Generare, partorire, nascere. Una storia dall’antichità alla provetta – FILIPPINI (BC)

FILIPPINI, Nadia Maria. Generare, partorire, nascere. Una storia dall’antichità alla provetta. Roma: Viella, 2017. 349p. Resenha de: TIAZZOLDI, Livia. Il Bollettino di Clio, n.9, p.75-78, feb., 2018.

Nadia Maria Filippini, già docente di Storia delle donne presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e socia fondatrice della Società Italiana delle Storiche, propone un’articolata analisi diacronica di lunga durata sul tema della maternità nella cultura occidentale, all’insegna della continuità nella trasformazione.

Ne sottolinea la complessità, evidenziandone le molteplici sfaccettature culturali, sociali, scientifiche che stanno alla base di rituali, pratiche terapeutiche, norme civili e religiose, forme di controllo e potere.

La storia del parto è un capitolo fondamentale della storia delle donne, sostiene l’autrice nell’introduzione, ed è strettamente legato alla codificazione del genere dato che, per secoli, l’essere donna ha coinciso con l’essere madre e l’essere madre è stato criterio di misura del valore femminile. “Su questa capacità si concentravano dunque aspettative individuali, familiari, sociali, ma anche forme di tutela, controllo, disciplinamento che avevano il loro epicentro nella famiglia (con le sue interne gerarchie), nell’istituzione ecclesiastica e in quella politica.”  Luoghi, figure, rituali e pratiche terapeutiche riguardanti la gravidanza e il parto vengono proposti come osservatorio privilegiato per analizzare sia la storia delle donne che quella sociale e culturale con le sue trasformazioni: dalla progressiva costruzione del discorso medico-scientifico nel mondo antico, alle innovazioni del cristianesimo, all’affermarsi della figura del chirurgo-ostetricante nel Settecento, alla medicalizzazione del parto, fino alla rivoluzione delle tecnologie riproduttive del Novecento.

L’idea presente già nel titolo è quella di mettere a fuoco i vari soggetti coinvolti: alla capacità della donna di partorire è stata opposta per secoli quella maschile di generare, mentre il verbo nascere mette in evidenza il punto di vista del feto/neonato la cui importanza varia in base al modificarsi delle rappresentazioni che lo connotano nel tempo, condizionando di conseguenza pratiche e principi deontologici.

Grande centralità è data alla scena del parto che permette di analizzare i luoghi (la casa e poi l’ospedale), le pratiche adottate, i soggetti coinvolti (la madre, la levatrice, il medico) i cui ruoli cambiano nel tempo in un continuo confronto professionale e di genere fatto di collaborazione, ma anche di contrapposizione.

Il libro è suddiviso in quattro parti. La prima parte (Rappresentazioni culturali) mi sembra particolarmente interessante e spendibile sul piano didattico, nel caso si voglia attivare una riflessione su come sia cambiata nel corso del tempo l’idea di generazione e nascita.

Vi si analizzano le grandi rappresentazioni fondanti la differenza di genere nella cultura occidentale e che si ritrovano nei miti, nel linguaggio con le sue metafore e proverbi, nella filosofia, nelle raffigurazioni artistiche, nella religione pagana e cristiana.

Ci si rende subito conto della dicotomia maschile/femminile; di come esista una continuità di lunghissima durata dell’idea dell’uomo come seminatore, come principio attivo della generazione, e della donna come un campo da seminare, passivo, posseduto da un contadino-padrone che lo rende fertile.

Questa impostazione è alla base di una tradizione di pensiero che attraversa la cultura greca con Ippocrate e Aristotele, quella araba, il pensiero di Tommaso d’Aquino ripreso poi da Dante Alighieri, fino al Settecento.

La superiorità del maschile sul femminile è sottesa anche all’idea del “partorire con la mente” (Platone), appannaggio esclusivo dell’universo maschile. Socrate parla di maieutica e si paragona in quest’arte alla madre ostetrica, con la differenza che, mentre lei fa nascere i bambini, lui aiuta i suoi allievi a partorire i prodotti della mente (arte, letteratura, filosofia) che garantiscono fama immortale.

Il parto di Atena dalla testa di Zeus esemplifica come il mito e la religione abbiano attribuito ad un Dio maschile perfino la capacità di generare e di partorire. Le dee madri di antica tradizione vengono dimenticate e la coppia Zeus-Atena sostituisce quella preindoeuropea di Demetra-Core, provocando una forte rottura di identità e di alleanze nella storia delle donne.

La Medea di Euripide propone una stretta analogia fra parto e guerra, due prove dolorose da superare, ad alto rischio di morte, che si giocano in aree separate: gli uomini vanno in guerra, le donne partoriscono con l’aiuto di altre donne (levatrici, vicine di casa, familiari). Però, mentre la guerra dei maschi ha carattere fondativo di una civiltà, viene raccontata ed esaltata nella figura dell’eroe, la guerra delle donne (il parto) resta confinata nel chiuso delle pareti domestiche ed è esclusa dal racconto pubblico.

A differenza di quanto accadeva nel mondo antico, il cristianesimo pone al centro il momento della nascita, valorizzando il rapporto madre-figlio, ma, nel corso del tempo, priva sempre più la Vergine (anche nelle rappresentazioni artistiche) delle tracce di maternità corporea. La Madonna è una madre spirituale più che fisica, esente non solo dal peccato originale, ma dagli stessi dolori del parto (dogma dell’Immacolata Concezione del 1854).

La corporeità del parto, sinonimo di impurità, viene invece attribuita ad un’altra figura femminile: Eva, responsabile dell’introduzione della morte nel mondo e incaricata di espiare con le doglie il peccato originale.

L’idea cristiana del dolore come espiazione del peccato distoglierà per molto tempo la ricerca medico-scientifica dall’indagine sulle cause del dolore e sui farmaci per contrastarlo.

L’influenza del pensiero cristiano ha determinato nelle donne un vissuto molto contraddittorio in bilico tra orgoglio e vergogna, tra fierezza e silenzio: da un lato la maternità viene esaltata come realizzazione di un dovere e di un comandamento divino (il modello è la Madonna), dall’altra viene mortificata sul versante corporeo (oggetto di scandalo, segregazione in casa ed esonero dalla messa). Il parto è diventato un tabù, cancellato perfino dal linguaggio: si racconta che i bambini nascono sotto ai cavoli o li porta la cicogna.

Nella seconda parte (Partorire e venire al mondo dall’antichità al Settecento), utilizzabile sul piano didattico per ragionare sul potere declinato al femminile (subìto, agito, condiviso, invidiato), si descrive la gravidanza come esperienza peculiare della donna, il cui corpo è sottoposto a forme di controllo sociale con divieti e obblighi rituali, oggetti scaramantici. Interessante la questione introdotta dal cristianesimo relativa al momento in cui Dio infonde l’anima nel feto: il quarantesimo giorno se è maschio, l’ottantesimo se è femmina. Dopo la Controriforma la data si sposta al terzo giorno dal concepimento.

Varie pagine sono dedicate al parto, al puerperio, alla nascita, alle credenze ed ai rituali connessi prima nel mondo antico, poi nel mondo cristiano, quando la Chiesa impone il suo controllo sulla sfera della sessualità e della riproduzione.

Si evidenziano permanenze di lunga durata e rielaborazioni simili in tutta Europa (Francia, Germania e paesi anglosassoni con vari esempi di storia veneziana). A questo discorso si intreccia poi la descrizione della nascita del pensiero medico antico e della sua lunga continuità nell’occidente medievale e moderno.

Attenzione particolare è data alla figura della levatrice, presenza fondamentale sulla scena del parto sia nel mondo antico che nell’Occidente cristiano, ma anche figura di riferimento in caso di problemi legati al ciclo mestruale, all’allattamento, in casi di sterilità o stupro o per indurre un aborto attraverso pozioni particolari, incantesimi e amuleti. Per questa sua partecipazione sia alla sfera della vita che a quella della morte, questa donna appariva ambigua allo sguardo degli uomini, esclusi da quel mondo di conoscenze e pratiche. Alla levatrice si collega anche il concetto di nascita sociale che sancisce, attraverso un rituale, l’ingresso del nuovo nato nella famiglia e nella società. Essa infatti assiste alla nascita naturale, ma consegna poi il neonato al padre e lo affianca, assieme alla madrina, nel rito del battesimo, da cui la madre è esclusa. Talvolta è lei stessa a fare da madrina, diventando la madre spirituale del bimbo, ed è comunque autorizzata ad amministrare il battesimo “sotto condizione” in caso di pericolo di vita del neonato al momento della nascita.

La terza parte (Lo snodo del Settecento) si confronta col XVIII secolo, un periodo di profonda trasformazione nella storia della nascita per i cambiamenti che investono sia la scienza che il contesto socio-politico.

Si impongono nuove teorie sulla fecondazione e sullo sviluppo fetale e si afferma la figura del chirurgo-ostetricante che modifica la secolare tradizione di presenza esclusivamente femminile sulla scena del parto.

Emerge da parte degli Stati un interesse specifico per il controllo della popolazione e nasce il biopotere il cui fine è quello di potenziare e gestire la vita, il corpo stesso delle persone, controllando salute, natalità mortalità.

In linea con questa nuova concezione si colloca il processo di personificazione dell’embrione-feto e l’affermarsi dell’idea del feto-cittadino, che giustifica l’intervento pubblico nel settore della nascita. Vengono istituite le scuole ostetriche, nascono gli ospedali per partorienti.

L’ultima parte (Le molteplici rivoluzioni del Novecento) affronta l’età contemporanea quando il biopotere si afferma sempre di più fino ad arrivare alle politiche eugenetiche e demografiche dei regimi totalitari, in particolare del nazismo, e quando il parto diventa sempre più soggetto alla medicalizzazione e all’ospedalizzazione.

Si affermano nuove tecniche come l’ecografia, definita un “nuovo rito conoscitivo”, la psicoprofilassi e l’analgesia.

Dal punto di vista legale si arriva progressivamente, in un numero crescente di paesi, alla legalizzazione della contraccezione e dell’interruzione volontaria di gravidanza, al varo di leggi a tutela della maternità.

Si fa sempre più strada, sulla spinta delle rivendicazioni femministe, l’idea dell’autodeterminazione della donna e della maternità come libera scelta e viene messo in discussione l’automatismo del legame sessualità-procreazione. Anche la figura del padre acquista un ruolo più partecipe, sia durante la gravidanza che al momento della nascita.

La fecondazione artificiale infine apre nuovi orizzonti coniugando il termine di maternità con quello di diritto, mentre si diffondono nella società nuovi modelli genitoriali e familiari (famiglie arcobaleno).

La crioconservazione di ovuli e spermatozoi sembra assicurare una specie di immortalità biologica all’individuo, non più legata alla filiazione reale, ma già realizzata nell’idea di filiazione possibile.

Alle soglie del terzo millennio, l’autrice sottolinea la presenza di aspetti contraddittori: le gerarchie di genere alla nascita sono state scardinate nei paesi occidentali, ma l’applicazione della tecnologia ha portato all’alterazione del rapporto naturale tra i sessi in molte parti del mondo; l’applicazione di alcune leggi a favore della donna non è sempre praticata, la fecondazione assistita rimane un privilegio per gli alti costi; la maternità è certamente una scelta, non più un obbligo o un destino, ma la crisi economica e la precarietà dei contratti di lavoro compromettono a volte una effettiva libera scelta.

In estrema sintesi si può dire che queste stimolanti pagine evidenziano la continuità nel tempo di quattro nodi fondamentali: l’idea di impurità legata alla sessualità femminile; il carattere ambivalente sul piano sociale e culturale dell’esperienza del parto (sacro, ma anche indicibile); la connotazione culturale di parto e nascita, definiti dall’ambiente in cui avvengono, dai rapporti fra i generi, dalle conoscenze mediche e anatomiche; il corpo femminile al centro di continui scontri di potere.

Il libro, che si conclude con un’ampia bibliografia ragionata in cui si valorizzano gli studi femminili, fornisce agli insegnanti una grande ricchezza di elementi per un approccio didattico ampio e articolato anche sul piano interdisciplinare. Potrebbe essere interessante un percorso sul tema dei diritti umani (acquisiti in alcune parti del mondo, non ancora in altre dove sopravvivono situazioni simili a quelle descritte nel testo e riferite al passato dei paesi occidentali), con collegamento agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU.

Livia Tiazzoldi

Acessar publicação original

[IF]

L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea – BELLASSAI (BC)

BELLASSAI, Sandro. L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea. Roma: Carocci, 2012. 181p. Resenha de: DI TONTO, Giuseppe. Il Bollettino di Clio, n.9, p.79-82, feb., 2018.

Che cosa hanno in comune le immagini di Mussolini in posa atletica, proposte dall’Istituto Luce durante la “Battaglia del grano”, con le foto dei corpi maschili dagli addominali perfetti che la pubblicità moderna ci propina? Apparentemente nulla o quasi. Entrambe, comunque, segnalano alcune tappe della rappresentazione dell’identità maschile nella nostra società e con esse il concetto di virilità, che va a pieno titolo inserito nello scaffale tematico della storia di genere letta al maschile.

A questo tema lo storico Sandro Bellassai ha dedicato, alcuni anni fa, esattamente nel 2012, una delle sue ricerche sulla storia di genere al maschile nel libro L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea, Roma 2012, che a noi pare, se pur a distanza di qualche anno dalla sua uscita, ancora di fondamentale importanza per quanti volessero farsi un’idea più approfondita su questo problema della storiografia di genere.

Il concetto di virilismo, inteso nella definizione del Grande Dizionario della Lingua Italiana di S. Battaglia come “l’esasperazione di qualità, comportamenti virili o tradizionalmente ritenuti tali” viene analizzato da Bellassai nel suo sviluppo storico per periodi a partire dal secolo XIX per arrivare fino ai nostri giorni.

Lo scopo del libro, esplicitamente dichiarato dall’autore, è quello di delineare una cornice interpretativa di “una storia del virilismo come ideale politico (dove questo aggettivo non si riferisce letteralmente solo al sistema politico, ma a dinamiche sociali e culturali che definiscono limiti e possibilità della libertà e del potere nelle relazioni fra uomini e donne). Come ideale politico astratto, in particolare, che ha segnato profondamente per oltre un secolo linguaggi, immagini, comportamenti di soggetti maschili concreti.”(p.9)  L’approccio proposto privilegia quindi, in modo particolare, la dimensione simbolica della mascolinità e le rappresentazioni che ad essa possono essere collegate, cercando di mettere in rilievo alcuni aspetti del loro uso politico nella storia italiana contemporanea.

L’analisi prende le mosse dalla società della fine del secolo XIX, con le sue radicali trasformazioni economiche sociali e culturali, quando sembrava “prefigurarsi una decadenza dell’assoluta sicurezza maschile nel pubblico e nel privato” (p.17). La patriarcale centralità della figura maschile che fino ad allora aveva dominato indiscussa, entrava in crisi e con essa le gerarchie di genere. In un‘epoca in cui “le élite e la sempre più rilevante opinione pubblica avevano un carattere prevalentemente maschile, il crescente protagonismo – anche sociale e politico – delle donne venne percepito come una minaccia pericolosissima per gli assetti sociali del potere, dunque della supremazia degli uomini in quanto genere.” (p.17)  La risposta a questo indebolimento del ruolo maschile, a livello individuale e collettivo, fu il rilancio della virilità nei suoi caratteri concreti e simbolici in contrapposizione alla modernità dilagante e ai suoi effetti.

Bellassai sottolinea a più riprese come sul piano delle relazioni di genere la prima e più potente incarnazione di questa contrapposizione al tradizionale dominio dell’uomo era la donna, la “donna nuova” che dalla seconda metà dell’Ottocento era entrata nella sfera pubblica con l’accesso all’istruzione universitaria, alle professioni, al mondo della cultura e del lavoro. I tratti misogini della polemica maschile non si limitavano a riproporre “l’antico adagio denigratorio delle donne… (ma rappresentavano) …la reazione maschile alle conseguenze di genere di una modernizzazione che toglieva l’aurea di sacralità agli equilibri di potere consolidati” (p.45). La misoginia si affermava quindi come “strumento retorico mediante il quale si è perseguita per decenni una restaurazione delle identità e dei ruoli di genere tradizionali”(p.45) e trovava spazio “nei più svariati ambiti della cultura, della scienza e dell’opinione pubblica.”(p.46) Interessanti gli esempi riportati dall’autore: dallo stereotipo della femme fatale del Decadentismo alle affermazioni di antropologi e sociologi come Lombroso e Mantegazza sulle degenerazioni femminili e sui rischi di feminilizzazione maschile. Esempi di una misoginia che aveva lo scopo di fissare le differenze naturali in termini gerarchici tra i due sessi e cercare una strada che “esaltasse e rigenerasse i tratti considerati più marcati e specifici dell’identità maschile” (pag.53) esprimendo in questo modo un antimodernismo che sembrava già mostrare le sue debolezze rispetto alle grandi trasformazioni che il nuovo secolo proponeva.

La seconda fase presa in considerazione dall’autore è quella del ventennio fascista considerata “sul piano della storia nazionale, certamente il più organico tentativo di imporre dall’alto del potere statale una via autoritaria alla modernità” (pag.53) ma trattavasi pur sempre di una modernizzazione autoritaria che distingueva tra una buona e una cattiva modernità ed esprimeva un antimodernismo che rappresentava “un setaccio retorico che aveva il compito di purificare il futuro della nazione degli elementi inconciliabili con la riaffermazione di un ordine sociale rigidamente gerarchico.(p.64)”  Questo ordine gerarchico avrebbero trovato una sua espressione anche nel virilismo e nei rapporti di genere. Tra le manifestazioni della retorica fascista di questo rinnovato virilismo Bellassai annovera l’esaltazione della popolazione rurale e la celebrazione del contadino “come quintessenza di mascolinità naturale o selvatica” (p.73). A questa retorica si affiancava quella della famiglia patriarcale contadina, esempio di “un ordine sociale e di genere tradizionale, premoderno, rigidamente gerarchico” che doveva difendere la nuova civiltà fascista “dalle degenerazioni della civiltà contemporanea, tra le quali si dovevano di sicuro contare il desiderio delle giovani donne di una vita migliore e di una maggiore cura di sé” e la ricerca “di nuove forme di svago e socializzazione che favorivano la promiscuità fra i sessi e indebolivano il sentimento religioso e, ovviamente, il virus della denatalità che dalle città già infette minacciava costantemente di propagarsi alle virilissime aree rurali” (p.74)

Altro tema di interesse nell’analisi del virilismo era il fascino del rischio e della vita avventurosa riproposti anche dalla letteratura popolare “ispirata alle avventure in mondi selvaggi e misteriosi, compresi i bassifondi urbani, o all’esistenza solitaria di uomini forti a contatto con la natura (dai romanzi coloniali al mito letterario del West, dalla prima science fiction al genere poliziesco” (p.75). Era l’uomo della classe media urbana che si serviva di quel mito come “compensazione fantastica di una condizione esistenziale che egli percepiva deleteria per la propria identità di maschio” (p.75).

Non meno interessanti sono le osservazioni dell’autore a proposito della posizione sull’intellettualismo inteso dal fascismo come una sorta di “malattia dell’intelligenza ed essendo quest’ultima, nella concezione tradizionale, un attributo precipuamente maschile, l’intellettualismo era una malattia della mascolinità. Una ‘intelligenza senza virilità’  appunto” (p.77) alla quale bisognava opporre gli ideali di azione, di impulsività e di giovinezza. Ma è ancora sulla donna e sulla sua subalternità che si concentrava la costruzione dell’immagine maschile in questo periodo. Il problema era la ”trasformazione profonda ed epocale, e non certo trascurabile, dell’identità femminile”. Come scriveva il famoso scrittore Dino Segre, meglio noto con lo pseudonimo di Pitigrilli, in un suo romanzo di quell’epoca “Le signorine di una volta simulavano l’ingenuità e la purezza, la trasparenza spirituale e l’impermeabilità materiale; facevano mostra di non capire mai. Quelle di oggi, invece dell’ingenuità ostentano malizia, mostrando di scoprire intrighi oscuri nelle vicende più limpide, ambiguità misteriose nelle parole più oneste, raffinate impurità nelle pratiche più francescane”. (p.84)

Alla diffusione della cultura di massa americana, considerata dal fascismo responsabile della gran parte delle degenerazioni della “donna moderna”, il regime rispondeva con appelli e campagne contro “la diffusione della moda indecorosa di origine straniera, contro i balli moderni, contro i nuovi modelli di donne magre, disinvolte, decise a conquistare un accesso più ampio al lavoro extra domestico e al tempo libero” e al tempo stesso si varavano misure e iniziative “per sostenere l’esclusiva ‘missione di madre’ di ogni donna” sostenendo la pubblicazione di “romanzi, opere moraleggianti e articoli su ogni tipo di periodici per esaltare la donna moglie e madre e per spegnere sul nascere ogni focolaio della terribile infezione modernista”.(p.84). Di altrettanto interesse i paragrafi dedicati dall’autore alla retorica fascista per combatte i fenomeni di denatalità e propagandare la libertà sessuale lasciata agli uomini “come una delle principali attrattive dello scenario coloniale(p.91). Nell’analisi della quarta fase di questa storia del virilismo in Italia, l’autore, sottolineando i grandi cambiamenti economici,  sociali e culturali degli anni ’50 e ’60 in Italia, pone in relazione tali trasformazioni e le conseguenze che esse ebbero “nell’assetto delle relazioni di genere: sensibili cambiamenti si riscontrano ad esempio, nella rappresentazione dei ruoli femminili anche nell’ambito domestico, nella progressiva affermazione di una morale sessuale e di atteggiamenti meno oppressivi sul piano del senso comune diffuso, nel riconoscimento di nuovi diritti civili e sociali delle donne”. (p.97)

Pur continuando a permanere differenze di genere che fanno parlare Bellassai di un assetto asimmetrico del potere e delle gerarchie di genere, emergevano novità rispetto al recente passato che, tuttavia, non consentivano certo di invocare in tempi brevi “la scomparsa delle disuguaglianze fra uomini e donne” (p.98). Ciò nonostante si chiudeva, secondo l’autore, “definitivamente una pluridecennale fase storica in cui i modelli di mascolinità ispirati al virilismo nella sua declinazione più autoritaria, gerarchica e violenta avevano detenuto una notevole egemonia nell’immaginario collettivo. Ma l’idea che gerarchia, forza e ordine fossero indispensabili alla virilità collettiva, e che quest’ultima fosse a sua volta un pilastro irrinunciabile del naturale equilibrio sociale, certamente non scomparve”. (p.99)

Molti gli esempi prodotti a conferma di questa tesi in particolare nell’ambito della comunicazione pubblicitaria relativa ai nuovi beni di consumo. Il miracolo economico produceva la percezione di essere usciti dalla miseria dopo il secondo conflitto mondiale. Le aree urbane delle città industriali del Nord furono investite da fenomeni di immigrazione dalle campagne e soprattutto dal Sud e nelle città del benessere gli “immigrati potevano accantonare i costumi tradizionali”. (p.105).

Così Giorgio Bocca, riportato da Bellassai, nel suo libro La scoperta dell’Italia del 1963 descriveva il fenomeno che investiva anche le identità di genere “scomparsi o tenuti in sordina i temi maschili, aggressivi e rudi, inizia il declino del gallismo e di quella sua manifestazione che è il pappagallismo [ …] Per effetto della cultura di massa il Bel paese si ingentilisce e si svirilizza” (p. 104). Nuovi modi di comportamento si affermavano tra le donne: con gli acquisti di elettrodomestici per la casa ma anche di prodotti di consumo voluttuario. Bellassai fa ancora parlare Giorgio Bocca dallo stesso volume prima citato “Nella civiltà dei consumi, l’universo del confort appare affidato alle donne, sono esse a decidere gli acquisti e i primi ad esserne persuasi sono i venditori, prova ne sia che la pubblicità va ai giornali femminili nella misura del settanta per cento, più del doppio di quanta ne vada ai giornali maschili-femminili” (p.106). Tuttavia questo fenomeno di svirilizzazione, contrariamente alle epoche passate, non appariva a tutto il mondo maschile come un fenomeno negativo “era l’inizio di un’epoca in cui il tradizionale virilismo si avviava a diventare una delle opzioni in campo, perdendo quindi il monopolio identitario che riteneva spettargli di diritto [] l’inizio della fine del virilismo stesso quale aveva dominato la dimensione dell’identità maschile per quasi un secolo” (p.110). Arrivando a parlare degli ultimi decenni del XX secolo e degli inizi del nuovo secolo il giudizio dell’autore si fa più netto a favore della tesi secondo la quale “la crisi della prospettiva maschile tocca il suo apice nel decennio settanta per lasciare spazio a partire dalla fine del millennio, al tentativo di rilanciare un ordine culturale ispirato alla subordinazione delle donne nel pubblico e nel privato, alla riproposta di una polarizzazione identitaria del maschile e del femminile, al risorgere di pulsioni antiegualitarie, xenofobe o apertamente razziste” (p.123).

I ragionamenti fin qui condotti dall’autore portano alla conclusione che il modello virilista è stato largamente screditato ma non si può abbassare la guardia e considerare la sua storia conclusa. Basta pensare ai numerosissimi episodi di violenza sulle donne di cui veniamo quotidianamente a conoscenza dalle cronache e che riguardano ambienti e classi sociali diverse. E da questa conclusione può partire un’ultima riflessione sulla funzione che la scuola può e deve svolgere. Siamo ancora lontani dall’idea di immaginare rapporti di genere diversi. Il libro di Bellassai ci aiuta a muovere i passi, donne e uomini, in quella direzione, semmai partendo dalla scuola e dall’insegnamento della storia anche nell’ottica della storia di genere.

Giuseppe Di Tonto

Acessar publicação original

[IF]

Revista de Fontes. São Paulo, v.5, n.8 , 2018.

Documentos | 

Documentos

Publicado: 2018-01-23

Revista de Ensino, Educação e Ciências Humanas. Londrina, v. 18, n.4, 2017.

Artigos

História Oral. Rio de Janeiro, v.20, n.2, 2017.

Movimentos sociais e ativismos contemporâneos

APRESENTAÇÃO

DOSSIÊ

ENTREVISTAS

PUBLICADO: 2018-01-18

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.1, n.2, 2012 / v.7, n.14, 2018.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.7, n.14, 2018.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.7, n.13, 2018.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.6, n.12, 2017.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.6, n.11, 2017.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.5, n.10, 2017.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.5, n.9, 2017.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.4, n.8, 2015.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.4, n.7, 2015.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.3, n.6, 2014.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.3, n.5, 2014.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.2, n.4, 2013.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.2, n.3, 2013.

Museologia & Interdisciplinaridade. Brasília, v.1, n.2, 2012.

 

Cadernos de História da Educação. Uberlândia, v. 16 n. 3, 2017.

Editorial

Entrevista

Dossiê: História da Educação Matemática e Formação de Professores que Ensinam Matemática

Artigos

Documentos

Resenhas

Publicado: 2018-01-09

Mnemosine. Campina Grande, v.8, n.4, 2017.

Ensino de História, memória e cidades

Ensino de História, memória e cidades

APRESENTAÇÃO……………………………………………………………………………7

ARTIGOS DO DOSSIÊ

  • MEMÓRIAS FLUVIAIS DO IMAGINÁRIO PESSOENSE: O RIO SANHAUÁ COMO NASCEDOURO DA CIDADE DE JOÃO PESSOA- PB E CONSTRUTOR DE IDENTIDADES
  • Alana Cavalcanti Cruz………………………………………………………………………17
  • CONVIDA, INTERPELA E DESAFIA: MEDIAÇÕES EM INSTITUIÇÕES DE MEMÓRIAS DE BUENOS AIRES
  • Carmem Zeli de Vargas Gil…………………………………………………………………40
  • O QUEBRA-QUEBRA DE 1987: APONTAMENTOS SOBRE CLASSES POPULARES E CULTURA POLÍTICA NO RIO DE JANEIRO
  • Charleston José de Sousa Assiss………………………………………………………….63
  • A CIDADE DE CAMPINA GRANDE CONTEMPLADA POR SEGMENTOS LABORAIS: MEMÓRIA, TRABALHO E VIDA
  • Cid Douglas Souza Pereira…………………………………………………………………83
  • PARAÎBA 1817: HISTÓRIA, MEMÓRIA E PATRIMÔNIO
  • Eliete de Queiroz Gurjão……………………………………..………………………………………..………102
  • PARAÎBA 1817: HISTÓRIA, MEMÓRIA E PATRIMÔNIO
  • Eliete de Queiroz Gurjão………………………………………………………………………………………..117
  • “UMA COISA É VOCÊ SE MUDAR DE ONDE VOCÊ MORA OUTRA COISA É VOCÊ SER EXPULSO”: ORIGEM E TRAJETÓRIA DO MOVIMENTO DOS ATINGIDOS POR BARRAGEM NA PARAÍBA
  • Ellen Layanna de Lima…………………………………………………………………….131
  • QUANDO A RUA SERÁ MINHA? HISTÓRIA, INFÂNCIAS E O DIREITO DE VIVER A CIDADE
  • Humberto da Silva Miranda…………………………………………………………………………………147
  • OS BAIRROS DIZEM A CIDADE: O MAPEAMENTO DO PATRIMÔNIO CULTURAL DOS “OUTROS” MORADORES URBANOS
  • Keila Queiroz e Silva………………………………………………………………………164
  • MEMÓRIAS DO TRABALHO NA MINERAÇÃO BREJUÍ: PROPOSTA PARA USO DA HISTÓRIA LOCAL NO ENSINO MÉDIO INTEGRADO EM MINERAÇÃO, EM CURRAIS NOVOS/RN
  • Cléia M Alves; Francisco C S Souza; Olivia M M Neta…………………………………178
  • NARRADORES DE EIRUNEPÉ: ORALIDADE, NARRATIVA E ENSINO DE HISTÓRIA NA (RE)CONSTRUÇÃO DE UMA MEMÓRIA COLETIVA URBANA
  • Paulo de Oliveira Nascimento……………………………………………………………202
  • AZUL OU ENCARNADO, NÃO IMPORTA A COR DO ORNATO, A MATIZ É UMA SÓ. É FESTA EM UMBUZEIRO, É DIA DE VAQUEJADA!
  • Tatiane Vieira da Silva…………………………………………………………………….220

ARTIGOS DE FLUXO

  • PRODUÇÃO, COMÉRCIO E CONSUMO DE ALIMENTOS NO CONTEXTO MINEIRO COLONIAL: A COMARCA DO RIO DAS MORTES (SÉCULO XVIII)
  • Caroline Sauer Gonçalves………………………………………………………………..238
  • DO LIXO À LUTA: HISTÓRIA DOS CATADORES DE MATERIAL REUTILIZÁVEL E RECICLÁVEL DO MUNICÍPIO DE SOUSA, PARAÍBA
  • Rosimery A A Lima; Maria F N Barbosa;………………………………………………..270
  • ETNIA E AFRO-RELIGIOSIDADE EM PERNAMBUCO NO SÉCULO XVIII
  • Josinaldo S Queiroz; Juciene Ricarte Apolinário………………………………………291
  • A ORIGEM DA IMAGEM-POSTAL DA CIDADE DO RECIFE
  • Roberval da Silva………………………………………………………………………….318
  • A HISTÓRIA E A CIÊNCIA NO BRASIL: MÁRIO GUIMARÃES FERRI E A ORGANIZAÇÃO DA COLEÇÃO RECONQUISTA DO BRASIL
  • Gisella de A Serrano; José Otavio Aguiar………………………………………………334
  • ASSENTAMENTO E APA TAMBABA, MEIO AMBIENTE E ORALIDADE – ENTRECRUZAMENTOS
  • Pedro C G Vianna; Ronaldo L Soares……………………………………………………355
  • CRIPTOJUDAISMO NA MESA DO INQUISIDOR. TÁTICAS FEMININAS PARA A MANUTENÇÃO DE COSTUMES JUDAICOS EM FINS DO SÉCULO XVI (PERNAMBUCO, ITAMARACÁ E PARAÍBA).
  • Priscila Gusmão Andrade; Juciene Ricarte Apolinário………………………………..375
  • DESERTIFICAÇÃO E SEMIÁRIDO BRASILEIRO: ÍNDICES E INDICADORES BIOFÍSICOS E SÓCIO-ECONÔMICOS
  • Sérgio Murilo S Araújo; Eduardo R Viana de Lima …………………………………..397

Publicado: 2018-01-08

Língu@ Nostr@. Vitória da Conquista, v.5, n.2, 2017.

Apresentação

Artigos – Dossiê

Resenhas

Publicado: 2018-01-06

Passagens – Revista Internacional de História Política e Cultura Jurídica. Niterói, v.10, n.1, jan./abr., 2018.

Editorial

Artigos

PDF

Resenhas

Colaboradores deste Número

Publicado: 2018-02-05

História da Educação. São Leopoldo, v. 22, n. 54, jan./abr. 2018.

Apresentação – Introduction

Sessão especial – Special issue

Dossiê “Representaciones de la universidad en los imaginarios sociales de la Europa Mediterránea e Iberoamérica”

Artigo / Article / Artículo

Acervos e documentos – Archives and documents

Publicado: 2018-01-04

Formação de profissões de natureza técnica ou científica / História Unisinos / 2018

O presente dossiê propôs-se a reunir trabalhos de pesquisadores interessados na análise de processos sociais que se situam na origem da formação de profissões de natureza técnica ou científica, na especialização crescente de meios profissionais ligados ao conhecimento científico e na formação de burocracias públicas de perfil tecnocientífico.

Optamos deliberadamente por uma categorização ampla de profissão “técnica” e / ou “científica”, incluindo sob esta uma série de atividades assentadas em formação acadêmica específica, muito especializadas e cujo exercício profissional se encontra altamente codificado. Assim, além dos trabalhos mais frequentes no meio, como aqueles sobre engenheiros e médicos, também nos interessava destacar outras profissões, bem como a burocracia pública ligada a diferentes formas de expertise científica. Nossa aspiração se confirmou, e este dossiê reúne, além dos atores habituais, uma gama variada de profissões e espaços institucionais pouco frequentes no campo da história social, como aqueles onde atuavam comerciantes, enfermeiras, assistentes sociais ou advogados.

Na maior parte das vezes, deparamo-nos com estudos que se debruçam sobre as características sociais de indivíduos e coletivos envolvidos em projetos de organização profissional, ou seja, sobre situações em que indivíduos tomam parte em projetos institucionais que poderão vir a ter sucesso, mas que ainda não o são. Logo, não se trata aqui de enxergar sob a etiqueta “profissional” papéis estabelecidos e inconfundíveis, mas de se buscar perscrutar os caminhos sociais que levaram à construção das profissões em destaque, às identidades básicas propiciadas pela experiência do trabalho ou da formação escolar, aos sucessos evidentes de empreendimentos “de classe”, mas também aos seus fracassos memoráveis.

Os trabalhos aqui reunidos trazem recortes temporais concentrados, em sua maioria, no século XX, e apresentam análises prosopográficas, de trajetória, da relação entre Estado e profissionais e de projetos políticos e institucionais de formação profissional, entre outras perspectivas.

Embora os textos aqui presentes pudessem ser organizados de diferentes formas, sobretudo obedecendo a algum ordenamento temático, optamos pela distribuição por ordem cronológica aproximada.

Em Francisco Antônio de Sampaio: de cirurgião a homem de ciências (Vila de Cachoeira, Bahia, c. 1780), Lorelai Kury e André Nogueira problematizam as práticas médicas e científicas de Francisco Antônio de Sampaio. Cirurgião, segundo os autores, quase totalmente esquecido pela historiografia das ciências do mundo colonial, Sampaio foi alvo de fiscalização do Protomedicato por extrapolar seu ofício num período em que há, justamente, um aumento desta fiscalização por parte do Reino. Analisando fontes que incluem quatro cartas enviadas por Sampaio à Academia das Ciências de Lisboa, entre 1783 e 1793, e que fornecem informações sobre acontecimentos relevantes de sua atuação profissional e sobre seus estudos relativos à natureza da região em que vivia, os autores concluem que a produção científica do cirurgião visava à sua afirmação como produtor de conhecimento e sua inserção na República das Ciências lusa e brasileira no período da Ilustração.

Em Tentativas de organização do ensino técnico para o comércio e as funções públicas no Instituto Comercial do Rio de Janeiro (1856-1880), Gladys Sabina Ribeiro e Paulo Cruz Terra analisam os esforços públicos para, através da criação do Instituto Comercial do Rio de Janeiro, em 1856, e até o seu fechamento, em 1880, dotar o país de um espaço de formação técnica profissional do pessoal do comércio, mas, igualmente, preparar adequadamente a burocracia pública destinada ao Tesouro, às Alfândegas e aos consulados. Restando incumpridas as promessas e se vendo declinar a atração dessa formação entre os potenciais interessados, o projeto do Instituto Comercial vai sofrendo ajustes até terminar por ser extinto pouco mais de duas décadas depois. O que os autores nos mostram é o possível descompasso entre a percepção dos agentes públicos promotores da criação e institucionalização do Instituto Comercial e a realidade do ambiente dos diferentes estratos de trabalhadores do comércio, menos propensos a um nível de especialização cuja utilidade não parecia de todo evidente, assim como a existência de incertezas face ao aproveitamento real dos egressos na administração pública, promessa central da formação e que seria objeto de uma reforma parcialmente bem-sucedida, já no início dos anos 1860. Caso interessante de análise, a criação e o desaparecimento do Instituto Comercial permite vislumbrar o caráter efêmero de certos projetos institucionais não associados diretamente, ou associados apenas parcialmente, à pressão social de grupos por formação técnica ou acadêmica, formação que oferecesse recursos tangíveis para sua promoção social.

O texto seguinte, de Rogério Monteiro, Pureza e desinteresse como distinção: as matemáticas entre engenheiros politécnicos na virada do século XIX para o XX, coloca em primeiro plano os processos de autonomização profissional da Engenharia e das Matemáticas. O autor mostra como o declínio em importância das Matemáticas entre os engenheiros, nas últimas décadas do século XIX e primeiras do século passado, coincidiu com a aceleração dos processos de institucionalização profissional da engenharia e, ato contínuo, da busca, pelos matemáticos, de um reposicionamento no campo profissional, reivindicando para si o reconhecimento da ciência pura e, portanto, da profissão de cientista: “Pressionados pela desvalorização daquilo que faziam, ao invés de abraçarem a profissionalização da carreira dos engenheiros […] procuraram construir um outro espaço institucional”. Os marcadores desse movimento dos matemáticos seriam os ideais de pureza e desinteresse.

Interações entre os espaços públicos e privados também aparecem, e são mesmo elemento de destaque, no texto de Henry Marcelo Martins da Silva, Nos trilhos do capital: “engenheiros industriais” e ferrovias em São Paulo no início do século XX. Partindo do decreto de falência de quatro companhias ferroviárias paulistas, em março de 1914, o autor vai desvelando as circunstâncias e as personagens do processo, sugerindo que ambiente econômico favorável, disseminação de práticas de participação acionária em investimentos públicos e privados e ausência de instrumentos de regulação, permitiram o florescimento de negócios de legalidade duvidosa, capitaneados por ditos “industriais”, no caso “engenheiros industriais”. Trata-se aqui de um estudo muito rico em evidências acerca de práticas financeiras abusivas que surgem na esteira das grandes oportunidades abertas pela rápida expansão econômica e, sobretudo, pela expansão dos serviços públicos. Neste cenário, o conhecimento, por parte de certos agentes, os “engenheiros industriais”, acerca do funcionamento e das iniciativas dos setores públicos, sua capacidade de antecipação e mesmo de impulsionar a agenda de atuação pública, dela capitalizando os dividendos, oferecem um diferencial importante e reforçam sua posição. Cabe-nos arrolar aqui os recursos e circunstâncias que viabilizaram a rápida ascensão e o declínio desse grupo de “engenheiros industriais”: trajetória e contatos acadêmicos, percurso inicial no serviço público, ambiente de forte expansão econômica e de serviços públicos, acesso facilitado a recursos e investimento público e privado, baixo escrutínio público sobre essas atividades.

O artigo O serviço público de saúde no município de Araraquara. Do Posto Sanitário ao Health Training Center: análise de uma trajetória, de autoria de Cristina de Campos, Maria Gabriela Silva Martins da Cunha Marinho e Soraya Lódola, apresenta o percurso da saúde pública em Araraquara, São Paulo, a partir da análise dos serviços de saúde locais durante a primeira metade do século XX. Durante o período analisado, os poderes públicos municipal e estadual e a instituição filantrópica norte-americana Fundação Rockefeller atuaram no município conduzindo e orientando a saúde pública. A alternância e a atuação destes entes públicos e privados na questão da saúde criaram um ambiente diferenciado, onde circularam diferentes agentes regionais, nacionais e internacionais que marcaram presença dominante na administração da saúde do município. Foram analisadas, para o desenvolvimento do projeto, fontes salvaguardadas em arquivos nacionais e internacionais, relatórios do poder público municipal e estadual, além dos produzidos pela Fundação Rockefeller.

Luiz Otávio Ferreira e Renata Batista Brotto analisam, em Nordestinas e normalistas: um estudo sobre as características socioculturais das alunas de uma escola católica de enfermagem no Brasil (1940-1960), a ação institucional da Igreja Católica brasileira no campo da enfermagem ao longo da primeira metade do século XX. A partir de um estudo prosopográfico que utiliza como fontes informações encontradas em dossiês de 408 alunas da Escola de Enfermagem Luiza de Marillac (EELM), a primeira escola de enfermagem de orientação católica fundada no Brasil (Rio de Janeiro, 1939), o estudo busca estabelecer as características socioculturais e econômicas das enfermeiras diplomadas pelas escolas de enfermagem de orientação católica analisando variáveis como ocupação econômica dos pais, escolaridade, faixa etária e estado civil, entre outras. Os autores destacam a restrição à presença de mulheres negras entre as alunas da EELM.

Em Estado, capitalismo e profissão: metamorfoses da advocacia nas décadas de 1940 a 1960, Marco Aurélio Vannucchi oferece uma análise densa do perfil mutante da profissão de advogado num período-chave da modernização social, política e institucional do país. Neste, ocorre a consolidação das entidades representativas, particularmente a OAB, mas também a disputa pela representação se acelera. Crescimento do assalariamento, expansão vertiginosa dos cursos de formação da profissão, perda relativa de importância na concorrência com outros profissionais – cientistas sociais, economistas – no tocante a posições no Estado, mas institucionalização de novos órgãos públicos de acesso exclusivo pela profissão jurídica, como é o caso do Ministério Público, são algumas das muitas mudanças que ocorrem no cenário profissional dos advogados no período em análise.

O artigo de Bruno Sanches Mariante Silva, por sua vez, intitulado Tecnificação e gênero no corpo laboral da Legião Brasileira de Assistência: assistência social e modernidade (1945-1964), discute a atuação da Legião Brasileira de Assistência (LBA), fundada por Darcy Vargas em 1942, no contexto da II Guerra Mundial. Utilizando como fonte principal o Boletim da Legião Brasileira de Assistência e se valendo de conceitos como gênero, o autor analisa, entre outras questões, a estrutura do corpo laboral da LBA e as transformações que a instituição sofreria ao longo do período analisado, quando se observaria a passagem de uma atuação orientada pela caridade para uma assistência mais técnica e científica, em que se destacariam os(as) assistentes sociais.

Em Aparato estadístico, paradigma de la planificación y desarrollismo en Argentina (1955-1970), Claudia Daniel analisa o espaço de produção das estatísticas públicas argentinas ao longo dos governos desenvolvimentistas. No texto são tratados o regime de produção estatístico que vigorava no período, as relações entre a agência oficial e as novas dinâmicas institucionais apresentadas pelo Estado desenvolvimentista, as disputas entre diferentes agências que produziam conhecimentos relevantes para o Estado e a profissionalização do setor. Daniel oferece um olhar mais amplo sobre a complexidade do Estado e de seus agentes, entre os quais ganham destaque as elites técnicas estatais, seus saberes e estratégias. Em suas palavras: “o caso da estatística pública [poderia ser também o caso de várias outras especialidades ou espaços profissionais descritos neste dossiê] serve como uma porta de entrada para entender o funcionamento do Estado moderno tomando em consideração as tensões que se dão em seu interior, as distintas dinâmicas e temporalidades que o habitam”.

Em nosso último artigo, intitulado La capacitación en salud pública en la Argentina entre 1900-1960, Carolina Biernat, Karina Ramacciotti e Federico Rayez têm como objetivo refletir sobre os projetos e a implementação de sistemas estatais e universitários de formação de médicos sanitaristas na Argentina durante o século XX. Estes sistemas buscavam formar quadros técnicos e administrativos para satisfazer as demandas de saúde pública e aperfeiçoar o pessoal que já ocupava cargos no sistema sanitário do país. A partir da análise de fontes como os Archivos de la Secretaría de Salud Pública (1946-1949), a Memoria del Ministerio de Salud Pública de la Nación (1946-1952), a Revista de Salud Pública (1962-1969) e o Boletín de la Asociación Argentina de Salud Pública (1963- 1970), entre outras, os autores discutem a formação histórica da saúde pública como especialidade na Argentina e a formação de médicos especialistas na área entre o final de 1950 e início de 1960. São enfocadas, ao longo do texto, experiências ocorridas em Buenos Aires, entre as quais a instituição, em 1958, de um curso universitária a partir da fundação da Escuela de Salud Pública de la Universidad de Buenos Aires.

Desejamos a todos uma boa leitura!

Ana Cardoso de Matos – Universidade de Évora

Ana Paula Korndörfer – Universidade do Vale do Rio dos Sinos

Flávio Madureira Heinz – Universidade Federal Rural do Rio de Janeiro


MATOS, Ana Cardoso de; KORNDÖRFER, Ana Paula; HEINZ, Flávio Madureira. Apresentação. História Unisinos, São Leopoldo, v.22, n.4., novembro / dezembro, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Boletim Historiar. São Cristóvão, n.21, 2017.

Artigos

Resenhas

Publicado: 2018-01-03

AbeÁfrica. Rio de Janeiro,v .1, n.1, 2018.

Expediente

Apresentação

Artigos

Memória

Capa

Kwanissa. São Luís, v.1, n. 1, jan./jun. 2018.

Apresentação

Artigos

África e Diáspora: 15 anos da Lei Federal 10.639/2003 e os desafios do campo de estudos no Brasil / Revista de História da UEG / 2018

O presente dossiê, escrito para Revista da UEG, a qual agradecemos a equipe editorial, se torna público em um dos momentos mais dilacerantes da História recente de nosso país. E nasce do desejo de mobilizar pessoas em torno de pessoas e seus escritos que buscam manter acesa a chama da esperança, do desejo de investir em produções e experiências na educação básica e superior, de modo a cambiar a cultura escolar e enfrentamento das práticas de opressão, inclusive aqueles que partilhamos por hábito, ou por dificuldades enfrentar o colonialismo que habita em nós mesmos.

Agradecemos a cada um dos autores e autoras, que atenderam ao nosso apelo e vemos neles, na diversidade de pontos de vista, evidências de mudanças que se processaram nos últimos 15 anos. Eles, igualmente, são expressão de diversos atores sociais, em meio a uma conjuntura política nem sempre favorável, de agências governamentais, universidades, setores da sociedade civil, em especial intelectuais, pesquisadores, militantes e professores, todos e todas têm contribuído para a transformação positiva de abordagens coloniais e colonizadas sobre o tema. Mas, como sabemos, há muitos desafios.

Lidamos com a urgência de superar uma historiografia generalizante ao abordar as experiências afrodescendentes, compreendendo-as enquanto lutas diárias de diferentes pessoas e agrupamentos organizados em busca por melhores condições de vida. Ansiamos indicar como essas populações ultrapassaram e / ou implodiram noções de condição cativa, enxergando-se a partir de seus próprios termos e perspectivas, mobilizando-se e reorganizando espaços próprios de atuação, sociabilidade e solidariedade.

A música, a dança, a performance, o movimento, constituíram formas de manutenção, reatualização e ressignificação cultural de Áfricas nas Américas, atentando para o fato de que o corpo constitui espaço de memória, encharcado de vivências e códigos culturais. Neste sentido, a partir de experiências corporais os estudos da diáspora africana podem avançar e alavancar universos outros, para além do corpo-trabalho-escravizado, tão enfatizado em diferentes estudos históricos, mas tão pouco conhecido em suas dimensões éticas, estéticas e culturais.

O presente dossiê procura evidenciar experiências de África e Diáspora em diferentes áreas do conhecimento preocupadas com a educação antirracista e o cumprimento da Lei Federal 10.639 / 03, que completou 15 anos de promulgação em 09 de janeiro de 2018. Incorporando narrativas de diferentes áreas do conhecimento, em especial Educação, História e Literatura, dentre outras atentas às críticas ao colonialismo e seus impactos na educação ainda nos dias atuais, este dossiê espera contribuir, por meio de debates recentes em torno de desafios do presente, quanto ao tema em questão.

Em A sala de aula após a Lei Federal 10.639 / 03: avanços, desafios e possibilidades, narrativa desenvolvida por Pauliana Maria de Jesus (UFPI) e Marcio Douglas de Carvalho e Silva (UFPI), apresenta um panorama da Lei Federal 10.639 / 03 e uma avaliação de práticas docentes realizadas em Campo Maior (PI). As autoras destacam, ainda, a importância do papel do poder público na implementação da Lei, em especial com a oferta de formação para professores, material didático, cursos e afins.

Na sequência, adentramos no artigo Narrativas sobre a Diáspora Africana em Sala de Aula: apontamentos sobre práticas docentes e possibilidades para o Ensino de História, de Carolina Corbellini Rovaris (UDESC), que discute práticas docentes em sala de aula, estratégias e metodologias para repensar conteúdos e temas abordados em explicações e atividades desenvolvidas com os alunos sobre a temática. A partir de narrativas de homens e mulheres de origem africana, a autora sugere possibilidades de abordagem no ensino de História.

O terceiro trabalho intitula-se O que você sabe sobre a África? Um estudo de caso de uma escola da rede pública do Distrito Federal, da autora Júlia Schnorr. O estudo aponta que estudantes e professores têm interesse na História da África, contudo, a formação docente existente e a formação docente ofertada antes da Lei, não produzem instrumentalização suficiente para abordagem da temática, o que resulta ainda numa visão colonizadora da África e do africano na formação do Brasil.

Carina Santiago dos Santos, em Os 15 anos da Lei 10.639 / 03: reflexões sobre a Rede Municipal de Florianópolis, análise as “configurações sociais que permeiam as unidades educativas e a importância de debater sobre o ensino de História no ambiente escolar, entendendo o percurso histórico da disciplina”, apontando avanços e desafios no fazer cotidiano para que a legislação seja efetivada.

A implementação da Lei 10.639 / 2003 na formação inicial de professores de História: uma análise de projetos políticos pedagógicos de universidades públicas mineiras, de Mônica Maria Texeira Amorim, Samira de Alkimim Bastos Miranda e Raimara Gonçalves Pereira, consiste em texto analítico sobre os Projetos Políticos Pedagógicos (PPP) de universidades públicas que ofertam o curso de licenciatura em História no estado de Minas Gerais. O estudo tomou por base os dados disponíveis no “sistema INEP-DATA do Instituto Nacional de Estudos e Pesquisas Educacionais Anísio Teixeira e as matrizes curriculares disponíveis nas páginas oficiais dos cursos de licenciatura em História de 09 das 11 universidades públicas mineiras que ofertam tal licenciatura”.

A autora Laura Luiza Pagliari Cruz, no artigo A história africana nos livros didáticos do Ensino Fundamental de Montividiu-GO, destaca como a africana é retratada nos livros didáticos do 6º ano de 2015, na única escola urbana da rede municipal de ensino fundamental de Montividiu-GO. No entendimento de Cruz, “embora as obras estejam de acordo com a Lei 10.639 / 03, a história africana tem pouco destaque, aparecendo fragmentada e desconexa da história eurocêntrica que norteia o material didático”.

Em se tratando de distintas temáticas que compõem as abordagens em sala de aula, Camila do Socorro Aranha dos Reis, Edvandro Luise Sombrio de Souza e André Vinícius Gomes da Silva trazem à tona o texto Estandartes para os orixás: mitologia iorubá nos anos iniciais do Ensino Fundamental. Na produção, os autores enfatizam uma proposta pedagógica desenvolvida sobre a mitologia iorubá, na disciplina de Artes Visuais, com os alunos do 3º ano do Ensino Fundamental, em uma escola da zona norte do Rio de Janeiro. “Aliados aos estudos teóricos, temos como resultado plástico a produção de estandartes com referência aos orixás pertencentes ao culto do Candomblé de Ketu”. O trabalho procurou “questionar hierarquias sustentadas pelo campo da arte, na qual alguns objetos são classificados como ‘artísticos’, enquanto outros são relegados a categorias marginais”.

Luís Ernesto Barnabé e Ruhama Sabião, em Entre História e Literatura: reflexões acerca do uso do romance “a flecha de deus”, buscam refletir acerca da possibilidade do uso do romance histórico “A Flecha de Deus”, do escritor Chinua Achebe. Com narrativa que envolve “pontos de vista de europeus e africanos acerca do imperialismo europeu do século XIX, o romance também oferece ricas informações a respeito das relações sociais entre famílias, o funcionamento das estruturas econômicas e religiosas antes e durante a chegada dos europeus”. Esse romance possibilita abordagens interdisciplinares para efetivação da Lei Federal nº10.639 / 03.

No artigo Caminhos identitários: contribuições de Kabengele Munanga na construção da identidade negra positiva, Quecia Silva Damascena e Eduardo Oliveira Miranda elucidam o papel das obras Negritude: usos e sentidos (1986), Superando o racismo na escola (2005) e Uma Abordagem Conceitual das Noções de Raça, Racismo, Identidade e Etnia (2004), de Kabengele Munanga. Apontam que as reflexões proporcionadas nessas obras ressignificaram a construção das identidades docentes, impactando positivamente sobre as “possibilidades culturais dispostas no chão da escola”.

A presença negra na história do Paraná: a memória entre o esquecimento e a lembrança, de Delton Aparecido Felipe discute a negação da memória negra no Paraná enquanto projeto ideológico de construção baseada em uma política de branqueamento vigente no final do século XIX e início do XX no Brasil. “O paranismo foi uma das estratégias utilizadas para alicerçar uma identidade paranaense a partir dos imigrantes europeus que chegaram no estado na segunda metade do século XIX”. Conforme Felipe, essa gestão da memória, com papel do governo e da literatura especializada, tentou apagar a presença negra da história oficial do Paraná.

Em nosso penúltimo texto do dossiê, Eval Cruz, no artigo intitulado Diáspora e conexões do Atlântico: histórias, identidades e resistências africanas em Laranjeiras / SE, salienta diferenças presentes entre as muitas variedades de grupos religiosos de matriz africanas presentes no país. Seu texto aponta também que a “diáspora estendeu a cultura africana a vários povos, levando-os a um mundo totalmente desconhecido daquele em que estavam acostumados; todavia, mesmo com os traumas provocados pela travessia atlântica, sua cultura religiosa foi preservada e cuidadosamente ressignificada para que pudesse florescer no novo habitat”.

Fechando a seção de artigos do dossiê, Línguas africanas e a pesquisa em História da África a partir do Brasil: um desafio em aberto, de Felipe Barradas Correia Castro Bastos, evidencia teórica e metodologicamente “a pertinência do treinamento linguístico para ressaltar a premência da implantação de cursos de línguas africanas em universidades brasileiras”. O trabalho articulou aspectos do interesse de instituições e indivíduos ocidentais na apreensão de línguas africanas, em particular a língua suaíli.

Na seção de traduções, Pablo Biondi, em PESQUISAS SOBRE UM MODO DE PRODUÇÃO AFRICANO de Catherine COQUERY-VIDROVITCH, apresenta um texto importante e pouco conhecido em português, a respeito das relações de organização da produção e hierarquias, enfatizando as relações sociais em sociedades africanas que não se “encaixam” na denominação de “classes”.

Paulino de Jesus Francisco Cardoso – Doutor em História Social pela Pontifícia Universidade Católica de São Paulo (PUC-SP); docente da Universidade do Estado de Santa Catarina (UDESC). E-mail: paulino.cardoso@gmail.com

Karla Leandro Rascke – Doutora em História Social pela Pontifícia Universidade Católica de São Paulo (PUC-SP); docente da Universidade Federal do Sul e Sudeste do Pará (UNIFESSPA); pesquisadora associada ao NEAB-UDESC e ao CECAFROPUC / SP. E-mail: karlaleandro@gmail.com


CARDOSO, Paulino de Jesus Francisco; RASCKE, Karla Leandro. Editorial. Revista de História da UEG, Morrinhos – GO, v.7, n.1, jan / jun, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

História e Educação: sujeitos e práticas / Perspectivas e Diálogos – Revista de História Social e Práticas de Ensino / 2018

O Dossiê “História e Educação: sujeitos e práticas” reúne artigos que versam sobre temáticas educacionais numa perspectiva histórica, com abordagens que dialogam com a historiografia e a pesquisa educacional. O papel e a importância da Educação (formal e não-formal) para a emancipação dos sujeitos e para a construção de uma sociedade mais igualitária é quase um consenso entre os intelectuais comprometidos com valores humanistas. Assim, é sempre relevante que as pesquisas sobre esse objeto (a Educação) possam circular através dos meios de comunicação científica como esse periódico, em cujo escopo está presente a preocupação em levar ao leitor reflexões sobre a História, a História da Educação e as Práticas do Ensino de História.

O artigo de autoria de Fabiano Moreira da Silva – “Professoras do ensino primário de Salvador: queixas, pedidos e reivindicações (1912-1918)” – exibe a capacidade de luta e mobilização das professoras e dos professores no início do século XX contra a precarização das condições de ensino, a falta de recursos financeiros e a baixa remuneração da categoria. A realidade educacional e a atuação política de professores descritas, mesmo distante no tempo, permite ao leitor verificar muitas permanências no sistema educacional brasileiro atual.

No artigo – “A teia entretecida entre Educação e Religiosidade: uma análise a partir da trajetória de Albertino Marques Barrêto (Brumado, 1954 – 1974) – Rui Marcos Moura Lima trata das relações entre educação e religião no âmbito do Centro Espírita Fraternidade, na cidade de Brumado, Bahia, a partir da narrativa da trajetória de Albertino Marques Barrêto. Migrante mato-grossense, chegou à cidade de Brumado na década de 1940 e foi um dos fundadores do referido Centro, em 1951, e de dois cursos de alfabetização de adultos, que funcionou na sede do Centro. Figura de destaque na sociedade brumadense, tanto pelo seu pioneirismo na comunidade espírita quanto pela obra educativa realizada, sua trajetória de vida nos deixa entrever como esse sujeito pensou e sentiu a educação em sua bem “entretecida teia” com a religiosidade.

Em “O aprendizado pela paisagem: questões para uma abordagem no ensino de História”, Eudes Maciel Barros Guimarães apresenta a dimensão histórica da categoria “paisagem” e aponta possibilidades teórico-metodológicas para a abordagem de documentos visuais nas aulas de História do Ensino Médio. O foco da discussão incide nas representações visuais da “caatinga”. O autor utiliza ilustrações de desenhistas, como Percy Lau e Von Martius, presentes nas páginas da Revista Brasileira de Geografia de1949. A análise das representações visuais leva em consideração expoentes teóricos dos campos da Geografia, da semiótica e das análises iconográficas.

Em contexto mais atual, o artigo “A política de formação continuada para professores da Educação Infantil no contexto capitalista”, de Isabel Cristina de Jesus Brandão e Jorsinai de Argolo Souza, aborda a formação continuada de Professores. Com o recorte voltado para a realidade da cidade de Itapetinga, na Bahia, e focalizando a formação continuada dos professores da Educação Infantil, as autoras propõem uma abordagem dialética, relacionada com o processo de reestruturação do capitalismo e com as reformas neoliberais que impactaram sobremaneira as políticas educacionais.

Na conjuntura de crise política vivenciada atualmente no nosso país, com recuo das práticas democráticas consolidadas nos últimos 30 anos e o simultâneo avanço de ideologias conservadoras em diversos setores, a Educação formal tornou-se alvo de propostas de reformas curriculares que pouco traduzem o conhecimento científico acumulado na área. Nessa conjuntura pouco animadora, é importante um veículo de difusão e reflexão sobre os caminhos da Educação no Brasil, capaz de colocar na ordem do dia os debates fundamentais.


Editores. [História e Educação: sujeitos e práticas]. Perspectivas e Diálogos – Revista de História Social e Práticas de Ensino. Caetité, v.1, n.1, jan. / jun., 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Revista Brasileira de Política Internacional. Brasília, v.61, n.2, 2018.

·        Technology, politics, and development: domestic criticism of the 1975 Brazilian-West German nuclear agreement Articles

  • Cameron, James
  • Resumo: EN
  • Texto: EN
  • PDF: EN
  • ·        A pericentric Punta del Este: Cuba’s failed attempt to join the Latin American Free Trade Area (LAFTA) and the limits of Brazil’s independent foreign policy Articles
  • Loureiro, Felipe PereiraGomes Jr, Hamilton de CarvalhoBraga, Rebeca Guerreiro Antunes
  • Resumo: EN
  • Texto: EN
  • PDF: EN
  • ·        Globalizing the Latin American legal field: continental and regional approaches to the international legal order in Latin America Articles
  • Scarfi, Juan Pablo
  • Resumo: EN
  • Texto: EN
  • PDF: EN
  • ·        The forbidden cooperation: South Africa–Brazil nuclear relations at the turn of the 1970s Article
  • Patti, Carlo
  • Resumo: EN
  • Texto: EN
  • PDF: EN
  • ·        The impact of the 1949 Chinese Revolution on a Latin American Chinese community: shifting power relations in Havana’s Chinatown Article
  • Manke, Albert
  • Resumo: EN
  • Texto: EN
  • PDF: EN
  • ·        The challenge from the periphery: Latin America’s New Deals and the shaping of Liberal Internationalism in FDR’s Era Article
  • Roman, José Antonio Sanchez
  • Resumo: EN
  • Texto: EN
  • PDF: EN
  • ·        “Pax Americana”: the United States and the transformation of the 20th century’s global order Articles
  • Cohrs, Patrick O.
  • Resumo: EN
  • Texto: EN
  • PDF: EN
  • ·        A hemispheric moral majority: Brazil and the transnational construction of the New Right Articles
  • Cowan, Benjamin Arthur
  • Resumo: EN
  • Texto: EN
  • PDF: EN
  • ·        Thinking about complexity: the displacement of power along time and through space Editorial
  • Moreli, Alexandre
  • Texto: EN
  • PDF: EN

História, Métodos e Narrativas / História & Perspectivas / 2018

Para este Número 58, da Revista História & Perspectivas, temos a composição do Dossiê História, Métodos e Narrativas e uma seção de artigos com diferentes temáticas.

Ao definir a temática para a este dossiê, a Revista teve como objetivo reunir artigos que apontam reflexões em torno da valorização da História, do método na pesquisa e no ensino, e das narrativas que articulam campos de investigação e análises importantes para a Historiografia.

Ao fazer uso de diferentes materiais, fontes de pesquisa, narrativas sociais, os pesquisadores nos oferecerem um horizonte de metodologias e interpretações, com distintos olhares para a História em articulação com linguagens e temas diversos – imprensa, charge, música, relato memorialístico, narrativas orais; cidades, migrações, trabalho, formação profissional e outros. Trata-se de trabalho cuidadoso dos estudiosos que fazem despontar uma riqueza de memórias e narrativas sobre diferentes tempos e espaços.

O primeiro artigo, de Itamar Freitas, explora princípios e práticas de uso da História destinados às crianças e aos adolescentes, descreve como epistemologias históricas se disseminaram na formação superior de historiadores e migraram para a formação continuada de professores por meio de manuais de método de ensino nos Estados Unidos da América.

O segundo, de José D’Assunção Barros, tece considerações teóricas e metodológicas em torno de possibilidades de interação entre Música e História: “a Música como recurso para a História; a música como objeto de estudos para a História; música como meio de representação para a História ou para a historiografia; o potencial da relação interdisciplinar a partir da Música para a História, levando em conta possibilidades de usos historiográficos de conceitos musicais como ‘polifonia’ ou ‘acorde’”.

O terceiro, de Alberto Gawryszewski, adota o conceito de charge ideológica para estudar como a imprensa anarquista brasileira, no período entre 1890 e 1930, desenhou a “justiça burguesa” em charges e caricaturas.

Gláucia de Oliveira Assis e Assis Felipe Menin analisam diferentes narrativas para discutir a relação entre memórias, imigrantes e imprensa, no contexto da saída dos haitianos e senegaleses de seus países e seu acolhimento em Caxias do Sul (RS), caracterizada como uma cidade de imigração italiana e que começa a receber imigrantes haitianos desde 2011 e senegaleses a partir de 2012.

Mariana Esteves de Oliveira percorre narrativas docentes como indicativos para a pesquisa acerca da precarização do trabalho e da própria história docente. Ao abordar memórias e percepções docentes, levanta pistas para a compreensão sobre as formas como a precarização atua sobre os sujeitos e discute como a dimensão subjetiva dialoga com a constituição histórica da categoria docente e de suas identidades.

Com o objetivo de preservação da memória sindical, no atual contexto de desregulamentação das relações de trabalho e da mercantilização da educação, no Brasil, Antônio Fernando de Araújo Sá ressalta a importância da “polifonia da memória” para: o trabalho de reconstrução da trajetória do movimento docente na Universidade Federal de Sergipe em articulação com a “complexidade das experiências dos trabalhadores nas últimas décadas de reconstrução democrática no Brasil”; e para a “inclusão do tema da cidadania dos distintos sujeitos sociais no sentido do direito da narração”.

Ana Paula Squinello e Jérri Roberto Marin discorrem sobre os processos de elaboração das representações produzidas acerca de Mato Grosso e suas populações por Alfredo Maria Adriano d’Escragnolle Taunay (Visconde de Taunay) em sua experiência de viajante, narrador e expedicionário.

Na segunda seção deste número, consta um conjunto de nove artigos.

Maria Gisele Peres percorre narrativas de viajantes, livros de memorialistas e códigos de postura de Araguari (MG) em busca de evidências acerca da construção de marcos de memória que ganharam espaço no circuito de difusão de uma história sobre a cidade, para discutir a organização dos espaços, a construção de sentidos sobre seu passado e o processo de produção social de lembranças e esquecimentos.

