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Tornando-se livre: agentes históricos e lutas sociais no processo de Abolição – MACHADO; CASTILHO (DSSC)
MACHADO, Maria Helena Pereira Toledo; CASTILHO, Celso Thomas (Orgs). Tornando-se livre: agentes históricos e lutas sociais no processo de Abolição. São Paulo: EDUSP, 2015, 480 pp. Resenha de: DOMINGUES, Petrônio. Diacronie Studi di Storia Contemporanea, v. 28 n. 4, 2016.
Come si realizzò il processo che portò alla fine della schiavitù in Brasile? Soprattutto a partire dal protagonismo degli schiavi e dei liberti, oppure, genericamente, per merito dei brasiliani? Quali furono i meccanismi per la conquista della liberta e quali i limiti di tali conquiste nel contesto della schiavitù e in quello successivo? In altri termini, come si svolse il processo emancipazionista nella principale nazione dell’America Latina? E, in quest’ambito, come si sviluppò il periodo successivo all’abolizione della schiavitù, in uno scenario caratterizzato dalle lotte per i diritti e la cittadinanza? Domande a cui non è facile dare risposta, ma è attorno a queste e ad altre questioni legate al mondo della schiavitù e della libertà che si articola Tornando-se livre: agentes históricos e lutas sociais no processo de Abolição, un libro curato dagli storici Maria Helena P. T. Machado, dell’Universidade de São Paulo (USP), e Celso Thomas Castilho, della Vanderbilt University.
Il libro è stato concepito a seguito di un convegno – realizzato nel 2010 – in partenariato tra la USP e la Vanderbilt University, sul tema della storia atlantica. Da questa collaborazione nacquero due seminari, che riunirono importanti ricercatori delle due istituzioni. Da questo dialogo sorse anche il simposio tematico Da abolição à emancipação: raça, gênero e identidade, coordinato da Maria Helena Machado e Celso Castilho e realizzato in occasione del XXVI Simpósio Nacional della Associação Nacional dos Pesquisadores Universitários de História (ANPUH), tenutosi nell’Universidade de São Paulo nel 2011. Dalle discussioni che ebbero luogo nel simposio nacque la prima bozza del libro. Con l’intento di arricchire la discussione, al complesso iniziale dei testi vennero aggiunti i lavori di altri ricercatori, invitati per l’occasione a prendervi parte.
Il libro consiste perciò in un’opera collettanea che riunisce ventuno capitoli scritti da diversi storici, provenienti da università brasiliane e straniere (dell’Europa e degli Stati Uniti). Come è comune in questo tipo di miscellanea, gli autori affrontano diverse questioni, fanno ricorso a diversi tipi di fonti per documentare l’esperienza storica, complessa e sfaccettata, vissuta dai discendenti degli africani, nel processo attraverso cui dalla schiavitù divennero uomini liberi. Dal punto di vista della struttura testuale, il libro è diviso in quattro parti. Nella prima, intitolata «Disputando Liberdades», composta dai saggi di Maria Helena P. T. Machado e Flávio Gomes (Da Abolição ao pós-emancipação: ensaiando alguns caminhos para outros percursos), di Maíra Chinelatto Alves (Crimes de escravos e caminhos da autonomia. Campinas, 1876), di Marília Bueno de Araújo Ariza (Comparando brigas e liberdade: contratos de locação de serviços e ações de liberdade na província de São Paulo nas últimas décadas da escravidão, 1874-1884), di Thiago Leitão de Araújo (Nem escravos, nem libertos: os contratos de prestações de serviços nos últimos anos da escravidão na província de São Pedro) e di Edson Holanda Lima Barboza (Ela diz ser cearense: escravos e retirantes contra as correntes do tráfico interprovincial entre fronteiras do Norte, 1877-1880), il volume affronta le lotte degli schiavi e dei liberti in cerca di autonomia e libertà. I saggi problematizzano i significati di questa tanto agognata libertà nel contesto della schiavitù, specialmente nel periodo del suo sgretolamento, nella seconda metà del XIX secolo. Esplorando un nuovo (o rivisitando un’antico) canovaccio di ricerca sul processo di emancipazione, i testi evidenziano il protagonismo degli schiavi e dei liberti che, benché ancora in cattività, lottavano per la realizzazione di una via che li conducesse verso la libertà.
La seconda parte del libro, «Disputando liberdades: histórias de mulheres com seus filhos», costituita dai saggi di Enidelce Bertin (Uma ‘preta de caráter feroz’ e a resistência ao projeto de emancipação), di Camillia Cowling (‘Como escrava e como mãe’: mulheres e abolição em Havana e no Rio de Janeiro), di Lorena Féres da Silva Telles (Libertas entre contratos e aluguéis: trabalho doméstico em São Paulo às vésperas da Abolição) e di Ione Celeste J. de Sousa (‘Porque um menor não deve ficar exposto à ociosidade, origem de todos os vícios’: tutelas e soldadas e o trabalho de ingênuos na Bahia, 1870 a 1900), affronta il tema dell’agire storico dei liberti nella costruzione o nel consolidamento della conquista dell’autonomia e della libertà, a partire soprattutto dal ruolo giocato dalle schiave e dalle liberte come donne e madri. Questi saggi contribuiscono all’ampliamento degli studi incentrati sulle relazioni di genere nella schiavitù, aspetto ancora poco esplorato dagli specialisti di questo campo tematico.
