corpo secondo l’esempio di Teresa d’Avila, finché non ha l’occasione di poter educare al pensiero cristiano i “selvaggi” del Nuovo Mondo. Si trasferisce in Canada, dove lavora con efficientismo invidiabile nelle difficili condizioni di una Missione delle suore Orsoline. Qui lei, che rifiutava il suo corpo, si accosta alla corporeità degli altri e tocca, cura, pulisce, insegna, impara le lingue locali, converte indios in un’opera pastorale a tutto campo. Soprattutto ha una ultra decennale corrispondenza con il figlio Claude, che a sua volta aveva preso i voti, e scrive testi religiosi per le genti locali nella loro lingua e scrive anche la sua autobiografia. Il figlio raccoglierà con devozione gli scritti della madre, ma li correggerà adattandone il linguaggio ingenuo allo stile sospettoso della Chiesa dell’epoca, per pubblicarli in un’opera postuma, “Vie”, dove però non inserisce gli scritti teologici di Marie in lingua irochese, algonchina e urone, utilizzati nella sua azione pastorale in Quebec.
Nonostante gli attacchi di misticismo e autoflagellazione, Marie ha un aspetto che la avvicina alla nostra sensibilità, per la relazione che ha creato con i “selvaggi”. Il suo scopo non è quello di emarginarli, ma di includerli nel mondo dei cristiani, in una visione universalistica, secondo cui non esiste differenza fra esseri umani, se questi abbracciano la parola di Cristo. Marie, mentre cerca di convertirli, educa gli indios al rispetto dell’igiene, della lettura e della scrittura. Qualora essi fuggano per l’innato desiderio di libertà di vivere nella natura, lontano da un convento di clausura, Marie li comprende e li perdona, riscoprendo il ruolo di madre generosa, che non aveva saputo assumere con il figlio al momento dell’abbandono.
Maria Sibylla Merian, luterana, originaria di Francoforte, figlia d’arte di un famoso incisore, non visse una vita familiare e borghese, come le sue condizioni le consentivano, allineandosi così alle stranezze delle altre due donne del libro. Si trasferì nel corso della vita in diversi luoghi, in seguito a scelte di vita radicali. La sua vita si potrebbe definire una metamorfosi, mimando il titolo della sua opera più famosa “Metamorfosi degli insetti del Suriname”, una raccolta di incisioni artistico-scientifiche che rappresentano la stupefacente natura tropicale. Acquisita fin da giovane una certa notorietà, grazie al suo talento di incisore1, diventa famosa dopo la pubblicazione nel 1679 del libro in due volumi “I bruchi. Le meravigliose metamorfosi dei bruchi“, in cui affianca a un centinaio di splendide incisioni di bruchi e insetti, descrizioni basate sulle sensazioni soggettive provate nell’osservazione degli aspetti naturali. Nell’organizzazione dei libri, rifiutò ogni criterio classificatorio, ritenendolo inadeguato. Non seleziona i viventi distinguendoli in catalogazioni di piante, bruchi e insetti; la sua osservazione ruota attorno a una foglia di cui si nutrono simultaneamente bruchi ed altri insetti, mentre le crisalidi si trasformano in farfalle. Evidenzia la vitalità delle relazioni fra gli esseri di un medesimo habitat. Tuttavia la sua visione della natura è profondamente religiosa, perché vi individua la straordinaria onnipotenza divina.
Morto il padre, probabilmente in crisi con il marito, si separa e sceglie di andare a vivere con le due figlie in Frisia, presso la comunità luterana dei Labadisti, che praticavano una fratellanza mistica. Qui rinuncia a ogni bene terreno e tronca le relazioni con l’esterno. Dopo pochi anni vissuti come cristallizzati in quella realtà, ecco la metamorfosi di Maria. L’eccessiva mortificazione, il distacco dalle cose del mondo e della natura, persino il ripudio del suo orgoglio di creatrice di oggetti artistici la spingono a un nuovo cambiamento.
Abbandona la comunità e si trasferisce ad Amsterdam per ricostruire la vita sua e delle figlie, ritornando all’arte incisoria, intraprendendo la strada dell’insegnamento e costruendosi una solida vita borghese, in piena autonomia di scelte anche economiche. Grazie poi al genero, che commercia con le colonie del Suriname, incuriosita dalla ricchezza di vita di quei luoghi, vi si trasferisce per due anni con la figlia minore.
In seguito a quella esperienza, pubblicò la sua opera più originale “Metamorfosi”, in cui riaffermò la sua visione della natura come un insieme di relazioni dinamiche tra viventi, che mutano nel tempo e a seconda del luogo in cui si realizzano. Consultò, senza i pregiudizi coloniali del tempo, indios e schiavi neri, che le diedero preziose indicazioni sulle caratteristiche di piante e animali del luogo, oltre alle loro abitudini di vita. Informazioni che riportò nel libro, anticipando aspetti delle attuali ecologia e antropologia. Tornata in patria, ottenne fama e riconoscimenti.
Che cosa hanno in comune queste tre donne così diverse tra loro, vissute in un periodo storico che condannava al silenzio le figure femminili? La cultura innanzitutto. Tutte e tre abitanti di città hanno realizzato importanti opere nel loro campo specifico con una cultura libera da schemi. Tutte e tre hanno superato radicali cambiamenti, hanno impostato un rapporto profondo con la divinità che prospettava una vita migliore, per superarla e trovare riscatto nel lavoro. Tutte e tre erano esperte contabili, avevano indubbio talento per gli aspetti organizzativi del lavoro e non mancavano di spirito d’avventura.
Ma vivevano ai margini. In che senso? Perché lontane dal potere politico ed economico, perché la loro era una cultura da autodidatta, non costruita nelle accademie. Grazie alla loro intraprendenza riuscirono però a dare significato originale alle loro opere.
Cosa ci resta di loro? L’autobiografia di Glikl ebbe diverse edizioni e una certa diffusione nel mondo ebraico, finché non fu dichiarato libro “velenoso” dal nazismo. Fortunatamente l’autrice ne ha ritrovato una copia alla biblioteca di Berlino.
Le opere in lingua algonchina, irochese e urone di Marie forse andarono disperse dai missionari che si avventurarono all’ovest. Invece è rimasto come testo di riferimento per le Orsoline la sua “Vie” curata dal figlio.
Maria Sibylla ebbe più fortuna. Le sue opere vennero utilizzate e citate da Linneo e la sua raccolta postuma di incisioni fu acquistata da Pietro il grande. Oggi fa bella mostra di sé nella Kunstkammer dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, mentre il suo libro delle Metamorfosi è considerato patrimonio nazionale dal Suriname.
Le storie ritrovate delle tre donne potrebbero rientrare nella storia scolastica per ricostruire quadri d’insieme: la vita di ebrei askenaziti in Germania, il rapporto contorto con la religione controriformista di sante in estasi mistica, le relazioni contraddittorie con le genti del Nuovo Mondo, la faticosa affermazione del metodo d’osservazione scientifica.
Per gli studenti il libro costituisce probabilmente una lettura impegnativa, ma in un laboratorio storico di 17/18enni può essere interessante delineare temi come quelli accennati attraverso la costruzione di tre biografie femminili. Potrebbe diventare un’operazione capace di dare una luce diversa a queste tematiche e insieme di valorizzare i contributi ignorati di tre grandi donne del passato.
[Notas]1 Significativo che in italiano non esista la versione femminile del termine incisore.
Cristina Cocilovo
[IF]