Henry Marcelo Martins da Silva analisa a trajetória da colônia árabe de São José do Rio Preto (SP) no início do século XX. A partir de fontes impressas, como jornais e almanaques locais, descortina momentos de perseguição e conflitos e examina as estratégias do grupo para articular-se às transformações urbanas e empreender um característico e bem sucedido projeto de inserção social.

Felipe Cittolin Abal e Ana Luiza Setti Reckziegel estudam um processo transcorrido durante a ditadura militar brasileira, contra Theodomiro Romeiro dos Santos – sua prisão sua tortura e sua condenação à morte –, para discutir as relações entre a Justiça Militar e a repressão aos opositores da ditadura no Brasil.

Cleber Eduardo Karls, Thaina Schwan Karls e Victor Andrade de Melo debruçam-se sobre revistas e jornais publicados no Rio de Janeiro, no século XIX, para identificar a presença da feijoada no cotidiano da cidade e discutir “as peculiaridades de conformação de uma ideia de cultura nacional em um momento em que o Brasil começava a se forjar como nação”.

André Mota e Gustavo Querodia Tarelow levantam e apresentam documentação inédita para analisar as relações entre a “política da boa vizinhança”, promovida pelos Estados Unidos, e a Faculdade de Medicina da Universidade de São Paulo, entre 1938 e 1944, no contexto de criação do Hospital das Clínicas. A partir dos artigos publicados na Revista Médico-Social, criada no ano de 1942, os autores apontam evidências da influência do modelo médico-assistencial e tecnológico americanos sobre a medicina paulista.

Osicleide de Lima Bezerra e Geraldo Alexandre de Oliveira Gomes discorrem sobre o processo de elaboração dos valores e das representações sobre o trabalho, levando em consideração noções de utilidade e produtividade e o processo de formação do mercado de trabalho na região Nordeste, para refletir acerca da consagração do trabalho durante o Estado Novo e dos modos como “os ideais do trabalho são erigidos em oposição à ociosidade e à malandragem através da música e da propaganda oficial do governo de Getúlio Vargas”.

Carlos Alberto Medeiros Lima reúne informações sobre a incidência da coqueluche entre crianças do Sudeste rural brasileiro, no período compreendido entre 1840 e 1870. Parte de três razões para se discutir a doença no Brasil: uma ligada à historiografia das doenças; outra, pelos modelos de choque microbiano; e a terceira, ligada às percepções de historiadores em torno da incidência da tuberculose, especialmente nas populações escravas. E discute a difusão da coqueluche, levando em consideração os processos de transmissão ligados aos contatos entre regiões brasileiras no contexto de mudanças do século XIX.

Raquel de Souza Felício e João Henrique Zanelatto desenvolvem reflexão acerca do processo de construção de hegemonia dos professores na direção do Sindicato dos Trabalhadores do Serviço Público Municipal de Criciúma e Região, ao longo dos anos 1990. Abordam a luta sindical, as demandas de reivindicações, o perfil da própria categoria de servidores públicos na região, para discutir os fatores que contribuíram para a reconfiguração da categoria, que deixou de ser formada por uma maioria braçal masculina para ser uma maioria de profissionais da área da educação e do gênero feminino.

Felipe Cazetta estuda obras e periódicos que publicaram projetos defendidos por autores espanhóis e portugueses entre os finais do século XIX e início do XX, como Ganivet, Unamuno e António Sardinha, para analisar a circulação de projetos de hispanoamericanismo.

Desejamos a todas e a todos uma boa leitura e agradecemos às pesquisadoras e aos pesquisadores que colaboraram com a Revista História & Perspectivas.

O Conselho Editorial.

História, Métodos e Narrativas. História & Perspectivas, Uberlândia, v.31, n.58, 2018. Acessar publicação original [DR].

Acessar dossiê

Documentos e Abordagens / História & Perspectivas / 2018

Para este Número 59 da Revista História & Perspectivas, temos a composição do Dossiê Documentos e Abordagens e uma seção de artigos com diferentes temáticas.

Em torno da temática do dossiê, a Revista reuniu artigos de pesquisadores que se debruçaram sobre registros sociais de naturezas, formatos e historicidades distintas para o desenvolvimento de suas investigações. São trabalhos que partem de objetivos diversos, reúnem diferentes instrumentos de análise e abordam variadas dimensões da vida social.

Dessa forma, nos deparamos com práticas investigativas que trabalham conjuntos documentais em amplos horizontes: literatura; literatura de viagem; escritos memorialistas; estudos de história econômica; processos crimes; falas de mulheres materializadas em fontes orais; etnografia e coleta de narrativas em campo; processo de reconhecimento e certificação de comunidades quilombolas; registros de passaporte de imigrantes; livros de registro de habilitações consulares; recenseamento de população; correspondência diplomática; relatórios provinciais. Registros da vida social de espaços, tempos e sujeitos sociais diversos apropriados pela prática investigativa de autores e autoras que compõem este número.

Autoras e autores trazem em comum o engajamento na construção de suas problemáticas em articulação com o levantamento e o questionamento de documentos que tomam como fonte para o processo de conhecimento; e, sobretudo, trazem em comum o fato de evidenciarem às leitoras e aos leitores os percursos dialógicos do trato com suas fontes.

O primeiro artigo, de Amilcar Torrão Filho, dedica-se a rever imagens criadas pela literatura de viagem sobre a mulher luso-brasileira, produzida por viajantes europeus no Brasil entre os séculos XVIII e XIX, para revisitar mitos, como a “ausência de mulheres nos espaços públicos, o ciúme ‘oriental’ de seus pais e maridos, o desleixo das mulheres brancas e a sensualidade das negras e mulatas”.

O segundo, de Cristina Donza Cancela e Luiz Guimarães, analisa a imigração portuguesa em Belém, capital do estado do Pará, ao longo do século XIX, com base em registros de passaporte de imigrantes, livros de registro de habilitações consulares, recenseamento de população, correspondência diplomática, para articular questões em torno do fluxo migratório e de constituição de redes de sociabilidade pautada pela moradia, pelo trabalho e por associações de imigrantes.

O terceiro, de Renan Albuquerque e Georgio Ítalo Ferreira, direcionam-se à abordagem etnográfica do uso de coleta de narrativas em campo, para destacar o movimento de autodeclaração dos comunitários Quilombo do Matupiri, no município de Barreirinha, Amazonas – conceitualmente chamado de etnogênese – enquanto caminho que fomentou a recriação de novos processos de territorialização da região, imbricado ao caminho de afirmação de quilombolas e de fortalecimento de laços afetivos e de pertencimento à terra.

Flavia Maria Morais Lazzaretti e Júlio Eduardo Rohenkohl analisam estudos de história econômica materializados, notadamente nas principais obras de Georg Friedrich List, ocupando-se de efetuar uma comparação entre as descrições e interpretações de diferentes historiadores econômicos a respeito da trajetória de desenvolvimento de países como Inglaterra, Alemanha e Estados Unidos da América, do século XVIII a meados do século XIX.

Luciana Rosar Fornazari Klanovicz e Fernanda de Araújo Bugai partem da fala de quatro mulheres apenadas no interior do estado do Paraná, considerando a história do sistema prisional no Brasil, para abordam as implicações de gênero do encarceramento feminino no bojo da análise das prerrogativas jurídico-legais do ordenamento jurídico nacional.

As representações do sertão e das mulheres em O Quinze, de Rachel de Queiroz, são discutidas por Régia Agostinho, que percorre o romance para identificar permanências e rupturas, tradições e modernidades no processo de construção de personagens, relações e espaço na escrita literária.

Problematizar o modo como escravos se apropriaram “de um enunciado sobre o trabalho livre veiculado por um jornal liberal, transformando-o num argumento de autoridade para contestarem os abusos de seus senhores e reivindicarem a sua alforria” foi o trabalho de Carlos Eugênio Soares de Lemos e Rafaela Machado Ribeiro. Articulando um conjunto de fontes textuais, como auto de perguntas, jornais, relatórios e inventários, basearam-se “numa abordagem que considera o escravo como sujeito histórico para analisar disputas de sentido sobre o significado de uma suposta ‘insurreição’” em Campos dos Goytacazes, província do Rio de Janeiro, no período de crise do escravismo ao final do século XIX.

Na segunda seção deste número, consta um conjunto de quatro artigos.

Raquel Varela desenvolve uma reflexão acerca dos principias acontecimentos da II Guerra Mundial e da Resistência recordando os campos de concentração nazistas como campos de trabalho forçado no período entre 1939 e 1945, como centro do projeto do Estado nazista e inseridos na cadeira produtiva de empresas da indústria alemã.

Patrícia Nasser de Carvalho estuda as relações entre a crise alimentar e humanitária vivida pela Europa no pós-Segunda Guerra e as ações dos Estados europeus para superála e para garantir sua segurança alimentar. Aborda as decisões das nações europeias com vistas a proteger e estimular a modernização do campo por meio de políticas públicas e promover mudanças estruturais nos processos de produção e de distribuição de bens agrícolas.

Danilo Ferreira da Fonseca constrói um estudo de caso a partir do documento produzido pela Tribunal Penal Internacional para Ruanda para “refletir acerca do lugar que os políticos ruandeses vinculados às pequenas administrações locais, principalmente as comunas, possuíram frente à organização e execução do genocídio de Ruanda em 1994”.

Henrique Antonio Ré “explora as cartas sobre a escravidão brasileira do abolicionista norte-americano James Redpath, e dois textos apresentados por agentes brasileiros na Conferência Antiescravista de Paris” para demonstrar os cruzamentos entre o contexto do reordenamento das posições antiescravistas no mundo atlântico, a escravidão no Brasil e outros interesses em disputa nas relações internacionais na década de 1860, que denomina de década antiescravista.

Desejamos a todas e a todos uma boa leitura e agradecemos às pesquisadoras e aos pesquisadores que colaboraram com a Revista História & Perspectivas.

O Conselho Editorial


Documentos e Abordagens. História & Perspectivas, Uberlândia, v.31, n.59, 2018. Acessar publicação original [DR].

Acessar dossiê

Mujeres en la Nueva España – ZAPATERO; SOBERÓN (RBH)

El libro Mujeres en la Nueva España, coordinado por Alberto Baena Zapatero y Estela Roselló Soberón, forma parte de la prestigiada serie “Historia Novohispana” del Instituto de Investigaciones Históricas de la Universidad Nacional Autónoma de México y es producto de coloquio internacional, celebrado en dicha institución, con el mismo título, en octubre de 2012. Los participantes en el acto académico, ahora coautores del libro, dispusieron de tiempo para transformar sus presentaciones orales en textos escritos formales, actualizados y corregidos. El índice de la obra advierte al lector que se analizarán una variedad de temas: la construcción historiográfica de las mujeres en la segunda mitad del siglo XX; los conventos femeninos y el monacato novohispano; la joyería femenina y la estética de los adornos; las mujeres fandangueras; en fin, el castigo judicial de los pecados públicos.

La introducción corre a cargo de Pilar Pérez Cantó, misma que no sólo consiste en un discurso sobre los trabajos reunidos, sino que ofrece una reflexión sobre la condición, papel y circunstancias de las mujeres a lo largo del tiempo en América Latina, y sobre las teorías que han moldeado los comportamientos entre los géneros.

El primer capítulo, escrito por Isabel Morant, se titula “Mujeres e historia. La construcción de una historiografía 1968-2010”, cuyo contenido ofrece una periodización de la etapas por las que a atravesado la historia de las mujeres, rescatando los más significativos debates, problemas epistemológicos y autoras.

El análisis de las mujeres privilegiadas en el Valle de Orizaba, con el recurso a la microhistoria, es lo que se presenta en el segundo capítulo, “El Condado del Valle de Orizaba a través de sus mujeres”, de Javier Sanchiz. El tratamiento investigativo a las mujeres con títulos nobiliarios, titulares o consortes, tiene que hacerse, muchas veces, con relación a su esposo ya que, con base en la documentación, su papel era de gestoras de la “casa nobiliaria”, haciendo a un lado su protagonismo, quedando, en consecuencia, bajo la sombra masculina. De esta manera, el papel hombre-esposo era determinante y predominante en el destino de las condesas y, podríamos decir, de las mujeres novohispanas.

“Hermanas en Cristo. Balances, aproximaciones y problemáticas del monacato novohispano” es el capítulo que sigue, el tercero, en el que su autora, Rosalva Loreto López, analiza los conventos de mujeres, en particular de los franciscanos, cuyo legado cultural es profundo en la Nueva España (fansciscanismo femenino cultural), su implantación y expansión, así como los éxitos de la rama femenina de los mendicantes; asimismo, se señalan las diferencias entre las hermanas de la orden.

Por su parte, Antonio Rubial García examina en el capítulo cuatro, “Las beatas, la vocación de comunicar”, con base en las fuentes de la Inquisición y la hagiografía, a las mujeres que formaban parte del espacio beateril: aquellas que no estaban casadas y no eran profesas recluidas en un monasterio o beaterio, vestidas con atuendos particulares, y piadosas, situadas, no obstante, en los márgenes de alguna orden religiosa que les diera legitimidad.

“La joyería femenina novohispana. Continuidades y rupturas en la estética del adorno corporal” de Andreia Martins Torres, es el capítulo número cinco, en donde se señala que vida de la Nueva España, simbólicamente vista, fue organizada sobre la base de un complejo sistema social con personajes de tierras continentales diversas: indias, españolas, negras y chinas asimilaron los signos “externos dentro de los límites de su estructura mental” (Baena Zapatero; Roselló Soberón, 2016, p.172). Con todo, la singularidad de la joyería de la época radica en la “añadidura” o combinación que le dio la población heterogénea del territorio; es decir, la joyería europea o asiática que llegaba fue usada por grupos distintos con significados también diferentes.

El único capítulo escrito en coautoría es el sexto, “Surcando el lado oscuro de la luna. Mujeres fandangueras”, de Lizette Alegre González, Gonzalo Camacho Díaz, Lénica Reyes Zúñiga y José Miguel Hernández Jaramillo. En él, los autores rastrean las “huellas” de la mujer como símbolo de subversión, mediante el fandango – son de mujeres -, ya que ellas, las “fandangueras”, usaban la fuerza simbólica de su cuerpo para exhibir a la sociedad que las ­negaba como personas, viéndolas, entonces, de forma exclusiva como cuerpos-símbolos.

El trabajo de Andrea Rodríguez Tapia, “‘La Castrejón’, una ‘alcahueta’ o ‘lenona’ ante la justicia criminal en Nueva España, 1808-1812”, integra el séptimo capítulo, en el que se examina el proceso judicial contra María Manuela González Castrejón, formado por la Real Sala del Crimen por el delito de lenocinio, que había sido reconocido como tal desde Las Siete Partidas. Rodríguez Tapia señala que la actitud de las autoridades asentadas en sus territorios continentales de Occidente, a diferencia de aquellas en los ayuntamientos de Madrid y Sevilla, durante la Edad Moderna, era ambigua, ya que las mujeres que incurrían en la prostitución eran descalificadas, mientras que el hombre que se relacionaba con ellas no sufría sanción alguna. Manuela González fue sometida a proceso no por las prácticas que tenían lugar en su casa sino por el escándalo que denunciaron los vecinos. La sanción hacia ella fue más bien una advertencia para quienes ejercían la prostitución o “alcahueteaban” a las “mujeres públicas”. En fin, conviene decir que los delitos sexuales, como el imputado a “La Castrejón” eran, hasta cierto punto, menores.

El penúltimo capítulo, el octavo, es responsabilidad de Estela Roselló Soberón y se titula “El mundo femenino de las curanderas novohispanas”. Con un esbozo biográfico de María Calderón – curandera y mujer lejos de ser pasiva, encerrada y callada -, la autora centra su atención, precisamente, en las curanderas y en su actuar en las fronteras o márgenes de la sociedad como “negociadoras culturales”, haciendo evidente los estereotipos que quienes practicaban ese oficio tenían sobre sí y el posterior reconocimiento, prestigio y fama de los que fueron merecedoras.

En fin, en el noveno capítulo, “Salir del silencio: lecturas y escritos femeninos en la prensa mexicana de principios del siglo XIX”, de Esperanza Mó Romero, se destaca la participación de las mujeres en las discusiones en la prensa, particularmente a través del Diario de México y se estudian el modelo de sociedad ilustrada al que se enfrentaron las mujeres decimonónicas y sus respuestas a dicho marco, enriqueciendo, con ello, el debate público. La presencia de algunas mujeres en los periódicos supuso un quiebre cualitativo significativo en la sociedad, ya que se proyectaba una “nueva imagen femenina, a la cual las lectoras podían conformarse, que desbordaba los límites del modelo tradicional que se divulgaba a través de [las] páginas” (Baena Zapatero; Roselló Soberón, 2016, p.273).

En suma, los trabajos contenidos en Mujeres en Nueva España exponen, con un lenguaje diáfano, las circunstancias, coyunturas y pormenores de las mujeres durante el siglo XIX, a excepción del texto de Isabel Morant, cuyo aporte teórico en torno a las etapas por las que ha pasado la historia de las mujeres, lo hace singular.

Referências

BAENA ZAPATERO, Alberto; ROSELLÓ SOBERÓN, Estela (Coord.) Mujeres en la Nueva España. México: Universidad Autónoma de México, Instituto de Investigaciones Históricas, 2016. [ Links ]

Eduardo Torres Alonso – Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM), Facultad de Ciencias Políticas y Sociales. Ciudad Universitaria, Delegación Coyoacán, D.F., México. E-mail: etorres.alonso@gmail.com

ZAPATERO, Alberto Baena; SOBERÓN, Roselló Estela. Mujeres en la Nueva España. México: Universidad Nacional Autónoma de México, Instituto de Investigaciones Históricas, 2016. 280p. Resenha de: ALONSO, Eduardo Torres. Revista Brasileira de História. São Paulo, v.38, n.77, jan./abr. 2018. Acessar publicação original [IF]

 

Cidades e cultura política nas Américas – MORSE; DOMINGUES (RBH)

MORSE, Richard. DOMINGUES, Beatriz Helena. Cidades e cultura política nas Américas. Belo Horizonte: Ed. UFMG, 2017. 277p. Resenha de: CASTRO, Ana Claudia Veiga de. Revista Brasileira de História. São Paulo, v.38, n.77, jan./abr. 2018

Mais conhecido no Brasil por ter publicado nos anos 1980 o livro O Espelho de Próspero (Morse, 1988), uma polêmica tese sobre as duas Américas, o historiador norte-americano Richard Morse também é o autor de uma série de ensaios sobre as cidades latino-americanas e o papel do pesquisador social. É um conjunto expressivo desses ensaios que vem agora a público no volume organizado pela historiadora Beatriz Domingues: Cidades e cultura política nas Américas. O livro reúne textos escritos por Morse entre 1954 e 1992, meio século de uma intensa produção intelectual enquanto era professor e pesquisador de algumas das principais universidades norte-americanas.

Morse iniciou seu percurso acadêmico nos anos 1940, e após graduar-se em História na Universidade de Princeton veio ao Brasil, em 1947, para realizar a pesquisa de campo de seu doutorado em Columbia, sob orientação do antropólogo Frank Tannenbaum. Interessado em compreender como uma pequena vila sem grande importância no sistema colonial português vinha se tornando a principal metrópole latino-americana, Morse passou mais de um ano em São Paulo, onde travou relações duradouras com Antonio Candido e seu grupo na Universidade de São Paulo, encantando-se pelo Modernismo e pela vibração daquela metrópole em formação. O resultado da tese foi o livro Formação Histórica de São Paulo: de comunidade à metrópole, publicado pela primeira vez nas comemorações do IV Centenário de São Paulo, com o título De comunidade à metrópole: a biografia de São Paulo, e republicado em 1970 na famosa coleção Corpo e Alma do Brasil, dirigida por Fernando Henrique Cardoso (Morse, 1954Morse, 1970). A obra tornou-se um clássico da história urbana de São Paulo, podendo também ser lida como um esquema de interpretação sobre a forma de desenvolvimento da cidade capitalista no mundo ibero-americano e, talvez, como vislumbre de uma outra modernidade. Pode-se dizer que essa tese (e sua experiência em São Paulo) abriu os olhos de Richard Morse para o problema da urbanização latino-americana e para a cultura urbana em geral – definindo a importância dessa perspectiva analítica para seu entendimento do mundo social -, resultando em textos, intervenções e organização de livros.

Parte dessa produção é agora publicada: nunca traduzidos e de difícil acesso ao pesquisador brasileiro, estes artigos podem ser lidos de maneira complementar aos trabalhos de maior fôlego do pesquisador, desenhando o percurso de seu pensamento ao longo dos anos e revelando a erudição e a perspicácia de um intelectual que não se contentava com visadas ortodoxas, buscando escapar da ideia de modelos e desvios, valendo-se da compreensão de sistemas de pensamentos.

O primeiro desses ensaios, “Rumo a uma teoria de governo para a América Espanhola”, publicado ainda em 1954 no Journal of History of Ideas, recupera a presença hispânica na América e discute as heranças medieval e renascentista na formação do novo continente, sobretudo nas suas cidades, indicando a impossibilidade de se lidar com as nações de origem ibérica na América seguindo a régua da América anglo-saxã, formada desde uma origem diversa não apenas espacial, mas também temporal. O ensaio anuncia um tema que Morse revisita ao longo da carreira e que encontra sua forma final no já citado Espelho de Próspero.

Em seguida, “São Paulo desde a independência: uma interpretação cultural”, publicado no mesmo ano, desta vez na Hispanic American Historic Review – a mais importante publicação dos estudos históricos latino-americanos nos Estados Unidos -, apresenta uma espécie de síntese de sua tese sobre São Paulo e introduz o leitor à compreensão das cidades a partir de uma mirada cultural. Num momento em que os pesquisadores se debruçavam sobre os problemas advindos da intensa urbanização das cidades latino-americanas – que sem o necessário lastro na industrialização resultava num conjunto expressivo da população empregado nas margens do sistema, abrigado em imensas áreas periféricas sem infraestrutura urbana adequada -, Morse indicava a potência da cultura para o conhecimento dessas cidades, e a própria importância das cidades, com suas instituições culturais, para que se pudesse tratar “de forma eficaz [até mesmo] os insistentes problemas agrários da América Latina” (p.106). Esta última afirmação do ensaio evidencia como, para Morse, o trabalho intelectual não era desprovido de intenções, comprometendo-se, ao fazer história, a discutir o desenvolvimento do subcontinente, em diálogo com pesquisadores como Robert Redfield e Oscar Lewis, que se dedicavam naqueles anos à compreensão das especificidades do fenômeno urbano latino-americano.

Dois outros ensaios publicados na mesma Hispanic American Historic Review, “Algumas características da história urbana da América Latina” (de 1962) e “Prolegômenos para a história urbana da América Latina” (de 1972), foram escritos quando Morse era professor de História da América Latina, primeiro na Universidade do Estado de Nova York e em seguida em Yale, onde se envolveu em diversas ações para a consolidação da história urbana como uma disciplina, participando de congressos, coordenando simpósios, organizando volumes – entre os quais, alguns trabalhos com o argentino Jorge Enrique Hardoy que geraram aportes decisivos ao campo.

No primeiro, Morse retoma ideias trabalhadas em um texto publicado em 1957 na revista Estudios Americanos, “La ciudad artificial”, escrito como comentário da mesa “Expansão urbana na América Latina durante o século 19”, em uma reunião da American Historical Association no qual anunciara a cidade na América Latina como algo “artificial” ao ser lida à luz da história urbana europeia. Já ali Morse defendia a necessidade de uma história cultural urbana como a única forma de não ver a América Latina como desvio da “civilização ocidental”. Mas se havia especificidades em relação à urbanização europeia e também à da América anglo-saxã, havia um paradoxo que valia tanto para a América do Norte quanto para a do Sul: “que a cidade, notória na Europa por seu raio comercial e por sua atividade manufatureira, serviu, no Novo Mundo, como ponto de partida para o contato com o solo, em territórios onde nenhuma rota de comércio interno havia sido definida e onde a manufatura era restringida pelas políticas do mercantilismo” (p.135). Isso teria feito do espaço, e não do tempo, “o principal fator da experiência americana”, tornando a cidade na América uma força centrípeta. Com isso, Morse anuncia a urbanização latino-americana como chave para a compreensão dos sentidos da América. E que, se quisermos lembrar, seria o mote de Ángel Rama em seu fundamental La ciudad letrada (1984): o reconhecimento do papel das cidades (e das letras) na constituição da América Latina (Rama, 1986).

No segundo ensaio, discutindo com uma bibliografia clássica que ia de Henri Pirènne a Max Weber, Morse uma vez mais trabalha a especificidade da urbanização latino-americana desde sua origem, recuando desta vez aos primórdios da urbanização na Europa, a polis grega, de modo a definir a gênese mesma da cidade enquanto instituição política e social, para compreender o papel das cidades na constituição dos Estados nacionais modernos europeus. Buscando definir caminhos para construir uma história urbana latino-americana, não teve receio em enfrentar outros pesquisadores, recuperando e debatendo com suas teses de modo a indicar os “furos”, as incongruências, e mais que tudo, um eurocentrismo de fundo que impedia um olhar menos formatado para a América Latina. Em tempos de Cepal e de outros órgãos que enfrentavam questões latino-americanas para a construção de sua autonomia, Morse se colocava como um interlocutor importante àqueles que queriam formular um pensamento próprio do e para o subcontinente.

Completando o volume, a resenha de um livro publicado nos anos 1960, o texto “O antropólogo como consultor político”, e por último o ensaio “Cidades como pessoas”, publicado na obra Rethinking the Latin American City, organizada com Hardoy já em 1992, espécie de balanço de seu pensamento sobre o papel das cidades e as diferenças e as aproximações entre os modelos urbanos do norte e do sul.

Vale destacar que os textos de Morse são precedidos por um ensaio de fôlego da sua organizadora, Beatriz Domingues, que conheceu o pesquisador em 1991. Sua apresentação introduz o leitor aos temas de eleição de Morse e propõe uma sistematização de sua trajetória a partir de um “pressentimento metodológico”, como ela diz, adaptando as etapas de um trabalho do pedagogo Alfred North Whitehead para organizar sua obra em três fases. A historiadora já havia nos oferecido uma série de textos críticos sobre Richard Morse no livro organizado com Peter Blasenheim, O Código Morse: ensaios sobre Richard Morse (2010), também editado pela UFMG (Domingues; Blasenheim, 2010). Aqui, dá início ao trabalho de publicização dos escritos do autor e já anuncia sua continuação em um segundo volume. As traduções bem cuidadas, feitas pela jornalista Maria Bitarello (filha de Beatriz e que conheceu Morse na infância), garantem uma leitura fluida e agradável. O livro conta também com uma apresentação do jornalista Matthew Shirts (ex-aluno de Morse em Stanford) e um posfácio da historiadora Helena Bomeny, autora de uma entrevista com o historiador no final dos anos 1980 (Bomeny, 1989). A edição, que traz ao final a cronologia das obras de Richard Morse, é portanto muito bem-vinda, pois oferece um importante material para pensarmos nosso lugar no mundo, sobretudo hoje, neste momento crucial de definição de caminhos. Vale a pena ler, conhecer e refletir.

Referências

BOMENY, Helena. Uma Entrevista com Richard Morse. Estudos Históricos, Rio de Janeiro: Ed. FGV, v.2, n.3, p.77-93, 1989. [ Links ]

DOMINGUES, Beatriz; BLASENHEIM, Peter (Org.) Código Morse: ensaios em homenagem a Richard Morse. Belo Horizonte: Ed. UFMG, 2010. [ Links ]

MORSE, Richard. De comunidade a metrópole: biografia de São Paulo. Trad. Maria Aparecida Madeira Kerberg. São Paulo: Comissão do IV Centenário, 1954. [ Links ]

_____. O Espelho de Próspero: cultura e ideias nas Américas [1982]. Trad. Paulo Neves. São Paulo: Companhia das Letras, 1988. [ Links ]

_______. Formação histórica de São Paulo: de comunidade a metrópole. Trad. complementares Antonio Candido. São Paulo: Difel, 1970. [ Links ]

RAMA, Ángel. A cidade das letras [1984]. Trad. Emir Sader. São Paulo: Brasiliense, 1986. [ Links ]

Ana Claudia Veiga de Castro – Universidade de São Paulo, Faculdade de Arquitetura e Urbanismo. São Paulo, SP, Brasil. E-mail: anacvcastro@usp.br.

Acessar publicação original

[IF]

Ensino de Língua Portuguesa | Revista Práticas de Linguagem | 2018

O volume “Ensino de Língua Portuguesa” divulga relatos de experiências com práticas pedagógicas e artigos de pesquisas que envolvem o ensino de língua portuguesa na escola básica, com foco em leitura, escrita, oralidade, variação, análise linguística, multiletramentos, currículo e demais eixos referentes ao trabalho escolar com língua materna.

A chamada pública para submissão de trabalhos superou as expectativas e resultou, como sempre, num enorme trabalho e em numerosas trocas de e-mails com pareceristas de diversas instituições brasileiras. Entre pareceres e prazos, parecia que o trabalho não chegaria ao fim. Mas chegou. Finalmente, conseguimos compor um número temático que apresenta ao leitor de Práticas de Linguagem, publicado pela Universidade Federal de Juiz de Fora (UFJF), o heterogêneo e instigante campo em que se apresentam, em amostras pontuais, as diversas perspectivas de ensino de língua portuguesa nas escolas brasileiras. Leia Mais

Ensino de Literatura | Revista Práticas de Linguagem | 2018

É com prazer que apresentamos ao leitor este número temático sobre o Ensino de Literatura, campo que permite integrar o trabalho com os eixos da Leitura, da Escrita, da Reflexão Linguística e da Oralidade com o caráter transformador e humanizador da língua quando operada no espaço do literário.

O número se compõe por 6 relatos de experiências, 4 artigos e 1 resenha, todos com interessantes contribuições, tanto de ordem prática quanto de ordem reflexiva, não somente para o espaço da escola, mas também para a formação de professor do curso de Letras e de Pedagogia, pois os trabalhos contemplam desde o primeiro segmento do Ensino Fundamental até a Formação Inicial do professor. Leia Mais

Comunismo, anticomunismo e anarquismo na América Latina no século XX | Revista Latino-Americana de História | 2018

A Revista Latino-Americana de História apresenta o seu décimo nono número que é composto pelo o dossiê “Comunismo, anticomunismo e anarquismo na América Latina no século XX”, divulgando trabalhos inovadores e atuais sobre essas temáticas, refletindo as novas possibilidades historiográficas que aprimoram e tornam mais complexo o ato de fazer e escrever a História. As pesquisas que se apresentam apontam algumas dimensões fundamentais da renovação dos escritos da História Política, tais como: a autonomia da percepção do político no fazer histórico; a busca por novos olhares sobre objetos tradicionais – como os partidos políticos; novas fontes, objetos e novos sujeitos históricos, dentre tantas outras questões; tornando, portanto, esse número da Revista Latino-Americana de História um painel que possibilita visibilidades sobre as recentes práticas no exercício histórico no campo político.

Tal dossiê, ainda, tem o seu valor maximizado, uma vez que se insere em tempos marcados por uma intensa polarização política, aumento de ações de intolerância religiosa, política ou de gênero, dificuldade ou, até mesmo, impossibilidade de diálogos construtivos entre sujeitos detentores de visões de mundo distintas, de forma que a proposta aqui apresentada põe em relevo movimentos políticos de esquerda e direita no século XX.

Leia Mais

Fazendo História da ciência em uma comunidade digital, global e em rede: ferramentas de ligação para acadêmicos / Circumscribere / 2018

[Fazendo História da ciência em uma comunidade digital, global e em rede: ferramentas de ligação para acadêmicos]. Circumscribere, São Paulo, v.21, 2018. Acessar dossiê [DR]

 

Patrimônio Cultural, História e Memória / Projeto História / 2018

É com grande satisfação que lhes oferecemos o volume 61 da revista Projeto História, que em 2018 completa 37 anos de atividades, em um percurso não isento de percalços, mas constantemente exemplar do empenho e dedicação de seus participantes. Para esta edição, ‘Patrimônio cultural, história e memória’ constitui o eixo do dossiê que compõe o corpo central do volume.

Não é a primeira vez que as reflexões sobre o patrimônio são colocadas nesta revista, mas acreditamos que no presente existem demasiadas questões e reflexões que envolvem esse conceito, tanto em relação ao seu uso, quanto aos abusos em relação aos elementos que nele estão contidos e relacionados.

Necessitamos de fato de uma abertura ao debate sobre as formas de pensar e de se agir a partir desse conceito. Pensar o patrimônio cultural em suas relações com a História e a Memória põe em primeiro plano questões ligadas aos conflitos e tensões sobre identidade, esquecimento, apropriação cultural, tradição, rememoração e resistência cultural, entre outras diversas noções que se entretecem nesse debate. Ao se debater patrimônio no momento atual superamos as leituras e os discursos que tinham como motor a celebração de valores e referências de memória de frações ou conjuntos sociais que privilegiam uma perspectiva parcial ou dominante que condiciona a seleção, a percepção e a manutenção do patrimônio. Pensar patrimônio enquanto manifestação de visões oficiais sobre a história ou a memória das sociedades não é mais aceitável, pelo menos para aqueles que pretendem uma compreensão e uma abordagem coerente e abrangente dos eventos e processos históricos relacionados a grupos humanos.

Muito já se escreveu sobre o tema e na atualidade muito mais se coloca em questão, principalmente por conta de polêmicas que envolvem a própria definição de patrimônio e sua aplicação ao universo de manifestações dos vários segmentos e grupos que compõem a sociedade; isso sem considerar as releituras críticas, as reelaborações e as transformações dos bens culturais consagrados dentro de uma perspectiva mais aberta ao debate dos significados e valores desses bens em uma sociedade cada vez mais marcada pela diversidade de posturas, identidades e discursos.

As discussões sobre o tema percorrem um longo caminho, desde a constituição do patrimônio histórico na Revolução Francesa, quando se estabelece um marco que passa a orientar pelas décadas seguintes as ações e percepções sobre a seleção, a celebração e a preservação dos monumentos históricos. Mas o conceito de patrimônio se alargou gradativamente, ainda que de forma irregular, em direção aos bens e manifestações culturais de caráter imaterial, retirando da concepção de patrimônio o seu caráter tradicionalmente material e monumental. Neste número procuramos construir uma trama que entrelaça alguns desses conceitos, pois o conjunto de artigos que formam o cerne deste dossiê lidam com aspectos bastante distintos do patrimônio cultural que, ao longo dos últimos trinta anos, assumiu novos sentidos e significados, enquanto que se recoloca diante de diversas perspectivas históricas.

Introduzimos nossa apresentação do dossiê tomando como ponto de partida um museu, que por si mesmo constitui um dos espaços que tem sua gênese institucional na época em que o patrimônio histórico toma forma e identidade primeira, no século XVIII.

O estudo sobre a trajetória e as perspectivas do Museu da Cultura da PUC-SP, feito pelo Prof. Carlos Gustavo Nóbrega de Jesus, se compõe como uma referência necessária para se pensar o museu e seu papel na recuperação, reconstituição e reinserção de memórias e experiências dos diversos grupos que constituem as sociedades. Aqui se propõe uma recolocação e uma releitura do Museu da Cultura dentro da instituição e da comunidade, pautadas nas práticas e propostas contemporâneas da museologia.

Em um segundo trabalho, desta vez por Wanessa Pires Lott, lidaremos com a questão do reconhecimento e preservação de espaços de práticas e crenças das comunidades negras de Belo Horizonte, tomando como objeto de tudo isso, dois locais de experiências distintas.

No terceiro artigo, Alessander Kerber parte do conceito de ativação patrimonial de Lorenç Prats para analisar a incorporação do compositor e cantor Carlos Gardel, ícone mundial do tango na Argentina, mas também ligado ao universo patrimonial uruguaio. Nesse sentido, o autor expõe as estratégias e ações que permitiram esse movimento, debatendo, para tanto, a questão das identidades culturais nacionais.

Aldo Jose Morais Silva nos leva em seu artigo à Feira de Santana na Bahia, onde investiga a ressignificação do hino da Feira, que foi concebido na década de 1920 e que não encontra um reconhecimento de seus elementos constituintes dentro da comunidade à qual se refere, apesar de ser um traço importante da cultura imaterial dessa mesma comunidade. O processo de ressignificação do hino assim é percebido como uma forma de recomposição de valores e sentidos para a comunidade em sua relação com seu patrimônio.

No bairro de Abadia, em Uberaba, originalmente a autora Sandra Dias discute a construção de sentidos e valores pela comunidade em um local marcado em sua história pela presença de instituições assistenciais e religiosas. Isso resultou na formação de uma identidade cultural local própria, contrastante com a de Uberaba, fundada em seus componentes intangíveis.

Já em outro artigo, Diogo de Souza Brito apresenta a narrativa oficial do principal órgão de preservação do Brasil hoje, o IPHAN, a partir de diferentes documentos, o que o possibilitou a delinear a trajetória da instituição entre dois momentos, a fase heroica e a fase moderna, representada por dois de seus dirigentes, respectivamente, Rodrigo Melo Franco de Andrade e Aloísio Magalhães.

O sétimo escrito deste dossiê nos traz o debate de Francisco Carvalho de Andrade sobre a arquitetura vernacular brasileira, que até o momento encontra reconhecimento limitado na esfera oficial ligada à preservação do patrimônio cultural. O autor destaca como a participação comunitária na elaboração dessas construções expressa o compartilhamento de valores e sentidos pelos seus agentes, materializados nas celebrações e manifestações dos grupos envolvidos, ressaltando, assim, a dimensão imaterial dessa prática como fio condutor de sua relevância no espaço patrimonial.

No último artigo deste dossiê lidamos com uma realidade presente, a destruição do patrimônio em situações de confronto bélico e choque de ideologias. Nesse ensaio, os arqueólogos Vagner Porto e Juliana Hora problematizam a ação e o discurso do Estado Islâmico, tomando como referência o valor do patrimônio como memória e o sentido da destruição dos sítios arqueológicos dentro de um conflito de fundo ideológico marcante. Num contraponto ressaltam a contribuição do mercado ilícito de antiguidades, consequência desse mesmo interesse por essa herança cultural no Ocidente, reforçadas por uma postura paradoxal das nações, que se declaram oposicionistas dessas práticas e que propõem ações preservacionistas, pautadas por uma visão ainda impregnada pelo colonialismo europeu.

Entre os artigos livres temos contribuições que conduzem a linhas bem distintas de reflexão. O primeiro estudo, elaborado por Sochdolak e Pochapsky, lida com a questão da violência contra animais no município de Mallet, no Paraná, entre as décadas de 1930-1950, partindo do reconhecimento filosófico de que “a violência é um fenômeno historicamente constituído e que, de alguma forma organiza as relações humanas”. Para tanto se utilizam de documentação de processos criminais do período, a fim de estudar a natureza e as motivações de tais crimes no contexto em questão.

O trabalho de Cesar Henrique Porto se coloca no campo dos estudos de alteridade, ao lidar com as representações dos muçulmanos e árabes na teledramaturgia brasileira, tomando como ponto de partida a telenovela ‘O Clone’, na qual são construídos modelos culturais da população árabe muçulmana que, na visão do autor, acabam por reforçar concepções imprecisas no imaginário popular sobre esse grupo, denominado indiscriminadamente como árabes ou turcos.

No terceiro trabalho da seção livre Otávio Barduzzi nos coloca diante da possessão demoníaca e sua caracterização como fenômeno antropológico na medicina do século XIX. O autor problematiza a possessão enquanto fenômeno cultural, que assume status diferenciado no cristianismo. Com a prevalência do pensamento científico / médico no século XIX, se analisa a inclusão da possessão no rol de patologias, sendo extraída de sua matriz cultural religiosa, na qual seria posteriormente reinserida.

O último trabalho dessa seção lida com a história da infância, onde Rosa Batista e Leonete Schmidt analisam a iniciativa do Círculo Operário Católico de Joinville para estabelecer uma creche. No recorte dado, que vai de 1936 a 1949, são discutidos os esforços e as concepções que deflagraram essa ação e sua importância para o estudo da infância no Brasil.

Finalizando o presente volume temos duas notícias de pesquisa, uma das quais trata do lazer dos trabalhadores na metrópole, avaliando a institucionalização do lazer na cidade de São Paulo. Em outra direção, a pesquisa de William Ferreira da Silva trata da problemática do suicídio na obra de Dostoiévski, tomando o livro “Os Demônios” como base para tal reflexão.

Assim, fechamos nossa modesta exposição deste volume, que esperamos fornecer a seus leitores a oportunidade de apreciar visões e reflexões enriquecedoras e instigantes, dentro do espírito de construção e difusão de ideias no campo histórico que orienta esta revista.

Álvaro Hashizume Allegrette https: / / orcid.org / 0000-0002-2222-7033

Luiz Antonio Dias https: / / orcid.org / 0000-0001-8834-442X


ALLEGRETTE, Álvaro Hashizume; DIAS, Luiz Antonio. Apresentação. Projeto História, São Paulo, v.61, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

Instituições de memória, documentos e acervos históricos / Projeto História / 2018

O presente número da Revista Projeto História segue o rastro da contínua valorização que o Departamento de História e o Programa de Pós-Graduação em História da PUC-SP vêm dando às discussões práticas e teóricas acerca da preservação e divulgação dos acervos históricos, em seus diversificados suportes e suas instituições de memória. Tal preocupação já foi expressa de um modo um tanto específico no número anterior da revista denominado “Patrimônio Cultural, História e Memória”.

Agora, a revista de número 62, “Instituições de memória, documentos e acervos históricos” apresenta tal perspectiva a partir de um pressuposto diversificado, ou seja, com o intuito de evidenciar abordagens variáveis a respeito da relação entre acervos históricos, a sociedade e suas instituições que a custodiam, destacando, assim, o fato de estarem associadas aos construtores do patrimônio coletivo de grande valor simbólico, o que, por sua vez, nos permite salientar relações pautadas por contradições, ambiguidades e os conflitos de interesses que perpassam a sociedade.

No plano social e político, o momento pelo qual passa o país torna tal discussão ainda mais premente, pois ao mesmo tempo que nunca foi tão claro que o Patrimônio Cultural e suas instâncias são instrumentos de inclusão social, volta a ficar evidente que também funcionam como ingerências de interesses políticos e do poder, aquém das necessidades da comunidade que os cercam, podendo nesse caso funcionar como instrumento de práticas totalitárias e antidemocráticas.

Situação que marca uma regressão no campo epistemológico da preservação, pois como afirma Maria Pilar García Cuetos “métodos e práticas de conservação do património cultural envolvem a introdução no campo da conservação e restauro, valores monumentais de tolerância, respeito e diálogo entre culturas e o conceito de aspectos de desenvolvimento sustentável”.1 Essas problemáticas mereceriam ser mais discutidas na disciplina histórica, assim como nas ciências humanas como um todo e, nos dias atuais, tristemente, estão sendo colocadas em xeque por parte de grupos conservadores.

Por outro lado, deve-se levar em conta que hoje o caráter subjetivo da conservação e preservação é também evidente, e seria ingenuidade descartar a hipótese de que as práticas de preservação de acervos são socialmente construídas sob interesses vários.2 Tal situação tem seus dois lados da moeda, pois, infelizmente, ainda, nos deparamos com centros de documentação, arquivos, museus, bibliotecas públicas e ou de interesses públicos, geridos e ou organizados segundo interesses autoritários e particulares de seus gestores, que com tais práticas fazem um desserviço não só para pesquisa, para memória e para a história, como também para a democracia. O mais intrigante é que muitos desses partem de um discurso de defesa da preservação e divulgação dos acervos sob sua guarda, mas, na prática, de fato, fazem de tais acervos instrumentos quase particulares do uso do passado. Mas, também, tal plasticidade nos possibilita a enxergar os diversos atores nesse processo de preservação e conservação da memória, sujeitos que vão além dos técnicos e intelectuais, pois parte-se de uma noção de patrimônio aberta, na qual os objetos de memória se tornam objetos patrimoniais a partir do significado dado a ele pela comunidade. Não se parte então, de um valor fetichista dos objetos que teriam seus significados emanados única e exclusivamente deles próprios, na verdade poderia se enxergar a partir de tais acervos os multi-significados que refletiriam os diversos sujeitos que contribuíram para construí-lo, o que nos leva a conclusão óbvia que um Patrimônio ou acervo patrimonial não existe separado de um sujeito e ou de uma sociedade. O que possibilita, então, a dar voz aos atores anônimos dessa “construção”.

Assim, por exemplo, o mestre escravo taipeiro responsável por erguer as paredes das casas sedes das fazendas produtoras das monoculturas que dinamizaram os vários ciclos econômicos do Brasil, podem ser tratados como protagonistas tanto de acervos arquitetônicos, da cultura material, como da fonte escrita, a partir de inventários e testamentos feitos por seu senhores de engenho ou grandes produtores de café, documentos que tanto complementam as estantes de nossos arquivos e centro de documentação histórica. A valorização de tal visão democrática e problematizadora dos acervos históricos é condição teórica e social necessária nos dias de hoje, marcados por disputas ideológicas acerca do passado.

Dentro desta perspectiva ampla os artigos reunidos no dossiê “Instituições de memória, documentos e acervos históricos” se caracterizam por um ecletismo semelhante, marcado por abordagens metodológicas, documentais e teóricas. Instituições, acervos e propostas de discussões acerca do tema dão esse caráter variado aos artigos aqui apresentados, mas que compartilham de um ponto em comum, a relevância da preservação e conservação de tais acervos para o fazer-se histórico.

Nesse sentido é que Isabel Cristina Martins Guillen, ao abordar a intrínseca relação entre as manifestações performáticas da cultura popular e o processo de gentrificação do Bairro do Recife, salienta as políticas públicas que envolveram a preservação de práticas culturais no Carnaval, e em especial os maracatus-nação, no período de 1995 a 2015. Em linha semelhante, no segundo artigo aqui apresentado, Leandro Candido de Souza analisa alguns aspectos da patrimonialização dos bens que constituem o chamado Corredor Cultural do município de Santo André, observando particularmente a reorganização da identidade municipal que ele implica.

Em seguida a professora do Departamento de História da PUC-SP, Maria Antonieta Antonacci a partir do artigo “Memória e Patrimônio em ‘arquivo vivo’” apresenta debates e agenciamentos relacionados às culturas letradas e orais, com suas formas e lugares de memória, patrimônios culturais, salientando o relevante papel de memórias do corpo, vividas e compartilhadas em rituais, festas e performances.

Na sequência o professor João Paulo Avelãs Nunes, da Universidade de Coimbra, a partir das concepções do novo patrimônio cultural e da nova museologia, parte para o estudo de organizações como as Santas Casas da Misericórdia, para entender sua utilidade social e a visibilidade pública.

Também da Universidade de Coimbra, Fernando Tavares Pimenta analisa em seu artigo as políticas de classificação do património histórico- cultural de Angola, assim como procura fazer a problematização sobre o processo de construção de uma rede museológica nacional angolana.

Da Universidade da ISCTE-IUL de Lisboa a professora Paula André, Ana Nevado e Nádia Luis apresentam uma abordagem crítica fundada no quadro conceitual de Françoise Choay, Laurajane Smith, Fernando de Terán, Loes Veldpaus e Anna Colavitti, tomando como referência a requalificação da arquitetura e a regeneração urbana na cidade de Lisboa.

Jose Arbex Junior do Departamento de Jornalismo da PUC-SP coloca questões agudas sobre memória, história, mídia e sociedade no seu artigo: “Holocausto da memória: ‘Espetacularização’ esvazia o sentido crítico do registro histórico”.

Para fechar o Dossiê, Romina A. España Pardes, da Universidad Nacional Autónoma de México traz uma relevante discussão acerca do diário do político, jurista, e historiador mexicano José Fernando Ramírez, salientando a importância dos relatos de viagem para o exercício e a preservação da memória.

O número consta ainda com dois artigos livres “Diálogos d’alémmar: Elis Regina e a MPB desembarcam em Portugal” de Mateus de Andrade Pacheco, no qual o autor foca na incursão da cantora brasileira Elis Regina pela cena artística portuguesa e “A censura militar pelo prisma das matérias vetadas do jornal O São Paulo (1972-1978)” no qual Fabio Lanza e José Wilson Assis Neves Junior abordam a censura prévia militar imposta ao jornal O São Paulo durante a década de 1970, a partir da análise documental das matérias censuradas pela ditadura militar brasileira (1964- 1985).

Esperamos que os leitores possam apreciar tais escritos, levando em consideração que buscamos organizar um panorama variado e problematizado das Instituições de memória, seu documentos e acervos históricos.

Notas

1 CUETOS, M. P. G. Humilde condición. El patrimonio cultural y la conservación de su autenticidad. Gijón: Ediciones Trea, 2009.

2 MUÑOZ VIÑAS, S. Teoria contemporanea de la restaucion. Madrid: Sinteses, 2004.

Carlos Gustavo Nóbrega de Jesus – Departamento de História e Programa de Pós-Graduação em História da PUC-SP

Marcos Tognon – Docente Departamento de História-IFCH / UNICAMP


JESUS, Carlos Gustavo Nóbrega de; TOGNON, Marcos. Apresentação. Projeto História, São Paulo, v.62, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

Tensões, disputas e diversidades, 1968-1988-2018 / Projeto História / 2018

Tensões – Disputas – Diversidades: 1968-1988-2018 / Projeto História / 2018

A história dos últimos 50 anos tem se revelado um complexo conjunto de forças políticas, econômicas e culturais em constante tensão. O surgimento de novos atores sociais (jovens, mulheres, negros, trabalhadores, dentre outros) tornou a cena pública um campo de tensão permanente, revelando-se em momentos icônicos, como em maio de 1968. As particularidades daquele tempo não se esgotam nas cenas parisienses. Vislumbramos grandes agitações nas ruas de Praga, em diferentes cidades do México, nos Estados Unidos ou mesmo nas ruas das cidades brasileiras.

O Ato Institucional Número 5, de 1968, inaugura a fase mais violenta e mesmo sanguinária da ditadura brasileira, contra a qual se levanta parte da sociedade civil brasileira. Vinte anos depois, o Brasil era outro. A nova conjuntura culmina na Constituição de 1988. A Carta mais democrática de nossa história não deixa de apresentar forte resistência dos setores mais conservadores.

A legitimidade do historiador para inventariar o passado, num momento em que o acesso aos documentos deixou de ser privilegio de seu ofício, para ser transferido a incontroláveis grupos de “saber” e “interesses” – que buscam construir ou fabricar uma versão oficial da história, a fim de convalidar no presente as atitudes contraditórias e muitas vezes suspeitas do passado – precisa ser retomada e novamente valorizada em suas bases epistemológicas, sob risco de vermos a história ser editada e reeditada em torno apenas de sua já conhecida e “infantil” obsessão pelas origens.

O ano de 2018, compreendido não como ano-calendário, mas como o tempo do agora, apresenta grande agitação política, marcada por discursos conservadores, como o golpe parlamentar de 2016, no Brasil, a eleição de Donald Trump, nos Estados Unidos, o Brexit, na Inglaterra. No Brasil, é justamente a Constituição de 1988 que se encontra sob ataque. Os ataques a direitos fundamentais, o descaso com as regras democráticas, invasões de universidades, com censura a cursos e perseguições a professores, indicam que temos o dever de alertar sobre os riscos à jovem democracia brasileira.

O presente dossiê da Revista Projeto História busca justamente abrir espaço para esses três momentos políticos, certamente diversos e tensos, ora conservadores, ora críticos ao status quo. Com este dossiê, a revista do Programa de Estudos Pós-graduados da Universidade Católica de São Paulo almeja contribuir na divulgação de pesquisas de alto nível que enriqueçam o debate contemporâneo.

Nesse sentido é que se optou por abrir o Dossiê com o trabalho de Sheila Alice Gomes da Silva, que, ao se debruçar sobre as experiências e vivências das comunidades africanas na cidade de São Paulo, propôs uma série de reflexões acerca da exclusão e estigmatização das populações negras, resultantes da violência e do racismo. O trabalho de Sheila, a quem prestamos homenagem pelo seu precoce falecimento, busca valorizar os grupos sociais que relembravam a elite paulistana de seu passado escravista.

O segundo artigo, assinado pela professora do Departamento de História da Pontifícia Universidade Católica de São Paulo, Carla Reis Longhi, analisa a documentação de comunicação SNI-DEOPS / SP buscando refletir acerca do contexto político do ano de 1968 no Brasil. Partindo dos conceitos de política e cultura política, o artigo discute as lógicas autoritárias e estratégias discursivas empregadas pelo regime para a manutenção do poder e do autoritarismo.

Em seguida, o professor de Teoria da História da Universidade Federal do Amazonas, Gláuber Cícero Ferreira Biazo, em diálogo com a hermenêutica de Paul Ricoeur, analisa como documento uma entrevista de história oral de vida acadêmica realizada com a professora Dra. Leyla Perrone-Moisés, na qual sustenta que a teoria do conhecimento em história oral contribui para problematizações em torno da memória narrativa, pois esta é entendida como resultante do engajamento de um sujeito na experiência histórica e em suas relações com o outro e com o tempo.

O próximo artigo do Dossiê é assinado pelo professor de sociologia do Instituto Federal Fluminense, André Pizzeta Altoé, que toma como objeto de suas análises a Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade (TFP), fundada em 26 de julho de 1960. Nesse trabalho, Altoé discute como a manutenção da misoginia nos moldes medievais foi um dos traços marcantes do catolicismo ultraconservador e de direita do período, resultando numa total falta de capacidade de atuar na sociedade, uma vez que negligenciou a adoção de valores modernos como a incorporação de mulheres em seus quadros.

Na sequência, Sérgio Luiz Santos de Oliveira, pós-doutorando em História Social pela FFLCH-USP, busca discutir a formação da Mocidade Trabalhista do PTB (1957-61), conferindo especial destaque à cidade de Belo Horizonte. De lá formou-se uma geração de ativistas que, anos mais tarde, acabaram se engajando em organizações como a ORM-POLOP e a AP, como Theotônio dos Santos, Vânia Bambirra e Herbert de Souza, o Betinho, todos com destaque na esquerda brasileira na década seguinte.

Da Universidade Estadual de Ponta Grossa, o professor Névio de Campos e o Dr. Eliezer Felix de Souza propõem discutir o Maio de 1968 na Universidade Federal do Paraná. Partindo da documentação arquivada no DOPS e das atas do Conselho Universitário da UFPR, os autores privilegiam a análise do movimento estudantil e sua correlação com acontecimentos antecedentes, bem como as expectativas que agitavam os estudantes. Como resultado explicitam-se as ações levadas à cabo pelos estudantes e as formas repressivas colocadas em prática pelas autoridades universitárias e policiais.

O Dossiê desta edição se encerra com o artigo da professora do Departamento de Sociologia da Pontifícia Universidade Católica de Minas Gerais, Léa Guimarães Souki, o qual discute as permanências da cultura libertária de Barcelona – onde se teve a única experiência histórica do anarquismo como governo –, como característica marcante de experiências cooperativas e assembleístas dos bairros numa mescla com a Confederação Nacional do Tralbalho (CNT).

Esta edição conta ainda com três artigos livres. O primeiro, intitulado “Engels e a igualdade jurídica: notas acerca da questão da secularização da visão de mundo teológica no Direito”, o professor Dr. Vitor Bartoletti Sartori trata da questão da igualdade em Friedrich Engels, buscando explicitar as rupturas e permanências entre a visão de mundo teológica e a jurídica na obra do referido autor germânico. Já o segundo artigo, de autoria da professora Dra. Maria Izabel de Azevedo Marques Birolli, analisa os usos [e abusos] que se fez de dispositivos legais para dar suporte à prática, antiquíssima, da tutela de filhos alheios como criados domésticos, propondo uma interpretação de como a rede de criadagem que se formou no Brasil desde o período colonial entrou em crise nos anos 1920. Por fim, o terceiro artigo, assinado pelo professor Dr. Linderval Augusto Monteiro, da Universidade Federal de Grande Dourados, traz uma narrativa do primeiro caso de linchamento ocorrido na Baixada Fluminense após o período que ele denominou de “colonização proletária”, em 1970, no intuito de relacionar esse caso com as formas populares de colonização da Baixada e, também, refletir sobre as representações dos periódicos cariocas acerca dessa região na década de 1970.

Assim, espera-se que os leitores possam apreciar os trabalhos selecionados, levando em conta que os editores buscaram organizar um panorama variado capaz de problematizar questões de nosso passado (e de nosso presente) que apontam para um cotidiano de grande agitação política no Brasil e no mundo, esperando que tais reflexões possam nos servir como um alerta para os riscos à democracia brasileira.

Luiz Antonio Dias – Departamento de História PUC-SP

Alberto Luiz Schneider – Departamento de História PUC-SP


DIAS, Luiz Antonio; SCHNEIDER, Alberto Luiz. Apresentação. Projeto História, São Paulo, v.63, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

À procura de um mundo melhor: apontamentos sobre o cinismo em saúde – CATIEL et al (TES)

CASTIEL, Luis D.; XAVIER, Caco; MORAES, Danielle R.. À procura de um mundo melhor: apontamentos sobre o cinismo em saúde. 1. edição. Rio de Janeiro: Editora Fiocruz, 2016. 400p. Resenha de: FERREIRA, Francisco Romão. Como sobreviver ao cinismo dominante no campo da saúde? Revista Trabalho, Educação e Saúde, Rio de Janeiro, v.16 n.1 jan./abr. 2018. FERREIRA Francisco Romão (Res)

No livro À procura de um mundo melhor: apontamentos sobre o cinismo em saúde, os autores colocam o leitor diante de duas visões de mundo diametralmente opostas: de um lado, apresentam o cinismo vulgar da sociedade contemporânea com a sua lógica mercantil, pragmática e instrumental; e, do outro lado, apresentam a tradição do pensamento grego representada pelos filósofos cínicos da era helenística, ou melhor, apresentam o kinismo como um antídoto para o cinismo atual. Estamos vivendo uma época de exacerbação dos diferentes estilos deste cinismo vulgar – político, econômico, moral e acadêmico. É preciso então criar defesas e modos de entender esses tempos sombrios na esperança de encontrar uma luz ou uma saída. Neste sentido, o livro nos coloca diante de um impasse: Como sobreviver ao cinismo dominante no campo da saúde sendo ele hegemônico, altamente racional e coerente na sua lógica interna?

O cinismo vigente possui um discurso muito bem articulado e baseado em evidências comprovadas cientificamente, mas não consegue esconder a sua verdadeira face reacionária, excludente, preconceituosa e opressora. E o livro põe o leitor diante dessas duas imagens, como num espelho, no qual podemos criar uma ilusão de realidade ao ver alegria, juventude e beleza onde só existem decadência e exploração, ao ver a face agradável da tecnologia para não entrar em contato com a realidade da exploração econômica. É um retrato da nossa sociedade com sua imagem da felicidade eterna das redes sociais enquanto grassa o desemprego, a exclusão, o preconceito e a homofobia. Trata-se então de uma escolha como aquela do filme Matrix – você pode ver o mundo como ele é (com toda a carga de angústia que a realidade apresenta) ou pode viver a irrealidade da felicidade eterna, sem riscos, sem rugas e sem contato com a interioridade. Uma felicidade mantida graças às maravilhas da tecnologia dos fármacos que produzem uma sociedade entorpecida, anestesiada e feliz.

O senso comum vê o cínico como um sujeito que afronta as normas sociais e as conveniências morais, agindo única e exclusivamente segundo o seu interesse imediato, sem pudor ou vergonha, de modo debochado e sarcástico, desprezando as regras da sociabilidade. Trata-se de um sujeito sem escrúpulos, petulante, atrevido, hipócrita e fingido. O cinismo em saúde, da mesma forma, se apresenta como uma solução tecnológica cientificamente comprovada, baseada em evidências, com o respaldo da comunidade científica e com todo o poder de sedução das mídias, da publicidade e das estratégias de comunicação da indústria farmacêutica. Nesta perspectiva, para todo mal (físico ou existencial) há um fármaco adequado, basta encontrá-lo e “seus problemas acabaram”. O cinismo, o sarcasmo e o deboche aparecem nas campanhas publicitárias para melhorar a performance e garantir a felicidade eterna na “melhor idade”. Elas beiram o escárnio. São tecnologias “de ponta” que proporcionam felicidade e juventude eternas, tudo sem dor, sem angústia e sem sofrimento.

Desde a arte estatuária grega, existe a busca por uma beleza ideal inatingível no plano humano. Essas esculturas simbolizariam uma espiritualidade que não pode ser ‘contaminada’ por traços que possam denunciar a presença da animalidade que há em nós, ou a passagem do tempo. O corpo da estatuária não é real, é pura idealização, e nele não aparecem as limitações do humano e os rastros da natureza física são retirados. A escultura grega elimina todos os vestígios do humano. Ela não tem rugas que indiquem a passagem do tempo, pelos que indicam a animalidade, veias que denunciam a passagem do sangue, dentes que lembram nossa gula e a natureza humana. Os detalhes que denunciam a animalidade e a finitude são retirados. Alguns setores das ciências médicas, da mesma forma, prometem um corpo jovem, belo e sem as angústias que são demasiado humanas. O cinismo em saúde parece resgatar esta promessa de um corpo ideal livre da passagem do tempo, da animalidade e dos sofrimentos e questionamentos naturais da vida, geralmente sem muito esforço por parte do cliente, basta adquirir o fármaco adequado. O cientificismo de alguns setores das ciências médicas, a mitologia da ciência, a hipocrisia dos discursos e a ideologia do mercado aparecem de forma clara e cristalina, desde que o sujeito queira ver.

Para enfrentarmos o cinismo atual vamos então conhecer o kinismo na versão grega que nos é apresentada com muita clareza e profundidade pelos autores. Eles conseguem expor o cinismo e a irrealidade do mundo contemporâneo, tendo como pano de fundo a realidade brasileira com suas artimanhas discursivas de alegria, felicidade, igualdade e cordialidade.

O precursor do Cinismo grego foi Antístenes, mas o seu principal representante foi o filósofo Diógenes de Sínope que, segundo a tradição filosófica, andava pelas ruas de Atenas com uma lanterna acesa em plena luz do dia fazendo uma pergunta prosaica: ‘Como/onde encontrar um homem feliz?’

Ele procurava um homem que vivesse sua vida superando as exterioridades exigidas pelas convenções sociais como comportamento, dinheiro, luxo ou conforto material. Buscava um homem que tivesse encontrado a sua verdadeira natureza, que vivesse conforme ela e que fosse feliz sem ter que obedecer às normas sociais. A felicidade deste homem estaria numa vida simples e natural, sem precisar das comodidades da riqueza, do luxo, da ostentação e do apego às normas sociais. Com sua pergunta irônica Diógenes colocava em questão o que seria a vida de um homem segundo a sua mais autêntica essência, o que seria mais verdadeiro na existência, o que iria além de toda a exterioridade, das falsas aparências, dos caprichos da sorte de modo a encontrar sua verdadeira natureza e, quem sabe, viver de acordo com os seus valores mais essenciais para, simplesmente, ser feliz.

Se andássemos pelas ruas do Rio de Janeiro fazendo a mesma pergunta hoje, provavelmente encontraríamos como resposta que o homem feliz é rico, bem-sucedido, famoso, alto, musculoso, com porte atlético e, principalmente, magro. Em tempos de lipofobia e de estigmatização da gordura, a magreza se transformou em qualidade moral e parâmetro de felicidade. Ou seja, os homens felizes de hoje, necessariamente, estariam devidamente adaptados às convenções sociais, muito preocupados com a imagem corporal e social e nem saberiam dizer muito bem o que seria ou onde estaria a sua essência, sua verdadeira natureza. Assim como o personagem Dorian Grey (Wilde, 2014), do escritor irlandês Oscar Wilde, a preocupação com a beleza, com a imagem social e com uma vida marcada pelo hedonismo seriam as únicas marcas da existência, colocando a satisfação dos prazeres imediatos no lugar do sentido da vida. E se a vida não proporcionar a felicidade prometida não há problema, a indústria farmacêutica terá uma imensa variedade de produtos para resolver a falta de desejo, a fadiga, as rugas, o estresse, a tristeza, a depressão, a velhice, a reposição hormonal e a incapacidade de concentração, sem contar com as próteses e cirurgias estéticas.

Este homem supostamente feliz seria um cínico, um sujeito dissimulado, e sua felicidade seria medida em postslikes, acessos e curtidas nas redes sociais. O sentido da vida estaria na construção da imagem, na adaptação cega às normas e convenções sociais, criando um corpo sem alma, reproduzindo uma vida que desconhece a própria essência, vivendo uma existência sem sentido e sem interioridade, pura aparência. O homem feliz seria, necessariamente, um metrossexual cheio de seguidores. O problema é que, assim como no retrato de Dorian Grey, a realidade teima em aparecer e os fármacos e as próteses da existência tendem a mostrar o lado ridículo do personagem.

O livro À procura de um mundo melhor: apontamentos sobre o cinismo em saúde apresenta então uma série de temas para discussão e reflexão que apontam para as nossas escolhas diante do crescimento desta onda hipócrita e conservadora. O leitor se vê também diante do espelho e não dá para ficar neutro ou indiferente às estratégias discursivas dos representantes do cinismo em saúde. São temas que discutem as estratégias de “aperfeiçoamento farmacológico” que levam ao sucesso acadêmico, os casos de doping que burlam o sistema e as estratégias discursivas que traduzem a ideologia científica atual. Os autores discutem também as formas como os parâmetros de beleza, magreza, juventude e vigor como exemplos de saúde ou de vida saudável e desejável, moralizando as condutas e controlando os comportamentos considerados desviantes ou de risco, sempre em nome do pragmatismo, da racionalidade da ciência e da objetividade.

A hiperprevenção e o automonitoramento aparecem como estratégias racionais e objetivas, frutos das escolhas livres e individuais dos sujeitos, sem mostrar que essas estratégias apequenam a vida, transformam sujeitos em coisas. A espetacularização da vida cotidiana transforma a existência numa performance que assegura a valorização de uma imagem social baseada no dinheiro, no sucesso a qualquer preço e numa felicidade prêt-à-porter.