Nella terza parte del libro, chiamata «Mobilização: dimensões e prática» e composta dai saggi di Ligia Fonseca Ferreira (De escravo a cidadão: Luiz Gama, voz negra no abolicionismo), di Renata Ribeiro Francisco (Pacto de tolerância e cidadania na cidade de São Paulo, 1850-1871), di José Maia Bezerra Neto (Se bom cativo, liberto melhor ainda: escravos, senhores e visões emancipadoras, 1850-1888), di Celso Thomas Castilho (‘Propõem-se a qualquer consignação, menos de escravos’: o problema da emancipação em Recife, c. 1870), di Ricardo Tadeu Caires Silva (A Sociedade Libertadora Sete Setembro e o encaminhamento da questão servil na província da Bahia, 1869-1878), di Renata Figueiredo Moraes (A Abolição no Brasil além do parlamento: as festas de maio de 1888), di Cláudia Regina Andrade dos Santos (Na rua, nos jornais e na tribuna: a Confederação Abolicionista do Rio de Janeiro, antes e depois da Abolição), di Clícea Maria Augusto de Miranda (Memórias e histórias da Guarda Negra: verso e reverso de uma combativa organização de libertos) e di Wlamyra Ribeiro de Albuquerque (O que pode haver em comum entre navalhistas, capangas e secretas? Rui Barbosa e outros sujeitos no tabuleiro da política do pós-abolição, 1889-1919), gli autori indirizzano il loro sguardo sulla questione dell’organizzazione dei differenti movimenti emancipazionisti e abolizionisti sorti nella seconda metà del XIX secolo e nel periodo successivo all’abolizione della schiavitù. L’obiettivo di questi saggi nella raccolta collettanea è quello di offrire al lettore un quadro ampio della mobilitazione sociale intorno alla lotta abolizionista, lotta che unì schiavi, liberti e uomini liberi; arruolò settori popolari, intermedi e delle élites, oltre ad avere articolato una rete di legami che coinvolgevano la città e la campagna – e le zone urbane e quelle rurali. Non sempre il movimento degli schiavi stabiliva punti comuni – quanto ai metodi di lotta, alle strategie di azione collettiva e al vocabolario politico – con altri movimenti sociali abolizionisti, tuttavia non si può negare che la mobilitazione in favore della “libertà” deve essere considerata nel suo «legame profondo con la realtà dei senzalas1 e degli sforzi degli schiavi e, più genericamente, dei poveri, per liberarsi dalla prigionia e dalle sue piaghe».
Nella quarta e ultima parte del libro, «Abolição em dimensão transnacional», costituita dai saggi di Maria Clara Sales Carneiro Sampaio (Negros sonhos: os projetos de colonização de afro-americanos no Brasil e na América Central durante a Guerra da Secessão), di Luciana Cruz Brito (Abolicionistas afro-americanos e suas interpretações sobre escravidão, liberdade e relações raciais no Brasil no século XIX) e di Ana Lucia Araujo (Memória Pública comparada da emancipação e da abolição da escravidão: Abraham Lincoln e Princesa Isabel), sono riuniti testi che schiudono una riflessione su una tematica ancora poco esplorata nella storiografia brasiliana che è la dimensione internazionale e atlantica del processo di abolizione della schiavitù in Brasile. Proponendosi di affrontare un contesto di circolazione delle idee, di narrazioni, interlocuzioni e “giochi di specchi interpretativi tra regioni”, i saggi contribuiscono ad una comprensione dell’abolizione della schiavitù come ad una questione propria di un emisfero, di vasta portata e di lungo periodo, che proiettava le domande, i sogni e le aspettative di diversi attori e segmenti sociali in Brasile e nelle Americhe.
Tra le molte novità prodotte negli ultimi tempi dalla storiografia brasiliana, una delle più importanti è stata l’emergere di un approccio rinnovato quanto alle esperienze della libertà e dei suoi limiti nel contesto della schiavitù e del periodo successivo all’abolizione; libertà molte volte provvisoria, costantemente minacciata e, soprattutto, limitata, il che imponeva ai liberti i problemi dell’autonomia e del vivere contando su loro stessi, passi necessari che dovevano essere intrapresi in seguito all’acquisizione giuridica e formale della libertà. Tornando-se livre riflette, pertanto, i progressi negli studi, tanto della storia sociale della schiavitù quanto della storia politica e sociale della sua abolizione. Il libro costituisce, anche un modello dell’integrazione in questo campo di studi di una storia del periodo successivo all’abolizione che, benché ancora sia soggetto a una definizione concettuale più solida, viene considerato come un «campo di studi derivato dalla schiavitù, senza che ci si limiti a questa». Il periodo post-abolizionista, in questa prospettiva, è inteso come il periodo che prende avvio con la soluzione abolizionista conservatrice e termina solamente nel momento in cui il debito sociale accumulato nel corso di questi anni venne finalmente superato.