Diante da proliferação de enunciados cínicos no campo da saúde só nos resta apelar aos kínicos, resgatando a ironia e o sarcasmo de Diógenes diante da hegemonia da ‘racionalidade científica’ e do pragmatismo utilitarista que coloca a vida a serviço dos interesses deste ambiente neoliberal conservador. Se toda época precisa de um Diógenes, encontramos neste livro uma postura típica dessa verve libertária que se apresenta de forma quase quixotesca diante da opressão do mercado, dos interesses da indústria farmacêutica e dos cínicos das ciências da saúde. Segundo os autores, em certa ocasião, Diógenes foi capturado por Felipe da Macedônia e, quando perguntado acerca da sua identidade, respondeu: “Sou um observador da sua insaciável ambição”. Esta frase retrata fielmente o espírito do livro ao firmar que “não há melhor imagem do papel e da função do filósofo kínico no mundo: instalado em frente aos poderes constituídos, corajosamente dizendo o que é preciso dizer” (p. 53). Este livro, portanto, é um antídoto para tratar os males do cinismo e da hipocrisia, trazendo a parrhesía, a liberdade da palavra, como remédio para mostrar a desfaçatez e a arrogância dos cínicos que trabalham na sala ao lado.

Referências

WILDE, Oscar. O retrato de Dorian Gray. São Paulo: Ed. Landmark, 2014. [ Links ]

Francisco Romão FerreiraUniversidade do Estado do Rio de Janeiro, Instituto de Nutrição, Programa de Pós-Graduação em Alimentação, Nutrição e Saúde, Rio de Janeiro, RJ, Brasil. E-mail: fromao@terra.com.br

Acessar publicação original

(P)

A história das mulheres e suas fronteiras / Revista Eletrônica História em Reflexão / 2018

As produções teóricas relativas à História das Mulheres e os estudos de gênero, encontra-se ligada ao movimento de renovação da própria história que, distanciando-se da história tradicional de cunho positivista que se impôs no século XIX, se voltava a preocupar por traçar um caminho interessado muito mais pelos coletivos que pelos individuais, pela evolução da sociedade que pelas instituições, pelos costumes que pelos acontecimentos, pelas coletividades excluídas do que pelos grandes personagens. As mulheres nunca estiveram ausentes da história, embora a historiografia oficial as tenha esquecido. No decorrer da história há uma relação entre gênero e poder que precisa ser estudada, revelada, reescrita, pois a história tradicional, moderna, colonial-patriarcal e universalizante criou o mito do sexo frágil, da impotência feminina e da sua dependência existencial do masculino.

A historiografia moderna, colonial e hetero-patriarcal transformou-se em relato que esqueceu as mulheres, como se, por serem destinadas à obscuridade da reprodução, inenarrável, elas estivessem fora do tempo, fora do acontecimento. Mas elas não estão sozinhas neste silêncio-profundo. Elas estão acompanhadas de todos aqueles que foram marginalizados pela história como os negros, os índios, os velhos, os homossexuais, as crianças, etc. Portanto, escrever a história das mulheres é libertar a história. Libertar a história das amarras das metanarrativas modernas, colonial e falocêntricas presentes não apenas nos livros didáticos, mas nas práticas docentes de que ministra o currículo de história em sala de aula.

Se historicamente o feminino é entendido como subalterno e analisado fora da história, porque sua presença não é registrada, libertar a história é falar de homens e mulheres numa relação igualitária. Falar de mulheres não é somente relatar os fatos em que esteve presente, mas reconhecer o processo histórico de exclusão de sujeitos. Desconstruir a história da história feminina para reconstruí-la em bases mais reais e igualitárias, é um dos desafios permanentes hoje da história.

Pensar e refletir sobre a História das Mulheres e os estudos de gênero nos leva a inventar-se, descobrir-se, tornar-se. Deslizar-se por entre as possibilidades que este devir-mulher na história pode proporcionar, através de linhas flexíveis, invisíveis e maleáveis, buscar a desterritorialização; como um cigano que não possui moradia fixa, sua ânsia é conhecer lugares, pessoas, possibilidades, um nômade em constante movimento, que se desdenha não mais nas estradas ou trilhas, mas busca para si os lugares não trilhados na invenção de novos caminhos, de novas existências.

Tal existência está ligada a um processo de pura luta com as palavras, com as fontes, com os discursos, com os corpos, com o poder. É nessa luta à luz do dia com a palavra e com o não dito que tentamos construir a / as história / as das mulheres. Essa luta é uma empreitada difícil e perigosa, principalmente no Brasil atual, onde falar sobre a as questões de gênero tornou-se uma prática marginal, mal-dita, mal-vista. Ao escrever sobre a vida de mulheres brasileiras, não se escreve com palavras e, sim, com fluxos, devires, intensidades, silêncios e re-existencias.

Pensar a História das mulheres nos instiga a uma atitude crítica, de suspeita em relação aos instrumentos linguísticos e conceituais que utilizamos em nosso trabalho como historiadores(as). A ideia é que, dessa forma, sejamos visitantes do passado com um olhar mais sereno, menos violento, porém, mais críticos e menos proclives a reproduzir os sistemas ideológicos que sustentaram – e ainda continuam sustentando – as desigualdades de gênero, que violentam e dizimam milhares de mulheres no Brasil afora.

Esse dossiê que temos em mãos revela que história colonial, hetero-patriarcal e universalista necessita urgentemente de um trabalho arqueológico / genealógico para podermos entender seu poder normativo e enunciativo, para assim desconstruí-lo. A história das mulheres através de seus fluxos, devires e intensidades é marcada pela potência do ser e do fazer. Pensar o impensado é o maior desafio de quem quer fazer a história das mulheres. Como nos diz Gilles Deleuze, (2005) “viajar para a ilha deserta e, com seus signos malditos da escrita, roubar a paz dos idiotas que vivem na terra”.

Abraçar a história das mulheres e os estudos de gênero é mostrar os ecos de uma história silenciosa e em particular as formas em que elas são objeto de discriminação por sua própria condição humana como mulher. Ao falarmos sobre a História das Mulheres levamos nosso pensamento para fora das margens costumeiras da linguagem historiográfica, fora do espaço epistêmico da história patriarcal colonial, produzindo assim uma escrita lateral, intersticial, ex-cêntrica, que provoca o surgimento de texto, con-texto e sujeitos novos.

É nesse pensar nômade — um pensar associado ao movimento fugidio, que escorrega, desvia e desliza – que esse número da revista História em Reflexão nos convida, à vulnerabilidade de largar o corpo e o pensamento, de deixar o pensamento alargar-se, transpondo inúmeras fronteiras, para que se possa pensar e criar de modo diferente em relação à forma como se pensa a história.

Boa leitura.

Losandro Antonio Tedeschi – Doutor UFGD – BRASIL

Angeles Castãno Madronal – Doutora U. Sevilla – Espanha ORG.


TEDESCHI, Losandro Antonio; MADROÑAL, Ángeles Castaño. Apresentação. Revista Eletrônica História em Reflexão. Dourados, v. 12, n. 23, jan. / jun., 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

História Indígena / Ensino d(e) História Indígena e Educação Escolar Indígena Brasileira / História e Diversidade / 2018

Em tempos atuais, na sociedade brasileira, sinais de preconceito e intolerância contra Indígenas, Negros e LGBTs ganham visibilidade e reúnem novos adeptos e versões. Em vários momentos, ressoam em espaços de representações governamentais, midiáticos e até escolares, algumas expressões sobre um desses povos que achávamos ter vencido. Como por exemplo, “pra que tanta terra para índio”?, colocando em xeque lutas e conquistas históricas dos povos indígenas brasileiros.

A Revista História e Diversidade, por meio do Dossiê História Indígena / Ensino d(e) História Indígena e Educação Escolar Indígena Brasileira, apresenta no formato de artigos, estudos produzidos por pesquisadores / professores indígenas e não indígenas que buscam refletir sobre o processo histórico de contatos culturais, étnicos e políticos entre os povos indígenas e não indígenas ao longo da História do Brasil. E, ao mesmo tempo, analisar o resultado do pós-contato através da escolarização indígena, no qual saberes tradicionais e os novos conhecimentos científicos e tecnológicos produzidos por esses povos começam a fazer parte do currículo acadêmico e escolar, promovendo diálogos e práticas pedagógicas interculturais de protagonismo indígena.

Os artigos foram divididos em seções temáticas que compreendem: 1) História Indígena e seu ensino, considerando a história de contato interétnico e cultural, remanescentes de tempos coloniais e dias atuais com escritas indígenas e outros pesquisadores. 2) Educação Escolar Indígena, com ênfase nas experiências acadêmicas acerca da escolarização indígena.

Nos “Fragmentos da história dos índios Bororo nas terras de Mato Grosso”, Loiva Canova analisa a presença do povo Bororo na nova repartição administrativa de Portugal, em 1748, as minas do Mato Grosso e as do Cuiabá. Contextualizando, a formação da Capitania de Mato Grosso a partir do processo de expansão, conquista e colonização que resultou na apropriação de terras indígenas, num cenário de resistência e conflitos étnicos na colonização portuguesa em terras ao sul da América.

A história e cultura dos “Remanescentes indígenas no Planalto Serrano” é descrita por Suelen de Andrade e Nanci Alves da Rosa, da Universidade do Planalto Catarinense (UNIPLAC), que enfatizam a história indígena dos povos Xoclengs e Kaigangs, os quais, juntamente com os Guaranis, forjaram as primeiras comunidades humanas na Serra Catarinense. As autoras abordam ainda, o resultado do contato desses povos com os bugreiros, que promoveram a “limpeza” étnica em nome da expansão e modernização do Planalto Catarinense.

Ao estudar “O primeiro contato do povo Pandéérééj do Município de Aripuanã (MT): uma perspectiva indígena”, a professora indígena Beatriz Cinta Larga e a professora Regiane Custódio lançam luzes sobre o contato interétnico entre os Cinta Larga e os não indígenas, partindo, de testemunhos, dos anciãos Eduardo Kaban Cinta Larga e Capitão Cinta Larga, captados pela etnografia escrita por João Dal Poz Neto (1991) e Julie Cruikshank (2002).

O testemunho do Xavante Elidio TsõrõnéParidzané, com a coautoria da professora Marli A. de Almeida, na escrita do artigo “A desintrusão de Marãiwatsédé: narrativas indígenas de um retorno”, apresenta-nos a história de contato dos Xavante pelos não indígenas, na década de 60 do século XX, durante o regime militar. Ao acompanhar a entrevista de seu pai, Cacique Damião Paridzané ao Bispo emérito da Prelazia do Araguaia, Dom Pedro Casaldáliga, o indígena Elídio nos brinda com a história da desintrusão da Terra Indígena Marãiwatsédé, uma das vitórias na batalha dos povos Xavante para o retorno aos seus territórios tradicionais, em 2013.

Em “Casamentos interétnicos na aldeia Umutina: autorreconhecimento da identidade Umutina”, a professora Umutina Alessandra Corezomáe Boroponepá narra a história de contato desses indígenas com não indígenas durante a construção das linhas telegráficas pelo Marechal Cândido Mariano Rondon que nas primeiras décadas do século XX, oportunizou a “mistura” étnica entre Umutina, Bororo, Terena e Chiquitano através de casamentos interétnicos, na aldeia Umutina, em Barra do Bugres (MT). O estudo realizado pela autora ao entrevistar os anciãos, aponta para a agência indígena, quando constata que os grupos indígenas “misturados” pelo casamento interétnico resolveram se autorreconhecer como Umutina.

Os aspectos culturais dos indígenas Myky e o ensino d(e) história indígena em “Artefato cultural do povo Myky: machado de pedra” são apresentados pelo indígena Tupy Myky e pelo professor Carlos Edinei de Oliveira na pesquisa realizada na aldeia Japuíra, terra Indígena Menku, município de Brasnorte (MT) sobre a origem e uso do machado de pedra pelo povo Myky. Sobretudo pela importância patrimonial e cultural do machado de pedra para os indígenas que ao mesmo tempo os representa como símbolo cultural para a humanidade e também os auxilia no autorreconhecimento. Haja vista que ao entrevistar os anciãos, Tupy, conseguiu identificar traços culturais anteriores ao contato com o colonizador não indígena, viáveis para serem transformadas em narrativas didático-históricas de ensino d(e) história indígena.

A escrita “Cultura Indígena: batizado tradicional do menino Manoki” do professor indígena Claudionor Tamũxi Iranxe, da Escola Estadual Indígena Tapura, em Brasnorte (MT), em parceria com a professora Regiane Custódio apresenta-nos a possibilidade de conhecermos o batizado tradicional do menino Manoki como um procedimento cultural insubstituível para uma boa educação dos meninos, pois, marca o rito de passagem do menino para a adolescente, e consequentemente, para a idade adulta. O batizado tradicional é uma forma de educação dentro da cultura. Após seu acontecimento os meninos terão um aprendizado não apenas com os homens, mas se tornarão responsabilidade da família, e todo o grupo contribuirá com a sua formação.

O processo formativo de Educação Indígena desenvolvido no século XIX por religiosos é apresentado pela professora Verone Cristina da Silva em “Catequese, escola e militarismo: A missão dos capuchinhos na fronteira Brasil e Paraguai”. A autora analisa a catequese os indígenas Guaná pelos missionários capuchinhos na fronteira entre Brasil e Paraguai, com base no Decreto n. 426, ao longo do século XIX. Durante a investigação em documentos oficiais, o estudo apresenta agência indígena na escolarização dos Guaná como propositivo de catequese pelos colonizadores luso-brasileiros.

Em relação ao processo formativo educacional indígena, entre o final do século XX e início do século XXI, as autoras Iraci Aguiar Medeiros e Leda Gitahy analisaram a experiência da formação de professores indígenas realizada na Universidade do Estado de Mato Grosso – UNEMAT, a partir de 2001. De acordo com este estudo, a experiência do 3º Grau Indígena inaugurou no Brasil, a formação dos professores indígenas para atuarem em suas aldeias. Isto posto, verifica-se que a capacitação de professores indígenas contribui para conquistas de lutas antigas, como afirmação de identidades, demarcação de terras e Educação Escolar Indígena.

A confluência entre as conquistas indígenas no campo da Educação Escolar Indígena e o estudo de Ensino d(e) História Indígena, com base na “nova história indígena” está muito bem representada pela escrita da professora e pesquisadora desse campo Luisa Tombini Wittman e demais autores, no “Papel da Universidade no Ensino de História Indígena: uma análise dos cursos de História em Santa Catarina”. Ao debruçar-se sob as propostas curriculares dos cursos de História da IES (UFSC, UDESC, UFFS, UNISUL, UNESC, FURB) que a partir da aprovação da Lei n. 11.645 / 08, têm o compromisso de formar profissionais da Educação Básica para o ensino da História e Cultura dos povos indígenas, os autores analisam a realidade, desafios e possibilidades de construção de uma História Indígena no estado de Santa Catarina.

Enfim, as produções que compõem este dossiê somam-se a vários estudos desenvolvidos no Brasil sobre o protagonismo indígena, sendo temáticas de pesquisa e ensino construídas por não indígenas, ou como apresentamos neste volume, através dos quais os indígenas narram suas histórias. Na tentativa de produzir conhecimentos e contribuir para a diminuição preconceito e intolerância.

Além do Dossiê, esta edição da Revista História e Diversidade publica também dois artigos complementares. O primeiro artigo denominado “Um novo lugar social a ser ocupado: os intelectuais e as representações dos negros no Brasil republicano”, de Juliana Aparecida Nunes, analisa o processo de representação dos negros durante o período republicano brasileiro, a partir da análise da construção da representação social realizada por intelectuais e os impactos sociais destas representações.

O segundo artigo, de autoria de Raylinn Barros da Silva, “Curar e higienizar o sertão do antigo extremo norte goiano (atual norte tocantinense): os missionários católicos Orionitas e suas estratégias de catolização pela saúde”, apresenta um estudo acerca da atuação dos missionários orionitas e o uso do processo sanitário e de higienização como instrumento de catolização a partir da década de 1950.

Boa leitura!

Cáceres, novembro de 2018

Carlos Edinei de Oliveira (Unemat)

Marli Auxiliadora de Almeida (Unemat)

Organizadores

Osvaldo Mariotto Cerezer (Unemat)

Editor


OLIVEIRA, Carlos Edinei de; ALMEIDA, Marli Auxiliadora de; CEREZER, Osvaldo Mariotto. Apresentação. História e Diversidade. Cáceres, v.10, n.1, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Human Bones and arqueology – UBELAKER (CA)

UBELAKER, Douglas. Human Bones and arqueology. Washington: Cultural Recourses Management Series, Interagency Archeological Service, Heritage Conservation and Recreation Service, Department of the Interior, 1980. Resenha de: SILVA, Sergio Francisco Serafim Monteiro da. Clio Arqueológica, Recife, v.33, n.1, p.209-215, 2018.

O livro Human Bones and Archeology, de Douglas Ubelaker, foi publicado inicialmente em 1980, com a preparação conjunta do U.S Department of the Interior, e do Heritage Conservation and Recreation Service e a Interagency Archeological Services, em Washington, D.C, nos EUA. Voltado ao problema dos ossos humanos na arqueologia, em especial aqueles relacionados aos primeiros habitantes da América do Norte, estudados por arqueólogos, antropólogos e bioarqueólogos ainda hoje produtivos, como William Bass, Don R. Brothwell, Jane Buikstra e o próprio Douglas H. Ubelaker, o texto expõe estudos de casos que possibilitam ao leitor perceber os principais aspectos relativos à produção de conhecimento científico em arqueologia quando são escavados sítios com presença de remanescentes humanos.

A análise do contexto arqueológico tem sido de fundamental importância para a compreensão primeira dos processos formadores do registro arqueológico, sendo possível a reconstrução de perfis funerários de populações do passado. Os dados mortuários de natureza biológica, como o sexo, idade, estatura, ancestralidade, doenças, traumas e anomalias, constituem importantes recursos para a reconstrução de perfis biológicos dessas populações, auxiliando nos processos de interpretação arqueológica sobre os seus modos de vida.

Entre 1906 e 1979, pelo menos no período em que Ubelaker escreve Human Bones and Archeology, uma série de documentos legais estabeleceram regras para o tratamento do patrimônio cultural dos EUA, incluindo o arqueológico.

Diferentemente, no Brasil, verifica-se que na Constituição Federal de 1988, art.216, são descritos os bens que constituem patrimônio cultural. Também a Lei Federal No. 3.924, de 26 de julho de 1961, no seu art. 2º estabeleceu como monumentos arqueológicos ou pré-históricos, entre outros, os poços sepulcrais, os cemitérios e sepulturas nos quais se encontrem vestígios humanos de interesse arqueológico ou paleoetnográfico. Ainda, o Cap. II, item 1 do decreto-lei no. 25/37, art. 2º da lei federal 3.924/61 e a portaria IPHAN no. 230/02, em relação aos sítios históricos, inclui os cemitérios antigos nesse rol do patrimônio arqueológico brasileiro.

Human Bones and Archeology, remete o leitor aos problemas relativos às pesquisas com sepulturas e os remanescentes humanos também para o caso especificamente brasileiro na atualidade: as intervenções de salvamento; as questões indígenas e quilombolas de territorialidade e identidade; a urgência de órgãos gestores da administração pública e privada em resolver problemas com ossos humanos em terrenos de empreendimentos e frente a obras de arquitetura, que irão impactar o registro arqueológico com presença de remanescentes ósseos humanos e outros vestígios de interesse arqueológico.

Estudar ossos humanos na arqueologia constitui um fazer restrito a nichos universitários e de difícil acesso à sociedade de maneira geral, mesmo aos agentes sociais vinculados com a indústria cultural. A exposição museológica de remanescentes humanos em instituições e eventos dentro do Brasil é relativamente rara, encontrando exemplos nas exposições temporárias de corpos humanos dissecados e plastinados provenientes da Alemanha e China e exposições temporárias e permanentes em museus estaduais, municipais, institutos de pesquisa e bienais de arte sobre temas relacionados à evolução humana, a arqueologia e etnologia.

A perspectiva da biocultura, conceito/fenômeno da sociobiologia humana, sob os auspícios do do guarda-chuva paradigmático da Bioarchaeology, iniciado nos anos 1940 e extensivamante propagado por Jane Buikstra e Clark Spencer Larsen desde a década de 1960 nos EUA, prevalece nos dias atuais sob várias formas de abordagens teórico-metodológicas, em interdisciplinaridade com as ciências sociais, a medicina, as ciências forenses e correlatas (as Bioarqueologias social, da tuberculose, da violência, da infância, entre outras). Interessa a reconstrução do comportamento de populações do passado.

A abordagem comportamental em arqueologia moderna encontra expressividade neste trabalho visionário de Douglas Ubelaker. A atualidade do tema tratado mostra a pertinência da sua tradução no Brasil. Aqui, sítios arqueológicos históricos e pré-históricos, sob a responsabilidade do IPHAN e dos arqueólogos, tem sido sistematicamente destruídos no âmbito das reformas e empreendimentos urbanos e rurais. A participação de empresas de arqueologia nesse processo se dá de forma a cumprir as exigências da legislação federal, sendo recorrente a ausência de produção científica relacionada aos remanescentes humanos escavados nos projetos de intervenção e a ausência de profissionais capacitados para a escavação sistemática de estruturas arqueológicas contendo remanescentes de esqueletos humanos.

Douglas Ubelaker, cuja produção bibliográfica contínua em Antropologia Biológica, Forense e Arqueologia é suficientemente extensa, descreve de forma clara e sintética os métodos e técnicas sobre como os sepultamentos e esqueletos humanos devem ser analisados, como determinar o sexo, a idade, a estatura, evidências de doenças e as modificações artificiais dos ossos. Em seguida, ilustra com casos em Maryland, na Costa do Equador, Illinois e Columbia Britânica, enfocando a complexidade do contexto arqueológico de deposições funerárias nos cemitérios pré-históricos, as possibilidades interpretativas sobre nutrição, história das doenças, estrutura social, estatura e status social, acompanhamentos funerários inusitados e o desgaste dentário de origem artificial.

No livro podemos encontrar referências comparadas entre problemas enfrentados por nossos antepassados e aqueles que enfrentamos hoje quanto a nossa alimentação, doenças e modos de adaptação humana ao ambiente. As respostas oferecidas no passado, diante das que oferecemos hoje aos problemas de convivência entre nós mesmos e entre o ambiente, incluindo os seus agentes patogênicos, os recursos alimentares e a devastação antrópica crescente, por exemplo, podem servir de inspiração para podermos amenizar o impacto que causamos às nossas sociedades e ao ambiente em que vivemos.

Para Bennie C. Keel, consultor de arqueologia, que faz um prefácio para o texto de Douglas Ubelaker, os estudos dos remanescentes ósseos humanos na arqueologia são um dos mais provocativos e menos compreendidos aspectos dessa ciência. Esses estudos possuem motivos e métodos que foram apresentados por Ubelaker neste livro (ou livreto) com a finalidade de esclarecer o público, reduzindo os equívocos sobre essa área da Arqueologia.

Embora os ossos humanos representem uma parte diminuta do patrimônio cultural norte americano, alguns possuem importantes significados que somente poderão ser compreendidos considerando-se os seus contextos arqueológicos. Os vestígios arqueológicos são portadores de importantes informações sobre o passado, constituindo materiais frágeis e insubstituíveis, segundo Bennie Keel. Portanto a proteção desse patrimônio – registro do passado – constitui uma missão conjunta entre o Heritage Conservation and Recreation Service (HCRS) e o público. Assim como no Brasil, nos EUA existia, nos anos 1980, o problema da proteção e conservação dos sítios arqueológicos – que, evidentemente, tem se estendido até os dias atuais.

Portanto, aquelas pessoas que conhecem algum sítio arqueológico, podem ajudar na sua proteção e conservação, entrando em contato com uma Secretaria de Preservação Histórica da Capital do seu estado ou, no caso do Brasil, com as superintendências regionais do Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional (IPHAN), distribuídas em todos os estados do país desde 2009. A partir do registro e da proteção e em relação a possíveis perturbações de sítios arqueológicos, com presença de remanescentes ósseos humanos, são extremamente necessários aqueles profissionais experientes nas técnicas de escavação – os arqueólogos, cuja profissão foi reconhecida em abril de 2018 no Brasil. Somente com essas iniciativas, as gerações futuras, tanto nos EUA, quanto no Brasil, poderão ter conhecimento sobre o seu próprio passado.

Lembramos somente ao leitor que este texto foi produzido em 1980 e que algumas considerações devem ser feitas em relação à cultura, política e mentalidade nos EUA naquele período, em especial aos parâmetros de cientificidade então aceitos pelo Smithsonian Institution e ao autor, cuja obra científica, ainda em construção, é merecedora de respeito e inspiração.

Ainda, o caráter extremamente atual do texto, especialmente em correlação com os eventos de descaso e vandalismo sistemático e contínuo em relação aos sítios arqueológicos com presença de ossos humanos no Brasil, especialmente na Região Nordeste, onde esses vestígios extremamente frágeis são sinônimo de crime e de perda da propriedade para as instituições governamentais, torna a leitura e divulgação desta publicação, por enquanto esgotada, emergencial.

Sérgio Francisco Serafim Monteiro da Silva – Departamento de Arqueologia, UFPE. E-mail: sergioarqueologiaforense@gmail.com

Acessar publicação original

[MLPDB]

Teoria Antropológica e Arqueológica, Convergências e Divergências – MILLER JÚNIOR (CA)

MILLER JÚNIOR, Tom O. Teoria Antropológica e Arqueológica, Convergências e Divergências. Prefácio de Gabriela Martin. NATAL: Ed. da Universidade Federal do Rio Grande do Norte, 237 pp, 2019. Resenha de: CISNEIROS, Daniela.  Clio Arqueológica, Recife v.3, n.3, p.253-255, 2018.

A Editora da Universidade Federal do Rio Grande do Norte publica a obra póstuma do Professor Tom Miller Teoria Antropológica e Arqueológica, Convergências e Divergências que sairá ao público nos primeiros meses de 2019 com o patrocínio da Associação norte-rio-grandense de Arqueologia. O livro é aguardado com a natural impaciência pela publicação de uma obra que passará a ser básica, especialmente para o conhecimento da teoria arqueológica nos programas de pós-graduação em Arqueologia que tem proliferado no Brasil nas duas últimas décadas. Escrito de forma didática e despretensiosa orienta, porém, no caminho árduo da teoria numa disciplina cuja base é aparentemente prática.

A obra está composta por doze capítulos e um anexo, também dividido em doze apartados sob o título Paradigmas e Escolas de Teoria Antropológica. Esse anexo demonstra o interesse do autor em que o livro seja um guia para o conhecimento das teorias antropológicas e das possibilidades da sua aplicação no início do aprendizado teórico. Uma ampla e escolhida relação bibliográfica completa a obra.

Podemos afirmar que o lado mais original do livro do Professor Miller é a tentativa bem-sucedida de relacional o conhecimento antropológico e arqueológico num seguimento diacrônico e útil às duas disciplinas e na procura de um paradigma teórico válido para a Arqueologia brasileira.

São também itens ressaltáveis do livro os conceitos e diferenças entre o difusionismo europeu e o americano assim como entre o estruturalismo francês e o dos americanistas. O Livro aborda a difusão mundial da cultura formulada pelos difusionistas da Escola de Viena, com raízes fincadas no século XIX e marcado teor religioso, por sua vez criticados pelos histórico-difusionistas americanos mais rigorosos na demonstração dos caminhos para a difusão das culturas.

Como “Arqueologia Irrequieta” o autor discorre sobre as dúvidas de antropólogos e etnólogos norte-americanos em relação à funcionalidade de uma teoria para a arqueologia. Nesse capítulo o Professor Miller foi particularmente severo em relação aos seus colegas norte-americanos da escola radicar de Frans Boas: “De fato, os arqueólogos norte-americanos caíram sobre o mesmo feitiço empirista antiteórico boasiano que os outros antropólogos seus colegas para o quais “teoria” representava o frívolo, ginástica mental inútil, indigno de um cientista sério e responsável”.

Segundo o autor, depois da Segunda Guerra Mundial, a Antropologia norteamericana teve uma influência crescente sobre a nascente Antropologia brasileira, dando-se maior ênfase ao trabalho de campo e na responsabilidade do pesquisador em coletar e publicar dados fidedignos, embora com despreocupação com a teoria e um ecletismo que, por muitos anos, influenciaram diversas instituições no Brasil, inclusive as mais fortes e tradicionais.

Além do alto grau de informações antropológicas e arqueológicas que o livro apresenta, não podemos deixar de citar as numerosas reflexões do autor em relação ao alto grau de complexidade dos fenômenos socioculturais e da capacidade humana de acumular conhecimentos, reflexões que transformam o livro póstumo do professor Tom Mille numa obra singular e de utilidade indubitável para as novas gerações de arqueólogos brasileiros.

Daniela Cisneiros – Departamento de Arqueologia, UFPE. E-mail: danielacisneiros@gmail.com

Acessar publicação original

[MLPDB]

 

Controle social e resistência: instituições, historicidade e efeitos / Tempo Amazônico / 2018

É com satisfação que apresentamos a edição da Revista Tempo Amazônico, revista eletrônica semestral da seção Amapá da Associação Nacional de em História (ANPUH / AP). Esforçando-se para dar conta da multiplicidade dos estudos de história social, exploramos através de um Dossiê com o tema “Controle social e resistência: instituições, historicidade e efeitos”, incorporando diversas abordagens e problemáticas versando sobre educação, religião, raça, identidade e resistência, itens frequentes na agenda de estudo sobre controle social, entendido na definição de Anthony Giddens & Philip W. Sutton (2017) como o conjunto de mecanismos formais e informais empregados para gerenciar os efeitos das práticas coletivas com vistas à produção de conformidade. Nesse sentido, podemos identificar quatro seções na presente edição: a educação como projeto; a questão da relação entre educação e religião; educação e mídia; identidade, resistência e desvio social, para enfim concluirmos como a questão humana em sentido lato. Como pensar nossa história social com e para além das instituições sociais? Com essa indagação convidamos os leitores a refletir sobre os artigos desse volume.

Iniciamos com a apresentação de dois artigos que compõem um largo espectro espaço-temporal para mostrar que a educação implica na elaboração de um projeto político e social. Com o artigo “A Inglaterra Elisabetana (1558-1603): propostas revisionistas para o ensino de História”, de Giovana Eloá Mantovani Mulza, contextualiza-se a convergência entre reforma política e religiosa no período elisabetano como chave para a compreensão e ensino dessa questão transversal, com vistas ao tratamento didático do período em questão. De outro lado, a questão do projeto político na educação ganha abordagem com base no atual contexto brasileiro, no artigo “A racionalidade neoliberal na reforma do Ensino Médio da rede pública do Estado da Paraíba: uma análise do Programa de Educação Integral”, de Maria Eduarda Pereira Leite, que discute a efetividade da ideia de integralidade na educação, tendo em vista a lógica neoliberal que permeia a prática estatal, de modo a identificar uma dissociação entre aquilo que se prevê e aquilo que de fato se provê.

Abrindo a segunda seção, sobre educação e religião, temos o artigo intitulado “Ensino religioso e educação à distância: análises e reflexões de um estudo de caso de formação continuada no Amapá”, de autoria de Alysson Brabo Antero e Marcos Vinícius de Freitas Reis, no qual é tratada a formação continuada mediada por tecnologia na área de ensino religioso, destacando a relação entre religião e laicidade para a prevenção à intolerância. O artigo seguinte, de autoria de Marinete Furtado Carvalho Silva, intitulado “O ensino religioso e sua importância no contexto escolar”, retoma a questão da relação entre educação e religião no ambiente escolar, lançando luz sobre a legislação atinente, destacando a rejeição ao proselitismo e a promoção de valores morais que transcendam o escopo confessional.

A terceira seção se inicia com importante abordagem sobre a relação entre as mídias na educação e sua mediação com vistas à promoção da relação ensino-aprendizagem, em artigo de autoria de Gleidson José Monteiro Salheb, intitulado “Midiatização & mediação na educação: aproximações teórico-conceituais”. A educação “com” e “sobre” as novas tecnologias são passo fundamental para a superação das desigualdades de acesso às informações tendo como base o senso crítico e a busca pela emancipação no contexto da sociedade da informação. Prosseguimos com a temática em tela no artigo seguinte, “Mídia e suicídio: prevenção e posvenção na era digital”, de Luana Izabel da Silva Nunes e Diego Saimon de Souza Abrantes, cujo tema é o tratamento midiático dispensado ao fenômeno do suicídio e suas implicações sociais. A exposição dos artigos dessa seção evidencia a ambiguidade que paira sobre a relação entre os meios digitais e a educação enquanto processo formativo, entre a emancipação e anomia social.

Por fim, na quarta seção, abrigamos artigos que versam sobre questões sociais pungentes na realidade nacional. O artigo coletivo de Kerllyo Barbosa Maciel, Marinete Furtado Carvalho da Silva e Paula Iara de Abreu da Trindade, chamado “Ladrões de Marabaixo: narrativa poética de resistência, memória e identidade cultural”. Aqui as práticas artísticas da cultura popular são pensadas como formas de resistência ante as relações de poder instituídas. A seguir, Haroldo Paulo Camara Medeiros nos traz a reflexão sobre o desvio social abordando o tráfico de drogas. O artigo “Mulas pretas: os inimigos de um país”, articula a relação entre o fenômeno do tráfico e a questão racial como elementos constitutivos de um biopoder sobre corpos negros e uma necropolítica de exclusão social e repressão contra uma população marginalizada e estigmatizada sob o argumento racial. O objetivo político dessa conjunção entre política e raça reside na manutenção da desigualdade social e do status quo. Diretamente conectado a esse tema, o artigo de Juliano Zancanelo Rezende, “Serviço social e questão racial: uma relação ainda a ser melhor ativada”, destaca a necessidade premente de integrar a atuação dos profissionais do Serviço Social no ativo combate ao racismo no exercício profissional e nas relações sociais. Concluímos o presente volume com o artigo de Juliano Bueno Acuña, intitulado “A desumanização: o problema da razão em Nietzsche e Horkheimer”, que sintetiza a necessidade urgente em destacar a dimensão humana das relações sociais, com Nietzsche apontando para o problema da negação do corpo enquanto vida na perspectiva da razão instrumental, e com Horkheimer indicando a necessidade de nos contrapormos ao processo de “coisificação” do homem – nesse sentido, portanto, devemos transbordar nossa humanidade vigente.

Samuel Correa Duarte – Bacharel em Sociologia e Mestre em Ciência Política pela UFMG, Mestre em Planejamento e Desenvolvimento Territorial pela PUC-Goiás, Doutorando em Sociologia pela UECE. Professor da área de Ciências Sociais na UFMA.


DUARTE, Samuel Correa. Apresentação. Tempo Amazônico, Macapá, v.5, n.2, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

Realidades do processo civilizatório: múltiplos olhares / Tempo Amazônico / 2018

É com satisfação que apresentamos a edição 2018.2 da Revista Tempo Amazônico, revista eletrônica semestral da seção Amapá da Associação Nacional de em História (ANPUH / AP). Esforçando-se para dar conta da multiplicidade dos estudos de história social, exploramos através de um Dossiê com o tema “Realidades do processo civilizatório: múltiplos olhares”, incorporando diversas abordagens e problemáticas versando sobre política, gênero, educação e religião. Nesse sentido, podemos identificar 03 seções na presente edição: Política, educação e civilidade; Cultura e gênero; Educação e religião.

A linha que perpassa os artigos visa identificar caminhos para o processo civilizatório a partir da experiência brasileira. A questão que delineia esse dossiê pode ser assim expressa: “como passar da constatação da diversidade enquanto realidade social para o plano da conduta ética com relação à alteridade”? Veremos que, como nos alerta Norbert Elias (1993; 1994), é preciso captar as convenções e tensões que marcam o processo civilizatório na dinâmica social, de modo a compreender e reconhecer o outro como sujeito em suas múltiplas dimensões. Esse princípio é parte de um projeto civilizatório essencialmente humanista. Com essa ideia em perspectiva, convidamos os leitores a refletir sobre os artigos desse volume.

Abrindo a seção sobre política, ensino e civilidade, temos o artigo de Mayara Laet Moreira, intitulado “Campanhas contrárias às touradas cuiabanas: ressonâncias do projeto civilista e do movimento de modernização brasileiro na capital mato-grossense dos anos de 1920”. O texto versa sobre a influência do movimento civilista do processo de modernização nacional que tomou curso na década de 1920 e que permitiu questionar a prática das touradas consociadas com a tradicional festa do Divino Espírito Santo. A seguir temos o artigo nomeado “O processo de gestão do conhecimento no ensino superior quanto à disposição didática”, de Cássia Plácido de Oliveira e Patrícia Ferreira dos Santos. O artigo se interessa em mostrar a relevância da gestão do conhecimento para o ensino superior, problematizando o uso da didática para o processo de ensino e aprendizagem.

A segunda seção traz artigos que discutem questões que relacionam cultura e a temática de gênero. Renato Silveira indica os modos como a musicalidade pode ser mobilizada para prover meios simbólicos de resistência à comunidade LGBTQI+ diante as práticas correntes de homofobia e transfobia, no artigo intitulado “A música e a cultura popular como ferramentas de resistência LGBTQI+”. Sua proposta é discutir a heteronormatividade padrão e suas possibilidades de desconstrução por meio de ferramentas discursivas. Nessa mesma seara do gênero, temos o artigo de Emilayne Souto, denominado “Gênero e direito à cidade em tempos de exceção: o caso das mulheres do Porto do Capim”. Com pesquisa localizada em João Pessoa-PB, a autora procura refletir sobre a mobilização de mulheres na luta pela pelo direito à cidade e seus desafios.

A terceira seção propõe relacionar educação e religião em diversas frentes de debate. Para fundamentar a discussão, iniciamos com o texto de Roniria Silva dos Santos e Raimundo Márcio Mota de Castro, intitulado “Desafios da escolha epistemológica: um pensar a partir dos postulados de Paulo Freire”. A proposta é cotejar o pensamento educacional freiriano com a conjuntura de uma sociedade da informação, no seio da qual ganham relevo a necessidade de criticidade e da capacidade analítica. Nesse mesmo diapasão, temos o artigo “O desafio de educar em meio ao caos – uma abordagem Freireana e Buberiana de uma educação para o diálogo como intervenção”, de autoria de Wanildo Figueiredo de Sousa, Andressa Fabiany Santiago de Souza e Laryssa Carolyne Maciel de Oliveira, que investiga os instrumentos desenhados pelos autores citados para a mediação pedagógica, com vistas a tornar o processo educativo uma relação dialógica com o mundo da vida do educando, e assim promover a prática da tolerância com relação à diversidade. A abordagem empreendida por Eronilson Mendes de Sousa, Solange Murrieta de Oliveira e Aldeni Melo de Oliveira, no artigo “A relação dos alunos e professores com o ensino religioso, baseado na diversidade”, versa sobre a proposição de práticas éticas por meio de ensino religioso em ambiente virtual – EaD. Aqui a religião como promotora da inclusão do outro pela aceitação da diversidade se torna ponto central. Caso exemplar dessa agenda de inclusão da diversidade pode ser constado no artigo seguinte, de Alessandro Ricardo Pinheiro Brandão, intitulado “Tenda Espírita São Sebastião Harmonia e Caridade: a história da Umbanda no Amapá”, que permite visualizar uma tradição plena de saberes e práticas, bem como um caso sensível de demanda por tolerância e reconhecimento social. Concluindo, temos a esclarecedora entrevista realizada por Marcus Vinicius Freitas Reis, Nelson Mateus Machado dos Santos, Jordan Silva da Costa com o Dr. George Harrison Ferreira de Carvalho, tratando sobre “A desmistificação do chá da ayahuasca”, a qual nos permite entender a relação entre mística e saúde nas tradições ayahuasqueiras.

Samuel Correa Duarte – Bacharel em Sociologia e Mestre em Ciência Política pela UFMG, Mestre em Planejamento e Desenvolvimento Territorial pela PUC-Goiás, Doutorando em Sociologia pela UECE. Professor da área de Ciências Sociais na UFMA.


DUARTE, Samuel Correa. Tempo Amazônico, Macapá, v.6, n.1, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

Políticas migratorias entre Europa y América: un escenario de cambios legislativos en el último siglo / História Unisinos / 2018

El 21 de diciembre de 1907 se promulgó en España la primera ley emigratoria, posteriormente se sancionó, el 30 de abril de 1908, su Reglamento. Tal medida fue similar a las adoptadas para entonces por varios países europeos, entre otros, Italia, que en 1901 había aprobado su Ley de Emigración.

Esta legislación se integra en el corpus de disposiciones que sobre reformas sociales estuvieron vigentes en el país desde comienzos del siglo XX. Su aplicación permitiría garantizar la acción protectora del estado sobre los que abandonaban España, para lo cual fueron creados distintos organismos e instituciones que, a lo largo de los años, evolucionaron a medida que proseguían los desplazamientos y se extendían los destinos escogidos, incluyendo el de los emigrantes que se dirigían hacia dentro de las propias fronteras europeas.

Concomitantemente también los diferentes países receptores de inmigración, ante la masividad que adquirió el proceso, se vieron obligados a regular y orientar los movimientos de entrada de personas. Si bien, como dice Sassen (2007) cada país es único y cada flujo migratorio se produce en unas condiciones específicas de tiempo y lugar, las políticas migratorias desarrolladas en el Cono Sur responden a cierto paradigma, se pueden detectar mecanismos de cambio que se repiten en las políticas migratorias nacionales, observando lógicas y dinámicas que pasan desapercibidas desde una mirada de lo nacional excluyente, que desdibuja las conexiones entre las actuaciones e ideologías, por ejemplo, de gobiernos locales y organismos intergubernamentales.

En este dossier presentamos un panorama de las políticas estatales y de las prácticas institucionales migratorias que se implementaron en los últimos cien años, para de esta manera tener una mejor comprensión del papel que asumió España como país expulsor de población, y los países americanos con fuerte tradición inmigratoria como fueron Argentina y Brasil. Entre otras cuestiones se dilucidó el papel de los organismos internacionales, en especial el Comité Intergubernamental para las Migraciones Europeas (CIME), la coordinación existente entre ellos y las dependencias estatales creadas en los citados países para gestionar los desplazamientos. Incluir a los actores estatales permitió comprobar el acrecentamiento de poder que llegaron a detentar, sobre todo a partir de mediados del siglo pasado.

La implementación de las políticas nacionales difícilmente puede proponerse al margen de las demandas internas de políticos, ciudadanos, empresarios y asociaciones de inmigrantes, como tampoco pueden sustraerse de las sugerencias y decisiones de comités intergubernamentales u otras instituciones internacionales, ni de las decisiones que asumen los países limítrofes; influidas en diferente grado, según el momento, por lobbies de empresarios nativos o de emigrantes a través de sus líderes, medios de comunicación, obligaciones derivadas de acuerdos internacionales, decisiones de otros países vecinos, etc.

De allí la pertinencia del estudio histórico de las políticas de países receptores de inmigración, atendiendo a la región del Cono Sur de América, Argentina y Brasil. La elección de estos destinos se fundamenta en el hecho de que no solo han sido lugares de recepción para millones de inmigrantes europeos en la misma época, sino que pronto dispusieron de aparatos estatales para la gestión de su llegada, por lo cual ostentan una prolija experiencia en la enunciación de políticas en materia de inmigración. A partir del primer tercio del siglo XX, las medidas y prácticas políticas de estos países coinciden en orientarse hacia la restricción y mayor dirección de los flujos inmigratorios, mientras, varias décadas después, poco a poco, comienzan a ser testigos de su conversión en países emisores hacia Europa y Estados Unidos.

Si bien el marco nacional (ya sea referido a la Administración central o a las autonomías) ha sido el locus por excelencia del análisis de las migraciones y el referente necesario para comprender el fenómeno en su dimensión política, incluso se valora la capacidad de gestión de los Estados nación a la hora de convertirse en un factor más de la dirección, intensidad o mantenimiento de los flujos (Arango, 2003), cada vez resulta más clara la necesidad de considerar también otras escalas de análisis, locales y globales, en el estudio de la gestación e implementación de las políticas migratorias.

Dichas políticas se piensan, gestan y ejecutan a partir de la articulación de las dinámicas, insistimos, entre organizaciones locales, agencias estatales y organismos internacionales. Desde ese lugar se puede entender mejor el papel de la política migratoria en la dirección, intensidad y duración de los flujos migratorios.

En este número, desde una perspectiva histórica de medio plazo, se analiza cómo se gesta la política inmigratoria en su transformación, y qué discursos se utilizan cada vez, tratando de suministrar contexto de estos cambios, desde el ámbito local, internacional y transnacional. Entendemos que tales políticas migratorias están constituidas por un corpus legal que las regula y que sistematiza los preceptos que la rigen y que, en cada país, están recopilados. Este es un principio básico que las engloba, independientemente del país que las impulse. Ahora bien, la aplicación de la normativa está en manos de dependencias administrativas a nivel nacional, que la llevan a la práctica, que están influenciadas por agencias internacionales y locales, gestionando la llegada y asentamiento de los inmigrantes.

En este dossier se reúnen trabajos que abordan el estudio de las políticas estatales migratorias implementadas en Europa y América Latina a lo largo del siglo XX. Es una cuestión indudable que la gestión de la política inmigratoria fue un tema prioritario en las agendas de los gobiernos latinoamericanos, en especial cuando se comenzaron a implementar medidas selectivas, pero también en los europeos.

Posteriormente la regulación de los flujos se ha mantenido, aunque con variaciones, a lo largo de los años. Por tanto, nos enfrentamos a un asunto que tiene una proyección social que trasciende hasta el presente.

Ahora bien, en relación con la producción científica que ha generado la temática apenas constatamos monografías que aborden el tema de las políticas desarrolladas por el Estado español. No obstante, existen obras contemporáneas de este período, a medio camino entre la fuente primaria y la fuente bibliográfica, que resulta imposible no referir. Es el caso del trabajo de Mariano González-Rothvoss y Gil, publicado en tres partes a lo largo de 1949. El que fuera entonces director del Departamento de Emigración del Ministerio de Trabajo, realizó un completo análisis de la emigración española desde una perspectiva social que incidía en la supuesta necesidad de tutelar y proteger al emigrante.

De similares características son los estudios de otros autores vinculados a la estructura organizativa del Estado, como los Vicente Borregón Ribes (1952), o Carlos Martí Bufill (1949, 1955), que reflejan la preocupación paternalista del Gobierno franquista por los españoles afincados en otros países, especialmente en América, y su interés por controlar los flujos migratorios hacia los mismos. Algo más cercana en el tiempo, se encuentra la monografía La emigración española y su régimen jurídico, de José Serrano Carvajal (1966), quien fue secretario general técnico del Instituto Español de Emigración durante los años sesenta. Este realiza en la obra un repaso exhaustivo de la legislación migratoria y sus implicaciones sociales desde el siglo XIX hasta esa época.

En los últimos años, destaca la tesis de María José Fernández Vicente (2006), que efectúa un análisis comparativo de las políticas públicas desarrolladas por el Gobierno franquista, en relación con la emigración española hacia Francia y Argentina y la recientísima obra de Emilio Redondo Carrero sobre la participación española en el CIME (2017).

También es posible citar algunos artículos y obras colectivas que se ocupan de esta problemática, aunque sea parcialmente, o se centran en aspectos concretos, la Historia del Instituto Español de Emigración (2009), publicada por Luis M. Calvo, Axel Freienbrink y Carlos Sanz; el artículo de Blanca Sánchez Alonso en su revisión de la política emigratoria española a lo largo de todo el siglo XX (2011). Sin embargo, debemos hacer la salvedad de que, cuando el ámbito político es la Unión Europea o algún país de los que ahora la integran, los trabajos son abundantes.

Una rápida mirada sobre la historiografía respecto a las políticas inmigratorias de los países de recepción nos permite observar la existencia de trabajos generales referidos a la cuestión inmigratoria en Iberoamérica (Lattes y Recchini de Lattes, 1992), la recopilación acerca de la legislación en el cono sur (Silva et al., 1987), o la caracterización de los fundamentos de las políticas migratorias internacionales (Mármora, 1988, 2003).

Para el caso argentino hay que subrayar estudios más específicos y muy sugerentes como los de Fernando Devoto (2001, 2003) acerca del entramado y las contradicciones entre los distintos organismos encargados de la gestión inmigratoria a la luz de la discriminación histórica que sufrieron algunos colectivos. Durante el peronismo, los de Novick, centrándose en el Primero y Segundo Plan Quinquenal, pero que se extiende y analiza la política inmigratoria argentina formulada por los gobiernos posteriores (in Oteiza et al., 1997). También debemos indicar los de Oteiza (2006) focalizados en la conocida como Ley Videla, y la obra conjunta de este autor, junto a Novick y Aruj (Oteiza et al., 1997), que aborda el discurso oficial argentino sobre los extranjeros analizando los artículos aparecidos en la prensa y las leyes y decretos que regulan la inmigración.

En el caso brasileño encontramos publicaciones originadas en el seno de los organismos del Estado implicados en la cuestión inmigratoria, como la realizada por Ilmar Penha Marinho (1961) o las editadas en los Boletines del Departamento de Inmigración y Colonización en la década de los años 50 del siglo pasado. Más actual y abordando la política migratoria en relación a la llegada de los españoles es el trabajo de González Martínez (2003) y el artículo de Cook-Martín y Fitgerald (2015) sobre selección racial. Así mismo, es necesario señalar que, en la mayoría de la extensísima y relevante producción científica que se ha publicado acerca de las diferentes comunidades inmigrantes, existen referencias a la política migratoria que permitió su llegada. En concreto, un tema al que se le ha prestado mucha atención tiene que ver la cuestión de los refugiados judíos; sobre esta cuestión un estudio clásico es el de Lesser (1995).

Los artículos que integran este volumen se centran tanto en las iniciativas tendientes a encauzar los procesos de desplazamiento poblacional, como a aquellas otras enfocadas a paliar las consecuencias del mismo en los respectivos ámbitos nacionales. Así mismo, se atiende al complejo espacio, entre social y político, generado alrededor por las sugerencias de instituciones internacionales.

No nos sorprendente que los estudiosos examinen las políticas oficiales de control migratorio. Estas dan testimonio del crecimiento de la capacidad infraestructural de los Estados para controlar “sus” poblaciones durante períodos de formación del Estado nación. Contribuye a esta tendencia la existencia de fuentes cuidadosamente producidas y conservadas por los Estados. Por otro lado, es comprensible también que los autores enfaticen la historia de sujetos que aparecen en las fuentes disponibles para mostrar el significado concreto de las políticas oficiales y cómo reaccionarán las personas afectadas.

El dossier incluye varios trabajos que reflejan distintos momentos de las políticas migratorias, y los recursos que se implementaron en especial en Argentina, pero también se introduce un artículo que se refiere a Brasil, centrado en la temática de las migraciones internas.

Alejandro Fernández se ocupa de la inmigracimigratoria argentina y sobre todo cuales fueron los problemas que llevaron a igraciesos años ón subsidiada a la Argentina. Durante un muy corto periodo de tiempo este país se apartó del modelo que caracterizó la llegada de inmigrantes en la etapa de inmigración masiva, me refiero al que se denomina como “inmigración espontánea”. Su artículo explica las claves de este cambio en la política inmigratoria argentina y sobre todo cuáles fueron los problemas que influyeron para que dicho nuevo modelo fracasara.

La regulación jurídica global del fenómeno emigratorio, a través de los planteamientos de una figura poco reconocida en el tratamiento de este tema, Estanislao Zeballos, es el objetivo que persigue el análisis de Pilar González Bernaldo.

La participación de Estanislao Zeballos en instituciones transnacionales permite a la autora adentrarse en una temática muy poco abordada, los mecanismos por los cuales se negocian las políticas migratorias como principios universales.

Otro bloque de trabajos tiene que ver con la llegada de inmigrantes en la segunda etapa migratoria en la Argentina, la de los individuos que arribaron al país a partir de mediados del siglo XX.

Emilio Redondo Cerrero y Eugenia Scarzanella analizan cómo, cuando la emigración europea hacia ultramar ya no tiene el significado cuantitativo que la caracterizó en la época anterior, se intentan revitalizar las corrientes migratorias que unían Europa –España e Italia–, con América Latina.

Gracias al impulso dado por un organismo internacional, el Comité intergubernamental para las migraciones Europeas (CIME), y a los acuerdos bilaterales que éste firmaba con distintos gobiernos de dicho continente, se inició en esos años la emigración asistida.

En el caso de Emilio Redondo, su trabajo examina la emigración de españoles a la Argentina. El Comité intergubernamental para las migraciones europeas (CIME), con la colaboración de instituciones locales españolas, llevaron adelante programas como el denominado “mano de obra” y el de “reagrupación familiar”, los que, y a pesar del esfuerzo económico que supusieron, tuvieron grandes fallos que los condujeron al fracaso.

Mientras que Eugenia Scarzanella estudia la emigración italiana a la Argentina, Chile, Brasil, Venezuela y Uruguay, a través también de la intervención del CIME.

Su trabajo refleja no solo la experiencia de estos inmigrantes sino también como la presencia de una fuerte burocracia en el país de origen, en el propio Comité intergubernamental para las migraciones europeas, y en las agencias de los diferentes países latinoamericanos influyen y obstaculizan los desplazamientos

El trabajo de Enrique Mases se ubica también en el ámbito argentino, una década más tarde, analizando en este caso el ingreso al país de los franco argelinos. En su artículo se muestra cómo la política inmigratoria pretende estimular el arribo de individuos calificados, “dotados de herramientas y capital otorgados por el gobierno francés”, que contribuyan al engrandecimiento del país, sobre todo en las áreas rurales.

Un enfoque diferente es el que se observa en el estudio de Esmeralda Broullón, quien a través del análisis de la trayectoria de una asociación de inmigrantes, El Rincón familiar andaluz, en Buenos Aires, examina las imágenes e identidades que representan a los oriundos de esta Autonomía en las últimas décadas.

El trabajo de Asunción Merino Hernando complementa el anterior ya que investiga los vínculos entre los inmigrantes españoles y la sociedad receptora. Las entrevistas realizadas a los dirigentes de las asociaciones étnicas le permite a la autora indagar cómo confluye la política migratoria del lugar de destino, la del lugar de origen y la actuación de los propios inmigrantes.

Por último, encontramos el artículo de Natália Araújo de Oliveira. La autora explora las políticas migratorias que se han desarrollado en torno a la Amazonía legal brasileña en dos etapas, durante el gobierno de Vargas y más tarde en la dictadura militar.

Se trata de un estudio centrado no ya en la llegada de inmigración extranjera sino en los desplazamientos de brasileños dentro de las propias fronteras del país. En el primer caso los migrantes fueron mayoritariamente nordestinos y goianos, mientras que en el segundo los elegidos fueron los gauchos, es decir provenientes de una región que había sido poblada por alemanes e italianos, por tanto podía esperarse que sus descendientes llevaran, tal como lo habían hecho en el sur, el progreso al área.

Referencias

ARANGO, J. 2003. La explicación teórica de las migraciones: luz y sombra. Migración y Desarrollo, 1:1-31.

BORREGÓN RIBES, V. 1952. La emigración española a América. Vigo, [s.n.].

CALVO SALGADO, L.; KREIENBRINK, A.; SANZ DÍAZ, C. 2009. Historia del Instituto Español de Emigración. La política migratoria exterior de España y el IEE del Franquismo a la Transición. Madrid, Ministerio de Trabajo e Inmigración, 338 p.

COOK-MARTIN, D.; FITGERALD D. 2015. Vender el mito de la democracia racial: selección étnica en las políticas inmigratorias del Brasil. In: E. GONZÁLEZ MARTÍNEZ; R. GONZÁLEZ LEANDRI (eds.), Migraciones ansatlánticas: Desplazamientos, etnicidad, y políticas. Madrid, Editorial Libros de la Catarata.

DEVOTO, F. 2001. El revés de la trama: políticas migratorias y prácticas administrativas en la Argentina (1919-1949). Desarrollo económico, 41(162):281-304. https: / / doi.org / 10.2307 / 3455989

DEVOTO, F. 2003. Historia de la Inmigración en la Argentina. Buenos Aires, Sudamericana, 270 p.

FERNÁNDEZ VICENTE, M.J. 2006. Émigrer sous Franco: Politiques publiques et stratégies individuelles dans l’émigration espagnole vers l’Argentine et vers la France, 1945-1965. Lille, Atelier National de Reprodutcion des Thèses.

GONZÁLEZ MARTÍNEZ, E.E. 2003. La inmigración esperada. La política migratoria brasileña desde João VI a Getúlio Vargas. Madrid, CSIC, 263 p.

GONZÁLEZ-ROTHVOSS Y GIL, M. 1949. Los problemas actuales de la emigración. Madrid, Instituto de Estudios Políticos, 252 p.

LATTES, A.; RECCHINI DE LATTES, Z. 1992. International Migration in Latin America. Patterns, Determinants and Policies. Ginebra, ECE / UNFPA, Expert Group M. on International Migration.

LESSER, J. 1995. Welcoming the Undesirables – Brazil and the Jewish Question. Berkeley, University of California Press, 280 p.

MÁRMORA, L. 1988. La fundamentación de las políticas migratorias internacionales en América Latina. Estudios Migratorios Latinoamericanos, 3(10):375-396.

MÁRMORA, L. 2003. Políticas migratorias consensuadas en América Latina. Estudios Migratorios Latinoamericanos, 17(50):111-141.

MARTÍ BUFILL, C. 1949. El Seguro social en Hispanoamérica. Madrid, Seminario de Problemas Hispanoamericanos, 209 p.

MARTÍ BUFILL, C. 1955. Nuevas soluciones al problema migratorio. Madrid, Ediciones Cultura Hispánica, 547 p.

OTEIZA, E. 2006. Inmigración y derechos humanos. Les Cahiers – Amérique Latine Histoire et Mémoire, 12. Disponible en: http: / / journals.openedition.org / alhim / 1382

OTEIZA, E.; NOVICK, S.; ARUJ, R. 1997. Inmigración y discriminación. Políticas y discursos. Buenos Aires, Grupo Editor Universitario, 167 p.

PENHA MARINHO, I. 1961. Política Imigratória Brasileira. Rio de Janeiro, Ministério das Relações Exteriores, 94 p.

REDONDO CARRERO, E. 2017. Migrantes y refugiados en la posguerra mundial. La corriente organizada de españoles hacia Argentina, 1946-1962. Madrid, Sílex Universidad Editora, 579 p.

SÁNCHEZ ALONSO, B. 2011. La política migratoria en España: un análisis de largo plazo. Revista Internacional de Sociología, 69(M1):243-268.

SASSEN, S. 2007. La formación de las migraciones internacionales: implicaciones políticas. Revista Internacional de Filosofía Política, 27:19-39.

SERRANO CARVAJAL, J. 1966. La emigración española y su régimen jurídico. Madrid, Instituto de Estudios Públicos, 237 p.

SILVA, H.A. et al. 1987. Legislación y Política inmigratoria en el Cono Sur de América. Argentina, Brasil y Uruguay. México, Editorial de la Organización de Estados Americanos, Instituto Panamericano de Geografía e Historia, 546 p.

Marcos Witt – Universidade do Vale do Rio dos Sinos, Brasil

Elda González – Martínez Instituto de Historia, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, España

Organizadores do Dossiê


WITT, Marcos; GONZÁLEZ, Elda. Apresentação. História Unisinos, São Leopoldo, v.22, n.2., maio / agosto, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

História do Trabalho / Politeia: História e Sociedade / 2018

Em um contexto nacional marcado pelas iniciativas de desconstrução da legislação que regula as relações do trabalho no Brasil, a Revista Politeia traz, por meio do dossiê História do Trabalho, uma importante contribuição ao tema que volta a ocupar a centralidade nos debates acadêmicos e repercute na vida social, O fenômeno da globalização econômica, sob o vetor político do neoliberalismo, impõe a desregulamentação das relações de trabalho. As iniciativas de mudança tomam corpo, sob o pretexto de que, no Brasil, o valor-trabalho tornou-se pesado para as empresas que aqui estão e para aquelas que desejarem instalar-se, o que torna o país pouco competitivo no cenário econômico mundial. Neste cenário, os estudos que compõem o dossiê problematizam questões fundamentais para o entendimento sócio-histórico da categoria trabalho, transitando por um longo período, desde a proposição da legislação trabalhista em vigor, nos anos de 1930, até o processo de reestruturação produtiva do mercado de trabalho e consumo, nos dias atuais. Os artigos abrangem a participação dos trabalhadores na política institucional e na Justiça do Trabalho, a análise do sindicalismo contemporâneo e a situação de precariedade em que se encontra a classe trabalhadora frente à acumulação flexível do capital na contemporaneidade.

No artigo Na Arena Política: Trabalhadores, Partidos Políticos e Eleições em Alagoinhas-Bahia (1948- 1964) Moisés Leal Morais analisa a participação de trabalhadores do município de Alagoinhas nos pleitos eleitorais no período compreendido pelo conceito de Segunda República, entre o fim do Estado Novo (1945) e o início da Ditadura Civil-Militar (1964). O autor argumenta que, com o processo de redemocratização, a política eleitoral configurou-se como um campo profícuo de atuação dos trabalhadores. Ainda que os não alfabetizados estivessem alijados da participação nas esferas de poder, alguns setores das classes trabalhadoras conseguiram fazer-se representar nas várias instâncias e apresentar demandas de melhorias na infra-estrutura dos bairros operários, de aumento da oferta dos serviços públicos e de cumprimento e manutenção de direitos trabalhista. A pesquisa identificou, entre os trabalhadores atuantes na Câmara de Vereadores da cidade de Alagoinhas, a presença de ferroviários, operários em curtumes e comerciários. Por outro lado, a pesquisa revela a ausência completa de membros da classe trabalhadora em esferas diretivas ou em cargos eletivos de maior importância como os de prefeito, deputado estadual ou federal. Atento à dinâmica da participação partidária, o estudo de Morais destaca a ausência de representantes do Partido Comunista do Brasil (cujo registro foi cassado em 1947), a existência de disputas internas nos partidos de base trabalhista e a migração de trabalhadores para a União Democrática Nacional (UDN), partido conservador claramente associado aos interesses das classes dominantes. O autor demonstra como a eleição presidencial de 1955 reverberou na cidade de Alagoinhas, acirrando as tensões entre dois blocos políticos: de um lado, a Frente Popular Democrática – bancada de oposição que reunia os edis do Partido Trabalhista Brasileiro (PTB) e do Partido Social Democrático (PSD) – contava com seis dos doze vereadores eleitos; de outro, a UDN, partido da situação, que estava no controle da prefeitura do município. Com o Golpe Civil-Militar de 1964, e a conseqüente suspensão das garantias democráticas (vigentes, ainda que de forma limitada, desde 1946), os vereadores ligados às classes trabalhadoras, que haviam defendido as Reformas de Base, foram tomados como “agitadores” e “subversivos” e tornam-se alvo de perseguição e da repressão política.

Na sequência, o artigo de Antero Maximiliano Dias dos Reis, Marcos Alberto Rambo e Conrado de Oliveira e Silva, intitulado Fontes processuais historiográficas da Justiça do Trabalho: importância e vulnerabilidade, traz à reflexão a potencialidade da documentação da Justiça do Trabalho para a pesquisa histórica. Para os autores, a preservação e as investigações que se valem dos acervos dos tribunais trabalhistas são cruciais para a afirmação da memória dos trabalhadores e para a reverberação de vozes que, de outra forma, estariam condenadas ao silêncio. O artigo culmina com a reflexão sobre as políticas neoliberais que, nos dias atuais, no Brasil, objetivam fragilizar ou até mesmo extinguir a legislação trabalhista em vigor, assim como a Justiça do Trabalho como instância de mediação entre trabalhadores e patrões.

Tendo o sudoeste baiano como campo de investigação, particularmente as cidades que estavam sob a jurisdição da Junta de Conciliação e Julgamento de Vitória da Conquista, o artigo de José Pacheco dos Santos Júnior, Uma História Econômica e da Justiça do Trabalho em Vitória da Conquista (BA), 1963-1972, apresenta uma análise do cenário que impulsionou a necessidade de criação e organização de uma primeira instância da Justiça do Trabalho na cidade de Vitória da Conquista no emergir da década de 1960. Para o autor, a localização espacial, a área de abrangência urbana e a intensidade econômica foram fundamentais para que o referido município sediasse um seção local do Tribunal do Trabalho. O autor destaca o esforço do Poder Executivo local para inserir a região, marcada pelo crescimento econômico e urbano e pela ampliação do mercado de mão de obra, na alçada do Judiciário Trabalhista.

O artigo que encerra o dossiê, O Trabalho Terceirizado: a estratégia do capital que fomenta a cisão entre os trabalhadores, de autoria de Ana Patrícia Dias, analisa o processo de terceirização no segmento bancário da economia brasileira. A autora infere que essa transformação está na base de uma profunda reconfiguração do setor, forjando novos cenários de trabalho nos quais conflitos e tensões entre os trabalhadores são desencadeados. No ambiente de trabalho, as hierarquias entre trabalhadores de diferentes condições aprofundam e a precarização de determinadas ocupações, entendidas como subemprego, e acentuam o processo de superexploração da força de trabalho. A autora chama a atenção para as diferenças objetivas que demarcam as condições de trabalho e salariais de trabalhadores que realizam atividades correspondentes aos trabalhadores bancários efetivos. As desigualdades em relação a estes ocasionam conflitos intraclasse em ambientes laborais tensos e conflituosos, marcados por situações de desconfiança e discriminação.

Dias observa, ainda, como o redimensionamento econômico do “capitalismo flexível” isenta as empresas corporativas de determinadas obrigações trabalhistas, já que a responsabilidade dos encargos é repassada às empresas de locação de mão de obra. Além disso, a reestruturação produtiva, inerente às novas formas de circulação do capital, transfere parte do trabalho para o cliente, que se torna “prossumidor”, no sentido de que, ao mesmo tempo, produz e consome o serviço mediante o uso dos terminais de caixas eletrônicos e do internet banking. Por outro lado, na “trama da terceirização”, os bancos afastam das agências os pequenos correntistas ao repassar às franquias os serviços menos lucrativos, como o recebimento de tributos e pequenas contas, bem como a captação de pequenas poupanças. O artigo analisa o caso da Caixa Econômica Federal, que, a partir do ano de 2000, deslocou parte dos serviços bancários para as casas lotéricas e, posteriormente, também para supermercados, lojas de departamentos, farmácias etc.