Come la maggior parte delle opere collettanee, il risultato non è uniforme per quel che riguarda le riflessioni degli autori, la forma espositiva e lo stile rivela in alcuni casi riflessioni originali, in altre occasioni riassunti (o note) di ricerche presentate per i corsi di laurea o critiche storiografiche, benché i testi siano sempre interessanti. Si nota la reiterazione di idee e di analisi da parte degli autori, che restituisce l’impressione di un “vai e vieni”; questo emerge soprattutto nel complesso dei testi, ma a volte anche all’interno di uno stesso testo. Ciò non compromette in alcun modo la qualità della raccolta, che condensa alcune delle principali tendenze di studio riguardo alla schiavitù e al periodo successivo alla sua abolizione, un campo tematico emergente e promettente della storiografia brasiliana. Il divenire liberi – un’evidente allusione al processo di rendersi liberi dei protagonisti di questa storia – è stata una condizione influenzata dall’esperienza della schiavitù, anche se l’impatto sociale, politico, culturale e propriamente storico di questa impresa superò grandemente l’esperienza della cattività nella misura in cui proiettò uomini e donne sottomessi alla schiavitù di fronte a nuovi dilemmi, situazioni difficili e sfide date dalla vita nell’ambigua “libertà” della società brasiliana, marcata dal complesso retaggio delle lotte per i diritti e la cittadinanza.
Nota
1 Il termine senzala indicava sia la popolazione di schiavi neri, sia le loro abitazioni. Sul tema del senzala si rimanda al capolavoro Casa-Grande & Senzala di Gilberto Freyre, tradotto in italiano come Case e catapecchie. La decadenza del patriarcato rurale brasiliano e lo sviluppo della famiglia urbana, Torino, Einaudi, 1972 [N.d.T.].
Petrônio Domingues si è addottorato in Storia presso l’USP (Universidade de São Paulo). Dal 2006 è professore dell’Universidade Federal de Sergipe e membro permanente del corpo docente del corso di Laurea specialistica in Storia (PROHIS) della stessa istituzione. Visiting Scholar della Rutgers – The State University of New Jersey (Stati Uniti), presso il Department of African Studies (2012-2013), è autore del libro, insieme a Flávio dos Santos Gomes, Da nitidez e invisibilidade: legados do pós-emancipação no Brasil, Belo Horizonte, Fino Traço Editora, 2013 e curatore – sempre assieme a Flávio Gomes – della raccolta Políticas da raça: experiências e legados da abolição e da pós-emancipação, São Paulo, Selo Negro Edições, 2014.
O Cinema Vai à Guerra – TEIXEIRA DA SILVA; SHURSTER (DSSC)
TEIXEIRA DA SILVA, Francisco Carlos; LEÃO, Karl Shurster Sousa; LAPSKY, Igor (Org). O Cinema Vai à Guerra. Rio de Janeiro: Campus, 2015, 274 pp. Resenha de SANTIAGO JÚNIOR, Francisco das Chagas. Studi di Storia Contemporanea, n. 26, v. 2, 2016.
O Cinema vai à Guerra, libro curato da Francisco Carlos T. da Silva, Karl Schurster Leão e Igor Lapsky si inserisce nel solco della tradizione storiografica brasiliana attenta alla relazione fra storia e cinema. È importante contestualizzare il libro nel quadro degli studi storiografici sul cinema degli ultimi decenni. In Brasile, la storiografia si è approcciata al cinema a partire dal manuale A pesquisa histórica no Brasil, di José Honório Rodrigues, pubblicato nel 19521. Tuttavia, è stato solo a seguito della traduzione, nel 1976, del celebre testo di Marc Ferro, Cinema: uma contra análise da sociedade? nella raccolta collettanea História: novos problemas, curata da Jacques Le Goff e Pierre Nora, che ha preso avvio un movimento volto a dare maggior risalto ai film2. Nel 1988, il lavoro pionieristico Cinema e História do Brasil: propostas para uma história, scritto da Jean-Claude Bernardet e Alcides Freire Ramos, operò un’analisi di pellicole di fiction e documentari brasiliani, spesso alla luce della “storia del tempo presente” francese e prendendo in considerazione la proposta di Marc Ferro nel saggio già menzionato: l’uso del film come fonte storica; il film come rappresentazione della storia; il film come agente della storia3.