Boa Leitura!

Antero Maximiliano Dias dos Reis – Professor da Universidade do Estado de Santa Catarina (Udesc) Doutor em História Econômica pela Universidade de São Paulo (USP) E-mail: anteromaximilianoreis@gmail.com

José Pacheco dos Santos Júnior – Doutorando em História Econômica pela Universidade de São Paulo (USP) E-mail: josepsjunior@usp.br


REIS, Antero Maximiliano Dias dos; SANTOS JÚNIOR, José Pacheco dos. Apresentação. Politeia: História e Sociedade. Vitória da Conquista, v. 18, n. 1, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Dinâmicas Urbanas | Rural e Urbano | 2018

As dinâmicas socioespaciais contemporâneas das e nas cidades, como também no campo, demandam per si leituras recorrentes em diferentes escalas e perspectivas. Isso é tanto mais legitimo em virtude da velocidade em que o tempo enreda o urbano enquanto totalidade. Decerto que metodologicamente as leituras podem se realizar segundo abordagens de mundo diversas usando arcabouços distintos teórica e empiricamente. Não obstante, a percepção que gera a urgência ininterrupta dessas leituras decorre da problematização de evidencias fenomênicas cujos conteúdos transcendem o fenômeno desgarrando-o de sua escala instantânea. Ou seja, implicitamente impulsiona a necessidade de superar a percepção inicial convertendo-a processualmente em análises que levem a maior aproximação possível da realidade com as determinações que a constituem. O fato é que o investigador que se interessa por esse tema tem que se aproximar empiricamente da realidade a ser investigada, sem se deixar fascinar pelo empirismo que o levaria a submergir na armadilha da obviedade de convenções instituídas. E desde o horizonte da singularidade da problematização avançar nas particularidades das determinações reposicionando-se no plano da totalidade. Leia Mais

Nas Teias do Império: Poder e Propriedades no Brasil Oitocentista / Cantareira / 2018

Depois de um longo período de descrédito, os estudos em História Política voltaram ao centro dos debates historiográficos. Graças a um importante movimento de renovação ocorrido nas últimas décadas – como a descoberta e utilização de novas fontes e objetos de estudo, assim como de novas abordagens teórico-metodológicas–, pesquisas políticas antes consideradas esgotadas ganharam um novo fôlego. Um exemplo disso são os diversos trabalhos que propõem um novo olhar sobre o processo de construção do Estado e da Nação brasileira ao longo de todo o século XIX, nos mostrando que, apesar de clássico, o tema em questão é ainda um terreno fértil.

Profundamente relacionado ao contexto econômico-social em suas múltiplas facetas, o tradicional estudo das ideias, do pensamento e das práticas políticas foi revolucionado. Tanto as doutrinas – o liberalismo e o conservadorismo –, quanto as disputas partidárias que as materializavam em projetos de governo ganharam novas dimensões ao serem vinculadas às manifestações culturais e religiosas; aos diversos movimentos sociais que demandavam direitos; aos interesses ligados ao escravismo, a posse de terras e a modernização econômica; a preocupação de forjar uma história nacional no qual o progresso e a civilidade fossem possíveis; e a uma ação diplomática que lutava pela manutenção da unidade e das fronteiras políticas brasileiras.

Nesta perspectiva, cremos que os elementos supracitados orbitam em duas grandes temáticas que particularizam o século XIX: a liberdade e a propriedade. Como sabemos, essa centúria foi marcada pela disputa entre duas linguagens políticas – uma ligada ao Antigo Regime e a outra ao Iluminismo. Este embate marcou a construção de uma nova concepção de mundo, a Modernidade, que estava completamente entrelaçada ao surgimento do liberalismo. Impulsionadas por essas novas ideias, várias regiões do mundo iniciaram um processo de transformação de suas estruturas políticas, econômicas e sociais, o que gerou impactos, interpretações e usos variados.

Não à toa, é justamente no decorrer desse mesmo século que a maior parte das ex-colônias americanas iniciaram seu processo de emancipação política e, consequentemente, a construção dos seus Estados e de suas Nações. Segundo Hespanha, alguns elementos aproximam estes diferentes processos, como o surgimento de grandes Estados bem como de suas gestões, que envolviam a administração de grandes territórios, a implantação de uma nova soberania e de uma nova organização da vida política baseada nas ideias de cidadania e de direitos3.

No caso brasileiro não foi diferente. A independência do Brasil e a posterior formação de suas instituições políticas e de seus cidadãos conciliaram as ideias liberais modernas com a persistência de antigas práticas do Antigo Regime. Nesse sentido, apesar do liberalismo ser central em todo este processo, ele foi apropriado e transformado para adaptar-se às características sociais brasileiras, cujas bases eram a escravidão, o patriarcalismo e o clientelismo.

Se tais questões de âmbito político e social demarcaram – e seguem a demarcar – diversos estudos acerca do oitocentos no Brasil, não diferente foram aqueles que alçaram a propriedade como fio-condutor. Terras, escravos e direitos são algumas das assertivas que norteiam as diversas leituras sobre as dimensões da propriedade no país.

Como produto histórico, a propriedade é marcada por diversas percepções e distintas análises, muito embora seja vista, ainda hoje, como algo natural e, consequentemente, a-histórico. Na contramão dessa interpretação estão autores nacionais e estrangeiros que defendem uma acepção mais plural para o conceito e para as experiências históricas a ela vinculadas, consagrando o que pode ser definido como uma História Social das Propriedades.

No exterior, destacam-se as clássicas obras de E. P. Thompson [4] que, atualmente, se somam às ilações de Rui Santos e Rosa Congost [5], como também as da economista Elionor Ostrom [6]. Em relação ao Brasil, verificamos uma gama de historiadores e cientistas sociais que se debruçaram – e debruçam – sobre o tema.

Em O Rural à la gauche, a historiadora Márcia Motta resgatou as principais interpretações da esquerda sobre o mundo rural brasileiro na segunda metade do século XX. De Nelson Werneck Sodré à Maria Yedda Linhares, Motta apresentou quais eram as concepções sobre o campesinato e os latifúndios para os autores e, de forma particular, demonstrou as razões que levaram à criação da linha de História Agrária no país, como também as novas marcas interpretativas que surgiram a partir dela [7].

Estruturado em três grandes blocos, a 28ª. edição da Revista Cantareira é resultado de um conjunto de investigações recebidas de diversas partes do Brasil e do exterior. No dossiê temático, composto por dez artigos, são propostas reflexões sobre o poder e as propriedades no oitocentos, com enfoque nas relações de dominação e de conflito que demarcam este momento da história nacional. Na seção de artigos livres encontramos uma série de trabalhos originais de graduandos e pós-graduandos de diversas instituições do país, complementadas com as transcrições e resenhas submetidas e aprovadas. A entrevista desta edição foi realizada com a Prof.ª. Dr.ª. Márcia Motta, considerada a maior especialista sobre propriedades no Brasil e que coordena, atualmente, o Instituto Nacional de Ciência e Tecnologia História Social das Propriedades e Direitos de Acesso.

O dossiê temático é iniciado pela discussão do artigo, Ânderson Schmitt. Em “Se não cuidarmos em conservar as estâncias, donde e como teremos o necessário para sustentar a guerra?”: as propriedades embargadas durante a Guerra dos Farrapos (1835-1845), o autor analisou o tratamento dado às propriedades rurais durante a Guerra dos Farrapos, entre os anos de 1835 e 1845 no Rio Grande do Sul. Desnudou, a partir da documentação contemporânea ao conflito, a ação dos grupos revoltosos em um contexto de ação restrita. Ainda em relação à atual região do Sul do país escreveu Vinícius de Assis. Baseado em inventários post-mortem e outras fontes, seu artigo intitulado Do porto às casas de sobrado: cultura material e riqueza nos inventários de negociantes (Paranaguá / PR, século XIX) descortinou a materialidade presente no cotidiano dos comerciantes de grosso trato e fazendeiros do Paranaguá.

A freguesia de Nossa Senhora da Conceição do Bananal foi a região investigada por Jessica Alves. Em Donas e Foreiras: Senhoras proprietárias de escravos e terras na Freguesia de Nossa Senhora da Conceição do Bananal de Itaguaí em meados do século XIX, a pesquisadora resgatou a atuação de mulheres proprietárias de terras e escravos nesta localidade, ao demarcar suas estratégias para manutenção ou ampliação de seus patrimônios.

As relações de poder são resgatadas no trabalho de Flávia Darossi. Em “Benefícios reais da Lei de Terras”: uma releitura política com base na experiência do termo de Lages em Santa Catarina, a investigadora esmiuçou a forma como o Estado Imperial adequou o seu projeto centralizador em correspondência com as elites regionais e locais a partir da Lei de Terras. Como forma de sustentar sua hipótese, tomou como objeto de estudo a municipalidade de Lages, Santa Catarina. Eder de Carvalho e Carlos Gileno também desnudam debates característicos do período de consolidação do Estado brasileiro em Poder Moderador e a responsabilidade jurídica e política: polêmica constitucional da segunda metade do século XIX, mas a partir de outra questão chave: a polêmica constitucional que envolvia o Poder Moderador.

Mirian de Cristo, autora de A Elite Imperial do Porto das Caixas: Saquaremas no poder, se preocupou em relatar a influência política e econômica da família Rodrigues Torres na Freguesia de Nossa Senhora Imaculada Conceição do Porto das Caixas, como também no que concerne ao Império brasileiro. Thomaz Leite, posteriormente, sintetizou suas ilações em “Resta só o Brasil; resta o Brasil só!”: A primeira proposta de emancipação do ventre escravo, sua recepção e discussão no Conselho de Estado Imperial (1866-1868). Em seu texto discutiu a liberdade de ventre a partir do projeto escrito pelo conselheiro de Estado Pimenta Bueno e resgatou as querelas que constituíram os debates abolicionistas.

À luz dos embates periodísticos escreveu Ana Elisa Arêdes o artigo Liberdade e acesso à terra: debates acerca da colônia de libertos de Cantagallo, Paraíba do Sul (1882- 1888). Fundamentada na percepção da imprensa como uma ferramenta de luta política, a pesquisadora recuperou o caso da colônia de libertos de Cantagallo, Paraíba do Sul, para destrinchar as diferentes percepções sobre a abolição, manutenção da escravidão e trabalho nas lavouras.

Para finalizar o dossiê contamos com as instigantes contribuições de Pedro Parga e Rachel Lima. Em A experimentação literária de Machado de Assis e o tema da propriedade da terra no XIX, Pedro Parga refletiu sobre a presença temática do conflito de terras e da crítica à visão senhorial sobre a propriedade territorial em duas obras machadianas. Rachel Lima em Senhores, possuidores e outras coisas mais: As múltiplas funções dos proprietários do rural carioca no oitocentos, se preocupou em discutir as diversas funções dos proprietários de terras do rural carioca, especificamente da freguesia de Inhaúma, para demarcar a posição privilegiada que lhes eram outorgadas em virtude dessa variedade de atribuições.

Em conclusão, esperamos que o leitor se beneficie dos diálogos propostos neste dossiê, ao adensar cada dia mais as reflexões que norteiam a questão do poder e das propriedades no oitocentos.

Boa Leitura!

Notas

  1. HESPANHA, Antônio Manuel. “Pequenas repúblicas, grandes estados. Problemas de organização política entre antigo regime e liberalismo” In.: JANCSÓN, István (org.). Brasil: formação do Estado e da Nação. São Paulo: UCITEC; Jundiaí: FAPESP, 2003.
  2. THOMPSON, E. P. Costumes em Comum. São Paulo: Companhia da Letras, 1998; THOMPSON, E. P. Senhores e caçadores: a origem da lei negra. Rio de Janeiro: Paz e Terra, 1987.
  3. CONGOST Rosa, Selman, Jorge & Santos, Rui.”Property Rights in Land: institutional innovations, social appropriations, And path dependence. Keynote” in: Presented at the XVIth World Economic History Congress, 9-13 July 2012, Stellenbosch University,South Africa.
  4. OSTROM, Elinor, HESS, Charlotte. “Private and common property rights” In: BOUCKAERT, Boudewijn (ed). Property Law and Economics. Cheltenham, UK / Northampton, MA, USA: NATIONAL BUREAU OF ECONOMIC RESEARCH, 2010; OSTROM, Elinor. Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action. Cambridge University Press, 1990.
  5. MOTTA, Márcia. O Rural à la gauche: campesinato e latifúndio nas interpretações de esquerda (1955-1996). Niterói: EdUFF, 2014. Mais recentemente, no âmbito do INCT-Proprietas, reúnem-se pesquisadores de múltiplas áreas do conhecimento com o objetivo de analisar criticamente a propriedade enquanto instituição social.

Alan Dutra Cardoso – Mestrando do Programa de Pós-Graduação em História Social na Universidade Federal Fluminense e graduado (bacharelado e licenciado) pela mesma instituição. Desenvolve projeto de pesquisa sob orientação da Profª. Drª. Márcia Maria Menendes Motta, atuando principalmente nos seguintes temas: História Social das Propriedades, Fronteiras Políticas, Segundo Reinado do Brasil Império, República de Nova Granada / República de Colômbia (séc. XIX), Patrimônio material e Educação. Foi intercambista na Universidad del Rosario, Colômbia, sendo contemplado com o Edital Mobilidade para América Latina UFF / DRI 18 / 2013. Integra a Rede Proprietas, hoje INCT – Instituto Nacional de Ciência e Tecnologia, projeto internacional: História Social das Propriedades e Direitos de Acesso (Disponível em: www.proprietas.com.br). É membro da comissão editorial da Revista Cantareira (www.historia.uff.br / cantareira) e bolsista do CNPq. E-mail: alandutra@id.uff.br

Luaia da Silva Rodrigues – Doutoranda e bolsista Capes pelo programa de Pós-Graduação de História da UFF. Possui graduação e mestrado pela mesma universidade. Especialista em História do Brasil Império, com ênfase nos seguintes temas: regências, Regresso, conservadorismo, liberalismo, Bernardo Pereira de Vasconcelos, identidades e partidos políticos. Atualmente é pesquisadora vinculada aos seguintes laboratórios de pesquisa: CEO, NEMIC e Primeiro reinado em Revisão e professora do pré vestibular social do Estado do Rio de Janeiro (PVS). E-mail: luaiarodrigues@gmail.com


CARDOSO, Alan Dutra; RODRIGUES, Luaia da Silva. Apresentação. Revista Cantareira, Niterói- RJ, n.28, jan / jun, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Arte e Literatura na Amazônia Global / Faces da História / 2018

Neste dossiê estão reunidos estudos acerca da arte e da literatura na Amazônia, aproximando pesquisadores interessados em problematizar os processos de criação, circulação, apropriação e consumo da arte e da literatura, assim como refletir sobre sua condição de fonte histórica. Rejeitamos o pensamento que, por um lado, interpreta a arte e a literatura como um universo autônomo, estudados por si mesmo e, por outro, considera-as como mero reflexo do seu contexto, isto é, consideramos que a obra expressa um processo ativo. Dessa maneira, deve-se relacionar o objeto de análise ao seu contexto, entendendo-o como interação social e não determinado por ela, pois compreendemos a arte e a literatura como expressões de cultura, não em sua totalidade harmônica, mas como zona de conflitos, contradições e oposições existentes no universo social. O autor, a obra e o observador adquirem significado quando colocados em seu contexto material e temporal, assim como a obra adquire uma maior significação quando entendida como parte da totalidade histórica.

Desta forma, temos a intenção, com este dossiê, de desconstruir antigos estereótipos que vislumbram a Amazônia, nascida, desde o século XVI, através do olhar do europeu sob o signo margem da margem do mundo, Eldorado: misto de espanto e expectativa (reduto de riquezas materiais), outrossim, na contemporaneidade, por conta de um exotismo herdeiro do oitocentos, apenas como terra de indígena, vazio populacional, localidade de violência, de florestas selvagens e animais perigosos. Interessa-nos expandir a historiografia da Amazônia como condições de possibilidades onde a voz dos artistas e intelectuais contribuíram com a criação / elucidação de identidades e realidades que por vezes são desconhecidas pela região centro-sul do país. Nessa medida, a intensão do dossiê é trazer à balia a Amazônia na sua alteridade. Daí a polifonia perceptível no conjunto de artigos que reunimos nessa coletânea.

Assim, sobre literatura, temos três artigos. Fadul Moura analisa o livro intitulado Frauta de Barro (2011 [1963]), de Luiz Bacellar, em dois momentos específicos: a visão do poeta acerca da cidade de Manaus e a presença poética de autores nacionais e internacionais em sua obra. Enquanto o autor baliza as tradições manuseadas por Bacellar a partir de sua “memória colecionadora”, vai deixando entrever a intenção do poeta em escapar da configuração tradicional do exótico em relação à Amazônia. Marinilce Oliveira Coelho examina a complexa relação entre a literatura e a memória na obra da escritora modernista paraense Sultana Levy Rosenblatt (1910-2007) a partir de elementos do testemunho pessoal e familiar de sua herança judaica. Observando por uma ótica histórica e literária, perpassa pela análise de diversas questões, como o movimento migratório de judeus para a Amazônia no final do século XIX e o antissemitismo. Matheus Villani Cordeiro, ao se basear na literatura produzida por relatos de viagem, apresenta a obra A Amazônia que eu vi: Óbidos – Tumucumaque (1930), de Gastão Cruls, para compreender a perspectiva deste em relação ao espaço amazônico e as influências que propiciaram a produção etnográfica a partir de sua obra.

Outra questão que se mostra importante no dossiê são as relações de intelectuais e artistas da Amazônia com escolas e movimentos artísticos europeus. Assim, João Augusto da Silva Neto apresenta as relações artísticas ocorridas entre o Brasil e a França na primeira metade do século XX por meio do pintor Manuel Santiago, amazonense, que viajou a Paris em 1928 com a finalidade de estudar arte. A partir de uma profunda análise da tela Tatuagem (1929), o autor discute o lugar de Paris no Brasil com base nas noções de centro e de periferia artísticas. Silvio Ferreira Rodrigues apresenta o vínculo entre o ambiente artístico paraense e a Itália, demonstrando que durante o Segundo Reinado Brasileiro a Amazônia foi palco de intenso intercâmbio cultural com o cenário artístico italiano pois, além de receber objetos de arte, artistas e inovadores movimentos estéticos, enviava para as academias italianas aspirantes a artistas, provendo intenso diálogo no campo das artes entre Brasil e Europa. Também em relação ao encontro com a Itália, Amanda Brito Paracampo analisa o meio artísticomusical belenense em relação à música operística e lírica em finais do século XIX e início do XX por meio de companhias italianas que se apresentavam no Teatro da Paz e da trajetória do maestro italiano erradicado em Belém, Ettore Bosio, em cuja modernidade musical incluía o folclorismo. Não só de encontros mas de desencontros trata Domingos Sávio de Castro Oliveira ao considerar a cidade de Belém do Grão-Pará do século XVIII enquanto local de intensa transculturação. O autor demonstra que o contato entre os saberes tradicionais e acadêmicos ocorrido entre indígenas, negros africanos, mestiços, religiosos e o arquiteto italiano Antônio José Landi deu origem a artes ornamentais e obras arquitetônicos repletas de matrizes culturais diversas adaptadas à região. Tunai Rehm, ao analisar a pintura Avenida Independência (1939), do artista belga Georges Wambach, fez uma leitura da história da cidade de Belém recorrendo a um encontro entre duas épocas, 1986, início do governo de Antonio Lemos, e 1939, ano da produção da tela.

As festas e folias como representações culturais e artísticas foram objetos de dois artigos. Letícia Souto Pantoja apresenta diversos festejos, círculos de sociabilidade e artísticos provenientes dos setores populares que habitavam Belém entre 1920 e 1940, período de decadência da borracha e aumento da miséria de grande parte da população do Norte. A autora demonstra que este período também foi de efervescência cultural articulada pelas camadas trabalhadoras pobres, culminando em muitas práticas festeiras cotidianas, como o boi bumbá e as pastorinhas. Já Leandro de Castro Tavares e Oseias de Oliveira pautam-se nas folias de santo nas áreas remanescentes de quilombos do município de Óbidos, Pará, resgatando seus traços étnicos enquanto cultura afro-brasileira. Além disso, ao discutir as dispersões escravas pela região e a formação de quilombos, apresentam cantos, folias e ladainhas das Folias de Santo que foram importantes para a formação de suas identidades.

Por fim, o cinema e o museu tem papel importante na cristalização de ideias e ideários e não poderiam ficar de fora. Para isto, Carlos Gabriel Sardinha de Medeiros analisa o filme Iracema, uma transa amazônica (1974) a partir de seu contexto de ditadura militar e de construção da Rodovia Transamazônica. Enfoca, no artigo, nas representações e alegorias apresentadas pelo filme que fizeram com que fosse censurado haja vista que apresentava, em tom de denúncia, o modo de vida da população amazônica na beira das estradas, assim como a caracterização dos indígenas enquanto entrave à modernização do país. Baseando sua análise em um guia de exposição chamado “Amazônia Urgente – cinco séculos de História e Ecologia”, Ellen Nicolau evoca narrativas e imagens que foram essenciais na ruptura de paisagens genéricas que estereotipam a Amazônia. A autora traz uma Amazônia enquanto fruto de conexões e materialização de diversidades históricas, assim como contribui para se pensar, a partir das exposições, sobre problemáticas ambientais e indigenistas.

Desejamos a todos uma excelente leitura.

Heraldo Márcio Galvão Júnior (UNIFESSPA)

Ana Clédina Rodrigues Gomes (UNIFESSPA)

Aldrin Moura de Figueiredo (UFPA)

Arcângelo da Silva Ferreira (UEA)


GALVÃO JÚNIOR, Heraldo Márcio; GOMES, Ana Clédina Rodrigues; FIGUEIREDO, Aldrin Moura de; FERREIRA, Arcângelo da Silva. Apresentação. Faces da História, Assis, v.5, n.2, jul / dez, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Provas de liberdade: uma odisseia atlântica na era da emancipação | Rebeca J. Scott, Jean M. Hébrard

Fruto de uma extensa pesquisa realizada ao longo de sete anos por Rebecca J. Scott e Jean M. Hébrard, Provas de liberdade: uma odisseia atlântica na era da emancipação, traz a saga da família Vincent/Tinchant, apresentada ao longo de nove capítulos e um epílogo de tirar o fôlego. Desde já, saliento que não consigo ver de outro modo senão como excepcional o modo como estes experientes pesquisadores conseguiram seguir os rastros deixados por estes “sobreviventes do Atlântico”.

Logo no início do livro, os autores nos informam que não consideraram o itinerário dos Vincent/Tinchant como típico ou representativo, o que podemos constatar ao longo da leitura. O fio inicial para a investigação foi uma carta escrita por Édouard Tinchant, um fabricante de charutos residente da Bélgica, endereçada ao general Máximo Gómez, encontrada no Arquivo Nacional de Cuba, na qual ele solicita a autorização para pôr seu nome na marca de charutos que pretendia lançar e, para tanto, não se furtou em usar sua capacidade discursiva para relatar aspectos de sua vida familiar enfatizando uma conexão entre luta por direitos civis e igualdade racial no mundo atlântico do século XIX – a Guerra Civil e a Reconstrução dos Estados Unidos (1861-1877), a Revolução Francesa (1848) e a Revolução do Haiti (1791-1804). A trilha seguida por eles nos conduziu até o século XX abrindo uma janela para que pudéssemos ver os desdobramentos da Segunda Guerra Mundial (1939-1945) na vida de pessoas que tinham “cor”, como Marie-José Tinchant. Leia Mais

Revista Práticas de Linguagem. Juiz de Fora, v.8, n. 1, especial 2018.

(10) APRESENTAÇÃO

TEMA 1: ENSINO DE ESCRITA

TEMA 2: ENSINO DE LÍNGUAS ESTRANGEIRAS

TEMA 3: FORMAÇÃO DE PROFESSORES

TEMA 4: LEITURA EM DIVERSAS ÁREAS DO CONHECIMENTO E PRÁTICAS INTERDISCIPLINARES

Revista Práticas de Linguagem. Juiz de Fora, v. 8, n. 2, jan./jun. 2018.

Apresentação

  • Acir Mário Karwoski e Rosângela Rodrigues Borges (6-7)

ARTIGOS

RELATOS DE EXPERIÊNCIA

História social das propriedades / Tempos históricos / 2018

Não é nada fácil construir um dossiê, principalmente quando a temática ainda é muito pontual na historiografia brasileira. De fato, os estudos nacionais tendem a considerar o surgimento da propriedade como um dado, sublimando, muitas vezes, não somente os conflitos que a envolvem, como também o elemento-base da reflexão: a própria noção propriedade. Essa, queiramos ou não, é uma ficção jurídica, fundada e expressa como um contrato, sobre uma história da ocupação inventada.

Os textos aqui reunidos nos ensinam muito e vale dar a conhecer os argumentos aqui registrados. É digno de registro o artigo A Liga: resistência e organização política dos trabalhadores rurais (1962-64). Ao enfocar um período emblemático da política brasileira, Max Fellipe Cezario Porphirio aborda a atuação das Ligas Camponesas naquele período a partir de uma cuidadosa análise da publicação semanal A Liga. A reflexão de Porphirio descortina os discursos ali veiculados acerca dos problemas do campo, em especial sobre posse e propriedade da terra, suas nuances e contradições.

Não menos impactante é o artigo Terras nacionais e devolutas como fonte de receita para o Estado, de José Antônio Moraes do Nascimento. Com base em leis, atos e decretos do governo daquele estado e dos documentos produzidos por órgãos, como a Secretaria da Agricultura e Obras, Nascimento desvela os projetos do Estado, no alvorecer da República, que visavam comercializar terras devolutas no norte da região e seus trágicos desdobramentos: conflitos entre indígenas, caboclos e posseiros.

Queremos espaço verde: o Parque Municipal Henrique Luiz Roessler como parte da história da cidade de Novo Hamburgo (RS, Brasil), enfoca o processo de criação do parque na década de 1980. Para tanto, Fabiano Quadros Rückert e Elenita Malta Pereira apresentam uma análise do Jornal NH e os argumentos que visam justificar a fundação do parque. Ao fazer isso, os autores salientam os “inconfessáveis” interesses de um grupo imobiliário que objetivava a comercialização da área no entorno daquele espaço verde e público.

Karine Lima da Costa se pergunta “A quem pertence o patrimônio cultural? Propriedade em debate”. Em busca de respostas, da Costa nos apresenta uma reflexão acerca da noção de propriedade envolvendo, especialmente, os memoráveis artefatos egípcios sob a guarda de instituições de outros países. Ao utilizar como chave de análise as reflexões de Foucault, a autora analisa os discursos, que abrangem noções como de territorialidade e patrimônio universal, que visam (des)legitimar as reivindicações sobre a propriedade de bens culturais.

Das terras do Ceará, Mário Martins Viana Júnior e Samuel Carvalheira de Maupeou nos apresentam: Da produção camponesa familiar ao capitalismo: o Perímetro Irrigado Tabuleiro de Russas no Ceará (1988-2008). Neste texto, eles investigam a construção do Perímetro Irrigado do Tabuleiro de Russas (PITR), pelo Departamento Nacional de Obras Contra as Secas (DNOCS), na região do Baixo Vale do Jaguaribe cearense. Tendo como base os dados do cadastro das pessoas atingidas diretamente e indiretamente pela obra, os autores analisam as transformações das relações de trabalho e as mudanças sobre a noção de propriedade da terra ocasionados pelo empreendimento.

Sob o título A ideia de autoria na industrialização do cinema: o caso ‘Doyen’ e a disputa com a Pathé (1898-1910), Luiz Felipe Cezar Mundim trata da lógica empresarial ligada à expansão do cinema. Tomando como foco a disputa judicial entre o médico Doyen, o cinegrafista Parnaland e a Sociedade dos Fonógrafos e Cinematógrafos, registro jurídico da Pathé, Mundim nos brinda com uma análise acerca da constituição jurídica da propriedade intelectual sobre a produção e expansão cinematográfica.

Em O Barão de Nova Friburgo e a formação da Fazenda Aldeia: sociabilidades e ampliação do complexo cafeeiro. 1849-1874, Rodrigo Marins Marretto esquadrinha o inventário post-mortem do Barão de Nova Friburgo, falecido em 1869, e nos apresenta uma análise da constituição das redes de sociabilidade – em especial com o francês João Paulo Troubat. Marretto nos fornece ainda os mecanismos de administração e ampliação da área de sua fazenda de café, após o falecimento do Barão.

Em Regime de propriedade de minas e jazidas na Primeira República brasileira: revisitando o caso das minas de Itabira e os interesses em disputa, Maria Letícia Corrêa assume o desafio de destrinchar as normas jurídicas acerca da exploração de minérios e os emblemáticos embates travados pelos deputados encarregados de elaborar a Constituição 1891. Além disso, para além da análise das iniciativas de regulamentação estatal da atividade implementadas na Primeira República (1889-1930), Corrêa destrincha também a polêmica relacionada à exploração de minério de ferro pela empresa inglesa Itabira Iron Ore Company Ltd, instalada em Itabira.

Em suma, o leitor mais atento há de reconhecer a importância dos textos aqui reunidos. Eles não nos contam agradáveis histórias. Ao contrário, eles trazem à luz facetas menos conhecidas sobre as propriedades, os direitos de acesso e – infelizmente – os conflitos. Boa Leitura, valerá a pena!

Márcia Maria Menendes Motta – Docente do Departamento de História e do PPGH da Universidade Federal Fluminense (UFF). Coordenadora do INCT História Social das Propriedades e Direito de Acesso e da Rede Proprietas.

Marcos Nestor Stein – Docente do Colegiado de História e do PPGH da Universidade Estadual do Oeste do Paraná (UNIOESTE). Pesquisador do INCT História Social das Propriedades e Direito de Acesso e da Rede Proprietas.


MOTTA, Márcia Maria Menendes; STEIN, Marcos Nestor. Introdução. Tempos Históricos, Paraná, v.22, n.1, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

Trabalho rural e movimentos sociais no campo / Tempos históricos / 2018

A organização do dossiê Trabalho rural e movimentos sociais no campo para a revista Tempos Históricos ocorreu nesse tempo singular da recente história do Brasil. Um momento pululam notícias sobre os impactos da reforma trabalhistas para os trabalhadores rurais, com precarização das já precárias condições de trabalho no campo e, agora, o projeto de reforma da previdência, que pode tornar mais difícil ou, segundo alguns advogados especializados em direito previdenciário, impossível a aposentadoria para muitos trabalhadores rurais.

O período final do ano de 2018 e o início do ano de 2019 também têm-se apresentado como catastrófico para o conjunto dos movimentos sociais e sindicais e, em particular, para os movimentos sociais no campo, tal como interpretou Edward Palmer Thompson, sobre a experiência de exploração no processo de transformações vividas pelo trabalhadores rurais e urbanos na Inglaterra do final do século XVIII e início do século XIX [3].

Os povos indígenas são atacados e ameaçados de perder suas terras demarcadas, aumento da repressão aos movimentos de retomadas indígenas e mutilação e mortes de indígenas são noticiados pela impressa desde meados do ano de 2018. O presidente atual transferiu o cuidado das terras sagradas dos povos indígenas para o Ministério da Agricultura, que tem história de extinguir os indígenas da terra justamente para priorizar o crescimento do lucro da produção agrícola.

Os quilombos e os movimentos quilombolas foram desqualificados publicamente pelo então candidato e agora presidente da República, com a reprodução do racismo secular. Apenas com a disseminação desses preconceitos que podemos entender a estarrecedora a notícia de 18 assassinatos de lideranças quilombolas em 2017, um salto de 350% do número (4) registrado em 2016.4

O momento histórico que estamos vivendo é de exceção, muito próximo a ditadura civil e militar instaurada com o golpe militar de 1964. E analogia não é anacrônica! O golpe de 2016 iniciou sua obra com a reforma trabalhista. As lutas e resistências dos trabalhadores impediram a reforma da previdência no governo Temer. A eleição do governo Bolsonaro foi possível diante de seus compromissos em realizar a reforma da previdência, amplificar a criminalização dos movimentos sociais, tratando-os como “terroristas”, e carimbar as propostas da Bancada Ruralista.

Em meio a essa conjuntura de ataques aos direitos trabalhistas e previdenciários dos trabalhadores no Brasil, a revista Tempos Históricos recebeu 33 artigos para compor o dossiê Trabalho rural e movimentos sociais no campo. E demandou um tempo significativo para os pareceres e a definição dos artigos selecionados. A satisfação à chamada para a publicação no dossiê e a leitura da diversidade das temáticas e abordagens teórica-metodológicas dos artigos alertaram os organizadores no enfrentamento dessa quadra histórica, que há de passar.

O dossiê inicia com o artigo Direitos quilombolas: mobilizações e narrativas, da antropóloga Barbara de Oliveira Souza, que trata da luta das comunidades quilombolas pela terra e o direito ao território quilombola no processo Constituinte de 1988 e na regulamentação constitucional do Artigo 68, pelo Decreto 4887 / 2003, que regimentou “os procedimentos de identificação, reconhecimento, delimitação, demarcação e titulação das terras das comunidades quilombolas”.

O artigo O cotidiano das águas na tradição quilombola da comunidade do Rio Baixo Itacuruça-Abaetetuba, PA, de autoria das pedagogas Eliana Campos Pojo e Lina Gláucia Dantas Elias, caracteriza os modos de viver e de trabalhar de ribeirinhos e quilombolas na Amazônia paraense.

No artigo Indígenas operários: novas dinâmicas e simbologias nos processos de luta pela terra no Sul do Brasil, do sociólogo João Carlos Tedesco e do historiador Henrique Kujawa, os autores problematizam as precárias condições de trabalho de indígenas empregados pelos frigoríficos no Norte do Rio Grande do Sul e no Meio-Oeste de Santa Catarina, como formas de reprodução social enquanto mantém os acampamentos e os movimentos de retomada da terra indígena.

O cinturão verde e os marcos de memória da terra: entre ir e ficar, de autoria das historiadoras Maria Celma Borges e Mariana Esteves de Oliveira, como resultados de um projeto de extensão universitária, demandado pelos sujeitos da pesquisa diante das ameaças do poder público de desalojados, evidencia que o cinturão verde, localizado em Três Lagoas, Mato Grosso do Sul, é produtivo, cumpri com a função social da terra e respeita a Área de Proteção Ambiental.

No artigo Sob jura de sangue: os massacres de Corumbiara e a luta pela terra em Rondônia, a doutora em Geografia e mestre em História Xênia de Castro Barbosa e o mestre em Geografia Tiago Lins de Lima, historiam e problematizam o massacre de indígenas da etnia Corumbiara em 1985 e o massacre de camponeses sem terra em 1995 em Corumbiara, Rondônia, desnudando a violência que tem marcado a luta pela terra na Amazônia.

As disputas em torno da reforma agrária no I Plano Nacional de Reforma Agrária durante a Constituinte de 1988 é debatido pelo historiador Pedro Cassiano Farias de Oliveira, no artigo A reforma agrária em debate na Abertura Política (1985-1988).

A luta pela terra no início da década de 1960 é discutida pela historiadora Marina Mesquita Camisasca, no artigo O conflito pela posse da terra na região do Pântano, município de Piumhi (MG). No artigo foram evidenciadas as disputas pela terra na área de 20 mil hectares denominada “Pantano”, na região Oeste de Minas Gerais, no município de Piumhi, entre camponeses organizados pelo Sindicato dos Trabalhadores Rurais e grileiros.

O historiador Thiago Broni Mesquita, no artigo Trabalho rural, conflitos de terra e impunidade em Conceição do Araguaia (PA): o que os governos militares sabiam? desvela as relações entre a ditatura civil-militar, a partir do golpe de 1964, e a violência e a opressão de grileiros e latifundiários, por meio dos relatos do Serviço Nacional de Informações, nos três volumes do documento “Conflitos Relativos à posse da terra no Pará”, como resultado da “Operação Araguaia”.

As relações de trabalho no campo e os usos dos trabalhadores rurais da Justiça do Trabalho nos anos de 1979 e 1980 é tratado pela historiadora Clarisse Santos Pereira no artigo A súmula 57 e as categorias de trabalho no campo: os trabalhadores rurais na Justiça do Trabalho. Os trabalhadores rurais dos engenhos de cana de açúcar acionaram a Junta de Conciliação e Justiça de Goiana, Zona da Mata de Pernambuco, utilizando-se do expediente jurídico permitido pela Súmula 57 do Tribunal Superior do Trabalho, que qualificava os trabalhadores da agroindústria açucareira de “industriários”, o que permitiria o aumento salarial dos trabalhadores rurais.

O artigo Luta pela terra ao longo do caminho: a construção da estrada Santo Aleixo – Piabetá e as mobilizações dos trabalhadores rurais no município de Magé / RJ, de autoria do historiador Felipe Augusto dos Santos Ribeiro, trata de ocupações e despejos na área em torno da construção da estrada vicinal, do sindicalismo rural e da política agrária do PCB nas décadas de 1950-60.

O dossiê é finalizado com o artigo do historiador Diego Becker, intitulado O PCB e o campesinato: a contribuição inicial de Nestor Vera ao movimento camponês. Becker situa historicamente a militância do líder camponês Nestor Vera no contexto das lutas camponesas durante as décadas de 1940 e 1950, mediadas pela militância comunista no interior do Estado de São Paulo.

Na chamada do dossiê tínhamos o objetivo de “reunir artigos que resultam de pesquisas sobre trabalhadores rurais e / ou camponeses no Brasil nos séculos XX e / ou XXI, em suas experiências no campo e na cidade, tais como as relações de trabalho e de moradia e a luta política dos movimentos e organizações sindicais e sociais, por direitos, terra e a reforma agrária. De interesse especial são investigações que trazem a perspectiva dos trabalhadores e camponeses e vinculam o local com o global, a partir da dinâmica entre resistências e políticas públicas, lutas e a globalização do capital e dos movimentos transnacionais.” Os organizadores avaliam que o objetivo foi amplamente contemplado com os artigos ora reunidos nesse dossiê.

Os onze artigos do dossiê Trabalho rural e movimentos sociais no campo dimensiona historicamente o tempo agora vivido e planta a esperança que coisos passarão.

Esperamos que você faça uma boa leitura e renove as forças para continuar a luta!

Notas

3. Cf. THOMPSON, E. P. A formação da classe operária inglesa. A maldição de Adão. Vol. 2. ed. Rio de Janeiro: Paz e Terra, 1988.

4. Sobre o aumento no número de assassinatos de quilombolas no Brasil, Cf. https: / / www.brasildefato.com.br / 2018 / 09 / 25 / assassinatos-de-quilombolas-crescem-350-em-um-ano-no-brasil /

Clifford Andrew Welch – Possui bacharelado em American Studies pela University of California em Santa Cruz (1979), mestrado em História pela University of Maryland em College Park (1985) e doutorado em História pela Duke University (1990). Desde 2009, atua como professor de História do Brasil Contemporâneo no Departamento de História da UNIFESP – Universidade Federal de São Paulo – Escola de Filosofia, Letras e Ciências Humanas.

Vagner José Moreira – Professor no Curso de Graduação em História e no Programa de Pós-Graduação Stricto Sensu (Mestrado e Doutorado) em História, da Universidade Estadual do Oeste do Paraná – UNIOESTE, vinculado a Linha de Pesquisa Trabalho e Movimentos Sociais.


WELCH, Clifford Andrew; MOREIRA, Vagner José. Introdução. Tempos Históricos, Paraná, v.22, n.2, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

A Família Chermont. Memória histórica e genealógica | Victorino Coutinho Chermont de Miranda

Trinta e quatro anos passados, em revisão revisada e ampliada, pelo autor, Victorino Coutinho Chermont de Miranda, em magnífico livro sobre a família Chermont torna a nos encantar com os estudos genealógicos.

O livro possui XIII capítulos, três Anexos, índice onomástico da família Chermont e índice onomástico de litógrafos, pintores, fotógrafos e ateliês fotográficos. São 355 páginas em bela impressão. Leia Mais

Economia e Política dos Impérios Ibéricos / Faces da História / 2018

Estudos históricos sobre os Estados ibéricos e seus impérios transcontinentais entre os séculos XV e XX contemplam ampla gama de aspectos econômicos, políticos, sociais, culturais e demográficos. Os artigos apresentados no dossiê “Economia e Política dos Impérios Ibéricos” transitam por alguns desses temas, com destaque para a História Econômica e a História Política. Em termos temporais e geográficos, abrangem o Brasil, a Metrópole portuguesa e a possessão africana de Moçambique, entre os séculos XVII e XX. Revelam, ainda, densas pesquisas, fundamentadas em documentação de arquivos e bibliotecas – Arquivo Histórico Ultramarino, Arquivo Nacional da Torre do Tombo, Arquivo Público Mineiro, Arquivo Público do Estado de São Paulo. Foram perscrutados ofícios e correspondências administrativas, maços de população, atas de câmaras, testamentos, documentos pessoais, contratos de transações comerciais, livros do Santo Ofício, periódicos, enfim, uma grande variedade de fontes com o objetivo de alcançar respostas atinentes às indagações de cada artigo.

Suzana do Nascimento Veiga estuda a religiosidade da quarta geração de mulheres da família Dias-Fernandes, todas levadas ao Tribunal da Inquisição de Lisboa para serem processadas pelo crime de judaísmo. O escopo de seu artigo é destacar o protagonismo das netas de Branca Dias – a matriarca da família – como participantes da resistência de uma forma de judaísmo clandestino relegado ao silêncio.

Sob a perspectiva da História Política, Pedro Henrique de Mello Rabelo analisa as alterações do conceito de soberania na modernidade. Através da repercussão da invasão napoleônica da península ibérica nos artigos de Hipólito José da Costa publicados no jornal Correio Braziliense, destaca a importância desse conceito nos discursos políticos constitucionais do mundo ibero-americano. Questões conceituais também são tema do artigo de Jorge Vinícius Monteiro Vianna. Apoiado em Koselleck, procura identificar os significados do conceito de Independência no periódico Reverbero Constitucional Fluminense, nos anos de 1821 e 1822, inserindo-o na complexidade histórica que permeou o processo de emancipação do Brasil. Victor Hugo Abril realiza um estudo sobre os governadores interinos no Rio de Janeiro, no período de 1680 a 1763, com o objetivo de esquadrinhar a atuação dos governadores coloniais quando a Capitania fluminense transformou-se na capital da América Portuguesa. Esforço necessário, na ótica do autor, para a compreensão da governança colonial e de sua dinâmica. Felipe de Moura Garrido, com o auxílio de um software, que faz representações gráficas das redes sociais a partir de dados compulsados, estuda as estratégias de manutenção de poder das elites na vila de Taubaté, na Capitania de São Paulo, entre 1780-1808, reconstruindo parte da rede social da câmara para perceber os sujeitos com maior participação nas vereanças e os protagonistas nas decisões centrais tomadas nas suas reuniões.

No âmbito da História Econômica, os artigos apresentados exploram a lógica comercial da relação Metrópole-colônia, destacando a organização administrativa do Império, a fiscalidade e a atuação de relevantes sujeitos ligados ao comércio colonial. Mario Francisco Simões Junior analisa as diferentes formas de reflexão e de intervenção econômica dos ministros portugueses durante o século XVIII, particularmente, os Secretários de Estado, destacando a necessidade de ampliação da análise das conjunturas econômicas para a compreensão dos conflitos e das transformações nas políticas econômicas, que delimitaram a conduta dos ministros portugueses. A política fiscal, elemento essencial na exploração colonial, é analisada em dois artigos. André Filippe de Mello e Paiva apresenta as bases da formação do que chama de “Estado Fiscal” na cronologia do Império Português. Parte da análise das estruturas ligadas ao centro do poder para identificar mudanças administrativas relacionadas às novas demandas da expansão ultramarina. Posteriormente, foca “as estruturas da periferia”, para discutir a composição dos órgãos de poder locais. Essas estruturas locais são abordadas por Valter Lenine Fernandes, na Capitania do Rio de Janeiro da primeira metade do século XVIII. O artigo trata das inflexões na economia da região a partir da descoberta das minas de ouro no Brasil, com a imposição da cobrança da dízima da Alfândega sobre todas as mercadorias que entravam no porto do Rio de Janeiro, e realça o descontentamento de homens de negócio que operavam no comércio colonial e dos senhores de engenho, a partir de então, obrigados a pagar esse novo tributo.

Estudos de caso também foram objeto de dois artigos. Thiago Enes utilizou-se da atuação de Francisco José da Silva Capanema, um homem de negócios das Minas Gerais, para discutir a relação entre economia de privilégios e a conversão da acumulação mercantil em status pela régia concessão de mercês e de benefícios em fins do século XVIII. Muito embora o ethos nobiliárquico e o desprezo ao trabalho manual vigorassem, em Portugal e em seus domínios, floresceu vultoso comércio e a consequente ascensão econômica de indivíduos que almejavam conquistar posição social nos antigos padrões. Felipe Souza Melo estudou a movimentação comercial de Bento José da Costa, um negociante em Pernambuco no final do século XVIII. Através da quantificação de seu diário de escrituração, o artigo faz uma análise detalhada das operações mercantis do negociante nos mercados colonial e metropolitano, ressaltando a diversidade dos negócios, a importância do dinheiro para o giro mercantil de sua Casa, a ampla rede que tinha com os mercadores coloniais e a demora para a concretização de seus investimentos.

Marco Volpini Micheli debruçou-se sobre a diversificação econômica na Capitania de São Paulo entre 1798-1821, apontando para importantes transformações em sua economia e no seu espaço agrário a partir das políticas de fomento agrícola estimuladas pela Coroa e pelos agentes metropolitanos, o que implicou no desenvolvimento de culturas de gêneros variados em grande parte de seu território. Tendo por objetivo delinear as principais características da economia agrícola das vilas na marinha da Capitania de São Paulo, o autor constata a existência de duas regiões com diferenças significativas em suas economias: ao Norte, as localidades mantinham conexões com a Capitania fluminense; ao Sul, prevaleciam as relações comerciais com a vila de Santos.

Saindo da América Portuguesa, Thiago Henrique Sampaio nos revela aspectos da relação entre Portugal e a colônia de Moçambique na perspectiva imperialista do final do Oitocentos. Analisando as exportações metropolitanas de vinho e algodão, destaca a importância das pautas protecionistas no incremento do comércio com a possessão africana e discute determinadas alterações na política colonial portuguesa em consonância com o temor da perda de seus territórios, a partir da intensificação da presença europeia no continente.

O Dossiê traz também uma entrevista com Vera Lucia Amaral Ferlini, Professora Titular em História Ibérica da Universidade de São Paulo. Além da trajetória acadêmica da professora, que praticamente se confunde com os estudos de História Ibérica no Brasil, alguns temas caros à História de Portugal e Brasil são tratados: a importância da disciplina História Ibérica no curso de graduação; o debate sobre o Antigo Sistema Colonial e a ideia de Império Português; a criação de espaços para desenvolvimento e divulgação de pesquisas, como a Cátedra Jaime Cortesão e o Engenho São Jorge dos Erasmos.

A organização da presente edição insere-se nos trabalhos do grupo de pesquisa, sediado na Cátedra Jaime Cortesão (FFLCH / USP), que tem o mesmo nome deste dossiê, e cujo objetivo é, congregando pesquisadores de variados níveis e de diferentes universidades, fomentar o desenvolvimento de novas investigações sobre a História Ibérica, no espaço tanto da península europeia como dos impérios transoceânicos. Quanto a esta breve apresentação, esperamos apenas que desperte o interesse do leitor a respeito do tema “Economia e Política dos Impérios Ibéricos”. Boa leitura!

Paulo Cesar Gonçalves – Departamento de História UNESP / Assis

Pablo Oller Mont Serrath – Cátedra Jaime Cortesão FFLCH / USP


GONÇALVES, Paulo Cesar; SERRATH, Pablo Oller Mont. Apresentação. Faces da História, Assis, v.5, n.1, jan / jun, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Caminhos da autoria e criatividade na EaD | EmRede – Revista de Educação a Distância | 2018

A Revista EmRede, criada em 2014, chega ao seu quinto ano registrando um grande aumento no número de leitores cadastrados, nos acessos e nos downloads dos artigos disponibilizados. O número de submissões também aumentou, associado a uma redução na porcentagem de artigos aprovados para publicação. A base de Avaliadores ad-hoc foi ampliada e seus dados complementados, de forma a garantir uma maior abrangência de áreas de formação e facilitar a avaliação dos artigos submetidos.

Dando continuidade à proposta da revista, publicamos agora o número referente ao tema do XIV Congresso de Ensino Superior a Distância e o III Congresso Internacional de Educação a Distância, realizados em outubro de 2017 em Rio Grande. Leia Mais

Abertura na educação: Recursos e práticas | EmRede – Revista de Educação a Distância | 2018

O avanço do ‘aberto’ na educação A produção de uma edição especial da revista EmRede sobre Recursos Educacionais Abertos (REA) é um contributo importante no atual contexto político, sociocultural e econômico brasileiro. Levando em consideração os desafios históricos da educação pública, em um quadro de reformas curriculares e investimentos financeiros instáveis, os REA têm potência para gerar impactos inéditos na esfera da inclusão digital, democratização do acesso ao conhecimento e, consequentemente, na melhoria da qualidade tanto na Educação Básica quanto no Ensino Superior.

Embora o advento da Internet e a difusão de cursos na modalidade a distância tenham impulsionado a elaboração de recursos digitais e a criação de repositórios online, os impactos no ensino e na aprendizagem são incipientes. Isso é fruto de um processo tardio na criação de infraestrutura técnica e jurídica para que as produções possam ser licenciadas e publicadas de modo aberto e flexível para reutilização, remixagens, adaptações, recontextualização e retemporalização. Leia Mais

Educação a Distância em cenários em transição | EmRede – Revista de Educação a Distância | 2018

Caras leitoras e caros leitores,

Temos a satisfação de apresentar este dossiê da Revista EmRede, voltado para a temática “Educação a Distância em cenários em transição”. Temos aqui um interessante conjunto de textos sobre a Educação a Distância (EaD), selecionados entre as discussões e reflexões apresentadas na 4ª edição do CIET:EnPED:2018 (Congresso Internacional de Educação e Tecnologias e Encontro de Pesquisadores em Educação a Distância) — um evento organizado pelo Grupo de Estudos e Pesquisas sobre Inovação em Educação, Tecnologias e Linguagens (Grupo Horizonte) e pela Secretaria Geral de Educação a Distância (SEaD), da Universidade Federal de São Carlos, realizado entre os dias 26 de junho e 13 de julho de 2018.

Entre as mais de cinco centenas de textos apresentados no congresso, todos avaliados por doutores envolvidos no Comitê Científico do evento, foram selecionadas quase duas dúzias de estudos sobre a Educação a Distância. Os autores desses textos foram convidados a reformular a sua reflexão para submissão ao processo editorial da revista, compondo esta publicação especial sobre a EaD, aqui apresentada a você leitor. Foram contemplados autores com vasta experiência na EaD, oriundos de diferentes regiões do país e do exterior. Leia Mais

Performance docente na (co)autoria de Recursos Educacionais Abertos (REA) no ensino superior: atos éticos e estéticos | Juliana Sales Jacques

Os Recursos Educacionais Abertos (REA) são composições éticas e estéticas que alicerçam a educação aberta ao democratizarem o acesso ao conhecimento e considerarem a pluralidade de ideias e contextos educacionais por meio da (co)autoria e do compartilhamento aberto em rede. Partindo dessa concepção, o foco da tese de doutorado “Performance docente na (co)autoria de Recursos Educacionais Abertos (REA) no ensino superior: atos éticos e estéticos”, de autoria de Juliana Sales Jacques, vinculada ao Programa de Pós-Graduação em Educação da Universidade Federal de Santa Maria, é o movimento de abertura através da realização de REA, visando à superação da consciência ingênua e à formação da consciência crítica dos sujeitos ao por em pauta as distorções da cultura copyright nos contextos educacionais.

Nesse sentido, em movimento cíclico espiralado de pesquisa-ação, a autora dialoga sobre em que medida a performance docente, na (co)autoria de REA no ensino Superior, potencializa atos éticos e estéticos. Para tanto, sustentada na dialética teórica e prática potencializada pela pesquisa-ação, a produção tem, no dialogismo bakhtiniano e na educação libertadora freireana, as bases teórico-metodológicas. Leia Mais

Revista M. Rio de Janeiro, v.1, n.1, 2016 / v.3, n.6, 2018.

Revista M. Rio de Janeiro, v.3, n.6, 2018.

Dossiê 6: Arqueologia Funerária: performance, morte e corpo

Publicado: 2019-05-22

Revista M. Rio de Janeiro, v.3, n.5, 2018.

Dossiê 5: Morte, regimes políticos e violência

Publicado: 2019-02-25

Revista M. Rio de Janeiro, v.2, n.4, 2017.

Dossiê 4: As celebrações da morte na Antiguidade

Publicado: 2019-02-25

Revista M. Rio de Janeiro, v.2, n.3, 2017.

Dossiê 3: Luto

Publicado: 2019-02-25

Revista M. Rio de Janeiro, v.1, n.2, 2016.

Dossiê 2: Morte, tradição e contemporaneidade

Publicado: 2019-02-25

Revista M. Rio de Janeiro, v.1, n.1, 2016.

Dossiê 1: Morte, poder e política

Publicado: 2019-02-25

Kwanissa. São Luís, v.1, n.1, jan./jun. 2018.

Apresentação

Artigos

 

 

Variations on embodied cognition – GALLAGHER (SY)

GALLAGHER, Shaun. Variations on embodied cognition (p. 26-47). In: GALLAGHER, S. Enactivist interventions: rethinking the mind. New York/Oxford: Oxford University Press, 2017. Resenha de:  MEURER, César Fernando. Embodied cognition: quatro variações teóricas. Synesis, Petrópolis, v.10, n.1, p.214-221, jan./jul., 2018.

Shaun Gallagher, professor no departamento de filosofia da Universidade de Memphis, no Tennessee (USA), recentemente publicou um volume com nove capítulos em torno do enativismo (Gallagher, 2017). A presente resenha, que tem um caráter de divulgação, foca o capítulo dois. Nele encontramos uma visão panorâmica muito interessante do paradigma da embodied cognition [doravante EC].

Gallagher inicia o capítulo constatando que “uma variedade de abordagens no estudo da cognição têm sido estreitamente associadas à noção de embodiment […] Dadas essas diferentes perspectivas, não há um consenso forte acerca de qual peso dar a esse conceito” (p. 26).1 Por conta disso, ele prossegue, é importante mapear os vários sentidos de EC, “começando com uma concepção mínima ou fraca, que equipara embodiment com representação do corpo no cérebro, e terminando com uma concepção de embodimentradical” (p. 27). O resultado é um quadro composto por quatro posições teóricas: EC mínima, EC funcionalista, EC biológica e EC enativista. Para caracterizar essas posições, Gallagher serve-se de questões originalmente propostas por Goldman e Vignemont (2009, p. 158).

A Fig. 1 é uma versão ampliada da tabela “Diferentes teorias da embodied cognition” (Gallagher, 2017, p. 43). As duas últimas linhas são acréscimo meu (autor da resenha):

  1. A EC mínima [Weak EC]

Com o intuito de entender o lugar e o papel do corpo humano na cognição, Goldman e Vignemont (2009) lançaram mão da noção de representações em formato B [B-formatted representations], sugerindo que esse é um conceito central para levar adiante o programa da EC. Trata-se fundamentalmente, Goldman explicaria em publicação posterior (2012, p. 73), de “representar estados do próprio corpo e, de fato, representá-los desde uma perspectiva interna”. Por isso, formato B (do inglês Body). Com efeito, um leque amplo de estados corporais – condições fisiológicas tais como dor, temperatura, coceiras, sensações musculares e viscerais, batimentos cardíacos, respiração, sede, fome etc. –, bem como estados de humor, sentimentos e estados interoceptivos podem, em tese, ser representados nesse sentido.

A primeira ideia central da EC mínima é que as representações B são mentais ou, se preferir, internas ao cérebro. Segundo Goldman (2014, p. 104), isso não implica qualquer concessão ao ceticismo, uma vez que o conteúdo dessas representações requer, ele argumenta, que o cérebro esteja em uma conexão causal com o corpo.

Para os proponentes da EC mínima, representações em formato B estão na base de múltiplos processos cognitivos, incluindo a cognição social e processos cognitivos superiores. O raciocínio que leva a essa conclusão pode ser esquematizado assim: (1) Originalmente, essas representações diziam respeito ao próprio corpo; (2) Na natureza, vigora o princípio da reutilização, isto é, “circuitos neurais originalmente estabelecidos para um uso podem ser reutilizados ou redistribuídos para outros fins, mantendo sua função original” (Gallagher, 2017, p. 31); (3) A capacidade de produzir representações em formato B foi cooptada para representar outras coisas. Tais representações adicionais ou derivadas “também contam como embodied cognitions” (Goldman 2012, 74). Gallagher (p. 32) considera questionável esse raciocínio de reutilização: ele envolve o conceito evolucionário de exaptação, que funciona para explicar processos em uma escala evolucionária, mas não para explicar mudanças ontogenéticas.

Para Gallagher, a EC mínima deixa a desejar em vários aspectos: “ela defende uma visão internalista que não é inconsistente com a concepção de cognição de um cérebro sem corpo em uma cuba” (p. 34); e a redução do corpo a um conjunto de representações é em nada inconsistente com o modelo computacional clássico (p. 34).

  1. A EC funcionalista [Functionalist EC]

Gallagher inicia a descrição dessa posição com um comentário provocativo: por um lado, “a noção de um funcionalismo incorporado é trivial, uma vez que sistemas funcionalistas precisam ser fisicamente incorporados”; por outro lado, a ideia resulta ser “levemente contraditória, já que o funcionalismo se caracteriza por certa indiferença em relação à fisicalidade que sustenta o sistema (neutralidade em relação ao corpo; capacidade de realização múltipla)” (p. 35). Não obstante, a ideia de uma EC funcionalista ganha importância no âmbito das discussões da hipótese da mente estendida.

Clark é o principal proponente da EC funcionalista, segundo a qual “o corpo tem um papel importante como parte dos mecanismos estendidos da cognição” (p. 35). A ideia pode ser parafraseada assim: a cognição humana serve-se de estruturas neuronais e de estruturas não-neuronais. Assim, “o corpo físico, bem como aspectos e objetos no ambiente, podem funcionar como veículos não-neurais para processos cognitivos, desempenhando uma função semelhante aos processos dos neurônios, os principais veículos de cognição na visão clássica. O corpo é parte de um sistema cognitivo alargado que começa com o cérebro e inclui corpo e meio ambiente” (p. 35).

Para a EC funcionalista, as peculiaridades sensório-motoras do corpo humano não são componentes essenciais para a cognição. Em tese, animais de outras espécies (i.e., outras contingências sensoriais e motoras) podem experimentar aspectos do ambiente da mesma maneira que os humanos.

  1. A EC biológica [Biological EC]

Essa posição ganha o adjetivo ‘biológica’ em virtude da importância que atribui à anatomia e aos movimentos corporais. Embodiment biológico significa que “as características estruturais extra-neurais do corpo moldam [shape] a nossa experiência cognitiva” (p. 37). Nas palavras de Shapiro (2004, p. 190), “a questão não é simplesmente [ou trivialmente] que processos perceptivos se moldam à estrutura corporal. Processos perceptivos dependem e incluem estruturas corporais”.

Na apresentação da EC biológica, Gallagher dedica vários parágrafos à revisão de literatura que mostra que as características estruturais do nosso corpo são determinantes para a nossa cognição. Cabe destacar i) o fato de termos dois olhos, em determinada posição, permite visão em profundidade; ii) a posição e estrutura dos nossos ouvidos externos permite, por exemplo, identificar a direção de sons; iii) fazemos diversos ajustes proprioceptivos em situações nas quais há conflitos perceptivos; iv) alteração da postura leva a alterações na percepção do espaço e a mudanças relativas às noções de horizontal e vertical, v) mudanças hormonais – questões da regulação química do corpo – influenciam diversos processos perceptivos, a memória, a atenção, e a tomada de decisões, iv) corpo cansado ou faminto influencia os processos cognitivos, vi) hipoglicemia modula o cérebro, ocasionando em certos casos o “desligamento” de certas funções cerebrais.

Segundo a EC biológica, nosso cérebro “leva em consideração as contribuições dos processos físicos em sistemas periféricos e autônomos” (p. 39). Essa é uma resposta interessante à hipótese do cérebro em uma cuba. Em síntese: sem as contribuições de sistemas periféricos autônomos (i.e., sem um corpo, com todas as suas contingências), um cérebro em uma cuba jamais pode ter experiências e processos cognitivos similares aos humanos. “Para replicar a experiência humana, ou algo similar a ela [em uma cuba], precisaria replicar tudo o que o corpo biológico entrega em termos de pré e pós-processamento, bem como a química hormonal e neurotransmissora e a vida afetiva” (p. 39-40). Em termos mais gerais, não é tão simples compatibilizar a EC biológica com o computacionalismo clássico.

  1. A EC enativista [Enactivist EC]

Ao enfatizar “a ideia de que a percepção é para a ação, e que essa orientação para a ação molda a maioria dos processos cognitivos” (p. 40), a EC enativista resulta ser a mais radical das quatro posições. Em termos simples, essa posição considera que a cognição humana não está inteiramente “dentro da cabeça”, mas encontra-se distribuída entre cérebro, corpo e ambiente. Por conta disso, entende-se que i) a teoria dos sistemas dinâmicos não-lineares é apropriada para compreender essa complexa interação; ii) as tradicionais noções de representação e computação são inadequadas; iii) a decomposição da cognição em subsistemas internos (módulos) é enganosa e pode ser substituída com vantagem pela ideia de sistemas dinâmicos acoplados uns aos outros.

Para a EC enativista, o cérebro ele mesmo é um sistema dinâmico. Ele faz o que faz por estar acoplado a outro sistema dinâmico, o corpo. Este, por sua vez, também é um sistema dinâmico e faz o que faz por estar acoplado ao cérebro, por um lado, e ao ambiente, por outro lado. No final das contas, tem-se um sistema dinâmico maior que abrange cérebro, corpo e ambiente. Com outras palavras: para compreender o cérebro, é preciso considerar as interações dinâmicas deste com o corpo e com o ambiente.

Sob esse prisma, tanto “os aspectos biológicos da vida corporal, incluindo a regulação orgânica e emocional de todo o corpo” quanto “os processos de acoplamento sensório-motor entre o organismo e o ambiente” têm um “efeito penetrante na cognição” (p. 41). Outro modo de dizê-lo (tentativa minha, autor da resenha): um sistema dinâmico é um sistema de relações causais recíprocas múltiplas entre corpo, cérebro e ambiente. É cientificamente possível delimitar o foco, isto é, dedicar-se ao exame de algumas dessas relações. No entanto, tal estudo não pode ser feito de modo cartesiano, visto que as relações em exame repercutem de modo não-linear um complexo conjunto de outras relações.

Para a EC enativista, já mencionei na abertura da presente seção, a percepção é orientada para a ação. À luz dos trabalhos de Alva Noë (2004), a percepção é uma atividade pragmática e exploratória. Trata-se de uma orientação pragmática não apenas para o ambiente físico, mas também para o ambiente social e cultural (Gallagher, 2017, p. 42).

  1. Considerações finais

A visão panorâmica de Gallagher é interessante por diversos motivos. Primeiro, ela mostra que é falsa (ou ao menos imprecisa) a ideia segundo a qual a EC é antirrepresentacionalista. De fato, três versões da EC admitem representações mentais. Segundo, é falso o entendimento de que a EC é incompatível com o computacionalismo clássico. Como vimos, apenas a EC enativista é oposta ao computacionalismo. Terceiro, o quadro panorâmico é útil para situar debates internos à EC, como por exemplo as disputas entre funcionalistas e enativistas.

Concluo sugerindo uma estratégia de leitura: leia o capítulo 2, aqui resenhado, e em seguida passe para qualquer um dos demais capítulos, conforme o seu interesse. O capítulo 3 posiciona a EC funcionalista e a EC enativista em relação ao pragmatismo. O capítulo 4 apresenta uma discussão aprofundada do conceito de intencionalidade, tanto à luz do enativismo, como também do behaviorismo e do neopragmatismo. O capítulo 5 examina criticamente o nexo da ação com representações mentais. O capítulo 6 trata de modelos inferenciais no âmbito da filosofia da percepção. O capítulo 7 examina o conceito de livre-arbítrio, tal como ele aparece na filosofia e nas neurociências do nosso tempo. O capítulo 8 tece considerações enativistas sobre estados de humor [moods], sentimentos e intersubjetividade. O capítulo 9 versa sobre possíveis explanações enativistas de processos cognitivos superiores, isto é, processos que envolvem memória, imaginação, reflexão e abstração.

Nota

1 A tradução dessa e de todas as demais citações diretas é minha (tradução livre).

Referências

GALLAGHER, Shaun. Variations on embodied cognition. In: GALLAGHER, S. Enactivist interventions: rethinking the mind. New York; Oxford: Oxford University Press, 2017.  p. 26-47. https://doi.org/10.1093/oso/9780198794325.001.0001

CLARK, A. Supersizing the mind: reflections on embodiment, action, and cognitive extension. New York; Oxford: Oxford University Press, 2008. (2008a) https://doi.org/10.1093/acprof:oso/9780195333213.001.0001

CLARK, A. Pressing the flesh: a tension on the study of the embodied, embedded mind. Philosophy and Phenomenological Research, v. 76, n. 1, p. 37-59, 2008. (2008b) https://doi.org/10.1111/j.1933-1592.2007.00114.x

DAMASIO, A. Descartes’ error: emotion, reason, and the human brain. New York: Putnam Publishing, 1994.