Negli anni Novanta il cinema, nella produzione accademica brasiliana, venne definitivamente considerato alla stregua di un oggetto storiografico. In quel decennio videro la luce le prime tesi specialistiche e di dottorato su questo tema e vennero pubblicate alcune traduzioni in lingua portoghese dei testi degli storici pionieri nello studio della relazione cinema-storia, come Marc Ferro, Pierre Sorlin e Robert Rosenstone. Tre gruppi di ricerca storiografica risultarono decisivi in questa rielaborazione: nelle università statali di San Paolo vennero realizzati i primi studi, tra cui spiccavano quelli di Alcides Freire Ramos, Cláudio Aguilar, Eduardo Morettin e Cristina Meneguello; dalle università di Rio de Janeiro vennero prodotti testi dedicati ai film storici e alle relazioni tra cinema e ideologie politiche nel XX secolo: qui si distinsero Mariza de Carvalho e Francisco Carlos T. da Silva; a Bahia, il laboratorio “Occhio della storia”, all’interno dell’Universidade Federal di Bahia, organizzò traduzioni e lavori di ricerca indirizzati allo studio dei film e alla realizzazione di recensioni di pellicole storiche, attribuendo una particolare attenzione alla rappresentazione cinematografica del passato, e qui si distinsero storici come Cristiane Nova e Jorge Nóvoa. Nel 1997, in un’importante raccolta collettanea venne pubblicato il testo História e imagem: os casos do cinema e da fotografia, scritto da Ciro Cardoso e Ana Maria Mauad, che in qualche modo ufficializzava il cinema come oggetto storiografico brasiliano4, concetto che venne riaffermato nel 2001, quando un gruppo di storici pubblicò la collettanea A história vai ao cinema5, curato da Jorge Ferreira e Mariza de Carvalho, dedicata esclusivamente a indagare la rappresentazione del passato nel cinema brasiliano6.
Il tema della guerra nel cinema non è nuovo né nello scenario internazionale, né in Brasile, non essendo, peraltro, monopolio della ricerca storica. La maggior parte delle monografie precedenti, infatti, sono state scritte – in ambito brasiliano – da studiosi o critici cinematografici. Nel caso degli studi storici in Brasile, il tema è stato considerato principalmente come una forma di rappresentazione del passato, dal momento che era spesso legato anche con l’affermazione della storia del tempo presente come campo di ricerca per gli storici. L’interesse per il tema si è esplicitato attraverso le principali raccolte miscellanee pubblicate nel primo decennio del secondo millennio: História e cinema: dimensões históricas do audiovisual, del 2005, che presenta una delle cinque sezioni del libro dedicata al tema, che comprende un articolo di Wagner Pinheiro Pereira presente anche in O cinema vai à guerra, e Cinematógrafo: um olhar sobre a história, del 2009, che dedica una delle sue tre parti alla traduzione di testi sulla Seconda guerra mondiale al cinema di ricercatori francesi del calibro di Silvye Lindperg e Jean-Pierre Bertin-Maghit7. Spicca il testo pionieristico di Francisco Carlos T. da Silva, Guerras e cinema: um encontro no tempo presente, pubblicato nel 20048. Quest’ultimo autore ha riunito assieme a Igor Lapsky e Karl Schurtzer una serie di ricercatori legati Laboratório de Estudos do Tempo Presente, la cui sede originaria era presso l’Universidade Federal di Rio de Janeiro, oltre ad altri centri accademici di tutto il Brasile, per comporre la raccolta miscellanea O cinema vai à guerra, dando continuità a una riflessione sull’appropriazione dell’esperienza storica della guerra da parte del cinema e potendo contare sull’infoltirsi delle fila degli storici studiosi di cinema, che dimostrano interesse nei confronti della costruzione visuale del passato, così come della nuova generazione di ricercatori dediti principalmente all’analisi della relazione tra cinema e storia, le cui tesi di dottorato sono state discusse dal 2000 in avanti.
O cinema vai à guerra è organizzato a partire dalla guerra intesa come topos della storia del tempo presente e della rappresentazione del passato (lontano e prossimo). Dal momento che i film su cui si concentrano i ricercatori sono legati a molteplici cinematografie nazionali (tra cui spicca quella nordamericana, ma anche quella francese, tedesca, spagnola, russa…), molti conflitti sono ricorrenti, principalmente quelli che hanno marcato il XX e il XXI secolo come la Prima e la Seconda guerra mondiale, la Guerra del Vietnam, oltre alla Guerra fredda e alla Guerra al terrorismo. Vengono discusse anche le guerre che hanno acquisito un carattere di (ri)fondazione nazionale, come la Guerra di secessione nordamericana e la Guerra civile spagnola.
Nella prospettiva secondo cui la narrazione cinematografica sarebbe «la principale concorrente della narrazione storica»9, i testi del volume riconoscono il ruolo del cinema nell’elaborazione visiva della coscienza storica dei secoli XX e XXI e del suo funzionamento come produttore di immagini del presente e del passato che finiscono per comporre la memoria delle comunità nazionali. Il cinema è un media all’interno sul quale si sviluppano dispute culturali e ideologiche dal momento che il film è «una modalità di rappresentazione, avallata dalla sua ampia ricezione popolare, della storia, uno dei molti modi di narrarla»10.
Si tratta, in totale di dodici capitoli: Gracilda Alves discute della relazione tra occidentalismo e orientalismo nel cinema in Cinema, guerra, civilização e barbárie; Rafael Araújo e Karl Schurster riflettono sulla rappresentazione delle guerre coloniali in Imperialismo e cinema; Carlos Leonardo Bahiense da Silva indaga come i traumi della guerra siano stati inseriti nelle trame dei film tedeschi degli anni Sessanta e nel cinema inglese dello stesso decennio in A grande guerra (1914-1918) no espelho in cui si tratta di shell shocks; il testo Guerra civil espanhola: o cinema do general Franco, di Wagner Pinheiro Pereira discute l’eredità del conflitto spagnolo così come l’uso franchista del cinema; Karl Schurster e Francisco Carlos T. da Silva in A segunda guerra mundial (1939-1945): heroísmo e tragédia trattano delle «narrazioni del disagio»11 a partire dalle pellicole contemporanee e successive al conflitto; il concetto di genocidio/sterminio e le sue rappresentazioni al cinema vengono discusse nel testo Cinema e genocídio no século XX: a análise dos grandes massacres étnicos, religiosos e sociais, di Carlos Leonard da Silva e Ricardo Pinto dos Santos; l’impegno del cinema nello sviluppo del pacifismo nel corso del XX secolo viene trattato nel capitolo Guerra e paz: pacifismo, gênero e identidade na tela di Francisco T. Carlos da Silva; l’inserimento della Guerra fredda nella vita quotidiana da parte delle cinematografie nordamericane e sovietica viene affrontato da Alexandre Busko Valim in Cinema e guerra fria: entre Hollywood e Moscou; la traumatica esperienza sociale del Vietnam per la società nordamericana trovo in A guerra do Vietnã (1965-1975): o trauma de uma geração, di Carlos Leonardo da Silva e Igor Lapsky un luogo di dibattito; infine, le rappresentazioni del terrorismo nel cinema americano sono oggetto del saggio A Guerra ao terror: o pós-guerra fria, di Igor Lapsky. La collettanea introduce tematiche eterodosse nel dibattito su guerra e cinema: il combattimento contro gli alieni nel capitolo A guerra entre mundos: não estamos sozinhos!, di Dilton e Andreza Maynard e il fallimento della società contemporanea negli immaginari post-bellici intesi come futuri distopici in Cinema e distopias: as guerras do futuro, di José Maria Gomes de Souza Neto.
Alcune problematiche-concetti percorrono molti o quasi tutti i testi: tra queste spiccano identità, allegoria e conflitto/guerra. Quest’ultimo permette di accostare alla dimensione bellica degli eventi storici canonici (le guerre mondiali, la Guerra fredda, la Guerra del Vietnam, la Guerra civile spagnola, etc.) prospettive di guerre sociali e civili immaginarie (distopie, guerre contro invasori spaziali) evidenziando un aspetto fondamentale della raccolta di saggi: la guerra è tanto la rappresentazione in film d’ambito definito, ad esempio Apocalipse Now12 o Va’ e vedi13, quanto un’esperienza immaginaria proiettata in film inaspettati come Blade Runner14. La raccolta rifugge dall’approccio più prevedibile del dibattito sui “film di guerra” – genere oltremodo presente nelle trattazione – e si sofferma sui molteplici usi simbolici della guerra fatti nelle pellicole. In quest’ottica, i testi non sistematizzano gli aspetti legati al fenomeno di istituzionalizzazione storica della guerra come tema e genere nelle diverse cinematografie nazionali analizzate. Da un lato questo denota un approccio trasversale al problema storico (la guerra) che dimostra come le pellicole furono, nei diversi contesti sociali, armi, mezzi catartici, forme di protesta, strumenti di propaganda, proiezioni delle inquietudini collettive e di altre sensibilità, allegorie politiche e così via. Si comprende perciò come la maggior parte dei capitoli non segua le tradizionali partizioni della cinematografia nazionale (sebbene gli Stati Uniti siano distinti), già oggetto di critica da parte di storici come Michelle Lagny15.