GALLAGHER, S. How the body shapes the mind. New York; Oxford: Oxford University Press, 2005. (2005a) https://doi.org/10.1093/0199271941.001.0001

GALLAGHER, S. Metzinger’s matrix: living the virtual life with a real body. Psyche, v. 11, n. 5, p. 01-09, 2005. (2005b) http://journalpsyche.org/files/0xaadb.pdf

GALLAGHER, S. Enactivist interventions: rethinking the mind. New York; Oxford: Oxford University Press, 2017. https://doi.org/10.1093/oso/9780198794325.001.0001

GOLDMAN, A.; VIGNEMONT, F. Is social cognition embodied? Trends in Cognitive Sciences, v. 13, n. 4, 154-159, 2009. https://doi.org/10.1016/j.tics.2009.01.007

GOLDMAN, A moderate approach to embodied cognitive science. Review of Philosophy and Psychology, v. 3, n. 1, p. 71-88, 2012. https://doi.org/10.1007/s13164-012-0089-0

GOLDMAN, A. The bodily formats approach to embodied cognition. In: KRIEGEL, U. (Ed.) Current controversies in philosophy of mind. New York; London: Routledge, 2014. p. 91-108.

HUTTO, D.; MYIN, E., Radicalizing enactivism: basic minds without content. Cambridge, MA: MIT Press, 2013. https://doi.org/10.7551/mitpress/9780262018548.001.0001

HUTTO, D.; MYIN, E. Evolving enactivism: basic minds meet content. Cambridge, MA: The MIT Press, 2017. https://doi.org/10.7551/mitpress/9780262036115.001.0001

SHAPIRO, L. The mind incarnate. Cambridge, MA: MIT Press, 2004. https://mitpress.mit.edu/books/mind-incarnate

César Fernando Meurer – Universidade Federal de Uberlândia, Brasil. Doutor em Filosofia. Postdoctoral Visiting Scholar no Departamento de Filosofia da Università Degli Studi di Milano, Milão, Itália (2017-2018). Pós-doutorando no Instituto de Filosofia da Universidade Federal de Uberlândia. Currículo lattes: http://lattes.cnpq.br/1092880964040421. E-mail: cfmeurer@yahoo.com.br

Acessar publicação original

[DR]

 

Impressões da Idade Média | Ricardo da Costa

Ricardo da Costa é um medievalista de um espírito inquieto.[1] Tendo sido profissional da área da Música por vinte anos, cursou História no Rio de Janeiro, na Universidade Estácio de Sá [2], Mestrado e Doutorado na Universidade Federal Fluminense (UFF) e depois realizou concurso para História Antiga e Medieval no Departamento de História da Universidade Federal do Espírito Santo (UFES), onde ingressou em 2000. Lá esteve nos departamentos de História, de Filosofia e atualmente é lotado no Departamento de Teoria da Arte e Música. Criou nos anos 90, quando a maioria de nós nem conhecia bem a Internet, uma homepage de estudos medievais que até hoje é uma referência nessas investigações e que contém documentos medievais traduzidos e textos publicados do autor em revistas especializadas no Brasil e no exterior [3]. Além disso, criou, com outros pesquisadores, em 2001, a revista Mirabilia, igualmente uma referência nas pesquisas sobre o Medievo e hoje pertencente ao Institut d’Estudis Medievals da Universitat Autònoma de Barcelona [4]. Costa fez três pósdoutorados internacionais [5] e também participa do corpo docente de doutorado internacional na área de Cultura Medieval [6].

Seu livro, Impressões na Idade Média, condensa artigos já foram publicados e contempla alguns textos inéditos. Ao ler a obra, lembrei das concepções de um importante historiador, discípulo do medievalista Jacques Le Goff (1924-2014), Jean Claude-Schmitt (1946-). De acordo com ele, no medievo o imaginário trata das relações dos homens entre si, com Deus e com o invisível. Em suas várias obras Schmitt explica que na Idade Média havia imagens visuais e mentais e que as imagens visuais muitas vezes ajudavam o espectador a se transportar para o mundo da imagem e se aproximar de Deus[7].

Podemos perceber este traço interessantíssimo no livro Impressões da Idade Média, de Ricardo da Costa. O autor possui o mérito de conseguir fazer com que seu leitor saia do “aqui e agora” e se transporte para o momento que os capítulos relatam. É, por exemplo, o caso do primeiro artigo do livro, que trata do luto na Antiguidade. Costa explica que as mulheres muitas vezes se machucavam e ele nos remete para a imagem 4 da obra (Mulheres aos prantos, eremitério de Santo André de Mahamud, Burgos, Espanha, séc. XIII). Ao ler a descrição do autor e observar a imagem, parece que nossa própria face sofre um calor e “sente” a ardência do ferimento do arranhão causado pelas viúvas sofredoras a si próprias.

O autor aproxima História e ficção e faz o leitor (cada um de nós), “viver” em outros momentos históricos, como se transportados numa verdadeira máquina do tempo, para outro momento histórico e para outros lugares. O leitor consegue viajar entusiasmado junto com o nosso autor para as paragens aonde ele nos conduz, de forma eficiente.

Ricardo da Costa escreve de forma agradável, o que nos recorda também a escrita de um importante medievalista brasileiro, que influenciou muitas gerações dos anos 80 até a atualidade: Hilário Franco Jr [8]. Este último, além de redigir de forma séria e ao mesmo tempo saborosa, também se volta para outros campos de interesse, como a História do Futebol. Costa é como ele, pois consegue abordar vários assuntos e temporalidades, sempre com o olhar central voltado para o seu objeto maior de interesse, a Idade Média.

Embora dialogue com a História, a Literatura, a Filosofia, a Arte e a Música – o livro é dividido nessas quatro áreas – Ricardo da Costa é, definitivamente, um historiador. Sua formação em História aparece na maneira de indagação dos documentos, bem como em seu olhar com relação ao momento histórico quando foi composto cada documento que analisa. O aspecto interdisciplinar do livro e da trajetória do autor seguem de perto os pressupostos da chamada Escola dos Annales, criada por Marc Bloch (1886-1944) e Lucien Febvre (1878-1956) em 1929, e que propunha, desde a fundação da revista Annales, a necessidade de a História dialogar com outras Ciências Sociais [9], como Costa faz com muita propriedade.

Outro elemento relacionado a esse fazer historiográfico dos primeiros annalistes foi a ampliação do uso da documentação do historiador, que considera como documentos outras fontes, como as literárias e artísticas, e a preocupação com os “modos de sentir e pensar”, depois entendidos por Le Goff, da terceira geração deste grupo, como as mentalidades [10]. Na reformulação do conceito realizada por este autor, a mentalidade é substituída pelo “imaginário” que, segundo o medievalista francês, vai além do conceito de representação, com ligações com o ideológico e o simbólico [11]. Ricardo da Costa segue essa direção, adotada por Le Goff e Duby e também trilhada por Hilário Franco Jr., entre outros medievalistas, no Brasil.

Outro traço importante do livro, relacionado à herança dos Annales é a chamada longa duração [12]. Costa consegue perceber muitos elos entre a Antiguidade e o Medievo, ao contrário da noção de ruptura entre esses dois momentos históricos, além da noção de continuidade entre Idade Média e Moderna, concordando assim com pensamento de Le Goff, que nega uma ruptura no chamado “Renascimento” e defende que a Idade Média se estende até a Revolução Francesa [13].

Também importantíssimo para a Escola dos Annales e para Ricardo da Costa é a chamada História-problema, que responde a questionamentos com base nos documentos e na análise do pesquisador; e, muito relevante em todo livro é a preocupação em responder a questões do presente. Marc Bloch em sua obra magistral, a Apologia da História, já dizia que os seres humanos olham o passado buscando compreender o presente, sendo necessário desconfiar dos documentos, fazer questionamentos a eles, além do fato de que há documentos falsos e que mesmo estes precisam ser analisados, além do fato de que o historiador precisa “ouvir” os silêncios e lacunas das fontes. Ricardo da Costa, através da sensibilidade e do uso da Arte, procura se aproximar do passado para compreender a sociedade atual.

Outro mérito do autor é o fato de conseguir dialogar com diferentes momentos históricos. Com certeza um medievalista que consegue analisar e escrever sobre diferentes períodos da História e utilizando a Filosofia, a Arte e a Literatura em suas investigações, tem a possibilidade de oferecer uma visão mais ampla do momento central que analisa, a Idade Média já que ele mesmo possui um campo de visão mais vasto. Os artigos com os quais mais me identifiquei foram os que trataram da História e da Literatura, pela minha predileção natural às relações entre História e Literatura. Mas todo o conteúdo deste livro é interessante.

O livro é harmônico em sua organização. Quatro partes, com três capítulos cada, totalizando doze. Pensando no número três, lembramos que se refere à Trindade, a união das três pessoas divinas, de acordo com o Cristianismo. Coincidência ou uma alusão do autor à religiosidade cristã?

Na primeira parte do livro, intitulada História, Costa analisa o papel do luto, abordando os períodos Antigo e Medieval. A seguir discute a visão de Maomé tecida pelo filósofo catalão Ramon Llull (1232-1316) e a relação dos cristãos no medievo com este filósofo. Já no capítulo 3, relaciona História e Música, trabalhando ao mesmo tempo com As Bodas de Fígaro, de Mozart, a música medieval e a música clássica contemporânea. Sobre este capítulo, o autor afirma a importância da sensibilidade para “recriar o passado com as palavras do presente que se arrojam no futuro” (p. 60).

A segunda parte do livro, Literatura, inicia com uma análise da formação da língua portuguesa e sua relação com o castelhano e o catalão, discutindo as cantigas galego-portuguesas e outros documentos, além de mencionar autores como de diversos momentos históricos como o Conde D. Pedro (século XIII), o Padre Antônio Vieira (século XVII) e o poeta parnasiano Olavo Bilac (séculos XIX-XX). Costa salienta sobre como trabalhar esses diferentes momentos históricos, seguindo o pensamento do medievalista Georges Duby (1919-1996): “a primeira obrigação do historiador, sua principal atividade é a imaginação” (p. 70) (grifo nosso).

No capítulo seguinte, aborda as relações entre História e Literatura na novela de cavalaria Curial e Guelfa, produzida em catalão no século XV. De acordo com o autor, sua proposta foi analisar “os sentimentos dos personagens, suas expressões proverbiais e as citações mitológicas recorrentes ao longo da narrativa” (p. 119), pois o manuscrito incorpora elementos da cultura greco-romana. Além disso, segundo o autor o texto mostra sentimentos das relações feudo-vassálicas, como a amizade e a fraternidade entre os homens desenvolvida no contexto do ideal da cavalaria medieval (p. 121).

No capítulo que fecha a parte Literatura, Costa aborda o gênero epistolar, através das cartas de Bernardo de Claraval (1091-1153). Estas, de acordo com o autor, eram voltadas ao amor ao próximo e contribuíram para o desenvolvimento da história do “Eu”, da individualidade, iniciada na Idade Média Central. Essas cartas eram ditadas, voltadas para vários assuntos e públicos e, segundo Costa, S. Bernardo em seu tempo, mais de uma vez “lamentou […] a pouca recepção de suas palavras.” (p. 143). De acordo com Impressões da Idade Média, a conversão da consciência e o apelo a esta era realizada por Bernardo através do eu amoroso: “Sem o amor, o Eu nada é, nada consegue, pois suas palavras não frutificam, suas lágrimas são inutilmente vertidas.” (p. 145).

Na parte três, intitulada Filosofia, Costa inicia com as raízes clássicas da transcendência medieval, analisando a Filosofia Medieval como profundamente arraigada na da Idade Antiga, havendo uma continuidade entre ambas. Desta forma, aborda de que maneira filósofos gregos (Platão e Aristóteles) e romanos (Sêneca) refletiram sobre Deus. Segundo Costa, para Aristóteles (384-322 a. C.): “Deus existe como bem, e por isso é o Princípio do qual dependem o céu e a natureza” (p. 173-174), concepção depois retomada por Dante Alighieri (1265-1321) em sua obra prima, a Divina Comédia.

Seguindo as reflexões sobre a figura de Deus, o capítulo seguinte do livro trata da eternidade de Deus segundo Ramon Llull. Costa salienta que, em seu propósito de modificação da fé dos islâmicos, o pensador catalão criou uma filosofia de conversão ao catolicismo que possuía a herança das três religiões monoteístas (Cristianismo, Judaísmo, Islamismo), além de absorver e recriar as meditações de Platão, Aristóteles, Agostinho, Anselmo entre outros, e de possuir analogias com as concepções de Bernardo de Claraval (p. 201).

O terceiro capítulo da parte Filosofia é dedicado ao pensamento do semiólogo Umberto Eco (1932-2016), com base em suas ideias tratadas em sua obra Arte e Beleza na Estética Medieval, que resgata o passado através da Arte e discute o simbolismo da luz (claritas) e a ideia estética do universo.

A última parte do livro, parte quatro, é dedicada à Arte. Primeiramente Costa analisa os camponeses, com base nos vitrais góticos das catedrais de Chartres e de Amiens no século XIII. Devido à invisibilidade desses grupos na maior parte das fontes escritas, é muito interessante encontrá-los em profusão nos documentos imagéticos analisados pelo autor. Costa destaca tanto a importância do trabalho do campesinato, estampado nas catedrais, como a importância destas construções e da arte gótica para os estudos de História Medieval.

Os dois últimos capítulos do livro tratam da figura do corpo medieval através da Arte [14]. O penúltimo discute as concepções defendidas por filósofos medievais em seus tratados como Hildegard de Bingen, João de Salisbury, Tomás de Aquino. Analisa o corpo em algumas imagens medievais e também as do corpo ser o cárcere da alma, o corpo como instrumento e também como desregramento.

O último texto do livro analisa o martírio de Thomas Beckett (c. 1118-1170) visto pela Arte, através de iluminuras, de vitrais do século XIII, da representação da morte daquele religioso estampada numa caixa do século XII e da análise do afresco da absidíola de Santa Maria de Terrasa, na Catalunha (1180), em comparação com relatos escritos. O capítulo aborda o corpo martirizado cujo assassinato foi encomendado pelo rei Henrique II (1133-1189), com quem o arcebispo se desentendeu, gerando a seguir essas representações que enfatizaram a lembrança do acontecimento, logo depois a canonização de Beckett e o arrependimento público do monarca.

Saliento sobre a publicação Impressões da Idade Média a qualidade do material de análise e da parte gráfica, com cada capítulo iniciando com uma letra diferente, espécie de letra gótica estilizada e uma faixa vertical com decoração floral, no canto esquerdo da página inicial de cada capítulo. Isso faz o livro lembrar um manuscrito medieval. Também é importante destacar a qualidade do Caderno de Imagens do livro, muito rico e com figuras em excelente resolução.

*

Passo agora a mencionar algumas discordâncias com o autor de Impressões da Idade Média. Em primeiro lugar, o interessantíssimo artigo sobre Ramon Llull e a questão da conversão dos muçulmanos (cap. 2 na parte 1 do livro). Com certeza, concordo com Costa sobre o fato de que Llull realmente tinha por propósito central converter os islâmicos. No entanto, o fato de ter aprendido árabe para debater com eles e de ter estudado os escritos árabes e relacionados à religião islâmica mostram que Llull apresenta uma visão mais conciliadora que inclusive a adotada nos dias atuais nos conflitos entre religiões, de forma que eu suavizaria as críticas a este pensador no tocante à relação com o Islamismo e sigo a inclinação, defendida por alguns pesquisadores, de que Ramon Llull foi uma espécie de precursor do chamado diálogo inter-religioso [15]. Só o fato de ter ouvido o “outro”, ter debatido com ele e ter procurado compreender a sua cultura, para logicamente, converter o “infiel” ao Cristianismo, demonstram, a meu ver, um certo respeito do maiorquino com relação aos islâmicos.

Outro ponto a ser salientado é que Costa possui alguma tendência à hipérbole, em determinados momentos. É o caso, por exemplo, quando ele afirma tacitamente que “ninguém” estuda música no Brasil [16]. Claro que Costa tem razão, a Música deveria ser mais utilizada pelos historiadores. Mas o que dizer daqueles que trabalham com compositores nacionais em diversos momentos históricos: a Tropicália, Carmem Miranda, a chamada música de protesto no período da Ditadura Militar, o compositor Villa Lobos, entre outras manifestações? Mas já achando que Costa poderia questionar essas formas musicais e esses momentos históricos, aponto aqui o já mencionado e destacado historiador Jean-Claude Schmitt em favor dos meus argumentos. No seu recente livro, Les Rythmes au Moyen Âge (2016), premiado no ano de 2017 como melhor obra historiográfica na França [17], Schmitt cita nos agradecimentos um brasileiro (!), Eduardo Aubert, o que pode ser depreendido pelos estudos sobre a música medieval que o auxiliaram a compor uma parte de sua premiada obra, fornecendo alguns subsídios ao capítulo “Ritmo, Música, Imagens”. [18] De forma que, concordo com Ricardo da Costa que os estudos da Música são pouco realizados no Brasil mas, ao contrário da sua concepção, alguns historiadores brasileiros se dedicam com sucesso a esta área, como apontado pelo renomado historiador francês.

Um último elemento que me levou à inquietação com relação às afirmações do autor do livro são no tocante à educação brasileira na contemporaneidade (sobre isso, especialmente o capítulo 4, da parte Literatura). Para Costa, os alunos são, via de regra, desinteressados e aprendem pouco. Ora, se nós somos professores e os nossos alunos não têm interesse, nem aprendem, será que a culpa não é nossa? É importante destacar que Ricardo da Costa atua neste momento na Graduação em Artes Plásticas e em Artes Visuais (e também na Pós-Graduação), como já atuou na área de Filosofia e História, todos esses cursos da área de Licenciatura. Portanto, isso torna ainda mais “crítico” o nosso papel enquanto docentes, na medida em que cada aluno nosso será também professor e formador de uma quantidade enorme de outros alunos, todos esses que deveriam pensar criticamente sobre o nosso contexto histórico.

Diferentemente de Costa, tenho uma visão mais positiva com relação à educação e mesmo da educação no Brasil e do papel do professor da universidade e das escolas. Uso para fundamentar meus argumentos, o próprio texto de Ricardo da Costa (cap. 4) no qual mostra que desde a Antiguidade, os docentes e filósofos se queixam do desinteresse dos alunos, da decadência moral da sociedade, entre outros incômodos.

Seguem aqui as palavras de Petrônio na obra Satyricon (século I), citadas por Costa no capítulo 4 do seu livro: “Mergulhados em vinhos e prostitutas, não ousamos sequer conhecer as artes apropriadas [….] ensinamos e aprendemos apenas vícios. […] Onde está o caminho esmeradíssimo da Sabedoria?” (p. 69) (grifos nossos). Sinal de que o mundo sofre de problemas morais, corrupção, entre outros, há muito tempo, e que esses males já chamavam a atenção dos educadores desde a Antiguidade. E nem por isso as pessoas deixaram de aprender.

Neste sentido, cito, por exemplo, Ramon Llull e toda a sua preocupação em transmitir valores positivos a Domingos, seu filho, em obra traduzida do catalão ao português por Ricardo da Costa, a Doutrina para Crianças. Neste escrito, Llull pretende através da educação ensinar seu rebento a seguir as virtudes e evitar os vícios, de forma a viver bem em sociedade e atingir a salvação na outra vida [19]. Assim como Ramon Llull ensinava Domingos, os professores nas escolas e nas universidades também têm a função de ensinar e/ou auxiliar os seus alunos a aprenderem ou “despertarem” para o conhecimento e para valores morais positivos: a ética, a bondade, a honestidade, entre outros.

A crise de valores é um problema mundial da atualidade que também atinge a educação. Neste sentido e particularmente na realidade brasileira, a competição com os recursos eletrônicos – Internet, celular e particularmente o whatsapp, bem como outras formas de manifestação da mídia, fazem com que as nossas aulas sejam vistas muitas vezes como maçantes pelos nossos alunos universitários (e a mesma coisa se dá no ensino básico), motivo pelo qual o docente precisa tentar criar e “inventar” estratégias que levem os alunos a se interessarem pelos estudos e pela História, pela Arte, pela Literatura, pela Filosofia, entre outros campos do conhecimento.

O papel que Ricardo da Costa possui com a sua homepage “História Medieval” e com a revista Mirabilia representam uma contribuição importantíssima para a educação e difusão da História Medieval no Brasil e em outros países. É por isso que podemos dizer que Costa por vezes é um pouco exagerado (lembro da canção do músico brasileiro Cazuza) e que, por vezes, suas ações como docente e pesquisador contradizem a visão pessimista que tem sobre a educação no Brasil.

De minha parte, sou uma otimista. Recentemente, uma jovem do Maranhão, Aldina Melo, filha de quebradeira de coco e que enfrentou inúmeras dificuldades para chegar ao ensino superior, mas acabou conseguindo, obteve prêmio de melhor dissertação (referente à turma de 2015) no Mestrado em História da Universidade Estadual do Maranhão (UEMA), onde leciono20, e foi também aprovada em primeiro lugar (2018) no ingresso ao Doutorado em Políticas Públicas da Universidade Federal do Maranhão (UFMA). Sinal de que, para muitos brasileiros, se tiverem oportunidades, irão estudar e conquistar um lugar melhor no mundo.

*

Seja como for, o certo é que não há como ler o livro Impressões na Idade Média sem sentir um questionamento, uma inquietação, o que é positivo, já que a função da História e do historiador é colocar problemas, procurar responder aos questionamentos para compreender a sociedade do presente e buscar um mundo melhor para os nossos filhos, netos e para as futuras gerações.

Caso deixemos de lado pequenos detalhes quando consideramos que Costa exagera um pouco em algumas concepções, poderemos desfrutar de um livro saboroso, erudito, bem escrito e que contribui com os estudos medievais e sua relação com a contemporaneidade.

Notas

1. Graduada, Mestre e Doutora em História na Universidade Federal Fluminense (UFF). Docente de História do município do Rio de Janeiro, no período de 1988 a 2001. É professora da Universidade Estadual do Maranhão (UEMA) desde 2003, atuando, no momento, como docente efetiva na PósGraduação em História na mesma instituição e também na Pós-Graduação em História da Universidade Federal do Maranhão (UFMA). Estágio Pós-Doutoral na École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) junto ao GAHOM (Groupe d’Anthropologie Historique de l’Occident Médieval) no período de 2013-2014. É uma das coordenadoras dos laboratórios de pesquisa Brathair – Grupo de Estudos Celtas e Germânicos e Mnemosyne – Laboratório de História Antiga e Medieval, e atua como editora-chefe da revista Brathair: http://ppg.revistas.uema.br/index.php/brathair e uma das diretoras da revista Mirabilia https://www.revistamirabilia.com/ .

Conheci Ricardo da Costa em 1996 junto ao laboratório Scriptorium, quando do meu ingresso no Mestrado em História, sob a supervisão de Vânia L. Fróes, com quem Costa também realizou o Mestrado, depois publicado em livro (1998). No Doutorado, realizou bolsa sanduíche na Alemanha (1999) e concluiu a tese sob a supervisão de Guilherme Pereira das Neves. Ricardo da Costa e eu produzimos até o momento três artigos acadêmicos juntos (em 2000, 2001 e 2008). Também criamos a revista Mirabilia em 2001, com Moisés Romanazzi Tôrres. O nome da revista, Mirabilia em latim ou “coisas maravilhosas” em português, foi escolhido por mim, em referência ao termo “maravilha”, muito recorrente na novela de cavalaria do século XIII A Demanda do Santo Graal, uma das fontes literárias de minha predileção. Costa e eu realizamos várias parcerias até o presente como, por exemplo, a edição 2018.1, v. 26, da revista Mirabilia, coordenada por nós dois, cuja temática é Sociedade e Cultura em Portugal, com artigos de docentes nacionais e internacionais.

2. Destaca-se o apoio da avó do autor, América da Silveira Sapha, para que ele realizasse este curso em paralelo à sua atividade de músico.

3. Trata-se da homepage “Idade Média”: http://www.ricardocosta.com /

4. A Mirabilia atualmente consiste em quatro revistas em uma: a Mirabilia, a Mirablia Medicinae, Mirabilia Ars e Mirabilia Trans. Todas as quatro se encontram disponíveis na mesma homepage: https://www.revistamirabilia.com /

5. Nas áreas de História Medieval, Filosofia Medieval e Literatura Medieval, na Universitat Internacional de Catalunya (UIC), Barcelona, 2003 e 2005 e Universitat d’Alacant, (UA), em 2017.

6. Programa de Doctorado “Transferencias Interculturales e Históricas en la Europa Medieval Mediterránea” da Facultade de Filosofia e Letras da Universitat d’Alacant (UA-Espanha).

7. Sobre o conceito de imagem para Schmitt, ver SCHMITT, Jean-Claude. O Corpo das Imagens. São Paulo: EDUSC, 2007.

8. Dentre os numerosos livros de Hilário Franco Jr., cito alguns: A Idade Média, Nascimento do Ocidente. 2ª Ed., São Paulo: Brasiliense, 2001; As Utopias Medievais. 1ª Ed. São Paulo: Brasiliense, 1992 (a ser relançado, em edição revista e ampliada em 2018); Cocanha, a História de um País Imaginário. São Paulo; Companhia das Letras, 1998.

9. Sobre os pressupostos desses historiadores, ver FEBVRE, L. Combates pela História. FEBVRE, Lucien. Combates pela História. Lisboa, Presença, 1989; BURKE, P. A História dos Annales. A Revolução Francesa da Historiografia. São Paulo: Ed. UNESP, 1991; REIS, José Carlos. Nouvelle Histoire e o Tempo Histórico. A contribuição de Febvre, Bloch e Braudel. São Paulo: Annablume, 2008.

10. LE GOFF, Jacques. LE GOFF, Jacques. “As Mentalidades: Uma História Ambígua”. In: História: Novos Objetos. Rio de Janeiro, Francisco Alves, 1976, p. 68-83.

11. Sobre o conceito de imagem para Le Goff, ver LE GOFF, J. O Imaginário Medieval. Lisboa: Estampa, 1994, p. 11-12.

12. BRAUDEL, Fernand. História e Ciências Sociais. Lisboa: Presença, 1989; BRAUDEL, Fernand. O Mediterrâneo e o Mundo Mediterrâneo à Época de Felipe II. Extraído do Prefácio. In: Escritos sobre a História. São Paulo: Perspectiva, 1992, p. 13-16.

13. LE GOFF, Jacques. Uma longa Idade Média. Rio de Janeiro: Civilização Brasileira, 2008; LE GOFF, Jacques. A História pode ser dividida em pedaços? São Paulo: Ed. UNESP, 2015.

14. Lembremos que o tema do corpo também foi caro a Le Goff no seu livro Historia do Corpo na Idade Média. Rio de Janeiro: Civilização Brasileira, 2006.

15. O próprio Ricardo da Costa já defendeu essa concepção de diálogo inter-religioso no passado. Ver: COSTA, Ricardo; PARDO PASTOR, Jordi. Ramon Llull (1232-1316) e o diálogo inter-religioso. Cristãos, judeus e muçulmanos na cultura ibérica medieval. O Livro dos Gentio e dos três sábios e a Vikuah de Nahmânides. In: LEMOS, Maria Teresa Toribio Brittes e LAURIA, Ronaldo Martins (org.). A integração da diversidade racial e cultural do Novo Mundo. Rio de Janeiro, UERJ, 2004. Sobre o diálogo inter-religioso, cf, entre outros: FIDORA, Alexander. Raimundo Lúlio perante a crítica atual ao diálogo inter-religioso: A Arte luliana como proposta para uma “Filosofia das religiões” (2001). Publicação em espanhol em: Revista Española de Filosofia Medieval, 10, 2003, p. 227-243; MAYER, Annemarie C. Ramon Llull y el diálogo indispensable. Quaderns de la Mediterrània 14, 2010.

16. Segundo Costa (2017, p. 45, nt. 5): “Infelizmente, em nosso país, os historiadores ainda não ‘descobriram’ a Música como tema histórico”.

17. Uma síntese desta obra está na seguinte resenha: ZIERER, Adriana. Resenha de Les Rythmes au Moyen Âge, de Jean-Claude Schmitt. In: Mirabilia. Edição Sociedade e Cultura em Portugal. Org. por Adriana Zierer e Ricardo da Costa, v. 26, 2018, v. 1, p. 222-233.

18. Trata-se do estudo de Eduardo Aubert em co-autoria com Jean-Claude Bonne: BONNE, J.C; AUBERT, E.H. Quand voir fait chanter. Images et neumes dans le tonaire du ms. BnF, lat. 1118: entre performance et performativité. In: DIERKENS, A.; BARTHOLEYNS, G.; GOLSENNE, T. (Dir.). La Performance des Images. Bruxelles: Université Livre de Bruxelles, 2009, p. 225-240. (Obra citada por Schmitt, 2016, p. 117). Aubert consta nos agradecimentos do livro de Schmitt, 2016, p. 691.

19. COSTA, Ricardo. Reordenando o conhecimento: a Educação na Idade Média e o conceito de Ciência expresso na obra Doutrina para Crianças (c. 1274-1276) de Ramon Llull. In: COSTA, R. Ensaios de História Medieval. Rio de Janeiro: Sétimo Selo, 2009, p. 154-175. Uma dissertação recente abordando esta obra de Llull e a sua importância na formação do ser humano ideal foi realizada por Natasha Mateus: MATEUS, N. Ensino de História Medieval: A obra Doutrina para Crianças, de Ramon Llull e a produção do paradidático “Ramon Llull e a Idade Média”. 246 f. Dissertação de Mestrado em História. São Luís: Universidade Estadual do Maranhão, 2018. Disponível em: http://www.ppghist.uema.br/wpcontent/uploads/2016/12/Natasha-Disserta%C3%A7%C3%A3o-com-as-assinaturas-da-Banca..pdf ; acesso em 05/07/2018.

20. A premiação ocorreu em abril de 2018. A dissertação se encontra disponível para consulta. MELO, Aldina. A África na Sala de Aula. A Reinvenção dos Zulus. 206 f. Dissertação de Mestrado em História. São Luís: Universidade Estadual do Maranhão, 2017. Disponível em: http://www.ppghist.uema.br/wpcontent/uploads/2016/12/Disserta%C3%A7%C3%A3o-Final-Aldina-Melo-PARA-DEPOSITO-1.pdf ; acesso em 05/07/2018.

Referências

BLOCH, Marc. A Apologia da História ou o Ofício do Históriador. Rio de Janeiro: Jorge Zahar Ed., 2001.

BONNE, Jean-Claude; AUBERT, Eduardo H. Quand voir fait chanter. Images et neumes dans le tonaire du ms. BnF, lat. 1118: entre performance et performativité. In: DIERKENS, A.; BARTHOLEYNS, G.; GOLSENNE, T. (Dir.). La Performance des Images. Bruxelles: Université Livre de Bruxelles, 2009, p. 225- 240.

BURKE, P. A História dos Annales. A Revolução Francesa da Historiografia. São Paulo: Ed. UNESP, 1991.

COSTA, Ricardo; PARDO PASTOR, Jordi. Ramon Llull (1232-1316) e o diálogo interreligioso. Cristãos, judeus e muçulmanos na cultura ibérica medieval. O Livro dos Gentio e dos três sábios e a Vikuah de Nahmânides. In: LEMOS, Maria Teresa Toribio Brittes; LAURIA, Ronaldo Martins (org.). A integração da diversidade racial e cultural do Novo Mundo. Rio de Janeiro, UERJ, 2004. COSTA, Ricardo. Reordenando o conhecimento: a Educação na Idade Média e o conceito de Ciência expresso na obra Doutrina para Crianças (c. 1274-1276) de Ramon Llull. In: COSTA, R. Ensaios de História Medieval. Rio de Janeiro: Sétimo Selo, 2009, p. 154-175. FRANCO JR., Hilário. A Idade Média, Nascimento do Ocidente. 2ª Ed., São Paulo: Brasiliense, 2001.

FRANCO JR. As Utopias Medievais. 1ª Ed. São Paulo: Brasiliense, 1992 (a ser relançado, em edição revista e ampliada em 2018).

FRANCO JR., Hilário. Cocanha, a História de um País Imaginário. São Paulo; Companhia das Letras, 1998.

FEBVRE, Lucien. Combates pela História. Lisboa, Presença, 1989.

FIDORA, Alexander. Raimundo Lúlio perante a crítica atual ao diálogo inter-religioso: A Arte luliana como proposta para uma “Filosofia das religiões” (2001). Disponível em: http://www.ramonllull.net/sw_comvirt/index.php?option=com_content&view=artic le&id=164%3Araimundo-lulio-perante-a-critica-atual-ao-dialogo-interreligioso&catid=50%3Adialogo-inter-religioso&Itemid=79&lang=germany; acesso em 04/04/2018; Publicação em espanhol em: Revista Española de Filosofia Medieval, 10, 2003, p. 227-243. Idade Média. Homepage de Ricardo da Costa: http://www.ricardocosta.com /; acesso em 05/07/2018. MAYER, Annemarie C. Ramon Llull y el diálogo indispensable. Quaderns de la Mediterrània 14, 2010.

LE GOFF, Jacques. Uma longa Idade Média. Rio de Janeiro: Civilização Brasileira, 2008.

LE GOFF, Jacques. A História pode ser dividida em pedaços? São Paulo: Ed. UNESP, 2015.

LE GOFF, Jacques. “As Mentalidades: Uma História Ambígua”. In: História: Novos Objetos. Rio de Janeiro, Francisco Alves, 1976, p. 68-83.

LE GOFF, Jacques. O Imaginário Medieval. Lisboa: Estampa, 2004.

LE GOFF, Jacques. Uma História do Corpo na Idade Média. Rio de Janeiro: Civilização Brasileira, 2006.

MATEUS, Natasha N. Ensino de História Medieval: A obra Doutrina para Crianças, de Ramon Llull e a produção do paradidático “Ramon Llull e a Idade Média”. 246 f. Dissertação de Mestrado em História. São Luís: Universidade Estadual do Maranhão, 2018. Disponível em: http://www.ppghist.uema.br/wp-content/uploads/2016/12/NatashaDisserta%C3%A7%C3%A3o-com-as-assinaturas-da-Banca..pdf; acesso em 05/07/2018.

MELO, Aldina. A África na Sala de Aula. A Reinvenção dos Zulus. 206 f. Dissertação de Mestrado em História. São Luís: Universidade Estadual do Maranhão, 2017. Disponível em: http://www.ppghist.uema.br/wpcontent/uploads/2016/12/Disserta%C3%A7%C3%A3o-Final-Aldina-Melo-PARADEPOSITO-1.pdf ; acesso em 05/07/2018.

REIS, José Carlos. Nouvelle Histoire e o Tempo Histórico. A contribuição de Febvre, Bloch e Braudel. São Paulo: Annablume, 2008.

SCHMITT, Jean-Claude. O Corpo das Imagens. São Paulo: EDUSC, 2008.

SCHMITT, Jean-Claude. Les Rythmes au Moyen Âge. Paris: Gallimard, 2016.

ZIERER, Adriana. Resenha de Les Rythmes au Moyen Âge, de Jean-Claude Schmitt. In: Mirabilia. Edição Sociedade e Cultura em Portugal. Org. por Adriana Zierer e Ricardo da Costa, Barcelona, (UAB), v. 26, 2018, jan-jun, p. 222-233. Disponível em: https://www.revistamirabilia.com/sites/default/files/pdfs/14.pdf ; acesso em 15/07/2018.

Adriana Zierer – Graduada, Mestre e Doutora em História na Universidade Federal Fluminense (UFF). Docente de História do município do Rio de Janeiro, no período de 1988 a 2001. Docente UEMA-PPGHIST/UFMA-PPGHIS. E-mail: adrianazierer@gmail.com


COSTA, Ricardo da. Impressões da Idade Média. São Paulo: Livraria Resistência Cultural, 2017. Resenha de: ZIERER, Adriana. Brathair – Revista de Estudos Celtas e Germânicos. São Luís, v.18, n.1, p. 260 – 272, 2018. Acessar publicação original [DR]

Regime de Vargas / Em Tempo de Histórias / 2018

Apresentação

Investigar a respeito do governo de Getúlio Vargas é um grande desafio para os pesquisadores. Em apenas 18 anos, somados os dois períodos em que ele esteve no comando do país – de 1930 a 1945 e de 1951 a 1954 –, o Brasil passou por um verdadeiro turbilhão de mudanças políticas, econômicas e culturais.

Nesse período, inferior a duas décadas, passamos por uma revolução que depôs um presidente e evitou a posse de um candidato eleito, assistimos a uma guerra civil, estivemos diante de tentativas de tomada do poder tanto pela extrema esquerda quanto pela extrema direita, participamos de uma guerra mundial, observamos o crescimento da música popular, vivemos a conquista de novos direitos trabalhistas e acompanhamos uma crise que culminaria no suicídio de Vargas. E estes são apenas alguns dos fatos mais significativos.

Getúlio Vargas, talvez o governante mais marcante da história do Brasil, até hoje desperta dúvidas, simpatias e críticas. Criou a Consolidação das Leis do Trabalho (CLT), modernizou a economia brasileira, promoveu transformações urbanas e estabeleceu um novo modelo na relação entre político e trabalhador que conceitualmente recebeu o nome de populismo e, posteriormente, de trabalhismo. Além disso, perseguiu e prendeu milhares de brasileiros, implementou uma ditadura e não teve nenhuma pena de qualquer um que se mostrasse contrário ou representasse uma ameaça aos seus planos de permanecer no poder.

Ao longo de sua trajetória, Vargas fez muitos amigos e inimigos. E muitas vezes amigos que se tornaram inimigos e vice-versa. Pedro Ernesto Baptista, revolucionário de 1930, amigo e médico pessoal, acabou acusado de ser comunista e terminou preso por mais de um ano, sendo obrigado a encerrar seu mandato como prefeito da cidade do Rio de Janeiro. João Neves da Fontoura, companheiro de Vargas em 1930, passou a líder da oposição em 1934 e depois voltou a apoiá-lo na ocasião do golpe de 1937. Flores da Cunha, conterrâneo do presidente e também participante de 1930, passou a principal inimigo do presidente entre 1935 a 1937, fugindo do país poucas semanas antes do início da ditadura. Tais exemplos servem para demonstrar a fluidez das relações políticas e a enormidade de mudanças que ocorreram no cenário nacional de ano a ano, o que força o pesquisador a examinar com atenção, sensibilidade e de forma detalhista esse importante período de nossa história.

É necessário estudar a figura de Getúlio Vargas e todas as nuances nacionais e regionais dos vários momentos de seu governo com senso crítico e tomando o máximo de cuidado a fim de manter o distanciamento tão importante à pesquisa histórica. Algumas armadilhas devem ser evitadas como, por exemplo, a naturalização do uso da expressão “República Velha”, criada pelo governo Vargas para desvalorizar o passado, mas que lamentavelmente ainda é usada em alguns estudos historiográficos. Da mesma forma, a visão de Vargas como “doador” das leis trabalhistas é uma aceitação passiva do discurso criado pelo Departamento de Imprensa e Propaganda (DIP), apagando todo o passado de lutas históricas dos trabalhadores que culminou na pressão sobre o Estado para o atendimento das reivindicações das ruas.

Outro ponto interessante nos estudos sobre Vargas é o abrandamento que algumas vezes se faz da ditadura vivida entre 1937 e 1945, período tão violento e repressor quanto a Ditadura Civil-Militar de 1964. É imprescindível lembrar que muitas práticas de tortura e o arcabouço jurídico utilizado no tempo de Vargas foi aproveitado pelos militares na ditadura seguinte, inclusive com a participação de personagens em comum, como Francisco Campos, central na ditadura estadonovista e um dos redatores dos atos institucionais 1 e 2, respectivamente em 1964 e 1965.

Dentro desse vasto campo de investigações se insere este dossiê temático da Revista Em Tempo de Histórias, composto por artigos que tratam de diversos vieses do período Vargas e que, consequentemente, traz importante colaboração para a historiografia brasileira. Em Carnaval é política: a criação da Federação Carnavalesca de Pernambuco (1930-1950), Rosana Maria dos Santos mostra a interferência da elite no carnaval popular recifense de modo a transformá-lo de acordo com os interesses da alta sociedade pernambucana. A intervenção e regulação estatal da cultura popular é um traço marcante do governo Vargas, seja na esfera federal ou por meio da ação dos governadores estaduais, o que realça a pertinência do texto.

Já Mayra Coan Lago, em Conflitos e pedidos de terra nas cartas dos trabalhadores para Getúlio Vargas e Juan Domingo Perón, analisa a correspondência enviada pelos trabalhadores para os líderes brasileiro e argentino pedindo doação de terras e a intermediação deles em conflitos pela posse das mesmas, mostrando muito sobre o imaginário político da época e a relação estabelecida entre líder político e população.

Em O Distrito Federal e a Guerra de 1932: a construção de um front interno pelo Governo Provisório, Felipe Castanho Ribeiro procura analisar a mobilização do Governo Provisório durante a Guerra de 1932. Para isso, o autor recorreu ao conceito de front interno conforme o entendimento do historiador Roney Cytrynowicz. Neste sentido, o historiador apresenta a hipótese de que o Governo Provisório precisou mobilizar diferentes setores da sociedade com o intuito de assegurar a sua vitória diante do movimento militar irrompido no estado de São Paulo. Cabe ressaltar que a cidade do Rio de Janeiro, enquanto sede administrativa e política do país, serviu como uma vitrine para o resto da nação e que por isso o Governo de Getúlio Vargas precisou garantir a manutenção da ordem, conquistar o apoio da população carioca e consequentemente auferir a sua legitimação. A imprensa, censurada durante a guerra, foi um importante meio de comunicação do governo durante o conflito e foi amplamente utilizada para alcançar os seus objetivos.

No artigo A criação de uma Diplomacia Anticomunista no governo Vargas, em 1937, Maria Nepomuceno estuda a formação de uma agência anticomunista, no momento que precedeu à implantação do Estado Novo, envolvendo um serviço de inteligência na América Latina que objetivava a cooperação supranacional para monitoramento das conexões dos comunistas brasileiros além das fronteiras do país. O anticomunismo, essencial para o fortalecimento do Poder Executivo em dezembro de 1935 e, depois, para o golpe de 10 de novembro de 1937, foi um aspecto importante e que se manteve vivo durante todo o primeiro governo Vargas.

Daniela Teles da Silva, no texto Eugenia, saúde e trabalho durante a Era Vargas, traz dois aspectos centrais do período: a questão sanitária, que ia além do cuidado com a saúde a partir da construção de hospitais e casas de saúde, se expandindo para a discussão eugênica, que suscitou acalorado debate entre especialistas desde finais do século XIX até as primeiras décadas do século XX. Além da eugenia, os ideais sanitaristas e higienistas também tiveram a atenção do Estado durante o governo Vargas, a fim de atingir a meta de uma sociedade saudável, apta ao trabalho e que levaria o país ao desenvolvimento.

Em A aproximação luso-brasileira nos tempos do Estado Novo e a Revista Atlântico (1942-1945), Guilherme Nercolini Miranda estuda as relações internacionais entre Brasil e Portugal a partir da Revista Luso-brasileira, criada no contexto da Segunda Guerra Mundial. Miranda analisa os discursos que permeavam as relações entre os dois países e mostra a participação dos intelectuais brasileiros e portugueses no estabelecimento dessa diplomacia.

O Estado Novo por Getúlio Vargas: a verdadeira democracia é a democracia social?, de Claudio Alcantara Meireles Junior, traz a importante questão de como Getúlio Vargas, em seus discursos, conseguiu justificar a aparente contradição de querer estabelecer uma democracia social e, ao mesmo tempo, manter um governo ditatorial. A ideia de democracia social, representada pelo ganho de direitos trabalhistas, foi colocada como mais importante do que a democracia liberal, que não se adequaria à realidade do país e que seria improdutiva no que tange aos avanços sociais e econômicos, segundo o presidente.

André Barbosa Fraga, em O segredo das asas: a colaboração fílmica do INCE para a construção de uma mentalidade aeronáutica durante o governo Vargas, analisa o filme O segredo das asas, produzido em 1944 pelo Instituto Nacional de Cinema Educativo (INCE). No contexto da criação do Ministério da Aeronáutica, a película fez parte de um projeto governamental de construção de uma mentalidade aeronáutica, de modo a incentivar o engajamento de pilotos comerciais e militares e o consequente desenvolvimento da aviação no Brasil.

Encerrando o dossiê, Thiago Fidélis escreve Samuel Wainer: entre Diretrizes e Ultima Hora, que discute parte da trajetória do importante jornalista, que tivera fechada sua revista Diretrizes durante a ditadura, mas que a partir de uma entrevista realizada com Vargas, em 1949, cada vez mais se aproximou do político gaúcho. Wainer fundou, em 1951, o famoso jornal A Última hora, que seria o principal periódico de apoio a Getúlio Vargas durante seu governo democrático, de 1951 a 1954, rivalizando com jornais de oposição como o Tribuna da Imprensa, de Carlos Lacerda.

Agradeço à equipe da Revista Em Tempo de Histórias pelo convite para organizar esse importante dossiê e os parabenizo por todo o esforço em prol do desenvolvimento desse valioso periódico científico, o que demanda muita dedicação e trabalho árduo diário. Desejo a todos uma boa leitura e que os textos que aqui estão sejam objeto de reflexão e possam fomentar novos debates, assim como contribuir para a difusão do conhecimento científico sobre esse que é um dos mais importantes períodos da história do Brasil, o governo de Getúlio Vargas.

Thiago Cavaliere Mourelle – Doutor em História Social (UFF). Supervisor da Equipe de Pesquisa do Arquivo Nacional. Editor-científico da Revista Acervo – Arquivo Nacional. Professor associado do Núcleo de História Contemporânea (NEC/UFF). Coordenador e Professor de História – Educafro. E-mails para contato: thiagocavaliere@an.gov.brthiagocmourelle@gmail.com; .

Acessar dossiê

Diálogos: Interdisciplinaridade e Transdisciplinaridade no Campo Historiográfico / Ofícios de Clio / 2018

Atualmente, a pesquisa historiográfica abrange o trabalho com uma diversidade de objetos e temas – tais como as Artes Visuais, a Literatura, os Estudos de Gênero – que também são, antes de tudo, campos autônomos do conhecimento. Além disso, o historiador recorre frequentemente a áreas como a Antropologia, a Teoria Literária ou as Ciências Sociais, com os quais dialoga constantemente.

Longe de ser apenas uma tendência recente, a questão da interdisciplinaridade parecenos uma questão fundamental para a historiografia, já que o diálogo com outras áreas do saber tem sempre acompanhado o fazer historiográfico. Seja através das chamadas “ciências auxiliares”, que acompanharam o desenvolvimento da historiografia tradicional do século XIX – como a arqueologia, numismática ou heráldica – ou por meio das propostas de diálogo estabelecidas pelos Annales, com a economia ou a antropologia; o historiador constantemente se vê em um diálogo com outras áreas do seu conhecimento. Com as expansões e renovações pelas quais passaram o campo historiográfico ao longo do século XX só vieram ampliar tais perspectivas interdisciplinares, colocando a História em discussão com os Estudos Culturais, as diversas Linguagens, ou mesmo com as relações entre homem e natureza.

Mais recentemente, apresenta-se ainda o debate em torno da transdisciplinaridade, ou seja, a constituição e produção de conhecimento que ultrapassa as fronteiras tradicionais entre as disciplinas, constituindo campos tais como as Teorias de Gênero, com os quais a historiografia contribui significativamente, mas também se enriquece.

Partindo disso, apresentamos o dossiê Diálogos: Interdisciplinaridade e Transdisciplinaridade no Campo Historiográfico que reúne trabalhos dedicados a pensar as possibilidades e os desafios motivados pela interdisciplinaridade e transdisciplinaridade entre a História e suas áreas afins.

Iniciamos esses diálogos por meio do trabalho de Valeska Oliveira Ferreira, graduada em História pela Universidade Federal do Triângulo Mineiro, intitulado A ficção e a narrativa como desafios ao uso da literatura como fonte histórica: contribuições da teoria da história para o debate, que busca tecer suas reflexões em torno das relações entre História, Literatura e Narrativa. O texto retoma autores como Hayden White e Paul Veyne, cujos trabalhos estiveram no centro do debate em torno da ficcionalidade e da validade da narrativa histórica, desenvolvido, principalmente, nas décadas de 1970 e 1980. Além disso, nos instiga ao diálogo com Roger Chartier, Michel Certeau e Jörn Rüsen a fim de pensar a questão da Literatura e da ficionalidade na historiografia. A autora busca pensar, especialmente, sobre as especificidades da questão da narrativa nos âmbitos ficcional e historiográfico, pretendendo abordar algumas das contribuições da teoria da história para este debate.

A questão da escrita da história e da ficção e também é o foco do texto Diálogos entre Teoria e Literatura: a escrita de Freud, da autoria de Larissa de Assis Pimenta Rodrigues, mestranda pela Universidade Federal de Outro Preto. Neste trabalho, busca-se investigar as possibilidades suscitadas por uma escrita da história calcada em uma abordagem interdisciplinar, pensada, neste caso, a partir das reflexões de Sigmund Freud. Valendo-se das reflexões de Michel de Certeau e da noção de ficção teórica desenvolvida por Freud – recurso literário utilizado no relato de casos clínicos através da composição de contos que articulam ficção e teoria psicanalítica – o trabalho investiga as possibilidades de se interpretar e depreender traços culturais ou aspectos subjetivos de uma época a partir de tais escritos. Para a autora, a ficção teórica permite que nos aproximemos dos valores e da produção de sentido de uma época ou sociedade.

Já o trabalho intitulado Entre a História, a Literatura e a Bibliografia: a Interdisciplinaridade da História do Livro, nos propõe pensar sobre as relações interdisciplinares existentes no campo da História do Livro, que se constituiu a partir de reflexões das áreas da História, da Bibliografia e da Literatura. Nesse trabalho, as autoras Bruna Braga Fontes, mestranda em História / USP, e Verônica Calsoni Lima, doutoranda em História / USP, buscam construir um panorama sobre as perspectivas e metodologias envolvidas no trabalho de pesquisa que abordam o livro enquanto objeto, pensando a sua materialidade. Para isso, recorrem especialmente às correntes historiográficas anglo-saxãs e francesas como o centro do foco de análise. As autoras ainda destacam as contribuições de outras disciplinas para a construção desse campo de estudo.

Por fim, em Possibilidades e Perigos da Etno-história, a partir da contribuição de Maíra de Mello Silva, graduanda em Antropologia da Universidade Federal de Pelotas, nos aproximamos de uma perspectiva antropológica da História, A pesquisadora buscou pensar a Etno-história a partir das teorias descoloniais, elaborando uma revisão crítica da bibliografia relativa a Etno-história. Além disso, a prática da alteridade é proposta aqui como mediadora das perspectivas teóricas e metodológicas trabalhadas.

É com grande satisfação que apresentamos essas reflexões na Revista Discente Ofícios de Clio, buscando contribuir com os diálogos sempre tão ricos e necessários entre a historiografia e as demais áreas do conhecimento.

Boa leitura!

Thiago Destro Rosa Ferreira – Doutorando em História / Universidade Federal de Uberlândia.


FERREIRA, Thiago Destro Rosa. Apresentação. Revista Discente Ofícios de Clio, Pelotas -RS, v. 3, n. 4, jan./jun., 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Generations of feeling: a history of emotions, 600-1700 | Barbara Rosenwein

O plano das emoções e da subjetividade há muito não constitui um terreno estrangeiro para os historiadores. Basta evocar, por exemplo, a célebre obra de Johan Huizinga e sua imagem impactante de uma Idade Média tardia marcada pelo externar violento das emoções, de “uma devoção popular” ou coletiva inclinada às lágrimas e aos excessos piedosos, que exprimiam um “sentimento religioso” comum. Também Lucien Febvre e as gerações da Escola dos Annales – com nomes como Jean Delumeau e sua história do medo ou Philippe Ariès e a das atitudes perante a morte – haviam chamado a atenção para as chamadas “sensibilidades”, diluídas na noção mais ampla de “mentalidades”. No entanto, desde os anos 1980, tem sido possível demarcar a emergência de novos e promissores estudos sobre os “afetos” e “emoções”, que vieram dar forma à recente “história das emoções”, com propostas e abordagens que, decididamente, se distanciam daquelas traçadas pelos historiadores de outrora. Longe de tentar vislumbrar uma provável unidade que pudesse caracterizar um período ou sociedade no que se refere à experiência afetiva, ou de perscrutar um núcleo essencial e genuíno do sujeito – que se presume existir por detrás das normas sociais, ou como algo inefável e impossível de se historicizar –, esses estudos propõem desfazer a ideia de que as emoções e afetos são universais, de que pertencem estritamente à ordem da irracionalidade ou da intimidade, ou que foram alvo de um processo progressivo de domesticação, racional e civilizador, em relação ao qual o período medieval apareceria como tempo das paixões destemperadas – numa clara recusa da tese de Norbert Elias.

É em tal projeto de reorientação investigativa e teórica que se situa a obra de Barbara H. Rosenwein, uma das maiores responsáveis por abrir esse novo caminho, que desbrava desde finais da década de 1990 ao lado de outros estudiosos, como Piroska Nagy, Damien Boquet, Carla Casagrande, Silvana Vecchio, Simo Knuuttila, Thomas Dixon, dentre outros.1 Formada pela Universidade de Chicago, a professora Rosenwein leciona hoje na católica Loyola University of Chicago, tendo já passado, como convidada, pelas francesas École des Hautes Etudes en Sciences Sociales e École Normale Supérieure, bem como pelas universidades de Utrecht e Gotemburgo. É também membro do Centre for the History of the Emotions at Queen Mary University, em Londres, e da Medieval Academy of America. Em sua trajetória notável, constam obras de ampla divulgação como A Short History of the Middle Ages (University of Toronto Press, 2014), Reading the Middle Ages: Sources from Europe, Byzantium, and the Islamic World (University of Toronto Press, 2006), Debating the Middle Ages: Issues and Readings (Blackwell, 1998), The Making of the West: Peoples and Cultures (Martin’s Press, 2013). No âmbito da história das emoções, especificamente, cabe elencar o celebrado Emotional Communities in the Early Middle Ages, de 2006 (Cornell University).

Em Generations of Feeling: A History of Emotions 600-1700, um extenso volume publicado em 2016 pela Cambridge University Press, Barbara Rosenwein apresenta os resultados de uma pesquisa iniciada há cerca de dez anos, como ela própria destaca. A obra alinha-se à proposta de seu trabalho anterior ao fundamentar-se na ideia de emotional communities, que consagrou a historiadora. Com frequência referenciado e adotado por outros estudiosos, a designação “comunidades emocionais” tem-se mostrado uma ferramenta útil à autora em sua tentativa manifesta de se desviar de uma abordagem totalizante. Segundo Rosenwein, conquanto o potencial biológico “para sentir e expressar” o que hoje entendemos por “emoções” seja um atributo humano “universal”, um limite positivo, material, “o que essas emoções são, como são chamadas, como são avaliadas e sentidas e como são expressas (ou não), tudo isso é moldado pelas “comunidades emocionais’”. Tais comunidades são grupos com valores e modos particulares de sentir e exprimir suas emoções, segundo normas aceitas e partilhadas; podem ser variadas em um mesmo período, explica. Todavia, em que medida a autora se distanciará efetivamente da ideia de uma coerência subjacente à todas as expressões e experiências humanas em um dado momento e lugar – como implícito nas velhas noções de “mentalidades” ou “imaginário” –, é um questionamento que logo vem à mente do leitor mais cauteloso, diante daquilo que a autora promete já na introdução e que revela sua vívida preocupação teórica.

Mais precisamente, Barbara Rosenwein assinala, logo de partida, o intuito de mapear o conjunto de sentimentos, relações e valores que estão implícitos na expressão de uma determinada emoção. Um dos pontos fundamentais dessa abordagem que pretende se despir dos essencialismos, a autora ressalta não querer distinguir entre as supostas emoções “reais”, sentidas, e as emoções expressas, ou seja, entre o sincero e o dissimulado, já que o historiador das emoções apenas lida com os “sinais socias” destas, captáveis pelos gestos e palavras, não sendo possível avançar para além disso, em busca de um conteúdo oculto e supostamente mais verdadeiro – como sugerem alguns estudos, por exemplo, sobre o indivíduo.2 Uma vez que se trata, para ela, de compreender os valores que regem a vivência afetiva de uma dada comunidade, considerando a contingência da própria ideia de verdade contida na emoção, o fingimento também nos diz sobre as normas emocionais de um grupo. Da mesma maneira, os lugares-comuns, as expressões impensadas e formulaicas não são menos importantes e vazios de significado para o historiador, pois constituem as “heranças emocionais” disponíveis em um tempo.

Aprofundando seu raciocínio, Rosenwein reitera a recusa da ideia de oposição entre emoção e razão, ou afeto e cognição, como uma dicotomia invariante ou essencial da constituição humana,3 assim como a lógica teleológica que identifica o triunfo progressivo da racionalidade. Voltando-se para as diversas teorias sobre os “afetos” ou “paixões da alma”, da filosofia estoica aos teólogos e letrados cristãos, Agostinho, Gregório Magno, Alcuíno, Tomás de Aquino ou, mais tarde, Jean Gerson, o presente livro desmonta como as emoções foram codificadas, ordenadas, racionalizadas, de modos circunstanciais e contingentes, tendo em vista a efetivação de um determinado parâmetro de vida virtuosa num dado momento. O livro identifica as quebras nas configurações teóricas a partir de uma perspectiva diacrônica. Com uma orientação oposta à do ideial estóico da apatheia, da não perturbação emotiva, a autora avalia, por exemplo, como Cícero admitia a existência de bons e maus afetos e o papel fundamental dos primeiros na busca da virtude, já que, para tal, seria preciso, antes de tudo, “amar” a virtude e odiar o vício. As noções de amizade verdadeira, que para o filósofo amparavase na benevolência, na concordânica e no amor, são redefinidas mais tarde por Agostinho como sendo obra de Deus, sustentada na fé comum, cristã. A reorientação trazida pelo bispo de Hipona colocou, assim, o critério de distinção dos bons ou maus afetos ou paixões na aproximação ou afastamento em relação às coisas divinas e às virtudes. Nesse sentido, sendo as emoções um ato da vontade, seu valor, desde então, passou a depender do seu uso, e não delas em si mesmas, como pensavam os estóicos e o próprio Cícero.

No entanto, para além das sucessões temporais e de uma história das ideias, Rosenwein apresenta nesta obra o contributo de uma análise sincrônica que adentra o espaço das vivências sociais, completando seu esforço de captar as variâncias. É então que fica mais nítida a noção de “comunidades emocionais”. O livro mostra como as concepções de amor e amizade foram muito centrais para determinados grupos sociais. No primeiro momento de consolidação do poder merovíngio sob Clóvis, por exemplo, afirmava-se entre os nobres a superioridade dos laços familiares e maternais; o amor era o afeto entre irmãos, pais e filhos. Já em comunidades como a dos monges letrados vindos das famílias merovíngias, desvalorizaram-se os laços de sangue em defesa do ideal de desapego e o abandono da vida familiar; ali, o amor referia-se estritamente a Deus. Mais tarde, no século VII, novas normas emocionais conduziram a vida cortesã: quando os nobres alcançam maior independência perante os reis francos, o amor associou-se mais à amizade e à fidelidade do que aos vínculos sanguíneos. Voltando-se em seguida para os séculos XII e XIII, vemos como duas comunidades contemporâneas preocuparam-se com esses sentimentos. Entre os cistercienses ingleses de Rievaulx, o monge Aelred colocou sua ênfase no amor e na compaixão como vias para Deus, bem como na diferenciação entre amor e caritas, um mundano, e o outro mais nobre, espiritual. No mesmo período, para a comunidade guerreira dos condes de Toulouse, a afirmação das fidelidades não sanguíneas foi ainda mais decisiva e aparente nas manifestações de afeto. Enquanto para os condes o amor estava na fidelidade entre os pares, para os trovadores dessa mesma corte – transpondo as ansiedades sobre a traição do campo político para o das relações amorosas e sexuais –, referia-se à relação homem e mulher e se apresentava como fonte de desapontamento.

O atrativo de Generations of Feelings não está apenas em seu conteúdo, ou melhor, em sua elucidação de configurações históricas particulares, mas também em suas escolhas teóricas e metodológicas. Barbara Rosenwein escapa à fixidez da noção de “mentalidade” com sua proposta das “comunidades” ou “regimes emocionais”, que em seu livro não se assemelham a conceitos fixos e apriorismos, mas apresentam-se mais como formas de descrever uma dinâmica histórica que envolva a diversidade, a convivência e as sobreposições de padrões ou regimes diferentes. As comunidades emocionais não são isoladas nem homogêneas, nos termos da própria historiadora, “nenhuma sociedade fala a partir de uma única voz”; por isso, opta por explorar os grupos que considera mais representativos, a partir de um método de amostragem. Além disso, essas comunidades também são explicadas e criadas por teorias que as antecedem. Assim, sem pensar a partir de um fio trans-histórico, Rosenwein concilia sincronia e diacronia ao chamar a atenção para a disponibilidade e a potencialidade tanto das tradições mais antigas como das mais atuais, como a estoica e a cristã, que vão sendo sedimentadas em “gerações de sentimento”. Por outro lado, a autora esclarece que as persistências não excluem o fato de certas comunidades emocionais de mesmo um período não adotarem essas heranças da mesma maneira. O livro tem, portanto, o mérito de explanar as teorias sobre os afetos a partir dos parâmetros e critérios elaborados em seus tempos próprios, e não dos critérios prévios e externos do historiador, como feito por correntes historiográficas anteriores. Em outras palavras, quando fala em amor, medo ou compaixão, Rosenwein não pressupõe uma ideia sobre estes afetos, mas desdobra o que significou para um grupo específico, dentro de um enunciado específico, que relações estabelece com outros sentimentos, que carga de sentido carregam naquele contexto, relações estas que são casuais e não necessárias.

Todavia, ao explorar a subjetividade nas relações públicas e de poder, em documentos formais, como escrituras e contratos, a autora, apesar de cumprir o seu intento de abdicar da ideia de que as emoções se circunscrevem ao âmbito privado, envereda, com isso, por uma questão que já muito foi muito explorada – por exemplo, por Paul Veyne.4 A quebra do livro em capítulos que ora tratam de uma sociedade, ora descrevem longamente a teoria de um pensador, também podem constituir um ponto negativo, porque torna a obra um tanto desigual. Outro aspecto da análise que pode ser problemático, é que, embora a autora se preocupe em minimizar o peso anacrônico do termo “emoções”, inexistente até a modernidade – quando elenca, por exemplo, os termos usados na antiguidade e na Idade Média como “perturbações”, “afetos”, “afeições”, “paixões”, “movimentos da alma”, salientando que se “aproximam” do que nós hoje chamamos de “emoções” –, a insistência em falar “emoções” pode por vezes supor um conceito trans-temporal. Por outro lado, com o cuidado de evitar o anacronismo e de se desviar da impressão de que os valores e demais componentes das emoções são invariantes, o exame cuidadoso do vocabulário apresenta-se como um aspecto louvável do trabalho de Rosenwein. A historiadora oferece uma minuciosa listagem das palavras em língua latina e vernácula (inglês e francês) empregadas com mais frequência em enunciados de um grupo social, para referir a certas emoções, e elenca seus sentidos aproximados em cada situação. Assim, mesmo que as palavras sejam as mesmas, vemos como são preenchidas com significados muito diversos em cada caso.

Sendo assim, estamos diante de uma publicação importante onde se podem perscrutar os rumos da historiografia mais recente, os problemas que enfrenta e as soluções que encontra. Como definiu a autora, trata-se de uma “uma narrativa de continuidade e mudança”, sobre as maneiras nunca perenes com que se pensou a composição humana e suas disposições interiores, a psicologia e a antropologia. Qualquer que seja o seu campo de interesse, todo historiador pode se ver diante de descrições e expressões de afetos ou sentimentos, que de modo algum são irrelevantes para a compreensão de outros aspectos da sociedade que investiga; não apenas o historiador das emoções deve estar disposto a considerar os sentidos contingentes delas.

Notas

1 Destaco as publicações: BOQUET, Damien; NAGY, Piroska. Les sujets des émotions au Moyen Âge. Paris: Beauchesne, 2008; BOQUET, Damien; NAGY, Piroska. Sensible Moyen Âge: une histoire des émotions dans l´occident médieval. Paris: Seuil, 2015; KNUUTTILA, Simo. Emotions in ancient and medieval philosophy. Oxford/New York: Oxford University, 2004; DIXON, Thomas. From passions to emotions: the creation of a secular psychological category. Cambridge: Cambridge University Press, 2003.

2 Como é possível notar em alguns textos de Aron Gurevitch, como La naissance de l´individu dans l´Europe médiévale.

3 Como já apontado por outros estudiosos como Thomas Dixon, essa oposição é uma especificidade ocidental moderna. A ideia das emoções como algo não cognitivo, voluntário e corporal, oposto à racionalidade, é muito recente e resulta de um processo em que a tipologia dos afetos, apetites ou paixões foi condensada na categoria mais ampla das “emoções”, a partir do século XIX, com a secularização da psicologia.

4 Ver VEYNE, P.; VERNANT, J.-P; DUMONT, L.; RICOEUR, P.; DOLTO, F. VARELA, F.; PERCHERON, G. Indivíduo e Poder. Lisboa: edições 70, 1988.

Letícia Gonçalves Alfeu de Almeida – Universidade Estadual Paulista (UNESP). E-mail: leticiaalfeudealmeida@gmail.com


ROSENWEIN, Barbara H. Generations of feeling: a history of emotions, 600-1700. Cambridge: Cambridge University Press, 2016. Resenha de: ALMEIDA, Letícia Gonçalves Alfeu de. Brathair – Revista de Estudos Celtas e Germânicos. São Luís, v.18, n.1, p. 253- 259, 2018. Acessar publicação original [DR]

O que o patrimônio muda (I) / História – Questões & Debates / 2018

This collection of papers, featured in two issues of História: questões e debates, is the result of discussions held at the 2016 Association for Critical Heritage Studies (ACHS) conference in Montréal, Canada. Over two days, participants from seven countries and four indigenous nations (referred to as First Nations in Canada) presented a diverse array of papers. These meetings were an appropriate venue to bring together these scholars, as the ACHS strives to study heritage as a field of critical inquiry, challenging more conservative views, while encouraging inclusive, participatory practices. The ACHS Manifesto prepared for the 2012 conference suggests “the integration of heritage… with studies of memory, public history, community, tourism, planning and development… while increasing dialogue and debate between researchers, practitioners and communities.” Furthermore, it seeks to democratise “heritage by consciously rejecting elite cultural narratives and embracing the heritage insights of people communities and cultures that have traditionally been marginalised in formulating heritage policy… thereby including diverse non-Western cultural heritage traditions.”[1] Like many archaeologists, we feel that the ACHS Manifesto expresses how we hope archaeology will evolve as a discipline. Since the 2000s, an increasing amount of scholarship is devoted to decolonising the humanities, encouraging training and collaboration with First Nations (ATALAY, 2006; CHALIFOUX and GATES ST-PIERRE, 2017; LYDON and RIZVI, 2010; SAILLANT et al. 2011), as well as creating a more collaborative, or public, archaeology (see the journal Public Archaeology; MATSUDA and OKAMURA, 2011; MOSHENKA, 2017; SKEATES et al., 2012). While most archaeology is robustly multi-disciplinary, a decidedly Western narrative continues to dominate archaeological practice.