L’identità è un altro problema centrale, dal momento che permette di capire come le rappresentazioni della guerra siano connesse con processi storici come il colonialismo, l’imperialismo, il genocidio… La distinzione noi/loro ossia attraverso le categoria antitetiche di alleato/nemico, indigeno/straniero, fedele/traditore, terrestre/extraterrestre è una costante che permette di comprendere come le immagini della guerra mutino con il tempo. In alcuni passaggi emerge il riferimento a Edward Said, dal momento che l’intera raccolta di saggi è permeata da una problematizzazione dell’identità come esperienza storica legata ai giochi di potere prodotti dall’interazione dei centri capitalisti con le proprie periferie, dal momento che entrambi sono stati toccati dall’esperienza del colonialismo e dell’imperialismo. Questo permette molteplici interpretazioni della guerra al cinema, che diventa una finestra per indagare la cultura politica del XX e XXI secolo, facendo del ricorso alla lettura allegorica una delle principali chiavi analitiche degli autori – anche se metodologicamente non viene dichiarata o problematizzata –, che interpretano una serie di film ora come sintomi, ora come cause dei processi politici in cui si trovano compresi. Evidentemente, negli scenari politici caratterizzati dalla tensione politica, molti cineasti impiegarono l’allegoria nella narrazione cinematografica, espediente comune al cinema moderno, dal momento che permetteva la costruzione di «segni di una nuova coscienza storica»16 tipica della contemporaneità. In molti casi gli autori del libro seguono queste indicazioni (quando il film si presenta come allegorico); in altri considerano le pellicole come sintomatiche di altre situazioni che non gli sono proprie, la cui dimensione e il cui impatto storico possono essere comprese solamente quando le si inserisca nella prospettiva dell’interscambio fra il cinema e le comunità politiche in cui questo si è sviluppato.
Notas
1 RODRIGUES, José Honório, A Pesquisa histórica no Brasil, São Paulo, Companhia Editora Nacional, 1978.
2 FERRO, Marc, O filme: uma contra-análise da sociedade, in LE GOFF, Jacques, NORA, Pierre (org.), História: novos objetos, Rio de Janeiro, Francisco Alves, 1995, pp. 199-215.
3 RAMOS, Alcides Freire, BERNARDET, Jean-Claude, Cinema e história do Brasil, São Paulo, Contexto/EDUSP, 1988.
4 CARDOSO, Ciro, MAUAD, Ana Maria, História e imagem: os casos do cinema e da fotografia, in CARDOSO, Ciro, VAINFAS, Ronaldo (org.), Domínios da história: ensaios de teoria e metodologia, Rio de Janeiro, Editora Campus, 1997.
5 CARVALHO, Mariza, FERREIRA, Jorge (org.), A história vai ao cinema: vinte filmes brasileiros comentados por historiadores, Rio de Janeiro, Record, 2001.
6 Per approfondire la nascita e il consolidamento della ricerca sul cinema nella storiografia brasiliana, si veda: SANTIAGO JR., Francisco das C. F., «Cinema e historiografia: trajetória de um objeto metodológico (1971-2010)», in História da historiografia, 8, 1/2012, pp. 151-173, URL: < http://www.historiadahistoriografia.com.br/revista/article/view/270/261 > [consultato il 3 marzo 2016]
7 CAPELATO, Maria Helena, MORETTIN, Eduardo, NAPOLITANO, Marcos, SALIBA, Elias (a cura di), História e cinema: dimensões históricas do audiovisual, São Paulo, Alameda, 2007; NÓVOA, Jorge, FRESSATO, Soleni Biscouto, FEIGELSON, Kristian (a cura di), Cinematógrafo: um olhar sobre a história, Salvador-São Paulo, EDUFBA -Editora UNESP, 2009.
8 SILVA, Francisco Carlos Teixeira da, «Guerras e cinema: um conto do tempo presente», in Tempo, 16, 1/2004, pp. 93-114, URL: <http://www.historia.uff.br/tempo/site/?cat=44> [consultato il 3 marzo 2016.
9 SILVA, Francisco Carlos Teixeira, LEÃO, Karl Shurster Sousa, LAPSKY Igor (org.), O Cinema Vai à Guerra, Rio de Janeiro, Campus, 2015, p. XI.
10 Ibidem, p. XII.
11 Ibidem, p. 91.
12 COPPOLA, Francis F., Apocalypse Now, United Artists, Stati Uniti, 1979, 150’.
13 KLIMOV, Elem, Иди и смотри, Mosfilm-Belarusfilm, Unione Sovietica, 1985, 145’.
14 SCOTT, Ridley, Blade Runner, Warner Bros, Stati Uniti, 1982, 117’.
15 LAGNY, Michelle, Cine y historia: problemas y métodos en la investigación cinematográfica, Barcelona, Bosch, 1997.
16 XAVIER, Ismail, A alegoria histórica, in RAMOS, Fernão Pessoa (a cura di), Teoria contemporânea do cinema: pós- estruturalismo e filosofia analítica, São Paulo, SENAC, 2005, pp. 339-379, p. 362.
Francisco das Chagas F. Santiago Júnior si è addottorato in storia presso l’Universidade Federal Fluminense, Niterói/Brasil con una tesi sull’appropriazione delle religioni afro-brasiliane nel cinema del periodo del regime dittatoriale degli anni Settanta. Lavora sulla relazione fra storia e cinema a partire da differenti assi di ricerca: il cinema e l’afro-brasilianità, la negoziazione del patrimonio culturale all’interno del cinema brasiliano, l’uso del passato nel cinema nazionale. Ha pubblicato numerosi articoli sulla cultura visuale, la teoria dell’immagine e la metodologia della ricerca multimediale.
Enciclopédia de Guerras e Revoluções do Século XX – TEIXEIRA DA SILVA et al (DSSC)
TEIXEIRA DA SILVA, Francisco Carlos; MEDEIROS, Sabrina; VIANNA, Alexander Martins (Orgs). Enciclopédia de Guerras e Revoluções do Século XX, 3 voll. Rio de Janeiro: Campus/Elsevier, 2014-2015, 496 + 304 + 672 pp. Resenha de: CHAVES, Daniel. Diacronie Studi di Storia Contemporanea, v. 28, n. 4, 2016.
Inizialmente pubblicata nel 2004, sebbene in un unico e imponente volume, l’Enciclopédia de Guerras e Revoluções do Século XX veniva proposta all’alba del XXI secolo come un lavoro nel solco di una tradizione permeata da opere di riferimento utilizzate da diverse generazioni per avvicinarsi al campo della conoscenza, nelle scienze umane così come nel campo della tradizione brasiliana. In un simile contesto, non ci si basa perciò solo su una tradizione fondata su dizionari ed enciclopedie, ma è possibile dire che questa esperienza abbia conosciuto un rinnovamento attraverso il carattere peculiare, autonomo, plurale e autoriale che quest’opera possedeva.
È tuttavia necessario citare opere fondative che l’hanno preceduta come il Dicionário de Ciências Sociais1 o il Dicionário do pensamento social do século XX2 (curato da William Outhwaite e Tom Bottomore, con la consulenza di Ernest Gellner, Alan Touraine e Robert Nisbet, oltre all’essenziale contributo brasiliano di Wanderley Guilherme dos Santos e Renato Lessa), che hanno contribuito alla formazione di generazioni di studenti, ricercatori e professionisti. Queste opere, votate ad un interesse tecnico nei confronti degli scritti collettanei in grado di compendiare una conoscenza qualificata e ampia sui vari temi, riunivano voci e informazioni in modo strutturato e con una localizzazione precisa – grazie ad una definizione sintetica –, in tempi antecedenti alla vastità nebulosa del World Wide Web.
Al di là della concezione dei dizionari – la cui progettazione concettuale rigorosa prevede un giudizioso ricorso alla concisione in merito a ciò che viene affermato nelle sue voci o definizioni –, l’enciclopedia come progetto olistico di conoscenza è notoriamente più ampia e ricerca una maggior profondità analitica. L’enciclopedia come summa e riassunto del sapere, risale genealogicamente alle origini della nostra contemporaneità, in quelle colonne che vennero posate con il progetto illuminista europeo di D’Alembert e Diderot (Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, 1751-1766) o degli scozzesi Colin Macfarquhar e Andrew Bell (British Encyclopaedia, 1768-1771). In un periodo caratterizzato da una costante dialettica politica come il XIX secolo, la letteratura basata su una critica beffarda sviluppata dai detrattori dei Lumi metteva in scacco l’eccesso di descrizione concesso a concetti – per quanto innovatori – come quello economico del laissez-faire o delle allora contemporanee teorie politiche rivoluzionarie. Ancora oggi l’impresa enciclopedica è una missione audace.
La realizzazione di un’opera come questa è orientata intorno a concetti tanto vitali quanto lo possono essere l’idea di guerra o la forza trascendentale delle rivoluzioni, per giungere ad un approccio al tema che sia tecnicamente in grado di guidare gli sguardi concentrati sulle problematiche centrali care allo storico fedele alla tradizione, interessato ad osservare gli assi portanti, le questioni più rilevanti, le logiche sistemiche che si creano intorno a un’analisi categorizzante e tassonomica. Nella quarta di copertina gli organizzatori esplicitano la loro scelta affermando che «si tratta di opere complete, che presentano idee, movimenti, fatti e personaggi che hanno modellato l’inizio del secolo, tanto nel campo della politica e dell’economia, quanto nel campo delle arti e delle scienze». Non è pensabile affermare che ci sia stata una tematica durante il corso del XX secolo in grado di generare maggiore preoccupazione nelle menti – sia del popolo, sia delle élites – che i rischi e le opportunità delle rivoluzioni; allo stesso modo è difficile negare che le guerre siano state una costante durante l’intero secolo. La scelta – strategicamente posizionata tra la logica volta ad evidenziare gli elementi caratterizzanti di quei tempi e il riconoscimento della polisemia acquisita da tali termini per via della loro volgarizzazione – mostra la tenacia e l’eclettismo necessari per un lavoro di tale portata.