In proposing a session that corresponded to the ACHS 2016 theme What does heritage change? and in the spirit of the ACHS 2012 Manifesto, we argued that archaeology, in going above and beyond the traditional goals of research and post-excavation analyses, may indeed contribute to education and to the creation of identities and communities. Our session began with papers on how the practice of archaeology is managed and legislated. Regardless of planned outcomes, the legislation and management of buried heritage is a key part of the archaeological process. Archaeological sites are managed by multiple forms and branches of legislation at the local, regional, provincial / state, and national levels. Competing and at times conflicting interests, poor funding, and weak legislation may hinder the proper integration of archeological heritage in the planning and management of cities, First Nations lands, outlying regions slated for development, and parklands. Four papers and two case studies present some of these shared challenges while also highlighting archaeological success stories.

Desrosiers’ paper outlines how archaeology is legislated and practiced in the Canadian province of Québec, while Moss discusses management at the municipal level in the city of Québec. They discuss the experiences of archaeologists in a legislative setting that is ambiguous about the roles and responsibilities of different stakeholders. Tanaka’s paper focuses on the complex management of archaeology at the site of Patara, Turkey, and explains how a variety of government bodies apply their specific legislations to the site. The perception of what is an archaeological site has evolved since excavations began at Patara, and Tanaka’s paper grapples with these diverging narratives. Treyvaud and her colleagues from the Abenaki Nation in southern Québec explain the Waban-Aki approach to comanaging cultural heritage and natural resources. Incorporating and exploring a variety of research methodologies, they view archaeology as a means to study the Nation’s past as well as to affirm its presence today.

This volume concludes with the presentation of two case studies. Wang and Nakamura discuss the relatively recent classification of Chinese large-scale archaeological sites and presents us with three examples, while Hesham and Baller focus on Luxor, Egypt, and how archaeology has impacted both the local community and the cultural landscape since the nineteenth century. Their papers propose concrete recommendations for improved management and legislation of these sites that, if applied, would improve the lives of local community members, while also respecting the need to maintain and interpret archaeological sites deemed to be significant symbols of national heritage.

Acknowledgments

We wish to thank all participants in our session and for their lively discussions and their contributions to these volumes. Warm thanks also go to Lucie Morrisset, Université de Québec à Montréal, and the Chair of the 2016 ACHS meetings for the invitation to organize our session. The CELAT research centre of Université Laval, Québec, and the Groupe de recherche en archéométrie at Université Laval generously supported this initiative.

Nota

1. Association for Critical Heritage Studies, 2012 Manifesto, www.criticalheritagestudies.org / history /

Referências

ATALAY, Sonya. Indigenous Archaeology as Decolonizing Practice. American Indian Quarterly, n. 30 (3 / 4), pp. 280-310, 2006.

CHALIFOUX, Éric and Christian GATES ST-PIERRE. Décolonisation de l’archéologie : émergence d’une archéologie collective. Salons Érudit, 2017. salons.erudit.org / 2017 / 08 / 01 / decolonisation-de-larcheologie /

LYDON, Jane and Uzma Z. RIZVI (eds.) Handbook of Postcolonial Archaeology. New York: Taylor and Francis, 2010.

MATSUDA, A., and OKAMURA, K. Introduction: New Perspectives in Global Public Archaeology. In: A. Matsuda and K.Okamura, (eds). New Perspectives in Global Public Archaeology. London: Springer, pp. 1–18, 2011.

MOSHENSKA, G. Key Concepts in Public Archaeology. London: UCL Press, 2017.

SAILLANT, Francine, KILANI, Monder and Florence Graezer BIDEAU, (eds.). Le Manifeste de Lausanne : pour une anthropologie non hégémonique. Montréal, Québec : Éditions Liber, 2011.

SKEATES, Robin, MCDAVID, Carol and J. CARMAN (eds.), The Oxford Handbook of Public Archaeology. Oxford: Oxford University Press, 2012.

Allison Bain – Professors of Archaeology, CELAT, Université Laval, Québec, QC, CANADA, G1V 0A6. E-mail: allison.Bain@hst.ulaval.ca

Réginald Auger


BAIN, Allison; AUGER, Réginald. Introduction.História: Questões e Debates. Curitiba, v.66, n.1, jan. / jun., 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

AbeÁfrica | ABEA | 2018

Abe Africa

A AbeÁfrica: revista da Associação Brasileira de Estudos Africanos (Rio de Janeiro, 2018-), publicação semestral da Associação Brasileira de Estudos Africanos publica trabalhos inéditos desenvolvidos em torno dos Estudos Africanos em perspectiva interdisciplinar, envolvendo campos do conhecimento tais como a Antropologia, Ciência Política, Educação, Geografia, História, Literatura e Crítica Literária, Relações Internacionais, Sociologia e outros.

Periodicidade semestral.

Acesso livre.

ISSN 2596-0873

Acessar resenhas

Acessar dossiês

Acessar sumários

Acessar arquivos

This Vast Southern Empire: Slaveholders at the Helm of American Foreign Policy – KARP (PR-RDCDH)

KARP, M. .This Vast Southern Empire: Slaveholders at the Helm of American Foreign Policy. Cambridge: Harvard University Press, 2016. 360p. Resenha de: CAPRICE, K. Panta Rei. Revista Digital de Ciencia y Didáctica de la Historia, Murcia, p. 187-188, 2018.

In This Vast Southern Empire, Matthew Karp steps back from the previous historiography of the slaveholding antebellum South, a historiography that situates slaveholders as antiquated and inward looking, and, instead, Karp sees a slaveholding Southern elite looking outward in an attempt to enshrine their vision of modernity: a world economy run on slave labor. Karp bookends his study with the 1833 British emancipation of the West Indies, seen by Southerners as a global threat to the proliferation of slavery, and the creation and ultimate failure of the Confederate States of America, which Karp deems the “boldest foreign policy project of all” (p. 2). In this fresh take, Karp argues that, from 1833 to 1861, Southern elites eagerly utilized Federal power to secure the safety of slavery, not just in the United States, but throughout the Western Hemisphere.

By looking globally, Karp provides new and broader understandings to events previously seen as having only insular motivations. American interest in Cuba was less about the expansion of American slavery, Karp argues, and more about blocking the expansion of British anti-slavery, what Karp brilliantly terms as the “nineteenth-century domino theory” (p. 70). In a similar vein, Karp shows that Polk’s decision to push for war with Mexico, while pursuing peace with Great Britain over the Oregon question, was at least partially due to the fact that war with Mexico would not put the institution of slavery at risk. Insights from Karp’s global perspective do not end with the antebellum period, but extend into the policies of the Confederate government. As Karp explains, the immediate Confederate abandonment of the states’ rights platform was presaged by the Southern embrace of Federal power during their antebellum reign over American foreign policy. Through his argument, Karp provides yet another nail in the coffin which so securely holds the myth that the Civil War was fought for states’ rights rather than slavery.

In the epilogue, Karp closes by considering the imperialism of the 1890s as merely a continuation of the Southern elite’s original vision. Karp’s assessment, one deserving of far greater treatment, provides a steady timeline of white supremacy, framed originally as pro-slavery, and its position as the driver of American foreign policy. Previous views of the antebellum South as outmoded and inflexible, Karp makes astoundingly clear, dangerously underestimate a sectionalist dream of modernity with global reach. Along with a new understanding of the South, Karp also reframes the antebellum period, providing a transtemporal reassessment of the period typically considered “the coming of the Civil War.” Karp reimagines the early nineteenth century South as a growing slave empire from 1833 onward, an empire which required Republican success in politics and Union victory in war to overthrow, an assessment that is as imaginative as it is successful.

In the field of Civil War studies, which can at times view national borders as opaque and impassable, Karp’s work may be seen as so concerned with looking outward that it obscures the internal, but such criticism would be short sighted. Karp is adding to a historiography which is more than adequately saturated with examinations of the domestic struggles that eventually brought about war. David M. Potter’s 1977 The Impending Crisis, for example, is widely considered a masterwork on the coming of the Civil War, and it was certainly not the first or last published on the subject. Karp’s voice is a welcome addition, and his arguments should help convince many in the field to look beyond the black box in which we occasionally place ourselves while studying the Civil War.

Kevin Caprice – Purdue University.

Acessar publicação original

[IF]

O livro didático de geografia e os desafios da docência para a aprendizagem | Maria Ivaine Tonini

1   INTRODUÇÃO

A obra é organizada predominantemente por professores vinculados ou que já possuíram vínculo com a Universidade Federal do Rio Grande do Sul, como Ivaini Maria Tonini, Lígia Beatriz Goulart, Roselane Zordan Costella e Rosa Elisabete Militz Wypyczynski Martins, além de Manoel Martins de Santana Filho, professor na Faculdade de Formação de Professores da Universidade Estadual do Rio de Janeiro.

Como o próprio título indica, o conteúdo do livro não pretende apresentar receitas prontas para o trabalho com livros didáticos, mas nos leva a refletir sobre o papel desse recurso didático na prática docente em Geografia, de forma a contribuir no processo de ensino-aprendizagem. A obra é dividida em três blocos, cujos artigos são descritos a seguir. Leia Mais

Deslocamentos Humanos. Decisões e Conflitos / Cordis – Revista Eletrônica de História Social da Cidade / 2018

A Revista Eletrônica “Cordis” é uma publicação do Núcleo de Estudos de História Social das Cidades (NEHSC), vinculado ao Departamento de História e ao Programa de Estudos Pós-Graduados em História, da Pontifícia Universidade Católica de São Paulo. O NEHSC completou 27 anos de existência dedicados ao conhecimento das cidades, suas histórias e memórias, suas tramas e necessidades, com base em pesquisas documentais realizadas em acervos públicos e privados, em depoimentos orais e fotografias, além de estudos da bibliografia existente sobre as cidades e suas formações, conflitos e perspectivas.

A presente publicação é um Dossiê temático intitulado Deslocamentos Humanos. Decisões e Conflitos, dedicado aos processos migratórios em suas diversas dimensões: internos, transoceânicos ou transfronteiriços. Objetiva apresentar reflexões sobre os motivos que levam as pessoas a partirem de seus locais de origem e as situações vivenciadas na nova sociedade.

Para compôr a publicação em referência, foram convidados docentes e pesquisadores, de variadas instituições acadêmicas nacionais e internacionais, na maioria doutores, que se debruçam nos estudos e pesquisas sobre os deslocamentos humanos, em seus diversificados motivos, como também nas contribuições que os migrantes e ou imigrantes podem trazer à a sociedade que os recebem.

O Dossiê foi organizado em quatro partes. A Parte 1 é composta pelos artigos que tratam das decisões em deixar o “locus” de origem e os motivos da partida dos indivíduos para um novo lugar, muitas vezes desconhecido. A Parte 2 relaciona os deslocamentos humanos e a gastronomia, ou seja, trata da cultura gastronômica. A Parte 3 prioriza os conflitos, apresentando uma análise dos fatores que levaram as pessoas a partirem para o desconhecido. A Parte 4 focaliza a educação dos e / imigrantes no contexto da formação dos indivíduos na nova sociedade, ou seja, na sociedade de acolhida. Para completar a presente publicação foi incluído o item Homenagem, dedicado ao professor Dr. José Renato de Campos Araújo (in memoria), professor de USP – Leste, que dedicou sua vida aos estudos migratórios. Finaliza o Dossiê com a Resenha do livro Rimbaud: um poeta perdido na Europa e que se encontrou na África (1880-1891).

Organizar uma publicação não é uma tarefa fácil, é um desafio. Neste momento, gostaria de agradecer o convite feito pela Profa. Dra. Yvone Dias Avelino, fundadora do NESCH e Diretora da CORDIS, em organizar o volume 20 da revista, acreditando no meu trabalho. Não poderia deixar de agradecer aos autores dos artigos que compõem o presente volume, que se dedicam aos estudos relacionados aos processos migratórios e atenderam, prontamente, ao convite recebido de submeterem seus artigos à CORDIS. É importante destacar o trabalho realizado pelo Comitê Avaliador que realizou uma leitura minuciosa dos artigos e, algumas vezes, apontando sugestões que foram encaminhadas aos autores, de modo que a composição desta publicação fosse sendo aprimorada.

Esperando que os artigos aqui apresentados possam dar origem a novas reflexões e suscitar novas pesquisas, gostaria de externar meus sinceros agradecimentos a todos que participaram do trabalho para que o volume 20 da Revista CORDIS pudesse vir a público.

Arlete Assumpção Monteiro – Professora Doutora

Organizadora do presente volume da Revista Cordis Professora Titular PUC-SP


MONTEIRO, Arlete Assumpção. Apresentação. Cordis – Revista Eletrônica de História Social da Cidade, São Paulo, n. 20, jan. / jun., 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Análise de Discurso Crítica – MAGALHÃES (B-RED)

MAGALHÃES, I; MARTINS, A. R.; RESENDE, V. M. Análise de Discurso Crítica: um método de pesquisa qualitativa. Brasília: Editora da UnB, 2017. 260 p. Resenha de: ARGENTA, Júlia Salvador. Bakhtiniana – Revista de Estudos do Discurso, v.13 n.1 São Paulo Jan./Apr. 2018.

A obra Análise de Discurso Crítica: um método de pesquisa qualitativa, de Izabel Magalhães, André Ricardo Martins e Viviane de Melo Resende, lançada em 2017 pela editora da Universidade de Brasília, é uma contribuição aos estudos de Análise de Discurso Crítica/ADC, principalmente quanto aos aspectos metodológicos. Sendo uma área de estudo relativamente nova, com sua consolidação nos anos de 1980, a ADC surge como uma teoria e um método capazes de interpretar qualquer texto, superando a Linguística Crítica/LC (MAGALHÃES, 2005)1. Fairclough é um dos precursores deste campo, tendo publicado diversos trabalhos, tanto analíticos quanto teóricos (por exemplo, FAIRCLOUGH, 20032; 20103). Outros estudiosos importantes para a ADC em esfera mundial são Teun A. Van Dijk, Theo Van Leeuwen e Ruth Wodak, para citarmos alguns.

Izabel Magalhães, em seu livro Eu e tu: a constituição do sujeito no discurso médico, publicado em 20004, desenvolveu o termo etnografia discursiva, uma proposta metodológica que une Análise de Discurso Crítica e pesquisa etnográfica. Desde então, orientou diversos estudantes de pós-graduação a adotarem tal método em suas pesquisas. Porém, até agora, não havia sido publicado nenhum livro que abordasse exclusivamente a etnografia discursiva enquanto método da ADC. Por isso, a obra em questão vem para preencher essa lacuna e para contribuir ainda mais com o debate da ADC. Para que isso fosse possível, os autores dividiram o livro didaticamente em três partes: Um método de pesquisa qualitativa para a crítica socialAnálise de Discurso Crítica e etnografia e Um método de análise textual.

Na primeira parte da obra, os autores justificam suas escolhas pela abordagem etnográfico-discursiva em estudos discursivos críticos através da recapitulação dos principais trabalhos desenvolvidos em ADC. Afirmam que, apesar de serem importantíssimos para a ADC, as análises apresentadas são puramente textuais. Para os autores, uma análise mais consistente e válida precisa da etnografia como ponte de acesso a práticas sociais e discursos, permitindo, consequentemente, maior compreensão da produção, distribuição e consumo de textos. “Textos são objetos que constroem significados para as pessoas, relacionando-se com outros objetos do contexto local e mesmo translocal” (p.35). Assim, a ADC não é apenas um campo teórico, mas sim, um método de pesquisa qualitativa capaz de produzir crítica social.

Outro aspecto presente na obra que se faz cabal destacar é que os autores asseveram a necessidade da transdisciplinaridade em estudos discursivos críticos e de se conhecer discussões teóricas de outras áreas a respeito da modernidade tardia, da globalização, do poder, da ideologia (conceitos basilares da ADC) e de outros componentes teórico-sociais que se fizerem relevantes. Ademais, os autores chamam atenção para a urgência de se debater a relação entre linguagem e sociedade, com especial interesse nos efeitos sociais dos textos nas práticas sociais e discursivas. Portanto, a transdisciplinaridade, bem como o debate da relação linguagem-sociedade vão ensejar a articulação eficaz da análise textual com a análise de caráter social, que facilitará, por sua vez, o processo de reconhecer o papel do discurso e de outras semioses na preservação de interesses.

A segunda parte foi dedicada a explicar a abordagem metodológica da etnografia discursiva. Os autores recuperam a discussão de Chouliaraki e Fairclough (1999)5 sobre modernidade tardia, à luz de trabalhos de Giddens, Harvey e Habermas, para elucidar como se faz necessário que entendamos o papel do discurso nessa “nova” conjuntura social. As práticas discursivas são, então, formas de acessar as práticas sociais, para fim de desvelar ideologias e práticas hegemônicas de abuso de poder. A partir do reconhecimento dessa potencialidade das práticas discursivas, elas podem vir a ser utilizadas a favor da igualdade social e da democracia, para conseguir a tão desejada mudança social. Isso quer dizer que a linguagem se constitui como uma forma simbólica de luta. Resgatamos aqui o trabalho de Resende (2012)6, em que afirma que a ADC é um campo teórico-metodológico com especial interesse em examinar o discurso em situações de desigualdades sociais e que possui caráter posicionado, isto é, os pesquisadores assumem parcialidade.

Assim, os autores apresentam a etnografia articulada à ADC como método eficaz para estabelecer ligação entre textos, práticas discursivas e práticas sociais. Essa ligação proporciona a compreensão da estrutura social hegemônica que, por sua vez, molda e constrange tais textos, práticas sociais e práticas discursivas. Como proposta do livro, os autores, então, ensinam a planejar uma pesquisa articulando ADC e etnografia. Eles novamente reiteram a necessidade da inter e transdisciplinaridade nos estudos da ADC e esclarecem que uma pesquisa consistente, capaz de compreender e analisar os dados coletados e gerados, precisa ter decisões ontológicas e epistemológicas e escolhas metodológicas coerentes, que são feitas gradativamente. Primeiramente, são tomadas decisões ontológicas, que estão ligadas ao mundo social (estruturas, práticas e ações sociais e tudo o mais que esteja envolvido nelas), depois são escolhidos aportes epistemológicos, de natureza do conhecimento, a partir dos componentes ontológicos, que, por fim, limitarão as escolhas metodológicas para coleta e geração de dados.

A terceira parte do livro apresenta três análises utilizando o aporte teórico-metodológico da ADC, uma em cada capítulo, com o intuito de ilustrar na prática alguns conceitos, servindo, inclusive, de modelo de como fazer análise de discurso crítica para além da análise puramente textual. Com vistas a não simplificar as análises feitas pelos autores, nem apresentar seus resultados de forma descontextualizada, escolhemos abordar aqui os aspectos teóricos presentes nessa parte. No sétimo capítulo, os autores discutem o termo “democracia” e o que ele implica, bem como apontam que a ADC pode servir de instrumental teórico-prático nas lutas de minorias, e quais aspectos essas lutas devem contemplar para serem eficazes.

Já no oitavo, alguns componentes ontológicos são recuperados, por meio de discussão de conceitos do Realismo Crítico de Bhaskar, adaptados à ADC. Os autores ainda conceituam os termos “práticas sociais” e “discurso”, assim como o que o constitui (estilos, gêneros e discursos – no sentido mais concreto do termo). O intuito é explicitar que nem tudo é discurso nas práticas sociais, pois elas são compostas de outros elementos, tais como crenças, valores, desejos, relações sociais e atividade material. O último capítulo do livro é uma versão do artigo escrito por Izabel Magalhães, ao periódico Linha D’água em 20117. Nele, há a discussão sobre linguagem, poder, letramentos e identidades relacionados a questões de gênero em nossa sociedade, através da análise de uma reportagem cobrindo um gravíssimo caso de violência contra mulher.

De leitura instigante e fluida e de organização didática e gradual dos capítulos, a obra de Izabel Magalhães, André Ricardo Martins e Viviane de Melo Resende, apesar de não ser uma leitura introdutória, certamente atinge a todos os públicos, desde iniciantes nos estudos do discurso, quanto profissionais da área. Sua importância por propor um “novo” método de se fazer pesquisa qualitativa é incomensurável, representando avanços não só metodológicos quanto epistemológicos. Entendemos que a etnografia discursiva já existe há quase vinte anos; no entanto, como dito anteriormente, essa é a primeira obra dedicada completamente a discuti-la, visando sua descrição e ensino, tornando-a acessível a estudantes e pesquisadores de diversas áreas de estudo de todas as regiões do país.

Por ser uma obra tão inovadora, é compreensível que haja lacunas a serem preenchidas e aspectos a serem desenvolvidos. Por exemplo, acreditamos que obras futuras possam dedicar uma seção para a descrição de alguns instrumentos disponíveis para realização de pesquisa etnográfico-discursiva e de algumas posturas que o/a pesquisador/a deve adotar durante a pesquisa de campo. Em outras palavras, sentimos que a discussão de como fazer etnografia discursiva pode vir a ser aprofundada. Por isso, é importante que os mais diversos estudiosos, dos mais diversos campos do conhecimento, leiam o livro e adotem a ADC em seus estudos, para fim de desenvolvê-la, tornando-a cada vez mais transdisciplinar e profícua, contribuindo progressivamente com a mudança social.

Referências

1 MAGALHÃES, I. Introdução: a análise de discurso crítica. In: D.E.L.T.A. vol.21 nº. Especial, São Paulo 2005, p.1-9. [ Links ]

2 FAIRCLOUGH, N. Analysing Discourse: Textual Analysis for Social Research. London: Routledge. 2003. [ Links ]

3 FAIRCLOUGH, N. Critical Discourse Analysis: the Critical Study of Language. 2. ed. Harlow: Pearson, 2010 [ Links ]

4 MAGALHÃES, I. Eu e tu: a constituição do sujeito no discurso médico. Brasília: Thesaurus, 2000. [ Links ]

5 CHOULIARAKI, L.; FAIRCLOUGH, N. Discourse in Late Modernity: Rethinking Critical Discourse Analysis. Edimburgo: Edinburgh University Press, 1999. [ Links ]

6 RESENDE, V. M. Análise de discurso crítica como interdisciplina para a pesquisa social: uma introdução. In: Iran Ferreira de Melo. (Org.). Introdução aos estudos críticos do discurso: teoria e prática. 1ed. Campinas: Pontes, 2012, pp.99-112. [ Links ]

7 MAGALHÃES, I. Textos e práticas socioculturais: discursos, letramentos e identidades. Linha D’Água, São Paulo, v.24, n.2, p.41-57, dec.2011. Disponível em: <http://www.revistas.usp.br/linhadagua/article/view/37356/40076>. Acesso em: 25 sep. 2017. [ Links ]

Júlia Salvador Argenta – Universidade de Brasília – UnB, Brasília, Distrito Federal, Brasil; julia.argenta@gmail.com.

História e música / História – Debates e Tendências / 2018

Sófocles [1], logo no início de sua tragédia mais famosa, introduz um personagem crucial para explicar as atribulações que cercam Édipo. O personagem é Tirésias, um velho adivinho (e figura recorrente na mitologia grega) que chega conduzido por um menino. Interessado em descobrir o assassino do Rei Laio e salvar Tebas, Édipo interpela Tirésias sobre o que sabe a respeito. O diálogo é ríspido e logo tira a paciência de Édipo, pois Tirésias se recusa a revelar qualquer coisa. É então que Édipo usa um argumento surpreendente, acusando Tirésias de ser o articulador do crime, dada sua recusa em colaborar: “Pois bem. Não dissimularei meus pensamentos, tão grande é minha cólera. Fica sabendo que em minha opinião articulaste o crime e até o consumaste!”. Depois da acusação, Tirésias “vira o jogo”; de “encurralado” pelas insinuações maldosas passa a assumir a condição de agente da “impávida verdade” e põe “na mesa” aquilo que Édipo jamais sonhara: “Pois ouve bem: és o assassino que procuras!”; e, na sequência, referindo-se ao casamento incestuoso com Jocasta: “Apenas quero declarar que, sem saber, manténs as relações mais torpes e sacrílegas com a criatura que devias venerar, alheio à sordidez de tua própria vida!”. Leia Mais

Região e Fronteiras / História – Debates e Tendências / 2018

A noção de fronteira apresenta um conteúdo polissêmico, pois seu significado varia de acordo com o campo em que este conteúdo é produzido e em consequência das mais diferentes linhas teórico-metodológicas adotadas pelos estudiosos. Para os historiadores, normalmente as fronteiras são entendidas no seu sentido tradicional de fronteiras políticas, bem como no sentido de locus do encontro de culturas diferentes.

No atual cenário socioeconômico decorrente da globalização, as fronteiras revelam um mundo poroso e complexo, marcado por relações que se alimentam de um conjunto de fatores para além do econômico-financeiro. Multiplicam-se fluxos de população; as regiões tornam-se mais móveis; e as fronteiras, mais deslizantes, mais multiculturais e interligadas, evidenciando as diferenças raciais, culturais, religiosas, econômicas e históricas. Leia Mais

A invenção da natureza. A vida e as descobertas de Alexander von Humboldt

Apenas um ano depois do lançamento do original em inglês, a editora Planeta e o tradutor Renato Marques brindam-nos com uma obra indispensável para todos aqueles interessados em história das ciências e da geografia. A invenção da natureza. A vida e as descobertas de Alexander von Humboldt é uma pesquisa bibliográfica e arquivística de fôlego cuja narrativa seduz o leitor da primeira à última página. Méritos para a autora, cuja escrita parece ter sido cuidadosamente elaborada — com destaque para a forma como ela posiciona as citações. São frases tão pequeninas quanto eloquentes cujo efeito é o de fazer parecer que estamos a conversar diretamente com Humboldt, Goethe, Bonpland, Darwin, Muir. Elogios também para o tradutor, que logrou a proeza de manter a fluidez e a elegância da versão original.

Baseado em nossa experiência como professor de História e Epistemologia da Geografia, cumpre confessar que Alexander von Humboldt (1769-1859) nunca foi tarefa fácil. Grosso modo, a impressão passada pela literatura acadêmica é a de que, a despeito de sua inquestionável erudição, seu projeto científico foi “ultrapassado” pela progressiva especialização disciplinar exigida pela institucionalização da geografia universitária. Todavia, as menções a ele são incontornáveis dentre os representantes franceses (Paul Vidal de la Blache), ingleses (Andrew J. Herbertson) e norte-americanos (Richard Hartshorne). Leia Mais

O Brasil e Cuba, 1889/1902- 1929: o debate intelectual sobre as relações raciais | Pedro Alexander Cubas Hernández

Em 28 de novembro de 1939, no anfiteatro Enrique José Varona da Universidade de Havana, Fernando Ortiz encerrava um ciclo de conferências que tinha sido organizado pelo grêmio estudantil Iota Eta. O título da última palestra não poderia ser mais revelador: “Os fatores humanos da cubanidade”. Nela, Ortiz sintetizava que o cubano não podia ser definido pelo fator étnico, mas sim “pela peculiar qualidade de uma cultura, a [cultura] de Cuba”.1 Leia Mais

Racismo em português: o lado esquecido do colonialismo | Joana Gorjão Henriques

Entre os séculos XVIII e XIX, vários viajantes estrangeiros que passaram por Lisboa descreveram, frequentemente com grande incômodo, o que lhes parecia uma característica extravagante da capital do Reino de Portugal: uma presença considerável de gente negra. Só para destacar um, entre tantos registros expressivos, o italiano Giuseppe Barreti, que esteve em Lisboa em 1760, não escondeu sua perturbação diante da quantidade de negros e mulatos que “formigavam em todo canto” da cidade. A multidão de gente de cor permanecia numericamente expressiva no início do século XIX. Segundo cálculos coevos, em 1801, os negros eram cerca de 15.000, de um total de 220.000 moradores da cidade de Lisboa. Isso de fato particularizava a capital de Portugal em comparação com outras grandes cidades e capitais da Europa, cuja presença negra não alcançava proporções semelhantes.1 O fenômeno, menos expressivo em termos demográficos, também podia ser observado em outras cidades do reino, como Porto, Faro e Évora. Entretanto, a história dos descendentes de africanos no sul da Europa em geral, e particularmente em Portugal, começa muitos séculos antes. Embora, em termos cronológicos e geográficos, as pesquisas sobre o tráfico de escravos e a escravidão em Portugal2 ainda sejam modestas e circunscritas, investigações recentes têm demonstrado que, já no início do século XVI, algo entre 15% e 20% da população de Lisboa “tinha nascido na África ou era de origem africana”.3 Leia Mais

Before Boas: The Genesis of Ethnography and Ethnology in the German Enlightment | Han F. Vermeulen

Before Boas é daqueles livros cuja leitura produz diferentes efeitos e reverberações, não apenas quanto ao material, cenários e interpretações propostas pelo autor, mas também pelos desafios e implicações teóricas e analíticas daquilo que é apresentado e na maneira pela qual se o faz. Leia Mais

Gênero, Poder e Espaço / Revista Espacialidades / 2018

As reflexões sobre gênero possuem ligação histórica íntima com o movimento Feminista. De acordo com a historiadora Joana Maria Pedro, o processo de construção da categoria de gênero acompanha a luta por direitos civis e humanos, tendo assumido novas dimensões na conjuntura social da segunda onda do movimento feminista (1960-1980), quando tal conceito emergiu nos estudos na área das humanidades, a partir dos anos 1980.

A noção de gênero foi então sendo desnaturalizada, passando a ser compreendida como um conjunto de normas que orientam as ações dos sujeitos no tempo e nos espaços – processo para o qual contribuíram diversos autores, como Judith Butler, Linda Nicholson e Joan Scott. Os padrões que orientam os comportamentos, inclusive os relativos à noção de gênero, estão situados no tecido das relações sociais e de poder. O mesmo acontece na produção e apropriação dos espaços. Deste modo, nossa proposta com o dossiê Gênero, Poder e Espaço é debater como as categorias de gênero e poder se interseccionam na produção do espaço (quer o espaço material, onde se enquadram categorias como o urbano e rural, a fronteira, o território, o público e o privado, quer o espaço simbólico, onde se encontram o espaço imaginado ou sonhado, as representações artísticas, entre outros). Dentro dessa temática recebemos artigos com temporalidade diversa que articulam a categoria de gênero a outros conceitos, tecendo assim novas narrativas e lançando novos olhares para seus objetos dentro de suas respectivas pesquisas históricas.

Agradecemos imensamente aos membros do Conselho Consultivo que com muita generosidade, celeridade e, acima de tudo, competência, contribuíram com pareceres sérios e consistentes que garantiram a qualidade do presente dossiê “Gênero, poder e espaço”, o qual passamos agora a apresentar.

Abrimos o dossiê com o artigo Operárias da companhia fiação e tecidos pelotense e suas táticas de gênero (1944- 1954) de Eduarda Borges da Silva, doutoranda no Programa de Pós-Graduação em História da Universidade Federal do Rio Grande do Sul (UFRGS), onde através dos processos da Justiça do Trabalho de Pelotas, salvaguardados no Núcleo de Documentação Histórica da Universidade Federal de Pelotas (UFPel), observou-se pleitos de operárias da Companhia Fiação e Tecidos Pelotense, entre 1944-1954, utilizando dos conceitos de ideologia da domesticidade e táticas de gênero, a autora buscou descrever e compreender os dissídios em que o dilema da dupla jornada da trabalhadora (divisão entre a fábrica e o lar), ocorreu e porque estas mulheres operárias, mães, esposas, donas-de-casa apropriaram-se ou aceitaram a imagem de “mulheres sacrifícios”.

Em seguida, temos o artigo intitulado “Pensar pela pena que desliza, falar pela boca que se fecha”: Emília Dantas ribas como a primeira romancista dos campos gerais (paraná, 1949) de Caroline Aparecida Guebert, mestre pelo Programa de Pós-Graduação em História da Universidade Federal do Paraná (UFPR). Neste trabalho a autora propõe uma reflexão sobre a trajetória e parte da obra escrita de Emília Dantas Ribas (1907-1978), que atuou como professora, oradora de rádio e escritora entre as cidades de Ponta Grossa e de Curitiba, no Paraná articulando história, literatura e os estudos de gênero.

O terceiro artigo de nosso dossiê temático é de autoria de Giovanna Carrozzino Werneck, Mestra em Letras pelo IFES / Vitória, que com o trabalho Mulheres e charges políticas: a subversão pelo humor nos espaços públicos busca analisar e dar visibilidade a mulheres que produzem (ou produziram) charges políticas no Brasil, discutindo aspectos relativos aos papéis sociais atribuídos a homens e mulheres e aos estudos de gênero.

O próximo artigo intitulado Venha, venha o voto feminino: embates travados na imprensa periódica oitocentista no Rio de Janeiro de Cristiane Ribeiro Mestranda pelo Programa de Pós-Graduação em História da Universidade Federal de Juiz de Fora, é proposto uma análise da discussão sobre o voto feminino travado no Império do Brasil, circulando nos impressos diários da corte a partir da segunda metade do século XIX, atentando para uma perspectiva das relações de gênero e de poder imbricados nos jornais.

Em seguida com o artigo A cozinha das mulheres: de espaço de domesticação ao de empoderamento a partir de saberes e fazeres culinários as autoras Jamile Wayne Ferreira – graduada em Gastronomia pela Universidade do Vale do Rio dos Sinos e Lara Steigleder Wayne – graduanda em Psicologia pela Universidade Federal de Ciências da Saúde de Porto Alegre analisam a partir da relação com a cozinha de mulheres acolhidas em uma Ocupação em Porto Alegre / RS, o poder e o conhecimento cotidiano das guardiãs de uma cozinha minusculizada pela geração da gourmetização, já que o espaço de comando das cozinhas está normalmente relacionado à construção de gênero, onde as práticas relativas ao ato de cozinhar são ora invisíveis, no caso da cozinha doméstica, ora superestimada, no caso da “alta gastronomia”.

O próximo artigo intitulado Gênero e prisão: os impactos do sistema prisional sobre a desigualdade social e invisibilidade da mulher encarcerada no estado de Alagoas as autoras Bruna Araújo de Melo Ferreira e Ialy Virgínia de Melo Baia, graduandas em psicologia pelo Centro Universitário Tiradentes de Alagoas, analisam o sistema prisional de uma maneira histórica, compreendendo a mulher como vítima da violência e da desigualdade de gênero dentro desse espaço, visto que a prisão muitas vezes culminando no processo de invisibilidade do indivíduo, acaba potencializando essa invisibilidade na mulher, uma vez que esta já vivencia essa realidade socialmente, enfatizando os casos das mulheres que estão em regime fechado no Sistema Penitenciário Feminino Santa Luzia, localizado em Maceió.

Finalizando o dossiê temático, temos o artigo Vozes de mulheres: género e cidadania em Angola de autoria de Willi Cardoso Domingos, Licenciado em Sociologia pela Faculdade de Ciências Sociais da Universidade Agostinho Neto, que analisa as implicações sociais da discriminação de género no exercício da cidadania e participação das mulheres em Angola, onde um diálogo entre a sociedade civil e as instituições do Estado, é fundamental, para dinamizar e ampliar a capacidade de exercício da cidadania e participação das mulheres, bem como para a desconstrução da discriminação das mulheres.

Abrindo a sessão livre do nosso dossiê temos o artigo “Ressonâncias no processo de demolição do palácio Monroe”, de autoria do doutorando em Ciências Jurídicas Políticas Daniel Levy Alvarenga (UAL). No artigo o autor discute questões acerca do patrimônio material e sua dimensão imaterial dentro de uma sociedade. Tomando como objeto de analise a demolição do palácio Monroe, busca-se apresentar como ocorreu a demolição e sua respectiva repercussão dentro do âmbito social.

Em seguida temos o artigo intitulado “Do ideal ao real: a construção de uma representação na obra literária a lenda do cavaleiro sem cabeça (1820)” escrito por Samuel Nogueiza Mazza, mestrando em história pela Universidade Federal de Uberlândia (UFU). O autor discute no presente artigo a obra de Washington Irving, A lenda do cavaleiro sem cabeça, sob a perspectiva da teoria da representação de Roger Chartier, traçando assim um paralelo entre os personagens da obra e o contexto histórico vivido por Irvring.

Seguindo, temos o artigo de Rannyelle Rocha Teixeira, mestra em história pela Universidade do Porto. Seu artigo intitula-se “ O sentido da colonização portuguesa: a relação entre colonos nativos africanos no boletim geral das colônias (1933 – 1945)” e busca refletir acerca das aproximações e afastamentos nas relações entre colonizados e colonizadores nas colônias portuguesas na África.

As bandeiras no Estado Novo: o conceito de biodemocracia em A marcha para oeste de Cassiano Ricardo é o nome do próximo artigo da sessão livre. Escrito por Ana Paula Rodrigues, doutoranda em história pela universidade federal do Mato Grosso (UFMT), o texto tem por objetivo discutir o conceito de biodemocracia que é exposto por Cassiano Ricardo.

Fechando a sessão livre, trazemos o artigo de Thiago do Nascimento Torres de Paula, doutor pela Universidade Federal do Paraná (UFPR), que tem como título “Do enjeitado a ouvidor: a trajetória do tenente Joaquim Lino Rangel na freguesia da cidade do Natal, 1760 – 1839”. O objetivo do autor é o de apresentar a trajetória do Tenente Joaquim Lino Rangel.

Ainda compõe neste volume a resenha da obra da obra de Graeme Wood ” A Guerra do fim dos tempos: o Estado Islâmico e o mundo que ele quer” (Cia das Letras, 2017) feita por Katty Cristina Lima Sá, Mestranda em História Comparada pela Universidade Federal do Rio de Janeiro (PPGHC / UFRJ).

No volume 13 da Revista Espacialidades, temos também a entrevista com a professora doutora Márcia Santana Tavares professora e coordenadora do Programa de Pós-Graduação em Estudos Interdisciplinares Mulheres, Gênero e Feminismo – PPGNEIM / UFBA; pesquisadora do Núcleo de Estudos Interdisciplinares sobre a Mulher – NEIM; membro do Observatório pela Aplicação da Lei Maria da Penha – OBSERVE / NEIM / UFBA, que nos falou sobre violência de gênero, a da Lei Maria da Penha e sua relação com o número de denúncias dos casos de violência contra mulher, direitos da mulher e a relação as questões de gênero, relações de poder e espaço na nossa sociedade.

Para finalizar o primeiro dossiê de 2018 a Revista Espacialidades, conta com o corpo documental de fontes históricas em uma de suas sessões. Essas fontes foram catalogadas pelo Programa de Educação Tutorial em História da Universidade Federal do Ceará, tendo como objetivo mapear documentos ligados à compra e venda de escravos no Ceará ao longo do século XIX, entre os anos de 1843 a 1879. O Projeto, intitulado Fundo Documental e Guia de Fontes para a História da Escravidão no Ceará, foi realizado pelos bolsistas do Programa e teve início em 2007, com o mapeamento do corpo documental e catalogação dos mesmos, no qual resultou em fichas / resumo e sistematização desses documentos, concluída em 2012. O projeto catalogou cerca de 12 livros, que se encontram em sua versão original, no Arquivo Público do Estado do Ceará (APEC). É com imenso prazer, e desde já agradecemos ao Programa de Educação Tutorial pela confiança, em especial à Kênia Rios, atual tutora do PET História, à Viviane Nunes e Tayná Moreira, bolsista e egressa, respectivamente, que tiveram salutar importância para esta parceria, que a Revista Espacialidades apresenta aos seus leitores, parte destas fichas / resumos deste primoroso acervo, que possibilita o fomento da pesquisa histórica, dando saber à sociedade deste vil período que macula nossa história.

O editor-chefe e a Equipe editorial da Revista Espacialidades desejam a todos uma boa leitura!

Editor-chefe: Magno Francisco de Jesus Santos

Equipe editorial:

Arthur Fernandes da Costa Duarte – (mestrando do PPGH / UFRN)

Emanoel Jardel Alves Oliveira – (mestrando do PPGH / UFRN)

Jessica Martins Guedes de Souza – (mestranda do PPGH / UFRN)

Lucicleide da Silva Araújo – (mestranda do PPGH / UFRN)

Maria Luiza Rocha Barbalho – (mestranda do PPGH / UFRN)

Matheus Breno Pinto da Câmara – (mestrando do PPGH / UFRN)

Ristephany Kelly da Silva Leite – (mestranda do PPGH / UFRN)

Thaís da Silva Tenório – (mestranda do PPGH / UFRN)


SANTOS, Magno Francisco de Jesus et al. Apresentação. Revista Espacialidades. Natal, v.13, n. 01, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Gênero, Poder e Espaço / Revista Espacialidades / 2018

As reflexões sobre gênero possuem ligação histórica íntima com o movimento Feminista. De acordo com a historiadora Joana Maria Pedro, o processo de construção da categoria de gênero acompanha a luta por direitos civis e humanos, tendo assumido novas dimensões na conjuntura social da segunda onda do movimento feminista (1960-1980), quando tal conceito emergiu nos estudos na área das humanidades, a partir dos anos 1980.

A noção de gênero foi então sendo desnaturalizada, passando a ser compreendida como um conjunto de normas que orientam as ações dos sujeitos no tempo e nos espaços – processo para o qual contribuíram diversos autores, como Judith Butler, Linda Nicholson e Joan Scott. Os padrões que orientam os comportamentos, inclusive os relativos à noção de gênero, estão situados no tecido das relações sociais e de poder. O mesmo acontece na produção e apropriação dos espaços. Deste modo, nossa proposta com o dossiê Gênero, Poder e Espaço é debater como as categorias de gênero e poder se interseccionam na produção do espaço (quer o espaço material, onde se enquadram categorias como o urbano e rural, a fronteira, o território, o público e o privado, quer o espaço simbólico, onde se encontram o espaço imaginado ou sonhado, as representações artísticas, entre outros). Dentro dessa temática recebemos artigos com temporalidade diversa que articulam a categoria de gênero a outros conceitos, tecendo assim novas narrativas e lançando novos olhares para seus objetos dentro de suas respectivas pesquisas históricas.

Agradecemos imensamente aos membros do Conselho Consultivo que com muita generosidade, celeridade e, acima de tudo, competência, contribuíram com pareceres sérios e consistentes que garantiram a qualidade do presente dossiê “Gênero, poder e espaço”, o qual passamos agora a apresentar.

Abrimos o dossiê com o artigo Operárias da companhia fiação e tecidos pelotense e suas táticas de gênero (1944- 1954) de Eduarda Borges da Silva, doutoranda no Programa de Pós-Graduação em História da Universidade Federal do Rio Grande do Sul (UFRGS), onde através dos processos da Justiça do Trabalho de Pelotas, salvaguardados no Núcleo de Documentação Histórica da Universidade Federal de Pelotas (UFPel), observou-se pleitos de operárias da Companhia Fiação e Tecidos Pelotense, entre 1944-1954, utilizando dos conceitos de ideologia da domesticidade e táticas de gênero, a autora buscou descrever e compreender os dissídios em que o dilema da dupla jornada da trabalhadora (divisão entre a fábrica e o lar), ocorreu e porque estas mulheres operárias, mães, esposas, donas-de-casa apropriaram-se ou aceitaram a imagem de “mulheres sacrifícios”.

Em seguida, temos o artigo intitulado “Pensar pela pena que desliza, falar pela boca que se fecha”: Emília Dantas ribas como a primeira romancista dos campos gerais (paraná, 1949) de Caroline Aparecida Guebert, mestre pelo Programa de Pós-Graduação em História da Universidade Federal do Paraná (UFPR). Neste trabalho a autora propõe uma reflexão sobre a trajetória e parte da obra escrita de Emília Dantas Ribas (1907-1978), que atuou como professora, oradora de rádio e escritora entre as cidades de Ponta Grossa e de Curitiba, no Paraná articulando história, literatura e os estudos de gênero.

O terceiro artigo de nosso dossiê temático é de autoria de Giovanna Carrozzino Werneck, Mestra em Letras pelo IFES / Vitória, que com o trabalho Mulheres e charges políticas: a subversão pelo humor nos espaços públicos busca analisar e dar visibilidade a mulheres que produzem (ou produziram) charges políticas no Brasil, discutindo aspectos relativos aos papéis sociais atribuídos a homens e mulheres e aos estudos de gênero.

O próximo artigo intitulado Venha, venha o voto feminino: embates travados na imprensa periódica oitocentista no Rio de Janeiro de Cristiane Ribeiro Mestranda pelo Programa de Pós-Graduação em História da Universidade Federal de Juiz de Fora, é proposto uma análise da discussão sobre o voto feminino travado no Império do Brasil, circulando nos impressos diários da corte a partir da segunda metade do século XIX, atentando para uma perspectiva das relações de gênero e de poder imbricados nos jornais.

Em seguida com o artigo A cozinha das mulheres: de espaço de domesticação ao de empoderamento a partir de saberes e fazeres culinários as autoras Jamile Wayne Ferreira – graduada em Gastronomia pela Universidade do Vale do Rio dos Sinos e Lara Steigleder Wayne – graduanda em Psicologia pela Universidade Federal de Ciências da Saúde de Porto Alegre analisam a partir da relação com a cozinha de mulheres acolhidas em uma Ocupação em Porto Alegre / RS, o poder e o conhecimento cotidiano das guardiãs de uma cozinha minusculizada pela geração da gourmetização, já que o espaço de comando das cozinhas está normalmente relacionado à construção de gênero, onde as práticas relativas ao ato de cozinhar são ora invisíveis, no caso da cozinha doméstica, ora superestimada, no caso da “alta gastronomia”.

O próximo artigo intitulado Gênero e prisão: os impactos do sistema prisional sobre a desigualdade social e invisibilidade da mulher encarcerada no estado de Alagoas as autoras Bruna Araújo de Melo Ferreira e Ialy Virgínia de Melo Baia, graduandas em psicologia pelo Centro Universitário Tiradentes de Alagoas, analisam o sistema prisional de uma maneira histórica, compreendendo a mulher como vítima da violência e da desigualdade de gênero dentro desse espaço, visto que a prisão muitas vezes culminando no processo de invisibilidade do indivíduo, acaba potencializando essa invisibilidade na mulher, uma vez que esta já vivencia essa realidade socialmente, enfatizando os casos das mulheres que estão em regime fechado no Sistema Penitenciário Feminino Santa Luzia, localizado em Maceió.

Finalizando o dossiê temático, temos o artigo Vozes de mulheres: género e cidadania em Angola de autoria de Willi Cardoso Domingos, Licenciado em Sociologia pela Faculdade de Ciências Sociais da Universidade Agostinho Neto, que analisa as implicações sociais da discriminação de género no exercício da cidadania e participação das mulheres em Angola, onde um diálogo entre a sociedade civil e as instituições do Estado, é fundamental, para dinamizar e ampliar a capacidade de exercício da cidadania e participação das mulheres, bem como para a desconstrução da discriminação das mulheres.

Abrindo a sessão livre do nosso dossiê temos o artigo “Ressonâncias no processo de demolição do palácio Monroe”, de autoria do doutorando em Ciências Jurídicas Políticas Daniel Levy Alvarenga (UAL). No artigo o autor discute questões acerca do patrimônio material e sua dimensão imaterial dentro de uma sociedade. Tomando como objeto de analise a demolição do palácio Monroe, busca-se apresentar como ocorreu a demolição e sua respectiva repercussão dentro do âmbito social.

Em seguida temos o artigo intitulado “Do ideal ao real: a construção de uma representação na obra literária a lenda do cavaleiro sem cabeça (1820)” escrito por Samuel Nogueiza Mazza, mestrando em história pela Universidade Federal de Uberlândia (UFU). O autor discute no presente artigo a obra de Washington Irving, A lenda do cavaleiro sem cabeça, sob a perspectiva da teoria da representação de Roger Chartier, traçando assim um paralelo entre os personagens da obra e o contexto histórico vivido por Irvring.

Seguindo, temos o artigo de Rannyelle Rocha Teixeira, mestra em história pela Universidade do Porto. Seu artigo intitula-se “ O sentido da colonização portuguesa: a relação entre colonos nativos africanos no boletim geral das colônias (1933 – 1945)” e busca refletir acerca das aproximações e afastamentos nas relações entre colonizados e colonizadores nas colônias portuguesas na África.

As bandeiras no Estado Novo: o conceito de biodemocracia em A marcha para oeste de Cassiano Ricardo é o nome do próximo artigo da sessão livre. Escrito por Ana Paula Rodrigues, doutoranda em história pela universidade federal do Mato Grosso (UFMT), o texto tem por objetivo discutir o conceito de biodemocracia que é exposto por Cassiano Ricardo.

Fechando a sessão livre, trazemos o artigo de Thiago do Nascimento Torres de Paula, doutor pela Universidade Federal do Paraná (UFPR), que tem como título “Do enjeitado a ouvidor: a trajetória do tenente Joaquim Lino Rangel na freguesia da cidade do Natal, 1760 – 1839”. O objetivo do autor é o de apresentar a trajetória do Tenente Joaquim Lino Rangel.

Ainda compõe neste volume a resenha da obra da obra de Graeme Wood ” A Guerra do fim dos tempos: o Estado Islâmico e o mundo que ele quer” (Cia das Letras, 2017) feita por Katty Cristina Lima Sá, Mestranda em História Comparada pela Universidade Federal do Rio de Janeiro (PPGHC / UFRJ).

No volume 13 da Revista Espacialidades, temos também a entrevista com a professora doutora Márcia Santana Tavares professora e coordenadora do Programa de Pós-Graduação em Estudos Interdisciplinares Mulheres, Gênero e Feminismo – PPGNEIM / UFBA; pesquisadora do Núcleo de Estudos Interdisciplinares sobre a Mulher – NEIM; membro do Observatório pela Aplicação da Lei Maria da Penha – OBSERVE / NEIM / UFBA, que nos falou sobre violência de gênero, a da Lei Maria da Penha e sua relação com o número de denúncias dos casos de violência contra mulher, direitos da mulher e a relação as questões de gênero, relações de poder e espaço na nossa sociedade.

Para finalizar o primeiro dossiê de 2018 a Revista Espacialidades, conta com o corpo documental de fontes históricas em uma de suas sessões. Essas fontes foram catalogadas pelo Programa de Educação Tutorial em História da Universidade Federal do Ceará, tendo como objetivo mapear documentos ligados à compra e venda de escravos no Ceará ao longo do século XIX, entre os anos de 1843 a 1879. O Projeto, intitulado Fundo Documental e Guia de Fontes para a História da Escravidão no Ceará, foi realizado pelos bolsistas do Programa e teve início em 2007, com o mapeamento do corpo documental e catalogação dos mesmos, no qual resultou em fichas / resumo e sistematização desses documentos, concluída em 2012. O projeto catalogou cerca de 12 livros, que se encontram em sua versão original, no Arquivo Público do Estado do Ceará (APEC). É com imenso prazer, e desde já agradecemos ao Programa de Educação Tutorial pela confiança, em especial à Kênia Rios, atual tutora do PET História, à Viviane Nunes e Tayná Moreira, bolsista e egressa, respectivamente, que tiveram salutar importância para esta parceria, que a Revista Espacialidades apresenta aos seus leitores, parte destas fichas / resumos deste primoroso acervo, que possibilita o fomento da pesquisa histórica, dando saber à sociedade deste vil período que macula nossa história.

O editor-chefe e a Equipe editorial da Revista Espacialidades desejam a todos uma boa leitura!

Editor-chefe: Magno Francisco de Jesus Santos

Equipe editorial:

Arthur Fernandes da Costa Duarte – (mestrando do PPGH / UFRN)

Emanoel Jardel Alves Oliveira – (mestrando do PPGH / UFRN)

Jessica Martins Guedes de Souza – (mestranda do PPGH / UFRN)

Lucicleide da Silva Araújo – (mestranda do PPGH / UFRN)

Maria Luiza Rocha Barbalho – (mestranda do PPGH / UFRN)

Matheus Breno Pinto da Câmara – (mestrando do PPGH / UFRN)

Ristephany Kelly da Silva Leite – (mestranda do PPGH / UFRN)

Thaís da Silva Tenório – (mestranda do PPGH / UFRN)


SANTOS, Magno Francisco de Jesus et al. Apresentação. Revista Espacialidades. Natal, v.13, n. 01, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

Human Trafficking and Slavery Reconsidered: Conceptual Limits and States’ Positive Obligations in European Law | Vladislava Stoyanova

É tanto um assunto da atualidade quanto um corpus jurídico em vias de desenvolvimento que Vladislava Stoyanova, professora adjunta de Direito Internacional Público na Universidade de Lund (Suécia), pretende abordar nesta obra dedicada à questão — ou melhor, às questões, para ser fiel ao posicionamento da autora — do tráfico e das formas severas de exploração de seres humanos. Versão condensada, e algo remanejada, da tese de doutorado defendida na mesma universidade em abril de 2015, este livro apresenta, portanto, o conjunto das reflexões desenvolvidas sobre o assunto pela professora Stoyanova. Autora prolífica, ela desenvolveu alguns elementos de sua problemática em diversas publicações anteriores. Leia Mais

1499: o Brasil antes de Cabral – LOPES (RMAE)

LOPES, Reinaldo José.  1499: o Brasil antes de Cabral. Rio de Janeiro: Harper Collins, 2017. 246 p. Resenha de: CAVLAC, Carolina Limonge. Uma incursão à pré-história brasileira. Revista do Museu de Arqueologia e Etnologia, São Paulo, v.31, p.131-134, 2018. LOPES, Reinaldo José.

Este livro do jornalista Reinaldo José Lopes, publicado em 2017, é uma incursão ao universo pré-histórico da região hoje chamada Brasil. Ele publicou outros livros de divulgação científica: Além de Darwin (2009), Os 11 maiores mistérios do universo (2014), Deus: como Ele nasceu (2015), Luz, ciência e muita ação (2016) e Darwin sem frescura (2019). Lopes é também repórter, colunista e blogueiro do jornal Folha de S.Paulo. É autor do blog Darwin e Deus e youtuber, com o canal “Reinaldo José Lopes – Darwin Deus Tolkien Mozart”. Além de escrever sobre história e pré-história, Lopes tem grande interesse por narrativas de ficção com temas medievais e as influências histórico-culturais que as permeiam.

Nesta obra, Lopes traz informações para um público abrangente, que vai de curiosos não acadêmicos a estudiosos de várias áreas de conhecimento – arqueologia, história, antropologia, sociologia, paleontologia, biologia, geologia, geografia etc. Ele oferece um texto de leitura fluida, com muito bom humor e embasamento científico. Com incursões explicativas, nas seções explicação técnica” aborda assuntos específicos, como datação radiocarbônica, análise genética e isotópica, e deriva linguística, incluindo ainda assuntos mais complexos e que não são o tema central da narrativa, deixando o leitor inteirado do que há por vir.

Na introdução “O passado não é mais como era antigamente”, o autor trata brevemente de alguns dos principais temas abordados no livro: a chegada dos seres humanos nessa região onde é hoje o território brasileiro, as hipóteses sobre essa chegada e as descendências dos povos nativos atuais, a famosa Luzia (nome dado ao fóssil humano mais antigo encontrado na América do Sul, de uma mulher, que foi descoberto numa gruta da Lapa Vermelha/MG), as comunidades criadoras dos sambaquis, o surgimento da agricultura da Amazônia, a chamada “terra preta de índio”, algumas sociedades pré-históricas que se estenderam da Amazônia central até o litoral oceânico e em direção ao Alto Xingu, a complexidade linguística registrada nesse território e uma contextualização do limiar entre a pré-história e a história propriamente dita. O autor trata de uma questão genética, comentando algumas pesquisas que abordam a descendência da população brasileira atual, incluindo a dos povos nativos, mostrando que no Brasil também ocorreu o padrão de colonização humana amplamente difundido no mundo: os homens dos grupos vencidos são mortos ou escravizados, e as mulheres viram concubinas.

[…] Para ser mais exato, entre 20% e 30% dos brasileiros vivos hoje descendem de uma tataravó índia, como mostra o mtDNA (DNA mitocondrial). Enxergar com mais clareza a ascensão e queda de povos e culturas do Brasil pré-histórico abre, portanto, uma janela com vista para o passado familiar remoto de quase todos nós (Lopes 2017: 23).

Finaliza a introdução trazendo uma questão para seus leitores: como o que está sendo descoberto sobre a pré-história do antigo território do Brasil pode ter implicações no modo de vida que temos hoje? No capítulo um, “Quem é você, Luzia?” o autor traça um contexto “pré-histórico” faunístico da cena sul-americana há cerca de 12 mil anos, quando viveu Luzia. Ossadas de muitos exemplares da megafauna extinta encontradas nessa região e em outros locais do Brasil, como as preguiças gigantes (Catonyxcuvieri, Eremotheriumlaurillardi), o dente-de-sabre (Smilodonpopulator), os tatus gigantes, conhecidos como gliptodontes, os toxodontes, parecidos com o hipopótamo, e macrauquênias, parecidas com lhamas de tromba. O autor foi bem feliz na contextualização da megafauna, mas o achei bem diplomático ao tratar da extinção desses grandes mamíferos, mantendo-se longe da discussão atual da ciência: mudanças climáticas versus ação antrópica/caça. Ele comenta também a colonização das Américas por (outros) primatas e roedores, e o intercâmbio faunístico entre as Américas do Norte e do Sul.

Grande parte da discussão sobre Luzia gira em torno da polêmica sobre os traços africanos de seu rosto. Lopes mostra informações de pesquisas genéticas com dados moleculares de outros paleoíndios, de populações pré-históricas nativas com morfologia mongoloide e dos povos nativos atuais, e esmiúça as hipóteses da origem dos paleoíndios e desses traços, que apresentam morfologia autralomelanésia (negra) em contraste com a morfologia mongoloide (traços asiáticos) dos nativos atuais e de nativos pré-históricos mais recentes. Justifica ter mantido a narrativa na região de Lagoa Santa por ter mais informações diretas e dados mais consensuais. Lopes comenta ligeiramente os vestígios dos sítios arqueológicos encontrados no Parque Nacional da Serra da Capivara/PI e a contradição entre as possíveis datações desses sítios, propostas por diferentes pesquisadores.

Porém, a enorme coletânea de sítios que apresentam inscrições rupestres e material lítico atualmente no Brasil me deixa a sensação de que Lopes poderia ter explorado o assunto muito mais.

No capítulo dois, “As conchas e os mortos”, Lopes discute a cultura e os modos de vida dos antigos habitantes do litoral brasileiro, os criadores dos “morros de conchas” conhecidos como sambaquis. Para que serviam? Que tamanho têm? Em quanto tempo esses povos os construíam? De que são feitos? Quão abrangente se tornou essa cultura na costa do Brasil? O autor tenta responder essas e outras perguntas citando pesquisas atuais, que curiosamente se valeram da exploração mineradora irregular dos séculos anteriores, que usou os sambaquis como matéria-prima para a construção civil. Sem querer, essa exploração revelou (juntamente com pesquisas arqueológicas) informações cruciais sobre a cultura e ecologia dos povos dos sambaquis.

O capítulo três, “Revolução agrícola made in Brazil”, funciona como uma coletânea de informações sobre a temática do manejo e cultivo de vegetais nativos da região amazônica.

Trata do surgimento de florestas antropogênicas e das plantas nativas domesticadas, como a mandioca, a pupunha, o abacaxi e o cacau, e traça algumas possíveis rotas de domesticação, como a difusão da mandioca da Amazônia até o Pacífico, e do milho, domesticado na região do México e espalhado pelas Américas.

Os modos de vida dessas sociedades, que passam a ter uma diversidade de alimentos manejados ou cultivados, formam um elo com as informações e hipóteses abordadas sobre a “terra preta de índio” encontrada em muitos locais da Amazônia.

Nos capítulos quatro (“Os filhos da serpente”) e cinco (“No reino das Amazonas”) o autor trata das culturas dos antigos marajoaras, povo que residiu na Ilha de Marajó e dos povos de diversos outros locais na Amazônia, respectivamente. De cerca de 2 mil a.C. aos primeiros séculos da Era Cristã, o autor identifica o crescimento da densidade populacional como indicador para tratar da complexidade social, política e cultural dessas sociedades estabelecidas ao longo do Rio Amazonas. Os antigos marajoaras aproveitavam as condições do ambiente, como a topografia, o clima, o solo e a maré, para criar intervenções em seu ambiente natural, como os Carolina Limonge Cavlac 133 tesos, morros artificiais criados para formarem lagos rasos que armadilhavam uma grande variedade de peixes nas “cheias”. A complexidade das intervenções do ambiente natural e da produção da cerâmica marajoara marcou a cultura e o modo de vida desse povo.

Nos arredores da atual Santarém se estabeleceu o domínio dos Tapajós. Descritos como um povo guerreiro e com uma poderosa chefia ribeirinha, os Tapajós também possuíam ampla diversidade de cultura material, abrangendo artefatos em madeira, algodão e cerâmica, como os muiraquitãs, estatuetas replicadas e bem conhecidas hoje. No atual território do Amapá, a cultura Maracá tem instigado pesquisadores, tanto por conta do sítio com estruturas megalíticas quanto das grutas descobertas com grandes quantidades de urnas funerárias antropomórficas ricas em detalhes. Utilizadas em cerimônias religiosas, tal como os artefatos das culturas Tapajó e Marajoara, essas cerâmicas podem ser indicadores da complexidade econômica e social desses povos.

No Alto Xingu, as estruturas das aldeias pré-históricas descritas eram compostas de enormes áreas circulares, algo em torno de dez vezes maior que as aldeias atuais da mesma região. Elas possuíam áreas com lavouras de milho, mandioca, pequi e outros cultivos, assim como florestas manejadas nas proximidades da região habitada. Os antigos xinguanos dispunham de lagos artificiais e armadilhas nos cursos dos rios.

Pontes, muralhas, grandes fossos e estradas largas e limpas que cortavam as aldeias e as conectavam, também faziam parte da exímia organização estrutural que comportava milhares de moradores. Na região da atual Manaus os pesquisadores identificaram uma grande variedade de tradições de produção cerâmica, pois esses objetos são os mais preservados naquelas condições de clima.

O texto descreve algumas poucas características dos sítios associados à fase Manacapuru, à fase Paredão, à fase Axinim e à fase Guarita. Lopes menciona sítios com estruturas de defesa, como valas, paliçadas e trincheiras, que datam da mesma época em que as aldeias circulares são substituídas por povoados lineares à beira dos rios. Essas mudanças levaram pesquisadores à hipótese da ocorrência de importantes alterações socioculturais. A mais recente incógnita da Amazônia pré-histórica são os geoglifos (estruturas geométricas no solo) encontrados no atual território do Acre e do Amazonas. Essas estruturas foram descobertas recentemente por conta da intensificação do desmatamento na região. Cerca de trezentas estruturas identificadas até agora foram feitas provavelmente em uma época em que o território era muito mais densamente habitado e a floresta era manejada, com forte presença de espécies nativas úteis ao consumo humano.

Apesar de dar grande ênfase à Amazônia e deixar de trazer informações importantes de sítios das áreas abertas, o autor alcança muitas “Amazônias”, como citado neste trecho: “Não existe ‘uma’ Amazônia, mas uma imensa variedade de florestas ditas ‘de terra firme’ e alagadas, áreas de savanas e de campos abertos, matas mais ou menos sujeitas à seca e até uma ou outra região montanhosa” (Lopes 2017: 86).

No capítulo seis, “Tupi or not tupi”, o autor descreve a diversidade linguística dos povos nativos, quão diversa pode ter sido a árvore linguística dessa região no passado e como ela está representada hoje. É estimado que, no contato inicial com os europeus, havia cerca de 1.500 línguas nessa região. Essa diversidade se expressa atualmente em 108 famílias linguísticas sul-americanas (de um total de 420 no mundo). Essa diversidade é inigualável em qualquer outra região do planeta. Os principais grupos linguísticos tratados nesse capítulo são: (1) o Aruak, com aproximadamente sessenta línguas atuais, espalhadas na América Central, Pantanal e Chaco, além da Amazônia; (2) o Tupi, com perto de quarenta línguas, ocupando áreas enormes do Brasil, em especial no litoral e na Amazônia; (3) o Carib, com cerca de trinta línguas, espalhadas pela parte norte da Amazônia, Xingu e algumas ilhas do Caribe; e (4) o Macro-Jê, que soma entre vinte e trinta línguas, que hoje ocupam regiões abertas (o Cerrado) ao sul da Amazônia e áreas de mata de araucária de São Paulo e da Região Sul do Brasil. O autor relata um pouco da cultura e distribuição dos povos falantes dessas línguas, as relações entre eles, com o ambiente e com os europeus. Comportamentos diplomáticos, com relativo pacifismo, habilidades de navegação, boas redes de trocas, alianças matrimoniais intergrupos, generosidade e habilidade de fala se contrapõem a comportamentos de agressividade, com ideologia bélica, rituais antropofágicos, dominação de novos territórios com ciclos intermináveis de vingança. Esses são comportamentos culturais descritos de alguns povos nativos da época da colonização, que representam as extremidades de uma palheta muito diversa e complexa da estrutura cultural dessa grande quantidade de povos.

Por fim, no epílogo, “Por que o Brasil préhistórico foi derrotado”, o autor conta como uma região habitada por cerca de 8 milhões de pessoas não impediu a colonização ou por que essa colonização não ocorreu de outra forma. Entre os maiores culpados desse roteiro, estão as reações biológicas que levaram às epidemias. A falta de contato dos nativos com muitos dos micro-organismos trazidos pelos europeus e seus animais causou devastações populacionais generalizadas nos grupos nativos, muito mais do que a presumível superioridade bélica dos portugueses e espanhóis e o uso da cavalaria.

Também foi marcante a desconexão da comunicação e a (des)organização entre as chefias dos grupos nativos, quando havia chefias, frente à organização estatal dos europeus ao longo do processo. Assim, a dominação e a expansão das áreas conquistadas pelos europeus foram aumentando, como mostra nesse trecho: “muitas das sociedades ameríndias do litoral ficavam cada vez mais desarticuladas diante das epidemias, da conversão religiosa e das exigências de mão de obra dos colonizadores – uma desarticulação demográfica, política e cultural que provavelmente foi sendo transmitida pouco a pouco” (Lopes 2017: 227).

O livro de Lopes aborda a arqueologia do território brasileiro e cumpre muito bem o seu papel de obra de divulgação científica, com a explanação das muitas pesquisas que envolvem o tema. Como não poderia deixar de ser, traz muito mais dúvidas do que certezas, de forma elegante. Apesar de ter deixado de abordar centenas de sítios com inscrições rupestres e com material lítico de que temos registros hoje, a obra contribui muito para a importância da arqueologia dessa parte do mundo, ainda tão pouco explorada. Prova disso é a frase final do livro:

“A pré-história é a chave para entender a importância dessas condições iniciais e para demonstrar – como espero ter demostrado – que o passado profundo do Brasil é tão rico e complexo quanto o do Velho Mundo. Em nome dos que são herdeiros dele, convém não esquecê-lo” (Lopes 2017: 232).

Lopes finaliza assim o livro, mostrando mais uma vez, com excelência, que debruçar o olhar curioso e metódico sobre o passado pode também apontar direções para o futuro.

Referências

Lopes, R.J. 2017. 1499: o Brasil antes de Cabral. Harper Collins, Rio de Janeiro.

Carolina Limonge Cavlac – Doutoranda em Desenvolvimento Sustentável, no Centro de Desenvolvimento Sustentável, da Universidade de Brasília. E-mail: ina.cavlac@gmail.com.

Acessar publicação original

[IF]

Diagonais do Afeto: teorias do intercâmbio cultural nos estudos da diáspora africana | Alexandre Almeida Marcussi

Logo no início da leitura, percebi que o livro tratava de uma problemática que eu já havia muitas vezes incluído em cursos e que adoraria ter dedicado maior atenção em alguma publicação. A simpatia foi quase imediata pela iniciativa de um jovem historiador em seu trabalho de Mestrado. Leitura mais do que recomendada a todos que se dedicam ao estudo das culturas africanas na diáspora. Leia Mais

Documentos e Pesquisa / Historiae / 2018

No primeiro número de 2018 Historiæ apresenta o dossiê “Documentos & Pesquisa” tentando refletir sobre o historiador e suas fontes e pesquisas históricas.

O estudo dos documentos ainda constitui uma das etapas fundamentais da pesquisa, notadamente quando os trabalhos se voltavam a temáticas culturais, como as histórico-literárias. O documento deixou de ser analisado como um ente indubitável, acima do bem ou do mal e código absoluto da verdade, mas isso não retirou a sua relevância, tornando-se a sua própria construção um objeto de pesquisa.

Assim, em se tratando de registros escritos, os documentos passaram a ser interpretados em sua essência discursiva, com a pesquisa voltando-se às próprias condições de produção de uma determinada documentação, ou seja, as suas inter-relações com o contexto em que foi elaborada, bem como às circunstâncias / conjunturas extra, intra e interdiscursivas de sua criação. Este dossiê busca trazer uma série de estudos de caso que abordam estas interfaces entre a pesquisa e a interpretação documental.

A organização do presente dossiê foi realizada pela Professora Doutora Vania Pinheiro Chaves da Universidade de Lisboa e pelo Professor Doutor Francisco das Neves Alves da Universidade Federal do Rio Grande.

Rodrigo Santos de Oliveira – Professor Doutor. Editor


OLIVEIRA, Rodrigo Santos de. Apresentação. Historiae, Rio Grande- RS, v. 9, n. 1, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Hayden White: reflexões contemporâneas | ArtCultura | 2018

Poucos autores foram paradoxalmente tão mal lidos e tão necessários para a historiografia quanto Hayden White (1928-2018). O norte-americano, durante sua carreira de mais de cinco décadas, soube, talvez como ninguém, provocar intelectualmente os historiadores e historiadoras de modos diversos: de suas asseverações sobre o caráter ficcional do discurso historiográfico às suas críticas ao que ele chamou de “anodinia ideológica” da disciplina, passando por suas teorizações seminais sobre os eventos modernistas de nossa era, White fez da polêmica uma arte; não a controvérsia vazia, contudo, que visa somente fechar discussões, mas a provocação como uma forma de armar a imaginação e o intelecto contra as diversas forças que nos dominam, consciente e inconscientemente. Para ele, as disparadas incisivas contra a historiografia disciplinada não eram mais do que uma maneira de se tentar chamar a atenção de seus colegas aos “problemas peculiares de seu tempo” e à possibilidade de que, em nossa modernidade tardia, a história havia se transformado mais em um problema do que uma solução – o pesadelo do qual já nos falava Joyce e de que, ao fim e ao cabo, desejamos escapar. Leia Mais

Epistemic Logic: A Survey of the Logic of Knowledge – RESCHER (P)

RESCHER, Nicholas. Epistemic Logic: A Survey of the Logic of Knowledge. Pittsburgh: University of Pittsburgh Press, 2005. Resenha de: BORBA, Alexandre Ziani. Principia, Florianópolis, v.22, n.3, p. 533–000, 2018.

Uma justificativa é requerida para que se resenhe um livro publicado há mais de uma década atrás. Epistemic Logic: A Survey of the Logic of Knowledge, de Nicholas Rescher, é uma compilação de décadas de estudos por parte do autor no campo da lógica epistêmica, por ele apresentada como um ramo da lógica filosófica que busca formalizar a lógica do discurso acerca do conhecimento, no qual ele inclui os princípios gerais de raciocínio acerca das reivindicações e atribuições de conhecimento (Rescher 2005, p.1). Neste sentido, compete à lógica epistêmica articular e esclarecer estes princípios gerais.

Além de ser o resultado de décadas de estudos e compilar seus principais resultados na área, há pelo menos três aspectos interessantes e originais na obra de Rescher que merecem destaque. Em primeiro lugar, Rescher se propõe a desenvolver uma lógica epistêmica que leve em consideração agentes epistêmicos cognitivamente limitados. Como exemplo disso, o autor adota, como um de seus princípios fundamentais, aquilo que ele chama de “limitação do conhecedor”, princípio este que diz que para todo agente epistêmico, há uma proposição que é o caso e o agente não sabe que ela é o caso. Posteriormente, ele apresenta uma tese semelhante ao princípio do fechamento epistêmico — que ele chama de princípio da dedutividade,1 porém mais modesta, de acordo com a qual, se p é derivável de proposições que o agente conhece e p implica q, então q é derivável de proposições que o agente sabe — princípio da dedutividade fraca (Rescher 2005, p. 15). Em função de sua concepção realista acerca de agentes epistêmicos, Rescher acaba por abandonar um princípio amplamente difundido na lógica epistêmica tradicional, a saber, a tese da reflexividade do conhecimento2 (Rescher 2005, p.22).

Por destacar o conhecimento como uma relação entre um agente e uma proposição, Rescher acaba por desenvolver uma lógica epistêmica bastante centrada no agente—o qual pode ser um indivíduo ou, possivelmente, grupos de indivíduos (Rescher 2005, p.2).3 Este destaque ao agente epistêmico permite com que Rescher torne ⃝c 0000 The author(s). Open access under the terms of the Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International License.

534 Reviews as nossas limitações cognitivas um tema recorrente em sua análise dos princípios gerais que governam o discurso sobre o conhecimento. Tão interessante quanto isso, porém, é o fato de sua lógica epistêmica possibilitar uma análise do conhecimento de grupo, que é, precisamente, o segundo ponto interessante e original que quero destacar de sua obra. Com efeito, Rescher pode ser considerado um dos precursores da epistemologia social. Ponto importante de seus estudos acerca do conhecimento de grupo diz respeito à distinção, traçada por ele, entre conhecimento coletivo e conhecimento distribuído. O conhecimento coletivo é o conhecimento que alguém tem de que os membros de um conjunto S têm certa característica F quando este alguém sabe que, para todo objeto de consideração u, se u pertence ao conjunto de objetos S, então u tem a propriedade F. Já o conhecimento distribuído ocorre quando, para todo objeto de consideração u, x sabe que se u pertence ao conjunto de objetos S, então u tem a propriedade F. A diferença é sutil e diz respeito ao escopo do operador epistêmico.

Por fim, o terceiro ponto interessante e original da obra de Rescher é o tratamento epistêmico que Rescher oferece para a conceptibilidade, i.e., nossa capacidade de conceber. De acordo com ele, a conceptibilidade deve ser tratada não em termos psicológicos, i.e., como uma capacidade humana operacional, mas em termos epistêmicos, de onde se segue sua definição de que um objeto de consideração qualquer é concebível se, em princípio, é possível que exista ao menos alguém tal que esse alguém sabe que o objeto de consideração em questão pode existir. Com efeito, Rescher parece propor a conceptibilidade como uma fonte para a aquisição de conhecimento de possibilidades, o que pode ser encarado como evidência textual de que, seguindo a nomenclatura de Tuomas Tahko (2015), ele seria um racionalista modal com respeito ao conhecimento de possibilidades, i.e., alguém para o qual o procedimento de aquisição de conhecimento de possibilidades é um procedimento a priori.4 Entretanto, a possibilidade de que Rescher trata parece ser restrita à possibilidade lógica, ao invés de metafísica. Evidência disso é sua declaração de acordo com a qual a conceptibilidade é, fundamentalmente, uma questão epistêmica acerca daquilo que pode ser contemplado de uma maneira logicamente coerente (Rescher 2005, p.59).

Um ponto importante da obra de Rescher, já explicitado aqui, é que o seu universo de discurso é polissortido. Nele estão inclusas variáveis para conhecedores, proposições, proposições especificamente verdadeiras, objetos de consideração, propriedades de objetos ou proposições, conjuntos de objetos ou proposições e, finalmente, questões. Interessante notar também que, inicialmente, Rescher distingue dois tipos de conhecimento: conhecimento proposicional e conhecimento interrogativo (Rescher 2005, p.1). Adiante, porém, Rescher reconhece o conhecimento prático e distingue duas formas deste outro tipo de conhecimento: o conhecimento prático performativo e o conhecimento prático procedural. Apenas este último, de acordo com o autor, é redutível ao conhecimento proposicional (Rescher 2005, p.7). Isto nos permite dizer que Rescher é um anti-intelectualista no que concerne ao conhecimento por habilidade.

Há muito a se destacar na obra, porém quero focar em algo bastante específico e que está relacionado ao meu interesse em epistemologia das virtudes aplicada no campo da educação. Em particular, quero enfocar sobre como o tópico das insolubilia, tratado por Rescher entre os capítulos 16 e 17, relaciona-se com o tema onipresente em sua obra das limitações cognitivas de agentes epistêmicos humanos. Insolubilia, para o autor, são questões que possuem uma resposta correta que, no entanto, não podem ser respondidas por inteligências finitas.

No capítulo 16, Rescher alega que é instrutivo adotar uma abordagem erotética do conhecimento e da ignorância, uma vez que se pode supor, sem perda de generalidade, que respostas a questões são sempre proposições completas. Adiante, no capítulo 17, Rescher oferece um quadro no qual ele descreve as insolubilia como questões que possuem respostas corretas, mas cujas inteligências finitas são incapazes de as responderem (Rescher 2005, p.97). Exemplos de tais questões são questões envolvendo predicados indigentes [vagrant], aleatoriedade e sorte (contingência futura), ou inovação cognitiva. É importante distinguir, aqui, questões para as quais é muito difícil, porém humanamente possível, obter uma resposta correta e insolubilia propriamente ditas. Ademais, é preciso esclarecer que insolubilia não são questões insolúveis em virtude de as respostas corretas a elas poderem ser respondidas, mas não estarem acessíveis na prática — por exemplo, pela ausência de uma tecnologia mais sofisticada (Rescher 2005, p.91). Ao invés disso, insolubilia são questões insolúveis em virtude de as respostas corretas a elas não poderem ser respondidas por inteligências finitas. Deste modo, por definição, insolubilia são questões impossíveis de serem resolvidas por agentes epistêmicos cognitivamente limitados.

No campo da epistemologia das virtudes aplicada à educação, é um tema premente saber como aprimorar a condição intelectual de nossos estudantes, em particular promovendo a aquisição de virtudes intelectuais entre eles. Dentre as virtudes intelectuais mais debatidas atualmente, temos a virtude da inquisitividade, assunto que vem sendo aprofundado pela filósofa Lani Watson, e a virtude da humildade intelectual, assunto que vem sendo aprofundado por inúmeros filósofos e filósofas da área (cf. Baehr 2016). De acordo com Lani Watson, uma pessoa inquisitiva é uma pessoa que caracteristicamente se engaja, de maneira sincera, com a prática do questionamento (cf. Watson 2015). Como ela mesma nota, isto, por si só, não faz da pessoa uma pessoa virtuosamente inquisitiva, pois pode acontecer de uma pessoa caracteristicamente se engajar de maneira sincera com a prática do questionamento sem que suas questões sejam propriamente boas questões—elas podem ser questões tolas, por exemplo.

Minha suspeita é a de que a virtude da humildade intelectual que, dentre outras coisas, consiste em se estar ciente de nossas limitações cognitivas, digo, que a virtude da humildade intelectual pode, para usar uma metáfora musical, afinar a virtude da inquisitividade. Em particular, minha suspeita é a de que uma pessoa intelectualmente humilde e inquisitiva gastará menos tempo com questões que ela sabe que não se pode responder em função das limitações cognitivas dos seres humanos. Isto sugere que ambas as virtudes podem ser trabalhadas em conjunto, de modo que a humildade intelectual favorecerá a inquisitividade qua virtude intelectual.

Aqui, poderá ser útil narrar uma breve história fictícia para exemplificar como o ensino da inquisitividade poderia ser trabalhado dentro de salas de aula, tendo em vista a informação de que a humildade intelectual pode favorecê-la. Imagine uma criança que responde pelo nome de Sócrates. Sócrates, com seus cinco anos de idade, é uma criança normal e que, como muitas outras crianças, costuma fazer inúmeras perguntas a seus pais e professores. Suponha que os professores até mesmo estimulem Sócrates a elaborar questões. Ocorre, porém, que muitas de suas questões ainda são mal articuladas, bobas ou até mesmo sem sentido, e os professores são cientes disto.

Com o passar do tempo, os professores passam a intervir nas questões articuladas por Sócrates para ajudá-lo a torná-las mais claras. Sócrates chega ao ensino médio já com maior capacidade de articular com clareza suas questões, além de costumeiramente elaborar questões pertinentes ou profundas, às quais nem sempre as pessoas são capazes de lhe responderem de maneira satisfatória. Apesar do constrangimento que suas questões eventualmente causam, suas questões são elogiadas pelos professores, reforçando, assim, seu comportamento inquisitivo. Sócrates, porém, nem sempre é capaz de notar que algumas de suas questões são casos de insolubilia, i.e., questões para as quais existem respostas corretas, mas que, dadas nossas limitações cognitivas, somos incapazes de respondê-las. Ao longo de seu ensino médio, os professores ajudam Sócrates e seus colegas a cultivarem outras virtudes intelectuais; dentre elas, a virtude da humildade intelectual. Ao chegar no ensino superior, o jovem Sócrates, em função de ter trabalhado a virtude da humildade intelectual, já é capaz de reconhecer questões que os seres humanos são incapazes de responder, o que lhe permite gastar menos tempo com elas, sendo conduzido a pesquisar problemas cujas respostas corretas são acessíveis a inteligências finitas como as nossas.

Se minha suspeita estiver certa, então a obra de Rescher, embora seja uma contribuição voltada à lógica epistêmica, suscita questões de epistemologia da educação que podem ser exploradas a partir das definições e princípios articulados pelo autor.

Trata-se, em suma, de uma enorme e rica contribuição à epistemologia como um todo.

Referências

Baehr, J. (ed.). 2016. Intellectual Virtues and Education: Essays in Applied Virtue Epistemology. London: Routledge.

Tahko, T. E. 2015. An Introduction to Metametaphysics. Cambridge: Cambridge University Press.

Watson, L. 2015. What is Inquisitiveness? American Philosophical Quarterly 52(3): 273–88.

Notas

1 O princípio do fechamento epistêmico diz que se um agente sabe que p e sabe que p implica q, então este agente sabe que q. Agradeço o parecerista anônimo por sua acurada observação de que é possível subscrever a esta tese mesmo aceitando o princípio da limitação do conhecedor.

2 A tese da reflexividade do conhecimento declara que se um agente sabe que p, então este agente sabe que sabe que p.

3 Usualmente, na lógica epistêmica, os operadores epistêmicos não são indexados por agentes.

4 Agradeço ao parecerista anônimo por ter notado que o termo ‘racionalismo’ aqui pode ser confuso, uma vez que filósofos não-racionalistas estariam dispostos a subscrever esta tese. Quero frisar, porém, que estou seguindo a nomenclatura de Tahko.

Agradecimentos Agradeço imensamente ao Frank Thomas Sautter pelas leituras e sugestões às primeiras versões desta resenha. Agradeço também ao parecerista anônimo por suas precisas observações e sugestões.

Alexandre Ziani de Borba – Universidade Federal de Santa Maria, BRASIL azdeborba@gmail.com

 

Uma introdução à metafísica da natureza: Representação, realismo e leis científica – GHINS (P)

GHINS, Michel. Uma introdução à metafísica da natureza: Representação, realismo e leis científicas. Curitiba: Editora UFPR, 2013. Resenha de: CANI, Renato C. Principia, Florianópolis, v. 22, n2, p.359–370, 2018.

Há razões para acreditar que as teorias científicas mais bem-sucedidas representam a realidade? Aliás, em que consiste uma teoria científica? Os resultados e os relatos fornecidos pelas ciências acerca do mundo legitimam a crença na existência de leis da natureza? Caso admitamos o discurso sobre as leis, que tipo de ontologia devemos adotar a fim de explicar a necessidade envolvida nas leis científicas? Essas perguntas resumem algumas das principais questões discutidas em filosofia e metafísica da ciência ao longo das últimas décadas. Elas resumem, também, os temas tratados pelo Professor Michel Ghins (2013) no livro Uma introdução à metafísica da natureza. A obra possui um duplo objetivo — e, podemos acrescentar, um duplo mérito.

Em primeiro lugar, trata-se de uma excelente introdução a alguns dos problemas mais relevantes e instigantes da filosofia da ciência contemporânea. O livro é dividido em quatro capítulos, que abordam as seguintes questões, respectivamente: (i) a estrutura das teorias científicas e o problema da representação; (ii) o debate entre realismo científico e antirrealismo; (iii) o estatuto ontológico e epistemológico das leis científicas; e, finalmente, (iv) a metafísica das propriedades categóricas e disposicionais.

Cada tema é tratado com notável consistência e em diálogo estreito com a literatura filosófica mais recente na área. As posições dos demais autores são reconstruídas e criticadas por Ghins com grande precisão. De fato, o segundo objetivo (e mérito) da obra é apresentar ao leitor uma versão direta e clara das principais posições defendidas pelo autor ao longo de sua carreira. Desse modo, o livro representa a culminância (mas não o ponto final) das investigações que tem animado o Professor Ghins ao longo de diversos artigos e conferências. Com efeito, o formato e a organização do livro—em quatro capítulos—resulta do curso ministrado pelo autor durante a Escola Paranaense de História e Filosofia da Ciência, evento organizado pelo Departamento de Filosofia da Universidade Federal do Paraná, em 2011. Como dissemos, as teses avançadas pelo autor são construídas e expostas a partir do diálogo com interlocutores e colaboradores frequentes, dentre os quais destacamos: Bas ⃝c van Fraassen, David M. Armstrong, Alexander Bird, Brian Ellis, Anjan Chakravartty e Stathis Psillos.

No primeiro capítulo, Ghins caracteriza as teorias científicas como conjuntos de modelos (estruturas) e proposições (as leis científicas). Os modelos são capazes de representar estruturas de determinadas propriedades abstraídas dos fenômenos (como a pressão e o volume de um gás, por exemplo) e, assim, tornar verdadeiras as proposições (leis) que atribuem tais propriedades a certas entidades. A partir dessa interpretação das teorias, Ghins dedica o segundo capítulo à defesa de uma forma de realismo moderado e seletivo, sustentando que é possível formular bons argumentos não apenas em favor da adequação empírica das teorias científicas, mas também da sua verdade parcial e aproximada. No que tange às entidades inobserváveis postuladas pelas teorias, o autor considera que a convergência de diferentes métodos de mensuração permite legitimar o compromisso com a existência de, ao menos, algumas dessas entidades, tais como átomos e campos eletromagnéticos. O terceiro capítulo, por sua vez, centra-se na problemática das leis científicas. Após reconstruir e criticar as concepções de lei fornecidas por regularistas (Mill, Ramsey e Lewis) e necessitaristas categorialistas (Dretske, Tooley e Armstrong), Ghins propõe a identificação das leis a proposições universais pertencentes a teorias empiricamente adequadas e explicativas. Desse modo, a teoria desenvolvida nos dois primeiros capítulos serve para explicar a verdade das leis científicas. No entanto, sabemos que, a fim de atribuir o estatuto de lei a uma proposição universal verdadeira, é preciso argumentar em favor do seu caráter necessário e explicar de que modo ela acarreta a verdade de contrafactuais. Afinal, são esses os fatores que distinguem as leis das generalizações acidentais. Para completar essa tarefa, Ghins elabora, no quarto capítulo, uma metafísica das propriedades categóricas e disposicionais. Nesse sentido, o autor sustenta uma ontologia mista — i.e. tanto certas propriedades categóricas quanto disposicionais são admitidas como irredutíveis — em que o caráter nomológico das leis é fundamentado na existência de disposições intrínsecas às entidades físicas. Por fim, a conclusão do livro é dedicada à formulação de argumentos favoráveis à existência das disposições, especialmente endereçados a filósofos menos propensos às discussões puramente metafísicas e mais sensíveis à abordagem empirista.

A seguir, detalharemos alguns aspectos da argumentação de Ghins, destacando questões problemáticas que, na nossa visão, merecem uma discussão mais detalhada. Faremos isso em duas partes. Na primeira, trataremos da representação e do realismo; na segunda, das leis e das propriedades.

***

Logo no início da obra, Ghins declara que o objetivo da ciência é predizer e explicar os fenômenos. A fim de tornar isso possível, precisamos adotar uma atitude objetivante (cf. van Fraassen 2002) diante dos fenômenos. Trata-se de encará-los não como totalidades singulares, mas como sistemas, isto é, “como conjuntos de elementos organizados por meio de relações” (Ghins 2013, p.15). Nisso consiste a abstração primária, por meio da qual o cientista se coloca à distância das entidades e processos que busca representar. Em seguida, é preciso selecionar as propriedades — quantidades ou parâmetros — relevantes para um estudo científico particular. Se vamos estudar um gás de um determinado ponto de vista—para seguirmos o exemplo mais mencionado pelo autor—interessam-nos o seu volume e temperatura, mas não o seu cheiro. Esse passo é denominado abstração secundária (Ghins 2013, p.17).

Uma vez identificados os parâmetros de interesse, o cientista procede com o processo de modelização. Em geral, um modelo é definido pelo autor como “uma estrutura que torna verdadeira ou ‘satisfaz’ certas proposições” (Ghins 2013, p.19). A primeira dessas estruturas a ser construída é a estrutura perceptiva, que consiste na organização por meio de relações envolvendo as propriedades perceptivas em questão (o volume e o grau de calor de um gás ou os períodos orbitais de planetas).

Quando introduzimos instrumentos de mensuração a fim de tornar mais precisas e exatas essas propriedades, somos capazes de elaborar um modelo de dados. Contudo, se quisermos explicar o comportamento de um gás, por exemplo, não basta elaborar um catálogo com os valores mensurados de sua pressão, temperatura e volume. É preciso embutir esse modelo de dados numa estrutura teórica mais ampla. De acordo com Ghins, essa estrutura nos permite, mediante o cálculo, construir uma subestrutura empírica (e teórica, porque também faz parte de uma estrutura teórica) a fim de representar o modelo de dados. No caso dos gases, essa subestrutura é dada pelos valores de pressão, volume e temperatura obtidos mediante a relação pV = kT (em que k é a constante de Boltzmann). O processo de modelização se encerra quando incluímos essa estrutura teórica numa classe de modelos, isto é, numa teoria (no caso dos gases, trata-se da mecânica estatística de partículas).

Podemos resumir esse processo, portanto, da seguinte maneira (Ghins 2013, p.27s): a partir dos (i) fenômenos, nós abstraímos as (ii) estruturas perceptivas, que são representadas pelos resultados das mensurações, isto é, os (iii) modelos de dados.

Estes, por sua vez, são representados pelas (iv) subestruturas empíricas (e teóricas).

Assim, as relações de representação se dão entre (ii), (iii) e (iv), o que equivale a dizer que, quando a teoria é empiricamente adequada, tais estruturas são isomórficas (ou homomórficas).1 Por sua vez, a relação entre a subestrutura empírica, o (v) modelo teórico e a (vi) classe de modelos é meramente a inclusão conjuntista.

A ênfase de Ghins no papel dos modelos e na noção de adequação empírica entre estruturas não significa que o autor subscreva a abordagem semântica das teorias. De acordo com essa abordagem, as teorias são caracterizadas como famílias de modelos, em oposição à abordagem sintática, que define as teorias como conjuntos de proposições.

Ghins busca uma terceira via, defendendo o que chama de abordagem sintética, segundo a qual “uma teoria científica é um conjunto de modelos e de proposições satisfeitas (tornadas verdadeiras) por esses modelos” (Ghins 2013, p.26).

Ao formular a concepção sintética das teorias, o objetivo de Ghins é estabelecer sua posição no espectro do realismo científico. Para o autor, o problema do realismo compreende dois níveis. No primeiro, há a questão “sobre a relação entre as estruturas por nós construídas e os fenômenos observáveis” (Ghins 2013, p.33). Trata-se do problema que van Fraassen (2008, p.240) denominou objeção da perda de realidade.

Visto que os modelos e estruturas representacionais por nós desenvolvidos são entidades abstratas, que garantias possuímos de que tais estruturas guardam algum tipo de relação com os fenômenos observáveis? A resposta de Ghins a essa objeção se dá em duas etapas: primeiramente, o autor assume a concepção da verdade como correspondência. Essa concepção “implica a existência de realidades que tornam as proposições verdadeiras” (Ghins 2013, p.39), mas não exige que se formule uma teoria para explicar a natureza de tal correspondência. Assim, é possível encarar as proposições não como representações, mas como a atribuição de propriedades a determinadas entidades.

Logo, a próxima etapa da resposta à objeção é enfatizar que os modelos não representam diretamente os fenômenos, mas somente as estruturas perceptivas (Ghins 2013, p.21; p.39). Portanto, a atividade representacional repousa sobre proposições verdadeiras, o que garante que “nosso contato com a realidade jamais foi nem será suspenso” (Ghins 2013, p.40). Não temos certeza de que essa resposta é plenamente satisfatória, uma vez que ela parece muito mais assumir o realismo científico de teorias — isto é, a tese de que há razões para considerar as teorias científicas como verdadeiras — do que efetivamente demonstrá-lo. Como veremos adiante, consideramos mais satisfatórios os argumentos do autor em favor do realismo de entidades — a afirmação da existência das entidades postuladas pelas melhores teorias.

Passemos ao segundo nível da problemática do realismo científico, que corresponde ao problema de determinar se nossas superestruturas de propriedades inobserváveis guardam relação com a realidade externa. Em outros termos, a adequação empírica de uma teoria — o isomorfismo entre valores mensurados e calculados de certas grandezas — implica que os seus modelos teóricos sejam verdadeiros sobre os aspectos inobserváveis do mundo? Se levarmos em conta o argumento antirrealista da subdeterminação das teorias pelos dados empíricos, responderemos negativamente a essa pergunta. Trata-se da afirmação de que, em princípio, é sempre possível construir diferentes teorias empiricamente adequadas, mas que sejam incompatíveis entre si na parte inobservável. Assim, não haveria razões empíricas para preferir determinada teoria em detrimento das outras.

Ghins admite a força desse argumento, reconhecendo que a “adequação empírica não constitui, por si mesma, uma garantia de verdade de uma teoria” (Ghins 2013, p.42). Porém, a fim de sustentar a sua posição realista, o autor apresenta críticas à subdeterminação, quais sejam: (i) os céticos antirrealistas, muitas vezes, apenas acenam para a possibilidade de teorias alternativas incompatíveis, mas não mostram casos concretos em que isso efetivamente ocorre (Ghins 2013, p.41); (ii) se levarmos em conta condições suplementares, é possível quebrar a subdeterminação. Isto é, Ghins afirma que, diante de teorias incompatíveis, devemos preferir aquela que possua leis que descrevam mecanismos causais, sendo que “essas leis possuem termos que assumem a forma de derivadas temporais e que propomos identificar a efeitos” (Ghins 2013, p.43). As leis da teoria cinética de Maxwell-Boltzmann são exemplos dessa definição.

O recurso à teoria correspondentista da verdade e ao poder explicativo das leis causais fundamentam as respostas de Ghins às objeções antirrealistas. No entanto, que argumento positivo em favor do realismo científico é oferecido pelo autor? Para Ghins, o único argumento razoável em favor da existência dos inobserváveis é a convergência de mensurações em analogia com a experiência sensível ordinária. Assim como legitimamos nossa crença nas entidades observáveis quando podemos acessálas intersubjetivamente por diferentes ângulos e sentidos, “nossa crença na existência dos elétrons é justificada pela possibilidade de medir suas diversas propriedades [. . . ] por meio de métodos independentes que proporcionam resultados precisos e convergentes” (Ghins 2013, p.45).

Ademais, Ghins sustenta a superioridade de sua defesa do realismo em relação ao argumento do milagre (no-miracle argument), o mais usual em favor do realismo.

O argumento do milagre afirma que, em virtude do sucesso empírico das nossas melhores teorias, seria uma coincidência altamente improvável que elas fossem falsas e que as entidades centrais postuladas por elas não existissem. A vantagem de Ghins é que seu argumento evoca a concordância entre mensurações, noção mais exigente que a de sucesso empírico (Ghins 2013, p. 47). Além disso, comumente é dito que o argumento do milagre repousa sobre o esquema conceitual da inferência para a melhor explicação (IBE).2 Em algumas passagens, Ghins enfatiza que seus argumentos não devem ser lidos como inferências desse tipo; afinal, “não há razão a priori para que a natureza se submeta aos requisitos explicativos que impusemos às nossas teorias” (Ghins 2013, p.48). De nossa parte, não vemos razões para deixar de considerar a IBE como esquema válido de raciocínio. Poderíamos considerar que a existência dos inobserváveis postulados pelas melhores teorias é a melhor explicação para a convergência entre mensurações independentes, sem que, com isso, voltemos ao argumento do milagre.3 Afinal, mesmo que o tipo de inferência seja o mesmo (a IBE) em ambos os argumentos, as premissas das quais eles partem são claramente distintas.

Em suma, Ghins considera sua versão de realismo como falibilista, seletivo e parcimonioso, uma vez que o requisito de convergência é exigente o bastante para admitir a crença apenas em um número escasso de entidades inobserváveis (Ghins 2013, p.50). Passemos para o tema das leis e das propriedades, apresentados nos capítulos finais da obra.

***

A questão que norteia os últimos capítulos do livro de Ghins é a seguinte: leis científicas são também leis da natureza? Na concepção do autor, leis científicas dizem respeito às generalizações que desempenham função explicativa relevante no contexto de teorias científicas bem-sucedidas (cf. Ghins 2013, pp.51–2). Para que as leis científicas sejam identificadas a leis da natureza, é preciso articular uma metafísica da natureza que fundamente a sua verdade. O que Ghins busca demonstrar é que essa tarefa só pode ser cumprida por uma metafísica baseada em poderes causais ou disposições.

A fim de defender esse ponto de vista, o autor critica as principais concepções rivais acerca das leis, quais sejam, o regularismo e o necessitarismo categorialista.

Em linhas gerais, o regularismo é a teoria que encara as leis como regularidades, compreendidas como conjunções constantes, no sentido de Hume. Trata-se, portanto, de “proposições universais que são verdadeiras, sem dúvida, mas de modo meramente contingente” (Ghins 2013, p.53). Segundo Ghins, a principal dificuldade dessa concepção é o chamado problema da identificação, desafio que se impõe a qualquer concepção de lei que se pretenda defensável. Esse problema é originalmente formulado por van Fraassen (1989, p.39), mas Ghins o divide em dois aspectos. O primeiro deles é o problema epistêmico da identificação: devemos ser capazes de distinguir as generalizações nomológicas das acidentais. Nesse sentido, o regularista deve oferecer um critério para distinguir enunciados do tipo “Todas as esferas de urânio possuem diâmetro inferior a um quilômetro” (que parece remeter às propriedades radioativas do elemento urânio) e “Todas as esferas de ouro possuem diâmetro inferior a um quilômetro” (verdadeira de modo acidental). Ghins concede que, à primeira vista, a teoria do melhor sistema, de David Lewis (1973), fornece uma resposta a esse problema.

Nessa teoria, as leis são os teoremas ou axiomas presentes nos sistemas dedutivos que melhor equilibram os desiderata de simplicidade e força (cf. Ghins 2013, p.54).

Entretanto, a teoria de Lewis não tem a mesma sorte no que se refere ao segundo aspecto do problema da identificação, a saber: o problema ontológico da identificação.

Trata-se de identificar o “tipo de fato acerca do mundo” que torna as leis verdadeiras (Ghins 2013, p.55). Nesse sentido, Ghins argumenta que Lewis “permanece silencioso” acerca dessa questão, uma vez que ele não indica quais fatores ontológicos seriam os responsáveis por tornar certos sistemas axiomáticos mais satisfatórios que outros. Ora, essa crítica não é forte o bastante, pois alguém poderia objetar que o regularismo não precisa fornecer uma solução ao problema ontológico, uma vez que as uniformidades não carecem de explicação adicional, isto é, elas são encaradas como fatos brutos. O problema ontológico da identificação só faz sentido para as concepções realistas das leis, já que estas caracterizam as leis a partir de categorias metafísicas que se projetam para além das regularidades.

A fim de rejeitar o regularismo, portanto, é necessário mostrar que essa teoria não soluciona adequadamente o problema epistêmico da identificação, visto que é nesse âmbito que Lewis formula os seus principais argumentos. Para cumprir esse objetivo, Ghins (2013, pp.56–8) apresenta, de modo esquemático, algumas críticas a Lewis, dentre as quais destacamos: (i) a teoria do melhor sistema tem alcance restrito, pois só funciona para teoria axiomatizáveis; (ii) os critérios de equilíbrio, simplicidade e força, conforme tratados por Lewis, são meramente epistêmicos e subjetivos, sendo insuficientes para caracterizar as leis; (iii) se as leis são regularidades contingentes, a única maneira de explicar como elas sustentam os enunciados contrafactuais é apelando para a controversa noção de “similaridade entre mundos possíveis”.

De acordo com Ghins, esses problemas mostram que o regularismo é, na verdade, incapaz de distinguir as leis de generalizações acidentais. O autor passa a investigar, portanto, concepções de lei que se fundamentem em discussões de caráter metafísico.

É o caso do necessitarismo categorialista de Dretske, Tooley e Armstrong. Nessa visão, uma lei “é uma proposição singular que exprime um fato não empírico, a saber, uma relação de necessidade entre propriedades universais” (Ghins 2013, p.60). Segundo Armstrong (1983), que articulou a versão mais sofisticada de necessitarismo, as leis possuem a forma N(F,G), em que F e G são universais de primeira-ordem e N é, ao mesmo tempo, um universal de segunda-ordem e uma relação de necessitação entre universais. A solução necessitarista ao problema ontológico da identificação depende, portanto, da metafísica de universais elaborada por Armstrong.

Todavia, Ghins aponta que a maior dificuldade dessa teoria é o problema da inferência, que consiste na tarefa de que explicar de que modo é possível que “uma proposição que descreve uma relação da segunda ordem N entre universais [. . . ] implique logicamente uma proposição que descreve uma relação de necessitação entre as instâncias desses universais” (Ghins 2013, p.61). Em outros termos, Armstrong deve justificar a inferência N(F,G)→(x)N(F x Gx) A solução de Armstrong consiste em identificar a relação N, que se dá entre types, e a relação de causalidade entre tokens. Assim, da mesma forma que os universais F e G são obtidos por abstração a partir dos estados de coisas particulares {Fa, F b, . . .} e {Ga,Gb, . . .}, também a lei N(F,G) é obtida a partir da observação das sequências causais particulares {(Fa,Ga), (F b,Gb), . . .}. Para Armstrong, esse argumento mostra que a solução do problema da inferência é automática. A objeção de Ghins a esse raciocínio consiste em afirmar que, mesmo que se admita a hipótese de que a relação de causalidade entre tokens seja observável (tese negada por autores empiristas), a relação de causalidade entre types não o é (Ghins 2013, p.62). Logo, a resposta de Armstrong se encontra comprometida, uma vez que não há razões para supor que N seja idêntica à relação de causalidade entre particulares.4 Após discutir os problemas do regularismo e do necessitarismo categorialista, Ghins apresenta sua própria concepção das leis, derivada do essencialismo disposicional.

Vimos anteriormente que o autor caracteriza as leis como proposições universais pertencentes a teorias empiricamente adequadas e explicativas. Conforme a teoria desenvolvida nos primeiros capítulos, o que torna as leis verdadeiras são as regularidades da natureza, descritas pelas estruturas perceptivas e pelos modelos de dados.

Mas como explicar a existência de regularidades na natureza? Em que aspecto da realidade está fundamentado o caráter nômico das leis? É aí que entram as disposições: “o que funda a nomicidade de uma lei ou, em outras palavras, o que torna verdadeira a proposição ‘p é uma lei’ é a existência de poderes causais intrínsecos, reais e irredutíveis” (Ghins 2013, p.69).

Desse modo, a visão de Ghins também pode ser classificada como necessitarista.

A diferença é que Armstrong aceita apenas as propriedades categóricas (isto é, não modais) como irredutíveis. Ghins e os outros disposicionalistas — como Ellis e Bird — admitem a existência de propriedades disposicionais irredutíveis. Afinal, o que são disposições? Ghins oferece a seguinte definição: “Uma entidade x possui a disposição D de manifestar a propriedade M em resposta ao estímulo T nas circunstâncias A, se e somente se, na eventualidade da entidade x ser submetida a T no ambiente A, x necessariamente manifestar M” (Ghins 2013, p.69). O autor explicita essa definição por meio da menção à análise condicional proposta por Bird (2007, pp.36–7): □Dx↔((T x&Ax)□→ Mx)] Exemplos comuns de disposições são a disposição da água para dissolver o sal nas condições apropriadas ou a capacidade de certa anfetamina para, quando ingerida, melhorar o desempenho de um atleta (cf. Ghins 2013, p.70). No entanto, o estatuto ontológico preciso das propriedades disposicionais é assunto de um intenso debate em filosofia da ciência. Vejamos de que modo Ghins se situa nesse espectro.

Em primeiro lugar, o autor considera que as disposições são propriedades de primeira ordem, isto é, são instanciadas pelas próprias entidades físicas. Elas não são, portanto, “propriedades de propriedades”. Em segundo lugar, o autor adota uma ontologia mista, diferentemente do monismo disposicional defendido por Bird. Segundo Ghins, todas as propriedades capazes de figurar nos modelos científicos são propriedades categóricas. Essa visão abrange não apenas as propriedades espaçotemporais (distância, estrutura molecular, etc.), mas todas “as propriedades matemáticas e quantificáveis referidas pelos símbolos matemáticos que figuram nas leis científicas” (Ghins 2013, p.85).

Por fim, Ghins sustenta que essa ontologia de propriedades permite responder aos problemas da identificação e da inferência. No que tange ao segundo, o autor afirma: “Se p é uma lei, então p é uma proposição universal e as situações e os processos descritos por p ocorrem efetivamente no mundo” (Ghins 2013, p.65). A teoria da representação de Ghins, desenvolvida na parte inicial do livro, tem por objetivo explicitar essa solução. Além disso, limitar as leis ao contexto de teorias científicas aproximadamente verdadeiras e explicativas visa a responder ao problema epistêmico da identificação (Ghins 2013, pp.63–4). Quanto ao problema ontológico da identificação, Ghins afirma que “as regularidades descritas nas várias disciplinas encontram seus fundamentos nas naturezas relacionais, reais, de certas entidades e em suas disposições a submeter-se a processos específicos” (Ghins 2013, p.85). A metafísica das disposições implica, pois, que as leis científicas mereçam o título de leis da natureza, uma vez que sua verdade é fundamentada por uma metafísica da natureza.

Compartilhamos das motivações que levam o professor Ghins a defender uma metafísica disposicionalista e, em grande medida, simpatizamos com a solução do autor à problemática das leis. No entanto, temos algumas dúvidas com relação à sua metafísica da natureza, em especial à preferência pela ontologia mista. Essas incertezas se tornam explícitas quando analisamos a seguinte passagem: Uma entidade possui, por exemplo, uma carga de certo valor independentemente da força que pode exercer ou sofrer. Em outras palavras, a carga não é uma propriedade disposicional. [. . . ] Ao lado de suas propriedades categóricas, o elétron possui igualmente propriedades disposicionais, tal como a capacidade de interagir com partículas e campos em conformidade a certas equações matemáticas como, por exemplo, a lei de Maxwell (Ghins 2013, p.84).

Acreditamos que esse modo de ver as coisas obscurece as relações entre as leis e as disposições, dando margem a críticas categorialistas. De fato, estamos de acordo com o fato das disposições serem irredutíveis às suas manifestações. Entretanto, consideramos que é em virtude de possuir determinada carga que o elétron pode participar das interações de que participa. Aliás, o próprio autor admite que não há como determinar a carga do elétron a não ser com base nas suas interações, o que envolve elementos disposicionais. Logo, não vemos motivos para afirmar que haja duas propriedades distintas em jogo, como o faz Ghins. Dito de outro modo, Ghins afirma que o elétron possui carga (propriedade categórica) e, “ao lado” de tal propriedade, disposições essenciais. Ora, se quisermos argumentar que as leis da natureza são metafisicamente necessárias em razão de serem fundamentadas em disposições essenciais, então o vínculo entre as propriedades categóricas e disposicionais precisa ser esclarecido.

Sustentamos que a desvinculação entre as propriedades categóricas e disposicionais torna estas últimas misteriosas, comprometendo o caráter metafisicamente necessário das leis e a irredutibilidade das disposições. Essa consequência favorece o monismo categórico, segundo o qual as disposições dos objetos podem ser reduzidas às suas propriedades categóricas e às leis da natureza (impostas externamente aos objetos. Nesse sentido, Cid (2016, p.242s) aponta que a teoria de Ghins e o categorialismo fornecem explicações similares às leis e aos contrafactuais. Em última análise, o que Cid e outros críticos apontam é o fato de que, se nosso objetivo é explicar a necessidade das leis da natureza, é mais simples fazer isso admitindo apenas um tipo de propriedade irredutível (as categóricas) em vez de dois (como na ontologia mista).

De fato, a ontologia mista parece levar a problemas adicionais. Suponhamos que, conforme afirma Ghins, a carga do elétron (Q) seja uma propriedade categórica e seus poderes causais para participar de determinadas interações (D) consistam numa disposição.

Ghins afirma que D é essencial ao elétron. Naturalmente, é razoável supor que, se a carga Q do elétron fosse diferente, a disposição D também o seria. Então, qual a relação entre essas propriedades? Q também é essencial ao elétron? D é superveniente a Q? Gostaríamos de indicar um caminho para uma solução disposicionalista (e monista) a este problema, inspirada na visão de Heil (2003) acerca das propriedades.

Em primeiro lugar, devemos considerar que, de acordo com o disposicionalismo, as leis são metafisicamente necessárias precisamente porque os objetos, em virtude de possuírem as propriedades que possuem, não poderiam se comportar de forma diferente.

Portanto, D e Q correspondem, na verdade, a uma única propriedade, apenas descrita de duas maneiras diferentes ou, mais precisamente, em níveis de abstração distintos. Conforme o contexto de investigação no qual estivermos inseridos, será mais relevante enfatizar as possíveis interações do elétron ou simplesmente o valor de sua carga. Entretanto, não há razão para considerar que se trata de duas propriedades de naturezas distintas. Com efeito, essa sugestão de resposta — que certamente precisa ser detalhada — está alinhada com os argumentos de Ghins, não exigindo maiores alterações em sua ontologia. Além disso, essa caracterização evita os embaraços envolvidos na noção de superveniência, bem como explicita a origem da necessidade metafísica das leis.

*** Nesta resenha, procuramos abordar os principais temas tratados pelo Professor Ghins ao longo de sua obra, atestando que ela funciona como uma excelente introdução tanto ao realismo científico quanto ao realismo nomológico. Ao mesmo tempo, discutimos alguns dos argumentos formulados pelo autor, com vistas a fazer avançar, ainda que modestamente, o debate para o qual Ghins tanto contribuiu.

Referências

Armstrong, D. M. 1983. What Is a Law of Nature? Cambridge: Cambridge University Press.

Bird, A. 2007. Nature’s Metaphysics: Laws and properties. Oxford: Clarendon Press.

Cani, R. C. 2017a. O Dilema Central é suficiente para refutar a visão disposicionalista das leis da natureza? In: J. D. Carvalho et al. (eds.) Filosofia da natureza, da ciência, da tecnologia e da técnica, pp.356–69. São Paulo: ANPOF. (Coleção XVII Encontro ANPOF).

———. 2017b. Realismo nomológico e os problemas da identificação e da inferência. Curitiba, PR. Dissertação de Mestrado. Universidade Federal do Paraná.

Cid, R. R. L. 2016. Uma crítica à metafísica conectivista de Ghins. Filosofia Unisinos 17(2): 233–43.

Ghins, M. 2017. Defending Scientific Realism Without Relying on Inference to the Best Explanation.

Axiomathes 27(6): 635–651.

Heil, J. 2003. From an Ontological Point of View. Oxford: Oxford University Press.

Lewis, D. 1973. Counterfactuals. Cambridge: Harvard University Press.

van Fraassen, B. 2002. The Empirical Stance. New Haven: Yale University Press.

———. 2008. Scientific Representation: Paradoxes of perspective. Oxford: Oxford University Press.

Notes

1 A distinção entre isomorfismo e homomorfismo corresponde, respectivamente, à diferença entre uma função bijetiva — em que há correspondência um-para-um entre todos os elementos do conjunto de partida e do conjunto de chegada da função — e uma função injetiva— em que a única exigência é que, para um valor no conjunto de chegada, não haja dois valores distintos no conjunto de partida. O homomorfismo, portanto, é uma noção menos exigente do que o isomorfismo.

2 A sigla se refere à formulação em inglês — inference to the best explanation (IBE) — frequentemente utilizada pela literatura.

3Num artigo recente, Ghins (2017) adverte que sua posição, nesse caso, é encarar a convergência entre mensurações como um fato que não demanda explicações ulteriores. Em linhas gerais, isso significa afirmar que o simples fato de a convergência ser verificada é o suficiente para argumentar em favor da visão realista.

4 Conforme salienta Cid (2016), é importante ressaltar que a crítica de Ghins ao necessitarismo categorialista se aplica somente à versão aristotélica dos universais, tal como defendida por Armstrong. Em linhas gerais, Cid tenta mostrar que é possível argumentar, de modo independente, que uma versão de necessitarismo baseada na concepção platonista dos universais (à la Tooley) escapa às objeções apresentadas. No entanto, parece-nos que a objeção mais forte ao necessitarismo categorialista não é o problema da inferência, mas o quidditismo. Em outros textos (Cani 2017a, pp.361–7; 2017b, pp.83–7), argumentamos que esse problema perpassa tanto a teoria de Armstrong quanto a de Tooley. Trata-se da objeção de que, se somente as propriedades categóricas são irredutíveis, então pode haver mundos possíveis em que as mesmas propriedades categóricas possuam perfis causais absolutamente distintos.

Nesse cenário, seria impossível fixar a identidade das propriedades (e, por conseguinte, das leis). É uma pena que Ghins não tenha discutido diretamente o quidditismo — ainda que o autor aborde a questão lateralmente — pois isso daria mais força a seu argumento.

Agradecimentos Ao Professor Michel Ghins, agradeço pelo incentivo, por comentários a uma versão anterior deste texto, bem como pelos diálogos acolhedores e instigantes acerca das temáticas aqui tratadas. O presente trabalho foi realizado com apoio da Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior – Brasil (CAPES) – Código de Financiamento 001.

Renato C. Cani – Universidade Federal de Santa Catarina, BRASIL renatocani@gmail.com

Mercados minas: africanos ocidentais na Praça do Mercado do Rio de Janeiro (1830-1890) | Juliana Barreto Farias

O livro de Juliana Barreto Farias sobre os africanos de nação “mina” na praça do mercado da Praia do Peixe (ou da Candelária) apresenta um estudo histórico sistemático sobre o principal mercado público do Rio de Janeiro no século XIX, assim como sobre as famosas quitandeiras que nele e em torno dele se ocupavam da venda de gêneros alimentícios. Em um momento em que diversas pesquisas começam a tratar das praças de mercados e de quitandeiras em outros períodos e regiões, sua publicação se mostra bem vinda, e abre possibilidades de diálogo mais amplo entre tradições historiográficas diferentes. Leia Mais

Por mãos alheias: usos da escrita na sociedade colonial | Silvia Rachi

Um ponto interessante de se refletir é que todos os indivíduos saudáveis expostos à linguagem falam, mas apenas uma parcela da população global escreve. Vivemos em uma cultura altamente grafocêntrica; dominar a técnica da escrita gera um prestígio e licencia algumas pessoas a participarem de certas atividades e as registrem. Se assim o é atualmente, muito mais o era em períodos pretéritos.

O livro Por mão alheias: uso da escrita na sociedade colonial, de Silvia Rachi, professora do curso de história da PUC-MG, revela expressivas questões sobre a prática da escrita no período setecentista. Essa obra, fruto das pesquisas realizadas pela autora durante a sua carreira, sobretudo, em seu doutorado, vem contribuir diretamente para história da escrita, bem como para a historiografia mineira. Para dar conta de tanta informação, o texto foi dividido em quatro capítulos de conteúdo. Leia Mais

Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

A GUERRA DO FUTEBOL: EL SALVADOR E HONDURAS EM CEM HORAS DE CONFLITOS AGRAVADOS PELA BOLA | Aristides Leo Pardo | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Através deste trabalho vamos ver que o futebol deixou há tempos de ser um assunto sem importância ou relegado ao segundo plano pelas ciências sociais já que através do mesmo é possível analisar uma sociedade e vivenciar fatos como o que aqui será narrado, quando uma partida de futebol resultou em um conflito bélico entre dois países vizinhos, da América central que conviviam com questões divergentes canalizadas na disputa por uma vaga na Copa do Mundo de 1970, realizada no México, que entrou para a história como “A Guerra do Futebol”.
Palavras-Chave: Futebol. Sociedade. Guerra do Futebol

AS IDEIAS PRÉVIAS NO PROCESSO DE APRENDIZAGEM HISTÓRICA: DISCUSSÕES SOBRE GÊNERO EM ÂMBITO ESCOLAR | Ana Paula Rodrigues Carvalho | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Este trabalho busca debater acerca da importância das ideias prévias no processo de aprendizagem para a formação de sujeitos autônomos, críticos e aptos ao convívio democrático, pensando sobre tudo as relações de gênero. Buscar compreender quais as ideias históricas de jovens alunos à respeito das relações de gênero, remete à perspectiva na qual o aluno participa de forma ativa do processo de aprendizagem. A escola, enquanto local de debate e aprendizagem, mas também como ambiente em que permeiam as relações de sexualidade e de gênero aparece como espaço essencial para o debate e a desconstrução de concepções estereotipadas e preconceituosas. As ideias prévias, sobre qualquer temática, são frutos da vivência familiar, social, afetiva, entre outras e está intrinsecamente ligada a subjetividade de quem aprende, fazendo assim parte da sua identidade. O processo que leva ao reconhecimento respeitoso do outro é acompanhado por uma modificação subjetiva de quem aprende. Para que a aprendizagem atinja tais resultados não é possível ignorar as convicções de que o aluno é portador. | Palavras–chave: Ideias prévias; Aprendizagem histórica; Gênero

A CONSCIÊNCIA HISTÓRICA EM JÖRN RÜSEN: UMA REFLEXÃO ACERCA DA NOVELA NOVO MUNDO | Nikolas Corrent | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Este artigo visa apontar o problema da consciência histórica a partir da obra de Jörn Rüsen, fazendo um percurso que envolve os conceitos-chave de memória, aprendizagem e narrativa em entrelace com outros historiadores renomados. Pretende-se estabelecer uma relação entre o que Rüsen entende como consciência e importância da história e o modo como ela é abordada didaticamente na contemporaneidade, diante das perspectivas de ensino. Por isso, relacionaremos os conceitos abordados com a noção de historicidade vista a partir da novela das 18h da Rede Globo, Novo Mundo, que trata, entre outros temas, da Independência do Brasil. Nesse sentido, busca-se evidenciar uma ideia do que é ou não fato histórico e de como as novas mídias influenciam positivamente ou não a leitura e a consciência histórica do indivíduo. – PALAVRAS-CHAVE: Jörn Rüsen. Consciência Histórica. Aprendizagem. Novo Mundo.

NO “BOX EXPLICATIVO”: LIVROS DIDÁTICOS, REVOLUÇÃO RUSSA E A HISTÓRIA DAS MULHERES NO PNLD 2018 | Jorge Luiz Zaluski | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018. |

Este texto tem como objetivo identificar como dois dos livros didáticos de história disponibilizados pelo Programa Nacional do Livro Didático (PNLD) 2018 apresentaram suas narrativas históricas acerca das mulheres e a Revolução Russa. Durante os últimos anos foram produzidas obras de grande importância sobre o tema e que dão visibilidade a participação ativa nesse momento histórico. Diante disso, é de grande importância perceber se essa produção é acompanhada pelos manuais didáticos, assim como se eles proporcionam narrativas que demostrem o protagonismo das mulheres.
Palavras chaves: História das mulheres; Livros didáticos; Revolução Russa.

| ANISTIA X MEMÓRIA: | DEMOCRACIA APRISIONADA NOS PORÕES DA DITADURA | Gabriela Soares Balestero | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018. |

O objeto do presente estudo é análise do direito à memória e do direito à verdade, ambos, considerados expressões da efetividade dos direitos humanos além de representar conquistas obtidas e garantidas como resultado de lutas sociais e simbólicas, tendo como enfoque a situação brasileira, tendo como base a relação entre memória, direitos humanos e a teoria do poder. Além disso, será analisada a aplicação da Lei da Anistia para os agentes públicos acusados de cometer crimes comuns durante a ditadura militar. Ainda, serão destacados os temas justiça histórica e memória, chegando-se ao direito à memória e à verdade na Corte Interamericana de Direitos Humanos, com abordagem das iniciativas implementadas pelo Estado brasileiro, sobretudo, diante das determinações impostas por força do julgamento do caso paradigma Gomes Lund e do papel desempenhado pela Comissão da Verdade. O Estado deve respeitar assegurar a democracia, o direito à memória, a participação popular e a não violação dos direitos fundamentais, sendo a memória um direito fundamental. A técnica de pesquisa utilizada é a bibliográfica e documental a partir dos métodos dedutivo, histórico-evolutivo e também indutivo.
Palavras – chave: Memória; Lei da Anistia; Impunidade; Democracia.

HISTÓRIA ORAL E CONHECIMENTO HISTÓRICO: A QUESTÃO DO CAFÉ EM 1975 EM SÃO PEDRO DO IVAÍ (PR) | Eliane Aparecida Miranda Gomes dos Santos | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018. |

O presente artigo visa tratar sobre a relação do município de São Pedro do Ivaí e o café, haja vista a importância da cultura cafeeira para a formação do município que está localizado no noroeste do Paraná. O trabalho desenvolveu-se pela perspectiva da história oral como fonte e a entrevista como ferramenta, pois através de ambas valoriza-se o constructo da memória dos são-pedrenses, colocando-os como sujeitos históricos e personagens ativos no interior da história do município. A sustentação teórica do referido trabalho apoiou-se em obras de Jörn Rüsen, tais como: Aprendizagem Histórica (2012) e História Viva (2007).
Palavras-chave: São Pedro do Ivaí. Café. Geada. História Oral.

POSICIONAMENTO POLÍTICO DOS JOVENS E CONHECIMENTO HISTÓRICO: UM ESTUDO EMPÍRICO NOS CAMPOS GERAIS – PR – BRASIL | Matheus Mendanha Cruz | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018. |

O presente trabalho visa discutir a relação entre conhecimento histórico e posicionamento político dos jovens de Ensino Médio, no geral entre 15 e 18 anos. Para tal foi utilizado método de levantamento de dados quantitativos para se ter um retrato geral dessa relação. Os questionários foram aplicados nas cidades de Ponta Grossa – PR e de Castro – PR, ambas as cidades da região dos Campos Gerais, entre os meses de maio e junho de 2017. O tema escolhido para se refletir sobre posicionamento político e conhecimento histórico foi o período entre 1964-1985 no Brasil, onde o país foi governado pelos militares. Os dados levantados permitem perceber que os jovens que apresentam maior conhecimento histórico sobre o período acabam também por aderir a soluções mais complexas.
Palavras-Chave: Período do Governo dos Generais; Cultura Histórica; Cultura Política; Soluções para o Brasil.
“A METADE DA LUA COBERTA DE SOMBRAS”: ELITES EM CONFLITO NAS ALTERAÇÕES DE PERNAMBUCO | Estevam Henrique dos Santos Machado | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018. |

No post Bellum A nobreza da terra e os comerciantes reinóis denominados mascates vinham protagonizando cenas de divergências, de um lado os mascates tentando adentrar na administração pública na posse dos honrados cargos da república como a Câmara de Olinda, os postos da administração local, o comando das milícias, os cargos da burocracia régia, as confrarias e irmandades religiosas, a Santa Casa de Misericórdia em Olinda, os hábitos das Ordens Militares e as funções de Familiares do Santo Ofício e do outro lado a açucarocracia tentando barrar esse avanço tendo em vista a sua permanência enquanto grupo regedor dos ditames políticos da antiga Capitania Duartina. Este artigo pretende apresentar algumas das razões desse conflito, dando ênfase ao discurso proferido pelas facções da nobreza e da mascataria.
Palavras-chave: Pernambuco, Guerra dos Mascates, Nobreza da terra

MIGRAÇÃO E MEMÓRIA: O DESLOCAMENTO DE IMIGRANTES ALEMÃES E DESCENDENTES PELO SUL DO BRASIL | Zuleide Maria Matulle | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

O presente texto aborda questões sobre a ocupação da região sul do Brasil por imigrantes que deixaram as fronteiras do Império Alemão no final do século XIX. O material utilizado na análise é uma entrevista de história de vida com traços temáticos e documentos particulares em diálogo com um conjunto de referências que contempla discussões sobre memória, história oral, imigração alemã para o Brasil e ocupação dos estados da região sul. Inicialmente observa-se algumas questões sobre a memória do sujeito que fala e possibilidades da história oral para a construção do conhecimento histórico. Na sequência, pontua-se o contexto social e econômico do Império Alemão, mais especificamente da antiga Província Prussiana da Pomerânia: o que motivou a saída de sujeitos desse território e que experiências essas pessoas trouxeram para Brasil (?). Posteriormente, direciona-se o olhar para os deslocamentos de alemães e descendentes pelo sul do Brasil em busca de novas fronteiras agrícolas como, por exemplo, no estado do Paraná. Tem-se como objetivo refletir sobre experiências vividas e presentes na cultura ordinária, colaborando para a superação de noções cristalizadas de um processo de ocupação simplificado, estanque e homogêneo. – PALAVRAS-CHAVE: alemães e descendentes; memória; migração pela região sul

EDUCAÇÃO ESCOLAR: GÊNERO E ETNIA CONSTRUINDO DIÁLOGOS | Adrieli Müller Sehnem | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018. |

Este artigo propõe refletir sobre as possibilidades que a educação escolar pode contribuir nas problemáticas sobre as relações de gênero e etnia, enfrentadas na atualidade no Brasil, refletindo também sobre sua função social, bem como nas legitimações das práticas políticas impetradas para abordar as inserções e exclusões de diferentes sujeitos históricos.
Palavras-chave: Educação, Gênero, Etnia.

OS USOS E APROPRIAÇÕES DA CIÊNCIA EUGÊNICA EM SEU PROCESSO DE FORMAÇÃO EM DIFUSÃO  | Isaias Holowate | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018. |

A eugenia foi uma ciência com um forte viés de atuação social, surgida na segunda metade do século XIX e que tinha por pressuposto principal o aprimoramento da espécie humana. Tal discurso é geralmente associada à figura do antropólogo inglês Francis Galton, considerado desde o surgimento dessa “nova ciência” como o “pai da eugenia”. Porém, a eugenia não se apresenta enquanto uma ciência estática, mas sim como um discurso em constante transformação, em que os significados variavam no decorrer do tempo e novos signos eram associados a eugenia, de forma que ao mesmo tempo em que se difundia, ela também se reconstruía e se moldava constantemente. Por isso, O presente artigo se utiliza dos pressupostos do conceito de Representação, presentes nas obras do historiador Roger Chartier, para refletir sobre a formação da eugenia enquanto uma produção representativa originada em um determinado contexto social, analisando tanto as suas condições de formação quanto os usos que foi tendo no ambiente em que se constituía.
Palavras Chave: Apropriação; Eugenia; Formação da eugenia; Representação.
RÜSEN, HABERMAS E OS FUNDAMENTOS DA CIÊNCIA HISTÓRICA | João Elter Borges Miranda | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

O presente trabalho tem como foco a reflexão sobre a problematização rüseniana para os fundamentos da ciência histórica, buscando pontos de contato, semelhanças e diferenças entre a sua teoria da história e a teoria da ação comunicativa de Jürgen Habermas. O enfoque será dado para a constituição e a validação da operação historiográfica. No que tange a constituição, percebemos pontos de contato entre as reflexões habermasianas e o fator “interesses” da matriz disciplinar. No que tange a validação na ciência histórica, percebemos proximidades entre os fundamentos “ideias” e “métodos” rüsenianos e a teoria do consenso da verdade; mais especificamente a problematização realizada por Rüsen quanto a essas noções para fazer frente ao debate do partidarismo e da objetividade. Realizaremos, assim, a análise na intenção de identificar (ou não, ou em que proporção se verifica) uma possível proximidade entre Rüsen e Habermas. – PALAVRAS-CHAVE: Rüsen; Habermas; Didática da História.

LIMITES E POSSIBILIDADES DA PRÁTICA DOCENTE FRENTE À ALTERIDADE: A FUNÇÃO DA EDUCAÇÃO E AS DIFERENÇAS SÓCIO-CULTURAIS | Arthur Luiz Peixer | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Ao pensarmos a educação no Brasil, estamos falando de um enorme contingente de diferenças regionais, onde muitas vezes um currículo homogêneo não privilegia todos os indivíduos que tem acesso a ele. Ao apresentar essa ideia, propomos discutir como se desenha alguns aspectos principais do fazer educacional. Afinal de contas, do que se trata a educação? O que é alteridade? Que diferentes aspectos socioculturais se refletem na escola? São somente os alunos? E os professores? Ao trazer esses questionamentos, pretendemos entender através das ideias de Emile Durkheim sobre a natureza e função da educação, como o ser humano enxerga e como executa esse processo. Dessa forma, iremos criar parâmetros com as analises de Valerie Walkerdine sobre o pensamento contemporâneo em relação às distinções feitas pelos próprios profissionais da educação, também citado nos trabalhos de Marilia Carvalho, o qual também será usado como parâmetro para o nosso entendimento. – PALAVRAS-CHAVE: Alteridade, educação, Escola.

AS TEORIAS RACIAIS E A POLÍTICA DE INCENTIVO À IMIGRAÇÃO EUROPEIA NO PÓS ABOLIÇÃO | Fernando Tadeu Germinatti e Alessandra de Melo | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

O objetivo desse artigo é examinar por meio de pesquisas em obras teóricas de que modo os efeitos e influencias das teorias raciais que se instalaram no Brasil no período do pós abolição favoreceram para que o racismo científico agisse na exclusão social dos ex escravos negros. Assim sendo, viu-se que o Brasil se constituiu como um país mestiço, de ordem biológica e cultural, examinou-se como e por que a influencia das teorias raciais moldaram a imagem do negro provocando como fora constatado o adiamento de sua entrada, de forma efetiva, na sociedade. – PALAVRAS-CHAVE: Abolição, Teorias Raciais, Imigração.

DAS COLUNAS DO JORNAL TRIBUNA CRICIUMENSE: MORALIDADE E URBANIDADE PÚBLICA SOBRE A CIDADE DO CARVÃO – CRICIÚMA/SC (1955-1970) | Adriana Fraga Vieira | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Este artigo busca investigar a linha editorial publicada em crônicas e colunas do jornal Tribuna Criciumense, o primeiro periódico de longevidade da região carbonífera de Santa Catarina. Caracterizando-se desde o início como um jornal de elite, buscou-se entender sobre quais aspectos da cidade o jornal dedicava mais atenção nas décadas de 1950 e 1960, período de crescimento demográfico acelerado em vista da expansão da indústria carbonífera e da diversificação industrial. Os assuntos mais abordados revelavam os anseios e valores que as camadas mais abastadas pretendiam disseminar na cidade, mas também a influência que o impresso exercia sobre opiniões e decisões tomadas pelo poder público.
Palavras-chaves: Imprensa. Moralidade.Urbanidade.