Il marchio concettuale di “rivoluzione” è impiegato nel suo significato originale, quello di mutamento e destrutturazione sociale o politica. Tuttavia, con l’evoluzione e l’uso costante, tale concetto finirà per abbracciare vari campi che trascendono la sua sola genesi politologica. Deve essere citata anche, a fronte di un simile eclettismo, la scelta di un linguaggio comprensibile e basato sull’utilità didattica dei riferimenti bibliografici per ulteriori approfondimenti. Ciò che sorprende, a distanza di dieci anni dalla prima edizione, sono l’audacia e la foggia di un’opera che non solo presenta la vivacità necessaria per rinnovarsi, ma che si sviluppa in tre volumi, proponendo in modo chiaro un approccio in segmenti periodizzanti per la comprensioni del “lungo” XX secolo. La riedizione dell’enciclopedia in quanto tale, in un’edizione più ampia e ambiziosa, indica la sorprendente vivacità delle opere di erudizione e della minuziosa analisi tecnica in sé, in tempi in cui l’informazione è accessibile, a portata di mano.
Il primo volume affronta in modo logico il primo momento della débâcle della belle époque, sottolineando i concetti e i termini fondamentali degli anni contraddittori del capitalismo liberale, degli imperialismi trionfanti e di una società peculiare – preconizzando, in un’epoca di autoregolazione, il termine della longeva capacità di esercizio critico di fronte al proprio tempo. Osservando il periodo compreso tra il 1901 e il 1919, emerge la preoccupazione per il preludio e lo schiudersi di un conflitto che avrebbe lasciato come eredità la fine dell’egemonia europea sul pianeta, per il clima di incertezza apportato dalla Grande guerra e dalle sue rovine, che inevitabilmente contraddistingue questo primo tomo.
Il secondo volume, incentrato sul periodo che va dal 1919 al 1945, discute uno dei periodi maggiormente indagati dalla storiografia contemporanea: l’epoca delle infruttuose trattative di pace, i “folli” anni Venti e la loro svolta radicale con la crisi del ’29, l’ascesa degli autoritarismi fascisti, le tragedie dell’olocausto e delle bombe atomiche, in quel contesto di insicurezza che avrebbe dato vita alle condizioni grazie alle quali lo scenario della Seconda guerra mondiale si sarebbe sviluppato in maniera inequivocabile, ponendo le condizioni per un nuovo ordine mondiale post-europeo dopo secoli di incontrastata egemonia. Gli anni che seguirono, tuttavia, non avrebbero mitigato la caratteristica che li avrebbe marcati: un terrore sviluppato per effetto delle minacce di violenza generalizzata come elemento fondamentale attraverso il quale comprendere le origini del nostro tempo.
Infine, con un maggior respiro, giustificato in funzione della maggior complessità degli studi storici, la fine dell’epoca dei grandi conflitti mondiali e i controversi tempi della Guerra fredda (1945-1991), oltre al già citato nuovo ordine mondiale, vengono trattati nel più voluminoso dei tre tomi. L’emergere di condizioni nuove e rivoluzionarie per l’ascesa della bipolarità sia sull’asse Nord-Sud sia su quello Ovest-Est, e successivamente temperate da quella rottura rappresentata dalla posizione terzomondista o non allineata, è considerata strutturale per la comprensione della guerra e della rivoluzione come elementi persistenti nella contemporaneità, anche attraverso nuovi campi come gli studi comportamentali, le epistemologie o il ruolo così intrigante e sensibile delle rivoluzione tecnologiche, che avrebbe sbilanciato le relazioni nel difficile e incerto avvio del XXI secolo.
La rilevazione di quella che è la forgia analitica dello storico, del politologo, del sociologo o dell’antropologo, dello specialista di studi internazionali e del giurista, ci distingue e ci rende in maniera costruttiva sempre di più lettori critici e globalmente attenti ai concetti, ai temi e ai problemi più rilevanti del corso dell’umanità relativamente a quel periodo storico. Il ruolo di sforzi onesti come questa Enciclopédia, nei suoi tre aggiornati volumi, è quello di espandere il carattere olistico di una simile discussione su temi di carattere storico, ma anche sul ruolo stesso del pensatore contemporaneo come costruttore di un interesse globale, antiutilitarista e unitario, che possa essere un lettore del tempo con una torcia in mano per aiutare ad orientarsi all’interno del dibattito pubblico. In tal senso, questa opera densa e fitta ci invita ad un’intensa passeggiata nella totalità come ad una questione propria delle Scienze umane, che non può essere affrontata da qualche viandante improvvisato e solitario, ma solamente attraverso il congiunto di una raccolta di idee.
Notas
1 Dicionário de Ciências Sociais, Rio de Janeiro, FGV, 1986.
2 OUTHWAITE, William, BOTTOMORE, Tom, Dicionário do pensamento social do século XX, Rio de Janeiro, Ed. Jorge Zahar, 1996.
Daniel Chaves – È professore associato di Storia Contemporanea presso l’Universidade Federal do Amapá (Unifap). Dottore in Storia comparata nel corso di laurea specialistica in Storia Comparata (UFRJ), è docente del Programa del corso di laurea specialistica Mestrado em Desenvolvimento Regional (PPGMDR) e ricercatore senior dell’Observatório de Fronteiras do Platô das Guianas (OBFRON) e del Círculo de Pesquisas do Tempo Presente (CPTP), entrambi afferenti all’Unifap.