O DISCURSO MÉDICO-LEGAL SOBRE RAÇA, CRIME E IMPUTABILIDADE NO PRIMEIRO CÓDIGO PENAL REPUBLICANO | Rafael Santana Bezerra | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Após a Proclamação da República emergiram inúmeros debates sobre a necessidade de reorganização jurídica da nova nação. A preocupação concentrava-se em atualizar as leis brasileiras às novas descobertas do campo jurídico, além disso, era um marco de distinção da novidade que se instaurava. O Código Penal de 1890, promulgado através do decreto presidencial nº 847, não foi recebido no meio acadêmico e político de maneira unânime, ele foi alvo de inúmeras críticas, produzindo importantes debates que se expandiram para os mais variados campos científicos. Neste sentido, analisaremos as críticas ao Código Penal de 1890 realizadas pelo médico-legal Raimundo Nina Rodrigues, professor da Faculdade de Medicina de Salvador, tendo como cerne a contraposição entre o pensamento iluminista/liberal do Direito e as teorias criminais que ganhavam força no final do século XIX. Trata-se, portanto, de identificar as disputas e enfrentamentos entre o campo médico e o campo jurídico no processo de reorganização do Brasil nos finais do século XIX e início do século XX.
Palavras chave: Nina Rodrigues, Código Penal, Raça.

BAR: UM ESPAÇO DE SOCIALIZAÇÃO E UM REFLEXO SOCIAL DA DESIGUALDADE DE GÊNERO | Jaqueline Kotlinski e Bruno César Pereira | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

O presente trabalho se propõem observar as normas sociais impostas aos gêneros masculino e feminino a partir da divisão de papéis-sociais, salientando a naturalização de características a estes gêneros, como a virilidade, racionalidade, além da marcante visão do homem como provedor do lar em contraponto as mulheres caracterizadas como frágeis e servis; reservando a estas, atividades como, cuidar da casa, dos filhos, etc. Em especial o presente trabalho parte de estudos etnográficos e entrevista realizada com os proprietários de um estabelecimento comercial situado na cidade de Irati-PR; tal local é um bar frequentado por moradores e estudantes universitários. A partir de tais entrevistas podemos compreender melhor as desigualdades de gênero, seja pela sua divisão em papéis-sociais, assim como na própria construção do bar como um espaço de socialização, destinado a um determinado público, o masculino. – PALAVRAS-CHAVE: Espaço-Público, Socialização, Gênero

TRABALHANDO COM A TEMÁTICA ‘AS MULHERES NO PERÍODO COLONIAL BRASILEIRO’ EM SALA DE AULA: RELATOS DE UMA EXPERIÊNCIA NO ESTÁGIO SUPERVISIONADO | Juliana Aparecida Nunes | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

O presente texto diz respeito às experiências vivenciadas durante a docência na disciplina de Estágio Supervisionado II, no quarto ano do curso de licenciatura em História da Universidade Estadual de Ponta Grossa. Foram realizadas duas aulas em duas turmas de 2º ano de ensino médio do Colégio Instituto de Educação Professor Cézar Pietro Martinez, localizado no município de Ponta Grossa, PR, no ano de 2017. Ao longo do período de observação das aulas, a professora responsável pela turma havia trabalhado previamente o período colonial, mais especificamente a economia açucareira, o que permitiu que na docência fossem trabalhados temas específicos que complementassem essa aprendizagem. Por esse motivo, foi feita a escolha por trabalhar com a situação das mulheres no período colonial, fazendo relações com o presente e objetivando-se a fazer com que os alunos conseguissem perceber rupturas e permanências ao longo do tempo. Palavras Chave: estágio supervisionado, história das mulheres, período colonial brasileiro

DAS TERRAS INFIÉIS À TERRA DO ISLÃ: O PROJETO COMUNITÁRIO DO ESTADO ISLÂMICO A PARTIR DA REVISTA DABIQ (2014-2016) | Gilvan Figueiredo Gomes | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

O presente artigo pretende investigar a metodologia de distribuição dos argumentos do Estado Islâmico na revista Dabiq, organizada e propalada em diversos idiomas entre 2014 e 2016. Zygmunt Bauman, em sua análise das sociedades ocidentais do Pós Segunda Guerra, evidenciou a sensação de vazio e incerteza sobre o futuro, bem como a busca por refúgio de tal sentimento. Ancorados nessas reflexões pretendemos discutir a possibilidade do Da’ish oferecer um modelo de comunidade pautado na crença, mas que reconhece as necessidades de seus membros inscrevendo-as no projeto do Califado como produto efetivo da ação de homens e mulheres. Os sujeitos são seduzidos por esse argumento e cooptados para o Da’ish via vídeos, áudios, ações em redes sociais e material textual. O argumento do Estado Islâmico se constrói a partir da análise das dificuldades enfrentadas pelos muçulmanos no mundo ocidental, apontando como solução a construção de uma sociedade que dá conta, tanto de suas necessidades mínimas de infraestrutura quanto religiosas, ou seja, como uma comunidade.
Palavras Chave: Dabiq; Comunidade; Estado Islâmico;

TECITURAS DO COTIDIANO DE UM ESTÁGIO E A ETNOGRAFIA NO ESPAÇO ESCOLAR | Maria Larisse Elias da Silva | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Ao longo do tempo a escola obedeceu várias configurações de acordo com exigências de determinados grupos sociais – geralmente ligados a elite. Junto com a constituição do que era designado por espaço escolar, também estava a concepção do que era ser professor, o que caracterizava-o e os limites empreendidos para exercer a docência. Foi crescente a falta de conhecimento do que a escola era constituída em sentido subjetivo e quem eram os sujeitos que a compunham. Embora essa visão tenha sofrido algumas modificações no decorrer dos anos, ainda são presentes essas raízes sobre ‘escola e docente’ no Brasil. Destarte, problematizaremos aqui as contribuições da etnografia numa experiência de estágio supervisionado de licenciatura em História – desenvolvido numa escola de Cajazeiras-PB. – PALAVRAS-CHAVE: Etnografia; História; Espaço escolar.

ESTADO, CINEMA E EDUCAÇÃO NO BRASIL: O QUE A LEI 13.006/2014 REPRESENTA COMO NOVIDADE NA HISTÓRIA DESSA RELAÇÃO? | Diogo Matheus de Souza | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

A Lei 13.006/2014 determina que todas as escolas de educação básica exibam duas horas de filmes de produção nacional por mês como componente curricular complementar, integrado à proposta pedagógica da escola. O presente trabalho busca fazer um levantamento histórico sobre a relação entre Estado, cinema e educação no Brasil, procurando compreender em que circunstâncias já se estabeleceram políticas públicas para inserir o cinema dentro das salas de aula e em que aspectos a Lei 13.006/2014 traz algo de novo para essa relação. A principal fonte de investigação utilizada é o Projeto de Lei do Senado nº 185, de 2008, elaborado pelo Senador Cristovam Buarque, e que representa o ponto de partida para a criação da Lei em análise. – PALAVRAS-CHAVE: Lei 13.006/2014; Cinema Brasileiro; Educação.

PROCESSOS ESTRUTURAIS DA GLOBALIZAÇÃO: DIÁLOGOS ENTRE MILTON SANTOS E AS CIÊNCIAS SOCIAIS | Wesley dos Santos Lima | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Esse artigo tem como finalidade principal discutir os fenômenos do processo globalizante e o impacto desse sistema na modernidade líquida, iremos discorrer sobre a relação desses dois processos (globalização e modernidade líquida) e de suas estruturas dentro da sociedade. Assim, apresentaremos os efeitos da globalização, sua influência na construção identitária e na fragmentação das identidades, como também, analisaremos o impacto e as consequências nesse mundo líquido moderno globalizado. – PALAVRAS-CHAVEs: Globalização, modernidade, processos. |

PAPEL, TINTA E SANGUE: JUSTICEIRO MAX E OS QUADRINHOS COMO ESPAÇO DE DISCURSOS E PRÁTICAS | Felipe Raul Rachelle | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

O presente artigo tem por objetivo pensar o uso das histórias em quadrinhos como fontes para as pesquisas acadêmicas, problematizando justamente o periódico como um espaço passível de influências diversas. Tais influências que não se limitam apenas ao autor que o produz, mas também a editora, os meios de comunicação, o contexto social e a própria sociedade que o consome. Num processo de firmação enquanto obra de arte, as HQs vivem em transformação, e por meio delas, são veiculadas um vasto número de ideias e intentos. No trabalho em questão, utilizaremos a HQ Justiceiro MAX, parte de uma linha de quadrinhos voltados para um público adulto da Marvel Comics, fazendo um paralelo com seu contexto social e período de produção. Construir uma narrativa histórica em diálogo com uma fonte tão inusitada pode ser uma opção, dentre as tantas, que os historiadores possuem em seu campo, e não é um trabalho simplorio. Deste modo, desconstruir a fonte, questioná-la sob diferentes prismas, analisá-la minuciosamente é parte fundamental do ofício do historiador, e com as HQs, o processo não é diferente.
Palavras-chave: Quadrinhos; História; Espaço.

VESTÍGIOS DE UMA GUERRA: A PRESENÇA DA FORÇA EXPEDICIONÁRIA BRASILEIRA NO MUSEU XUKURUS DE HISTÓRIA, ARTES E COSTUMES DE PALMEIRA DOS ÍNDIOS | Pedro Samyr de Souza Barros | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

Este trabalho analisou algumas peças museológicas referentes à Força Expedicionária Brasileira (FEB) que estão localizadas no Museu Xukurus de História, Artes e Costumes no município de Palmeira dos Índios. Para analisar a parte da história da FEB, foram utilizadas as obras dos seguintes autores: Da Costa (2012) e Goyos Júnior (2013). Foi utilizada Lemos Paranhos (2017) e Peixoto (2013) para elucidar sobre a estrutura, formação e funcionamento do referido museu. Outros autores também foram utilizados para fortalecer a narrativa do texto.
Palavras Chave: Expedicionário; História; Município.

AS REFORMAS EDUCACIONAIS NO BRASIL DE D. JOÃO | William Vicari Filho | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.1, 2018.

A transmigração da Corte Portuguesa para o Brasil foi responsável por reviver no Corpo Monárquico um sentimento de glória e poder há tempos esquecido, e isso contribuiu para tornar o Rio de Janeiro em sede definitiva da Coroa, criando assim a necessidade de reestruturar a cidade. O Período Joanino marca o fim do regime colonial, ao abrir os portos às nações amigas ainda em 1808, mas também simboliza toda a transformação do antigo porto em Metrópole, inclusive as tentativas de modernizar a instrução pública da cidade, encaixando-a nos moldes do período e substituindo a religiosidade pela ciência. Porém, ao se analisar essa evolução educacional, percebe-se que, além das reformas visarem apenas à inserção da nova sede no modelo de civilização européia, a educação continuou sendo um privilégio de poucos, servindo inclusive como ícone de status social.
Palavras Chave: Brasil; Joanino; Educação | | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

SUCESSO NA VIDA: A REPRESENTAÇÃO DA MATERNIDADE E DO FEMININO NOS ALMANAQUES DE FARMÁCIA (1910 – 1940) | Caroline de Lara | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Com conteúdos diversificados, a partir do século XIX os almanaques de farmácia no Brasil propagaram discussões sobre nacionalidade, representando o emblema feminino da maternidade e reafirmando sua posição na sociedade, seu papel e sua identidade como guardiã da saúde e do bem estar.
Palavras-chave: Maternidade. Representação. Propagandas.

DINHEIRO, CORAGEM E BALA: A TRAJETÓRIA DO CANGAÇO | Douglas Augusto da Silva | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

O cangaço foi um movimento armado que teve seu auge no século XX. Dentre os motivos: a miséria, terras injustamente repartidas, as intensas brigas de família e a insolência dos coronéis para com o pobre sertanejo. Podemos classificar estes cangaceiros como “bandidos sociais”, vistos como criminoso pela elite e como um herói pelo seu povo. Surgiram vários cangaceiros famosos, dentre os mais: Antonio Silvino, Luís Padre, Sinhô Pereira, Corisco e o mais famoso, Virgulino Ferreira da Silva, o Lampião. Durante anos uma guerra se instaurou no sertão nordestino entre cangaceiros e volante. Lampião e o cangaço ficaram eternizados na cultura nordestina. – PALAVRAS-CHAVE: Nordeste. Cangaço. Lampião.

O LUGAR SOCIAL DE JÖRN RÜSEN E O CONTEXTO DE SUA TEORIA DA HISTÓRIA | João Elter Borges Miranda | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O presente artigo, como aponta o título, tem como objetivo traçar apontamentos sobre a trajetória biográfica do historiador e filósofo alemão Jörn Rüsen e contextualizar a sua teoria da história. Existem muitas formas de contextualizar o pensamento e a teoria de Rüsen. À luz do conceito de lugar social de Certeau, a reconstrução interpretativa que realizaremos se concentrará no processo perpetrado por Rüsen de construção de uma teoria da história em resposta a duas transformações que marcaram a história da historiografia ao longo do século 20: a ampliação dos objetos de estudo do conhecimento histórico e a “virada linguística”. Esse olhar macro-histórico sobre o pensador pode oferecer suporte ao melhor entendimento das bases epistemológicas sobre as quais Rüsen edificou a sua teoria da história; espera-se ainda que a compreensão mais fundamentada dessas bases contribua, por sua vez, para uma maior clareza da teoria da história ruseniana em si e, também, da complexidade do pensamento rüseniano.
Palavras-chave: Jörn Rüsen; Lugar social; Didática da História.

| VIDAS NOS AUTOS: PESSOAS POBRES E O PODER EM UMA FRONTEIRA DO SUL IMPERIAL | Rodrigo Fidélis Renauer | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Este artigo tem por objetivo analisar algumas práticas de controle social empreendidas pelo Estado imperial sob a vigência do Código Criminal de 1830. Para atender a esse propósito, buscamos analisar um documento policial conhecido por termo de bem viver. Parte-se da hipótese de que alguns comportamentos dos pobres livres eram vistos como problema à ordem imposta. Os termos de bem viver analisados neste artigo foram produzidos em Guarapuava, região limítrofe do Paraná, na última década do Império. A pessoa que fosse obrigada a assinar esse documento firmava um compromisso diante de autoridades e testemunhas, sendo obrigada a mudar sua conduta. Caso infringisse esse termo, seria processada criminalmente. Além dessas questões, mostraremos como os termos de bem viver poderiam se ajustar aos arranjos sociais de cada região.
Palavras chave: controle social; termo de bem viver; pobres livres.

O SISTEMA EDUCACIONAL NA ERA VARGAS: O ENSINO DA DISCIPLINA DE HISTÓRIA DO BRASIL NO ENSINO SECUNDÁRIO DO GINÁSIO AMAZONENSE PEDRO II EM 1934 | Gutierre Elias Nassur Junior e Daniel Rodrigues de Lima | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O presente artigo busca compreender como era organizado o sistema escolar na Era Vargas no Estado do Amazonas em 1934, analisando o ensino da disciplina de História no ensino secundário na escola Pedro II ou Ginásio Amazonense. Utilizou-se dos conceitos de Hebe Castro em História Social como fundamentação teórica a nossa pesquisa onde é priorizada a ação dos homens como sujeitos construtores do processo histórico em seu ato de viver cotidianamente. As fontes que utilizamos além de bibliografias que tratam do tema são de cunho oficial como o Diário Oficial do Estado do Amazonas de 1934. Por fim, tem-se a pretensão de entender as mudanças educacionais ocorridas no ensino da disciplina durante esse período analisando as rupturas, permanências, continuidades e transformações no sistema educacional.
Palavras- chave: educação, ensino secundário, História, Era Vargas e Ginásio Amazonense.

A HOSPEDARIA DANZIGER HOF: O MARCO ZERO HISTÓRICO DA COLONIZAÇÃO DE CAMBÉ PR | Lucimara Andrade da Silva | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

Este artigo tem por objetivo apresentar a história sobre a Hospedaria Danziger Hof, sendo esse local o marco zero na história da colonização de Cambé, situada no Estado do Paraná que abrigou os primeiros imigrantes no que seria então a colônia Nova Dantzig, a construção foi realizada pela CTNP que empreendeu o loteamento das terras do norte do Paraná. Além disso, também abordaremos a missão Montagli, a propaganda da terra fértil, a chegada dos primeiros habitantes, ressaltando a construção da hospedaria e as condições em que viviam essas famílias. Essa pesquisa visa destacar a importância da memória e de construções pioneiras para a história de Cambé. Dessa forma, mostraremos que a preservação desse local é fundamental, em razão da sua importância como a primeira moradia da cidade. Atualmente está preservado como Parque Histórico Municipal Danziger Hof, contém em seu acervo duas importantes casas de madeira da época e também espécies da fauna e flora nativa. O principal resultado obtido nesse estudo, foi que há um desconhecimento dos moradores sobre a história local, os que tem memórias da época são os pioneiros, para o restante da população, o parque é uma novidade ao visitarem passam a se interessar pelas suas origens. Palavras Chaves: Imigrantes; Memória; Patrimônio Histórico.

HISTORIOGRAFIA BRASILEIRA: UM POSSÍVEL DIÁLOGO ENTRE FRANCISCO ADOLFO DE VARNHAGEN E GILBERTO FREYRE  | Rafael Marcelino Tayar e Bruno Moro | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Este artigo pretende realizar um diálogo entre Francisco Adolfo de Varnhagen e Gilberto Freyre, identificando em suas obras similaridades e diferenças de pensamentos que possam em si corresponder a ideias que norteavam o campo político e social de suas respectivas épocas. Para tal, o estudo divide-se em partes complementares do entendimento, primeiramente traçando as condições sócio políticas de ambos historiadores, visando entender seus anseios pessoais, assim como as possíveis amarras institucionais enfrentadas. Numa segunda ocasião, elencar as similaridades de suas obras, pensamentos e propostas, destacando também as diferenças, e quais condições as fizeram possíveis.
Palavras-chave: Historiografia brasileira, Invenção de uma nação, IHGB.

QUESTÃO AGRÁRIA NO BRASIL: ASPECTOS HISTÓRICOS SOBRE A EXTENSÃO RURAL NO PARANÁ | Caroline Becher e Alef Guilherme Zangari da Silva | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O objetivo deste trabalho é proporcionar um panorama sobre a questão agrária no Brasil, seus processos históricos bem como os paradigmas da questão agrária e do capitalismo agrário. Além disso, apresentar uma discussão sobre o processo histórico da extensão rural e surgimento do Instituto de Assistência Técnica e Extensão Rural do Paraná (Emater-PR). Ainda, apresenta-se neste trabalho caracaterísticas peculiares das políticas públicas que atualmente incidem sobre o território rural brasileiro e a ação da extensão rural no estado do Paraná. Para atender os objetivos propostos foi realizado uma revisão bibliográfica referente a temática, análise da legislação pertinente e, utilização de documentos do arquivo histórico EMATER-PR.
Palavras-chave: Questão Agrária; Histórico da extensão rural; Políticas Públicas.

O ANTICOMUNISMO PRESENTE NO JORNAL CATÓLICO ‘O SEMEADOR’ | Pedro Samyr de Souza Barros | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Este artigo tem como objetivo mostrar como se deu a produção e o discurso anticomunista no jornal Católico “O Semeador” da diocese de Maceió – AL. Além disso, o trabalho irá expor como alguns dos altos membros da Igreja Católica e da sociedade Alagoana agiram para ‘combater o avanço do comunismo no estado.
Palavras-chave: Anticomunismo. Discurso. Igreja.

ESCONDER OU CONFINAR: ANALISANDO POBREZA E MIGRAÇÃO COMO CONTROLE SOCIAL | Rodrigo dos Santos | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Este texto pontua a pobreza analisada a partir da migração, apontando como ocorreu o processo migratório dos sujeitos pobres, especialmente nos séculos XVIII e XIX, através de autores que se debruçaram na temática social da pobreza ou com íntima relação com ela, sendo uma pesquisa de cunho bibliográfico. Com isso, como resultados verificou-se que para conter esses sujeitos pobres, surgem mecanismos como canalização de água, sistema de policiamento, criação de vilas operárias e asilos. Apesar disso, essa população promoveu resistências contra esses sistemas hegemônicos de controle da classe burguesa, principalmente pelas migrações.
Palavras chave: Domesticação, Miserabilidade, Povos Pobres.

A CAPOEIRA COMO POSSIBILIDADE DE APLICAÇÃO DA LEI 10.639/03 | Denis Henrique Fiuza | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Segundo o parecer 003/2004, a demanda da comunidade afro-brasileira por reconhecimento, valorização e afirmação de direitos, no que diz respeito à educação, passou a ser particularmente apoiada com a promulgação da Lei 10639/2003, que alterou a Lei 9394/1996, estabelecendo a obrigatoriedade do ensino de história e cultura afro-brasileiras e africanas. Nesse sentido, analisamos a utilização da capoeira, elemento cultural gestado pelos negros na sociedade brasileira desde o período colonial, nos estabelecimentos de ensino, como proposta de aplicação da Lei 10.639/03, que tornou obrigatório o ensino de História e Cultura Afro-Brasileira e Africana na Educação Básica.
Palavra-chave: capoeira; história; relações étnico-raciais.

O PROBLEMA DO PENSAMENTO CHINÊS NO BRASIL | André Bueno | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Atualmente, o Brasil considera a China um parceiro ideal. As conquistas econômicas dos chineses inspiram os brasileiros. O modelo político e social chinês é olhado com admiração. Contudo, os brasileiros também são preconceituosos. Não compreendem a cultura chinesa. Não entendem seus hábitos. Não conhecem suas filosofias, e ignoram o conceito de uma história milenar. Os brasileiros, portanto, tem um desafio pela frente. Se quiserem a China como parceira no futuro, precisam compreender suas formas de pensar. Por outro lado, os brasileiros têm grandes dificuldades em absorver aquilo que não vem da Europa ou dos Estados Unidos. A sociedade brasileira costuma ser receptiva com os estrangeiros; mas, ao mesmo tempo, ela é muito receosa com novidades culturais. Essa questão se aplica ao caso chinês. Os brasileiros alternam entre a admiração e o repúdio, a curiosidade e o medo. Quais as razões desse comportamento? E como o estudo da filosofia chinesa poderia ajudar a resolver esse problema? É o que veremos a seguir, em nosso texto.
Palavras-chave: Pensamento chinês; Sinologia Brasileira; Diálogo Intercultural

DEVOÇÕES NEGRAS E IRMANDADES DE COR: | SOCIABILIDADES E PROFISSÃO DE FÉ NO RIO DE JANEIRO DOS SETECENTOS | Artur Rômulo Batista Henrique | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O nosso trabalho se propõe a uma breve análise acerca das manifestações populares de fé no século XVIII na cidade do Rio de Janeiro, como forma de expressão cultural e resistência escrava e africana. Nosso foco são as irmandades religiosas e as devoções negras, que promoveram a vinculação dos ascendentes africanos nos meios sociais e a sua integração aos meios religiosos do catolicismo.
Palavra Chave: Irmandades de cor, Santos negros, Antigo Regime.

ECOS DO SILÊNCIO: A DIÁSPORA E A CHEGADA DA FAMÍLIA RICARDO À FAZENDA CANTO (1872 A 1952) | Adauto Santos da Rocha e José Adelson Lopes Peixoto | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O Xukuru-Kariri, objeto desse estudo é um povo indígena situado no município de Palmeira dos Índios, região Agreste do estado de Alagoas. Este artigo tem por objetivo discutir o processo de extinção dos aldeamentos em Alagoas e seu reflexo em Palmeira dos Índios, e a consequente aquisição das terras que hoje compõem a aldeia Fazenda Canto, descrevendo o protagonismo da família Ricardo, uma das treze famílias que povoaram a aldeia, à época de sua povoação. A abordagem descreve como essa família passou pelos processos históricos de silenciamento e ressurgência frente a negação do estado e da sociedade envolvente. As fontes da pesquisa constituíram-se em relatos de (10) dez membros da família Ricardo e também de moradores do distrito de Canudos (atual cidade de Belém-AL) que conviveram com os sujeitos entrevistados. Para o estudo dos relatos coletados partimos dos pressupostos teóricos de Maurice Halbwachs (2003), Lopes Peixoto (2013), Carneiro Martins (1994) e Silva Júnior (2013) como formas de evidenciar a experiência vivida pelo Xukuru-Kariri em nossa história recente.
Palavras-chave: Dispersão. História. Memória. Oralidade.

A IMPORTÂNCIA DO INTÉRPRETE DE LÍNGUA BRASILEIRA NA SALA DE AULA | Elisiane Zvir | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

Atualmente, os professores da rede pública convivem com uma escola repleta de diversidades, dentre essa diversidade se encontram os alunos surdos, esse se utilizam da Língua Brasileira de sinais para se comunicar e a escola deve estar apta para receber esses alunos em sala de aula. Nesse sentido o objetivo da pesquisa foi entender a partir de uma analise bibliográfica a importância da presença do intérprete de LIBRAS em sala de aula e os caminhos percorridos no Brasil para o reconhecimento da comunidade surda; com a pesquisa foi possível compreender que o intérprete na escola torna possível romper as barreiras da comunicação e construir o conhecimento com os alunos, mas sem intérprete vai além de fazer tradução, o trabalho envolve o conhecimento e a participação da comunidade surda. – PALAVRAS-CHAVEs: Intérprete de Língua Brasileira de Sinais, LIBRAS, comunidade surda.

LITERATURA, ARTE E HISTÓRIA NO BRASIL IMPERIAL: ENTRE A BUSCA DA IDENTIDADE NACIONAL, DO COTIDIANO E DO IMAGINÁRIO DA SOCIEDADE OITOCENTISTA BRASILEIRA | Bruno César Pereira e Ana Maria Rufino Gillies | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O presente texto apresenta o resultado de uma pesquisa desenvolvida como projeto de Iniciação Científica, tendo como objetivo realizar um estudo sobre pinturas e obras literárias produzidas ao longo da segunda metade do século XIX, para verificar o potencial das mesmas como fontes para o entendimento e a escrita da história, uma vez que há uma bibliografia que as aponta como parte do esforço para construção de uma identidade nacional, dentro do espírito da estética romântica do período. Este breve estudo permitiu perceber que a construção da identidade nacional brasileira pautou-se em aspectos singulares, entre eles a exclusão da figura do negro e a adoção do indígena como herói nacional. Além das pinturas, as obras literárias analisadas permitiram o estudo de aspectos do cotidiano e do imaginário da sociedade imperial brasileira. Optou-se pela seleção de obras as mais conhecidas e de fácil acesso partindo-se do pressuposto de que atingiram um largo percentual de público, então e agora.
Palavras-chave: representação; imaginário; identidade nacional; sociedade brasileira século dezenove.

SENHORES E ESCRAVOS NA FREGUESIA DE NOSSA SENHORA DA CONCEIÇÃO DE SANTA CRUZ | João Batista Correa | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

Este artigo tem por objetivo analisar a freguesia de Nossa Senhora da Conceição de Santa Cruz, localizada na vila de Pirassununga, província de São Paulo. Temos em questão analisar o processo de surgimento e elevação deste local a freguesia no ano de 1879, buscando compreender o perfil dos proprietários de escravos nesta freguesia elencando aspectos sobre a escravidão e principalmente fatores políticos e locais da região. – PALAVRAS-CHAVEs: Santa Cruz da Conceição; Escravidão; Pirassununga; Ferrovia. |

BRUXARIA E HARRY POTTER: UMA ANÁLISE DO IMAGINÁRIO MEDIEVAL E MODERNO NA OBRA DE J. K. ROWLING | Leonardo Rodrigues Pugina | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Este artigo tem por finalidade analisar os diversos elementos do imaginário acerca da bruxaria medieval e moderna presentes na obra Harry Potter e a Pedra Filosofal, de J. K. Rowling. A obra de 1997 conta a história de um garoto que na década de 1990 descobre ser bruxo e é inserido em um universo completamente diferente do que conhecia até então, onde os bruxos possuem uma sociedade secreta elaborada e praticam magia até mesmo para as tarefas diárias. Os diversos elementos sobre o mundo da bruxaria presentes na obra fazem referência direta ao imaginário medieval e moderno acerca da figura da bruxa e seus estereótipos. Tal artigo aborda algumas dessas referências, como as vassouras, os feitiços, as poções, entre outros elementos.
Palavras chave: Imaginário; Bruxaria; Harry Potter

CIDADE, BAIRRO E ESCOLA: CONTRASTES DE “MODERNIDADE”. GUARAPUAVA-PR (1970-1980) | Jorge Luiz Zaluski | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

A década de 1970 é marcada no Brasil como o período de forte tentativa de integrar-se como um país moderno. Diante desse desejo, muitas das relações sociais foram alteradas devido a novas formas de morar, trabalhar, dentre outras atividades cotidianas transformadas pelo que era visto como pertencentes a modernidade. Em busca de compreender parte da dinâmica desenvolvida na cidade de Guarapuava-PR na década de 1970 e início de 1980, por meio da documentação da Companhia de Serviços de Urbanização de Guarapuava – SURG, e Escola Ana Vanda Bassra, busca-se perceber como os ideais de modernidade foram desenvolvidos na cidades, configuraram os bairros e chegou até a escola. Acredita-se ainda que por meio da investigação dos documentos dessa escola é possível perceber parte das relações de trabalho e condição social dos/as moradores/as da região.
Palavras chave: Cidade; desenvolvimento; modernidade.

PROCESSOS DE SUBJETIVAÇÃO E EXPERIÊNCIA: UM ESTUDO ACERCA DOS POLICIAIS MILITARES EM PONTA GROSSA-PR NA SEGUNDA METADE DO SÉCULO XX | Daniela Cecilia Grisoski e Helio Sochodolak | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O presente texto apresenta resultados de um estudo referente aos processos de subjetivação de policiais militares da cidade de Ponta Grossa- Paraná, cujas trajetórias laborais ocorreram na segunda metade do século XX. Seu objetivo principal foi compreender as formas que ocorrem tais processos, a partir da realização de leituras ligadas ao filósofo Michel Foucault sobre processos de subjetivação e o conceito de experiência, contando também com a análise de material empírico. Iniciamos com um histórico da instituição denominada Polícia Militar, enfatizando a cidade de Ponta Grossa-PR. Em seguida, através de entrevistas coletadas a partir dos resultados obtidos de uma pesquisa já realizada, abordamos o cotidiano desses profissionais, procurando perceber como os mesmos se reconhecem enquanto sujeitos dentro de seus ambientes de trabalho e/ou em suas vidas particulares. Sua justificativa foi buscar uma melhor compreensão do cotidiano de tais profissionais e como os mesmos se reconhecem enquanto sujeitos dentro de seus ambientes de trabalho, visando que tais sujeitos possam vir a possuir suportes que diminuam os fatores que os prejudiquem em suas funções e vidas particulares. Percebemos que a experiência define a forma de uma pessoa se identificar enquanto sujeito (processo de subjetivação) em relação às regras impostas em seu cotidiano.
Palavras-Chave: Experiência; Polícia Militar do Paraná; Sociedade Disciplinar.

O CONGRESSO DOS ALEMÃES ANTINAZISTAS NAS PÁGINAS DOS JORNAIS URUGUAIOS | Wanilton Dudek | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Entre os dias 29 e 31 de janeiro do ano de 1943 ocorreu na cidade de Montevidéu, capital do Uruguai, foi cediado o Congresso dos Alemães Antinazistas da América do Sul. Entre os participantes estavam membros de movimentos políticos de exilados de fala alemã do Brasil, Argentina, Uruguai, Paraguai, Chile, Peru, Colombia, Equador e Venezuela. O objetivo do encontro era discutir os rumos dos movimentos antinazistas no continente e buscar criar vínculos entre os exilados alemães que se encontravam nesses países. As maiores dificuldades encontradas no congresso foram as divergências políticas entre os participantes do evento. Entre eles haviam comunistas, sociais democratas, democratas cristãos, entre outros, originando intensas discussões a cerca dos movimentos de exilados de fala alemã na região sul da América. A imprensa escrita uruguaia fez ampla cobertura do evento, elencando os principais tópicos de discussão dos participantes. O objetivo do presente artigo é analisar o Congresso dos Alemães Antinazistas a partir da cobertura realizada pelos jornais El país, La Mañana e La Tribuna Popular, todos de Montevidéu.
Palavras-chave: Antinazistas; Congresso; Montevidéu; Imprensa.

RÜSEN ENTRE A TEORIA TRADICIONAL E O AUFKLÄRUNG: UMA CONTRIBUIÇÃO À DIDÁTICA DA HISTÓRIA | João Elter Borges Miranda | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O historiador e filósofo alemão Jörn Rüsen faz parte de uma geração de intelectuais que cresceu após a Segunda Guerra Mundial (1939-1945) e que pode ser contrastada com a geração intelectual anterior, que era antiga o suficiente para ter percebido de maneira mais intensa as diferenças entre a velha Alemanha e a Alemanha Ocidental. Não se trata apenas de uma questão de gerações. Ambas também estavam separadas por uma linha divisória geral entre duas tradições política e filosoficamente opostas. A geração da qual Rüsen fez parte promove, assim, uma ruptura em relação a geração precedente. Essa mudança, entretanto, também foi permeada por continuidades. No presente trabalho, objetivamos verificar unicamente parte dessas continuidades da geração anterior no pensamento rüseniano, com enfoque na perpetuação da chamada “Teoria Tradicional”. Analisaremos os pontos de convergência e divergência entre a teoria da história de Rüsen e a teoria tradicional, comparando o pensamento deste com o do filósofo Jürgen Habermas, o qual pertencia a mesma geração daquele, mas que se posiciona mais próximo da teoria crítica.
Palavras-chave: Rüsen; Teoria Tradicional; Aufklärung.

O PROCESSO HISTÓRICO DE IMPLANTAÇÃO DA LEI 10.639/2003: PERSPECTIVAS E POSSIBILIDADES PARA A EDUCAÇÃO DAS RELAÇÕES ÉTNICO-RACIAIS | Bruno Sergio Scarpa | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O artigo visa apresentar o contexto histórico da luta do movimento negro e dos documentos legais da educação – Conselho Nacional de Educação, Diretrizes Curriculares Nacionais, Parâmetros Curriculares Nacionais, leis estaduais e municipais – com o objetivo de entender-se o processo de implantação da lei 10.639/2003. Para isso, foi realizada uma revisão bibliográfica-documental de autores que se debruçaram sobre os referidos temas: Munanga (2005), Gomes (2005), Valente (1994), dentre outros.
Palavras–chave: Relações étnico-raciais; lei 10.639/2003; formação docente; educação.

A HISTÓRIA E A GEOGRAFIA LOCAL COMO FERRAMENTAS DE APRENDIZAGEM E PRESERVAÇÃO DO MEIO AMBIENTE EM PORTO UNIÃO DA VITÓRIA | Aristides Leo Pardo | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

Considerando a necessidade da História e da Geografia produzirem relevantes debates para a sociedade atual, partindo do passado e do meio que nos envolve, o presente texto tem o intuito de apresentar a utilização destas disciplinas para o ensino da História Local e de questões ambientais, produzindo o sentimento de pertencimento ao lugar, assim como gerar a reflexões para a busca de soluções necessárias para a preservação do meio ambiente. Este artigo se insere nesse debate a partir da educação, em específico do ensino de história e geografia local, com o objetivo de entender qual a concepção dos alunos dos Ensinos Fundamental e Médio em Porto União da Vitória (PR/SC), cidade oriunda nas margens do Rio Iguaçu e intrinsecamente ligada à exploração indiscriminada da madeira, em pensar os problemas ambientais da atualidade. Os procedimentos metodológicos adotados foram a leitura e interpretação de referências que abordam o tema, análise documental e aulas de campo nos locais históricos e de memória das cidades, enfatizando os assuntos ambientais.
Palavras-chave: História e Geografia. História Local. Meio Ambiente

O HUMOR DE CALÍGULA NO DE VITA CAESARUM, DE SUETÔNIO – CONSTRUINDO UM MONSTRO | Braulio Costa Pereira | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O presente trabalho é baseado na obra De Vita Caesarum, escrita por Gaius Suetonius Tranquilus sob os governos dos imperadores Trajano e Adriano, ao longo do século II d.C. O De Vita Caesarum descreve as vidas de doze líderes romanos, de Júlio César a Domiciano. Analisamos a quarta biografia desse conjunto, que narra a vida do imperador Gaius Iulius Caesar Augustus Germanicus, mais conhecido como Calígula. Procura-se demonstrar como Suetônio se vale de representações do senso de humor de Calígula para projetar no texto a imagem de um ser humano doentio, um governante cruel, vaidoso e insano.
Palavras-chave: Calígula, Suetônio, humor

MERCÊ RÉGIA NA CORRESPONDÊNCIA DA CÂMARA DE GOA (1595-1609) | Marcos Sokulski e Tiago Bonato | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

O objetivo desse artigo é analisar alguns elementos da rede de graças e mercês criada no Antigo Regime português, através da correspondência trocada entre a câmara municipal de Goa, na Índia, e os reis de Portugal nos últimos anos do século XVI. Goa foi um dos pilares do império português no Oriente e sua câmara municipal foi criada em 1510. A instituição tinha grande autonomia e alcance, uma vez que podia se corresponder diretamente com os reis de Portugal. A análise da rede de mercês é fundamental para o entendimento da própria administração colonial, bem como tensões internas dos territórios ultramarinos. Palavras Chave: mercê régia; Império português do Oriente; câmaras municipais. | Autores Convidados

CHINESE PHILOSOPHY – FACT OR FICTION? | Jana S. Rošker e Autores Convidados | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. | NEO-TRADICIONALISMO, PENSAMIENTO Y DISCURSO EN XI JINPING | Xulio Ríos | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. | | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.


CANÇÕES, DOCUMENTOS E JOGOS EM TORNO DO ENSINO SOBRE A DITADURA MILITAR
| Andréia Sznicer | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017. |

O presente trabalho tem por objetivo demonstrar os resultados obtidos durante o estágio, que foi aplicado no Colégio Estadual do Campo Professor Francisco Gawlouski, na disciplina de História, no qual foi utilizado diversas metodologias de ensino, visando uma aprendizagem mais igualitária, assim como a participação d@s alun@s no decorrer das aulas, aproximando desta forma professor@ e alun@, para que assim a turma se sentisse mais à vontade para se expressar com indagações e colocações, buscando um entendimento do assunto.

O ENSINO DE HISTÓRIA SOBRE A SEGUNDA GUERRA MUNDIAL DIÁLOGOS INTERTEXTUAIS | Dulce Casagrande | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

A finalidade do Trabalho Final de Estágio Supervisionado do curso de Licenciatura em História é relatar a experiência de estágio realizado no colégio Dr. Lauro Müller Soares, localizado na cidade de União da Vitória, estado do Paraná. O tema proposto para o estágio foi a Segunda Guerra Mundial, tendo como objetivo trabalhar de uma forma que pudesse abordar o tema sob diversos pontos de vista, não somente apresentando as grandes batalhas e os importantes fatos que ocorrem no conflito, mas também ressaltando a necessidade de frisar a experiência do indivíduo comum que esteve inserido no contexto refletindo com os estudantes sobre qual foi a herança deixada pela guerra para o mundo contemporâneo, concluindo que desta maneira o conflito possa ter algum sentido na vida dos (as) alunos (as) e passando ser compreendido de maneira mais fácil para os (as) mesmos (as).

MINERAÇÃO NO BRASIL COLONIAL: COMO TRABALHAR O TEMA EM ‘DUAS TURMAS IGUAIS’, MAS OBTER RESULTADOS DIFERENTES? | Luana Pires de Lima | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

O intuito deste trabalho foi descrever a experiência da docência em sala de aula, realizada no Colégio Estadual Túlio de França. O tema proposto para as aulas do estágio foi “Mineração no Brasil colonial: o ciclo do ouro”. Procurei levar aos alunos diferentes metodologias de ensino, para que os mesmos pudessem compreender o conteúdo de forma mais significativa. O referencial teórico está pautado nos seguintes autores: Paulo Freire, Jörn Rüsen, Isabel Barca e Antonia Osima Lopes. Utilizo-os não só para refletir a nossa educação e o ensino de história atualmente, mas também, pensar as melhorias que podemos realizar no nosso dia a dia, principalmente no ambiente escolar.

O ENSINO DE HISTÓRIA E A PROBLEMÁTICA DO CURRÍCULO | Nadine Nogara | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

O objetivo deste trabalho é fazer uma reflexão entre a teoria e a prática do ensino de história através da experiência dos estágios supervisionados requisitados no último ano do curso de licenciatura em história da UNESPAR – Campus de União da Vitória, estabelecendo ligação com as propostas para o ensino desta disciplina nas escolas com as Diretrizes Curriculares do Estado do Paraná, tendo como embasamento teórico as ideias de Jörn Rüsen e Isabel Barca, para pensar sobre a importância de se trabalhar o uso de diferentes metodologias durante as aulas de História, para que se tenha uma aprendizagem eficaz durante o processo de construção do saber histórico de nossos alunos e alunas, bem como sobre a questão do desenvolvimento da consciência histórica.

A LEI COMO DEFESA? ANÁLISE SOBRE A LEI 10.639/2003 EM SALA DE AULA | Solange Fragoso | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

O presente trabalho tem por objetivo demonstrar os resultados obtidos durante o estágio, que foi aplicado no Colégio Estadual Túlio de França, na disciplina de História, na turma do 1º ano do Ensino Médio no período matutino, com o professor regente Aristides Leo Pardo. Foram utilizadas algumas metodologias de ensino, assim proporcionando um ensino diferenciado e que visou o desenvolvimento da consciência histórica. Desta forma os (as) alunos (as) participaram e interagiram de uma forma mais acentuada, através das atividades desenvolvidas.

DESENVOLVENDO CONCEITOS ATRAVÉS DO ENSINO DE HISTÓRIA DO BRASIL COLÔNIA: MEDICINA NO PERÍODO COLONIAL | Vivaldino Gonçalves Junior | Sobre Ontens. Paranavaí-Rio de Janeiro, v.2, 2017.

O presente trabalho tem como intuito analisar a teoria e prática no ensino de história, sobre olhares das aulas de estágio, das quais relato as experiências que apliquei no CEEBJA, Centro Estudantil de Educação Básica para Jovens e Adultos. A perspectiva teórica e metodológica no campo da História e os métodos de ensino foram pautados em autores como Paulo Freire, Fernando Seffner, Maria Auxiliadora Schmidt que oferecerem um pressuposto teórico para a busca da excelência na prática. As aulas tiveram como tema a medicina no Brasil Colonial, mais precisamente nos anos da publicação do Erário Mineral, do cirurgião Luiz Gomes Ferreira, que em sua passagem ao Brasil, retrata o dia a dia dos tratamentos médicos, principalmente da população pobre e escrava, na Minas Gerais, nos anos (1735-1770). Como metodologia, foi utilizado o método de aula expositiva dialógica, buscando a interação entre professor e aluno, utilizando das opiniões e posicionamentos deles para direcionar as aulas a partir do conhecimento prévio que possuíam, tornando as aulas mais agradáveis e motivadoras para o estudante. Os relatos são fundamentados em doze aulas de regência e nove de coparticipação, na cidade de União da Vitória, Estado do Paraná.

Sem maquiagem: o trabalho de um milhão de revendedoras de cosméticos / Ludmila C. Abílio

O Brasil é, hoje, o terceiro maior mercado mundial de produtos de higiene pessoal, perfumes e cosméticos. Segundo dados do setor, no ano de 2013, o país ficou atrás apenas dos Estados Unidos e do Japão e à frente de gigantes como a China. A previsão é que o Brasil ocuparia, até o primeiro semestre de 2016, o segundo lugar no ranking. No Brasil, a campeã de vendas nesse setor é a Natura. A enorme quantidade de pessoas vendendo produtos cosméticos revela o crescimento exponencial desse setor. No mundo são cerca de 95 milhões de vendedoras. O Brasil tem, atualmente, 4,5 milhões. Somente a Natura tinha, em 2007, 400 mil pessoas revendendo seus produtos. Em 2014, já tinha chegado à marca de 1,3 milhões. O sucesso da Natura adveio, principalmente, da adoção, desde 1974, do “Sistema de Vendas Diretas” (SVD). As vendas nesse formato não exigem postos físicos de trabalho; elas ocorrem através de relações interpessoais, com “consultoras” que vão de porta em porta apresentar os catálogos aos clientes. Esse sistema é antigo no Brasil, mas, no último decênio cresceu de modo avassalador. O Brasil ocupa hoje a quarta posição nessa área, ficando atrás apenas dos Estados Unidos, Japão e China. O volume de negócios do setor movimentou mundialmente o montante de US$ 169 bilhões em 2013; no Brasil chegou à marca de R$ 41,6 bilhões.

Vendo esses expressivos números, uma pergunta logo vem à baila: será que o crescimento do setor de perfumes e cosméticos no Brasil está sendo acompanhado no mesmo ritmo de melhorias salariais e de trabalho para os indivíduos que dele fazem parte?

Será que o negócio do SVD, que vem crescendo em ritmo galopante, tem realmente gerado lucros e benefícios para os revendedores, conforme divulgam amplamente as empresas que operam nesse sistema? O recente livro de Ludmila Costhek Abílio aponta que não.Escolhendo como objeto de estudo uma das mais importantes empresas de cosméticos do país, a Natura, a autora revela que a empresa tem conquistado lucros exorbitantes adotando uma “estratégia de negócios” que acarreta inúmeras condições adversas para quem está na ponta –baixa remuneração, informalidade, indistinção entre tempo de trabalho e de não trabalho, instabilidade, precariedade, exploração do trabalho, flexibilidade, adoecimento, sofrimento, falta de reconhecimento etc. Ludmila tira a maquiagem da Natura e revela que o SVD dessa empresa é uma atividade que, sob o amparo legal, tem a aparência de um “não trabalho”, mas que, na prática, tem a concretude de um trabalho pesado, precário, extremamente extenuante, ausente de normas e de vínculos empregatícios reconhecidos, e o mais grave: “não pago”.

A pesquisa de Ludmila desnuda friamente a “contradição” que permeia a relação entre a Natura e as revendedoras: de um lado, a “visibilidade” da marca; de outro, a condição “invisível” das consultoras, que estão em toda parte, mas que não têm o trabalho reconhecido, nem visto como tal. Em outras palavras, o que fica visível na relação entre a Natura e o seu exército de um milhão de revendedoras (menos de 5% dos consultores são homens) é que muito embora essas mulheres não sejam reconhecidas como trabalhadoras pela empresa, a verdade é que sem elas os atuais lucros da Natura não existiriam. A Natura conseguiria manter o mesmo valor de mercado e a sua alta margem de lucro se assalariassem um milhão de revendedoras com direitos e garantias trabalhistas? A resposta de Ludmila Abílio é, obviamente, um “não”,pois a acumulação,o sucesso comercial e os lucros galopantes da Natura advêm justamente da exploração do trabalho, da flexibilização, da extração de valor do excedente, da informalidade, ou seja, do duro trabalho “não pago” às revendedoras.

Na primeira parte da obra, Ludmila realizou um fecundo panorama sobre os perfis socioeconômicos das “profissionais” e a relação que elas mantinham com as vendas. Para atingir o seu objetivo, a autora realizou entrevistas com consultoras das mais variadas regiões e posições sociais. Ao longo da pesquisa, Ludmila percebeu que o perfil socioeconômico das revendedoras é bastante heterogêneo, englobando estratos da classe baixa, média e alta. Ludmila apontou que as pessoas de baixa renda formam a maioria das empregadas no ramo do SVD. E o motivo não é difícil de entender. Deve-se, grosso modo, à voracidade do capitalismo que aumenta cotidianamente a fileira dos desempregados e tende a puxar para baixo o poder de compra dos mais pobres. A Natura se apresenta para muitos indivíduos como uma verdadeira “tábua de salvação”. Para as mulheres que estão empregadas no trabalho formal (domésticas, faxineiras e babás, por exemplo), a Natura é tida como um complemento de renda; já para as centenas de desempregadas, ela é vista como a única fonte de renda. O que se revela surpreendente no estudo de Ludmila é que as revendedoras de baixa renda são as que amargam, no geral, tanto os “menores lucros” como os “maiores prejuízos” decorrentes dos altos índices de inadimplência. Aqui, cabe advertir que a Natura repassa para as revendedoras todos os riscos (de estocagem e de inadimplência) envolvidos na atividade.

Assim como a população pobre, a classe média também não é homogênea. Em relação à venda dos produtos, Ludmila dividiu a classe média em dois grupos. O primeiro é constituído por mulheres que fazem das vendas sua ocupação e principal fonte de renda. São mulheres que empregam vários dias da semana e horas do dia para a venda de Natura. São mulheres que trabalham duramente para subir no ranqueamento da empresa e, assim, serem premiadas com viagens, troféus, bijuterias, cosméticos etc. As entrevistas de Ludmila revelaram que, de uma maneira geral, esse grupo é formado por mulheres que largaram sua profissão para se dedicar exclusivamente à Natura. O que torna trágico para essas mulheres é o fato de que se antes a atividade gerava um razoável lucro, hoje, devido ao aumento do número de revendedoras, muitas se arrependem de terem largado o trabalho formal.

O segundo grupo de vendedoras no interior da classe média é constituído por mulheres que não apresentam a venda dos produtos da Natura como a sua principal fonte de renda. De acordo Ludmila Abílio, 70% das revendedoras da Natura têm outra atividade principal. O que, na realidade, significa horas de trabalho para além de sua própria jornada, a banalização do “trabalho para além do trabalho”. Nesse grupo estão incluídas centenas de mulheres que vendem os produtos em seus locais formais de trabalho, mas sem maiores pretensões salariais e de carreira dentro da Natura. São mulheres, portanto, que optaram por uma dupla (ou tripla?) jornada –trabalho fora de casa, trabalho de dona de casa e venda dos produtos –, combinando a venda dos produtos com outras atividades. A existência de trabalho formal e estável possibilita queas vendas dessas consultoras sejam mais estáveis e rentáveis com pequeno índice de inadimplência. De modo geral, essas mulheres, que já detém uma profissão, não procuram se qualificar como “vendedoras” da Natura. Preferem preservar a identidade de sua ocupação principal, de seu trabalho formal. As vendas aparecem para esse estrato de mulheres como passatempo ou como uma oportunidade para consumir produtos por um preço menor, apagando-se, assim, todo o complexo e cruel processo de vendas envolto.

Além de expandir seu mercado consumidor e trabalhador para as classes baixas e médias, a Natura também alcançou estratos da elite. Há poucos anos, criou o “setor Crystal” para congregar consumidoras e vendedoras de altas rendas. Este setor funciona de forma diferente dos demais. Ao invés de 500 a 800 consultoras por cidades, a Natura destina, em média, 40 apenas por área. As consultoras são mulheres jovens, de nível superior, que vêm da elite ou circulam por ela. O ingresso ao seleto grupo se dá por meio de convites.Geralmente, a venda dos produtos não ocorre por meio do catálogo, mas através de reuniões e festas organizadas pelas vendedoras. Mas, por que mulheres de alta renda procuram essa atividade? As respostas, obviamente, são diversas: para terem maior “independência financeira”; preencherem o tempo; aumentarem o círculo de amizade com as pessoas da mesma posição social; ou até mesmo porque acreditam nos valores da empresa, sua filosofia vinculada ao capitalismo verde, que cultua a “sustentabilidade” e se apresenta como “politicamente correta”. Para muitas pessoas, a Natura representa a prova do “Brasil que dá certo!”. A análise de Ludmila Abílio em relação ao comportamento das vendedoras dessa classe social é mordaz: embora não se sintam “trabalhadoras”, todas as ações envolvidas no processo de venda dos produtos levam essas socialitesdesempenharem exatamente a mesma atividade pela qual as suas empregadas domésticas recorrem para complementar a renda familiar.

Na primeira parte do livro também foram trabalhadas outras questões que atingem as revendedoras da Natura, independentemente de sua posição social. A principal delas é que as consultoras raramente sabiam identificar quanto ganhavam por seu trabalho, quanto gastavam (“investiam”) com a compra dos produtos ouquanto tempo dedicavam à atividade. No geral, as contas feitas pelas revendedoras se mostravam complicadas e confusas, pois misturavam a venda dos produtos com o consumo próprio–que, surpreendentemente, se revelou, através da pesquisa, altamente excessivo, para não dizer desnecessário. E esse consumo supérfluo tem uma explicação simples: as vendedoras da Natura são constantemente envolvidas a se tornarem elas mesmas propaganda da marca. Cabe ressaltar que, além de incentivar as vendedoras a se constituírem em vitrines vivas dos artigos que vendem (na verdade, agentes não pagas pelo marketing que realizam), o estímulo da Natura ao consumo também se dá por meio de “pontuação”, com a qual a empresa encoraja as mulheres a “investirem” em maciços estoques de produtos que, na maioria, não são vendidos. Essas mulheres se constituem, assim, no dizer de Ludmila Abílio, em “trabalhadoras-consumidoras”, à medida que trabalham para consumir e consomem para trabalhar. Vale enfatizar que o trabalho de Ludmila –embora trate da relação e da situação de trabalho de um conjunto de mulheres numa empresa específica, a Natura –não deve ser entendido como mais um “estudo de caso”. O seu trabalho extrapola em muito essa definição. E este é justamente o brilhantismo da obra, quea fez ser a vencedora, em 2013, do prêmio Mundos do Trabalho, da Associação Brasileira de Estudos do Trabalho (ABET) e do Instituto de Pesquisa Econômica Aplicada (IPEA).

Na segunda parte da obra, Ludmila demonstrou claramente que a exploração econômica envolvida no SVD não ocorre de maneira acidental ou por acaso. A exploração faz parte da própria “gestão de negócios” das empresas desse ramo. Elas acumulam capital através da extração de valor do excedente, ou seja, acumulam capital através do duro trabalho (“não pago”) de seus próprios vendedores.  Ludmila, ao tratar do caso específico da Natura, a insere nesse contexto mais amplo de exploração e precarização do trabalho que caracteriza hoje as políticas neoliberais. Ou seja, a autora parte do trabalho invisível, não reconhecido de mais de um milhão de mulheres para pensar na relação deste com a acumulação da Natura. A enorme disparidade entre o lucro da empresa e a “riqueza distribuída” para as consultoras fica visível, por exemplo, nos relatórios anuais da Natura. No Brasil, a receita líquida da Natura em 2014 foi de R$ 7,640 bilhões e o lucro líquido de R$ 732,8 milhões. No ranking das marcas mais valiosas em 2014, a Natura ficou em sexto lugar, superando, inclusive, a Petrobras. À frente da Natura estão apenas: Itaú, Bradesco, Skol, Banco do Brasil e Brahma. Por outro lado, essa bonança financeira não é sentida pelas trabalhadoras. No Relatório Anual de 2013,por exemplo, a companhia apresentou o rendimento anual médio de R$ 4.138 para as vendedoras, o que correspondia ao ganho de R$ 345 por mês. Vale salientar que, como toda média, esses números são problemáticos, pois as vendedoras não vendem necessariamente da mesma forma, nem a mesma quantia todos os meses, além de que existirem mulheres que pagam mais do que ganham por causa do assíduo consumo dos produtos.

No começo dos anos 1990, no auge das políticas neoliberais, diversas pessoas passaram a pregar basicamente duas teses. A primeira advogava a “inevitabilidade” das terceirizações, flexibilizações e desregulações trabalhistas para garantir a sobrevivência do “mercado”. A segunda dizia respeito à primazia do imaterial e à perda de centralidade do trabalho. Mas será que houve, de fato, um “adeus ao trabalho”? Ludmila responde que não. Para autora, é um equívoco pensar na tese do “fim do trabalho”. À bem da verdade, os trabalhadores estão todos aí em nosso redor –motoboys; atendentes de telemarketing; assalariados dos fast food; trabalhadores dos hipermercados; terceirizados de toda ordem, entre outros. É só olhar para os países do Terceiro Mundo –onde se encontram 2/3 da população mundial que trabalha –que se encontrará milhões desses trabalhadores. O momento atual representa uma “mutação do trabalho”, mas não a sua eliminação.

Os trabalhadores de hoje estão inseridos numa “nova morfologia” do trabalho que reduziu o operariado industrial de base taylorista/fordista e ampliou, a partir da lógica da flexibilidade toyotizada, contingentes de terceirizados, subcontratados, temporários e precarizados. Esse “novo proletariado” não está mais, em sua maioria, na indústria, mas sim no setor de serviços. O trabalho desse “novo proletariado”, just in time, toyotizado, está cada vez mais precário, intensificado, flexível, instável, rotativo, baixo remunerado, informal, desregulado e ausente de normas e vínculos empregatícios reconhecidos. São pessoas que trabalham por mais tempo, mais intensamente e também em formas que muitas vezes não são reconhecidas ou contabilizadas como trabalho. Ludmila Abílio, ao procurar entender como mais de um milhão de mulheres se envolveram em um negócio pouco rentável, que demanda investimento monetário e tempo e que permeia tanto o tempo de trabalho como o tempo do lazer, traz uma importante contribuição para entender a história recente do trabalho, mais precisamente a “nova morfologia” do trabalho e o seu desenho multifacetado, resultado das fortes mutações que vem abalando o mundo produtivo do capital nas últimas décadas.

Referências

ABÍLIO, Ludmila Costhek. Sem maquiagem: o trabalho de um milhão de revendedoras de cosméticos. São Paulo: Boitempo, FAPESP, 2014.

Rafael Leite Ferreira – Doutor em História pela Universidade Federal de Pernambuco(UFPE). Professor da Unibra -Centro Universitário Brasileiro. Lattes: http://lattes.cnpq.br/0295848610110162. Email: rafaleferr@hotmail.com


ABÍLIO, Ludmila Costhek. Sem maquiagem: o trabalho de um milhão de revendedoras de cosméticos. São Paulo: Boitempo, FAPESP, 2014, 238p. Resenha de: FERREIRA, Rafael Leite. O sistema de vendas diretas da Natura: O hiato entre a acumulação da empresa e a precarização do trabalho. Em Perspectiva. Fortaleza, v.4, n.1, p.275-280, 2018.Acessar publicação original [IF].

Amazônica. Belém, v.10, n. 2, 2018.

Editorial

  • Editorial
  • Diogo Menezes Costa, Érica Quinaglia Silva
  • V10N02PDF
  • Editorial English
  • Diogo Menezes Costa, Érica Quinaglia Silva
  • V10N02PDF

Dossiê

Artigos Originais

Ensaios Fotográficos

  • Esse Rio é Nossa Rua: Travessias Do Povo da Floresta de Caxiuanã
  • Miguel de Nazaré Brito Picanço
  • V10N02PDF
  • Cenas de delicadeza: o trade entre Johanneburg, África do Sul e Maputo, Moçambique
  • Laura Moutinho, Rita Simone Liberato
  • V10N02PDF
  • Paisagens Itinerantes: uma Etnografia Visual entre os Bairros da Cidade Velha e da Cidade Nova, em Belém, PA
  • John Fletcher, Hugo Menezes
  • V10N02PDF

Resenhas de Livros ou Teses

Mil 1499: O Brasil Antes de Cabral – LOPES (RA)

LOPES, Reinaldo José. 1499: O Brasil Antes de Cabral. Rio de Janeiro: Harper Collins, 2017. 248p. Resenha de SOUZA, João Carlos Moreno de. Resenha de: SOUZA, João Carlos Moreno. Revista de Arqueologia, v.31, n.1, 2018.

Reinaldo José Lopes é jornalista científico, escreve para a Folha de São Paulo e é autor do blog ‘Darwin e Deus’. A publicação de matérias de temas arqueológicos é muito frequente, e tornam o autor um dos maiores divulgadores do conhecimento arqueológico para o grande público a nível nacional, e ‘1499: O Brasil Antes de Cabral’ é uma prova disso.

O livro se propõe a realizar um apanhado geral da história pré-colonial do território atualmente conhecido como Brasil. O autor, no entanto, pouco escreve sobre as ocupações mais antigas que 14 mil anos atrás ou sobre o povoamento inicial da Américas, provavelmente para evitar ir de frente ao consenso da arqueologia norte-americana, começando a retratar a (pré-) história do Brasil a partir de 13.500 anos antes do presente. É importante notar que as idades mencionadas no livro são idades calibradas e podem dar a impressão de serem equivocadamente mais antigas do que costumamos ver em outras obras não acadêmicas, quando na verdade foram representadas de uma forma mais acurada.

A introdução do da obra realça o fato de que o entendimento que possuímos atualmente sobre o passado da humanidade é nitidamente diferente e muito mais detalhado do que tínhamos há poucos anos atrás e explicita a importância que os estudos sobre o passado humano têm nas sociedades atuais. Os próximos seis capítulos do livro são focados em realizar um apanhado cronológico dos grupos de primeiros habitantes do território brasileiro.

O primeiro capítulo trata sobre os grupos caçadores-coletores da transição Pleistoceno-Holoceno e Holoceno Inicial. Por um lado, o Lopes retrata muito bem aspectos biológicos destas antigas populações. Por outro lado, ignora os aspectos culturais. As únicas (e raras) menções às mais antigas indústrias líticas e representações rupestres brasileiras são todas relacionadas à microrregião de Lagoa Santa, em Minas Gerais, deixando de lado a associações de diferentes conjuntos de cultura material a diferentes grupos humanos.

Já o segundo capítulo é totalmente voltado aos grupos litorâneos, especialmente os Sambaquis. Mais uma vez, o autor se preocupa em retratar a biologia e a idade destes grupos humanos, mas ignora quase que totalmente os aspectos culturais e materiais destas sociedades. Não são retratadas as indústrias de artefatos de pedra e osso, é mencionada apenas brevemente a construção dos sambaquis, os zoólitos e os aspectos simbólicos dos sepultamentos.

Posteriormente, o terceiro capítulo retrata o início do manejo e domesticação das plantas, com foco na Amazônia. O autor descreve bem as principais hipóteses sobre os processos que iniciaram a domesticação das plantas, mas volta a ignorar a cultura material que acompanha esse novo modo de vida nas populações pré-cabralinas.

O quarto e o quinto capítulo também são voltados à “queridinha” da pré-história brasileira: a Amazônia. Ambos os capítulos, mais uma vez, retratam muito bem as discussões teóricas de complexidade social, política e econômica sobre as populações que ali viviam durante o Holoceno Tardio, e desta vez menciona alguns importantes aspectos de cultura material, como as estruturas de montículos e geoglifos, e a cerâmica tupi-guarani e marajoara.

Ainda, Reinaldo José Lopes, no sexto capítulo, trata de descrever a dispersão dos grupos ameríndios em território brasileiro, baseando-se nas famílias linguísticas destes mesmos grupos. Mais uma vez, o autor se prende na Amazônia, tendo como exceção uma menção aos estudos de grupos Jê em Santa Catarina.

Por fim, Lopes encerra o livro com um epílogo, em que discute como a chegada dos colonizadores (invasores) europeus causou diversos problemas para a sobrevivência das populações que vieram a ser referidas como indígenas, e como a relação entre as sociedades indígenas e a sociedade “moderna” poderia ter sido diferente desde o começo.

A obra não é voltada ao público acadêmico, mas a um público muito mais abrangente. O autor escreve de forma pela qual a leitura flui facilmente, evitando o uso de termos técnicos os quais apenas arqueólogos e outros cientistas entendem. No entanto quando o faz, o autor busca explicá-los de uma forma simples, porém acurada, para que o leitor os compreenda. Quando o autor entende que o assunto tratado no livro é muito complexo para a maioria dos leitores, ele se dá ao direito de realizar pausas para “explicações técnicas” e elucida estes mesmos assuntos, tais como datação radiocarbônica, análise genética, análise isotópica e estudos de complexidade social. Apesar de não ser um arqueólogo, Lopes, enquanto jornalista científico, toma o cuidado para respeitar e utilizar termos que evitam a propagação de estereótipos pré-históricos. Um exemplo disso é a aplicação correta do termo “humanos anatomicamente modernos”, ao invés de Homo sapiens, para se referir aos seres humanos atuais em certos momentos.

As principais falhas do autor estão em retratar a pré-história brasileira com um foco quase que limitado aos aspectos biológicos dos primeiros grupos humanos do atual território brasileiro, e no foco quase que limitado à Amazônia ao tratar de grupos menos antigos. Lopes é muito preciso no apanhado que realiza sobre a pré-história, mas esta poderia ser muito mais acurada se ele tivesse descrito os principais conjuntos de materiais (representações rupestres e indústrias de artefatos líticos e cerâmicos) que levaram arqueólogas e arqueólogos a identificar diferenças culturais em todo o território brasileiro. Talvez em uma segunda edição da obra algumas páginas que descrevam resumidamente a diversidade de cultura material pré-histórica brasileira seja possível.

Apesar das falhas em sua obra, Reinaldo José Lopes claramente tem uma noção excelente da importância da arqueologia para as sociedades atuais e é muito feliz em transmitir esta mensagem. O último trecho da obra é a prova disso, sendo uma perfeita resposta à questão da importância dos estudos de arqueologia pré-histórica brasileira: “A pré-história é a chave para entender estas condições iniciais [de contato de indígenas e europeus] e para demonstrar que o passado profundo do Brasil é tão rico e complexo quanto o do Velho Mundo. Em nome dos herdeiros dele, convém não esquecê-lo” (p. 232). Enfim, ‘1499’ é uma obra que definitivamente despertará o interesse de muitas pessoas à pré-história brasileira e convém ser lida por acadêmicos não arqueólogos que buscam ter uma mínima noção no tema.

João Carlos Moreno de Sousa – PPGArq, Museu Nacional, Universidade Federal do Rio de Janeiro.

Acessar publicação original

Amazônica. Belém, v.10, n. 1, 2018.

Editorial

  • Editorial V10N1Pt
  • Érica Quinaglia Silva, Diogo Menezes Costa
  • PDF
  • Editorial V10N1En
  • Érica Quináglia Silva, Diogo Menezes Costa
  • PDF (ENGLISH)

Dossiê

Artigos Originais

Tradução

Resenhas de Livros ou Teses

  • Memórias da Lepra: Do esquecimento à resistência
  • PDFV10N1

Fora do cânone: História & Música Popular | ArtCultura | 2018

Ai, ai, meu Deus

O que foi que aconteceu

Com a música popular brasileira?

[…]

Parei pra pesquisar

(Rita Lee e Paulo Coelho)1

A música popular brasileira, muitas vezes engessada sob o rótulo MPB, sempre foi, em maior ou menor medida, aberta à diversidade. Se, desde meados dos anos 1960, tal sigla promoveu, aparentemente, um encolhimento do seu espectro diversifi ado, na verdade isso foi mais obra de analistas e/ou da indústria cultural do que propriamente um retrato fi el do que se passava nos canteiros da música made in Brazil. Ao menos da maneira como foi acionada, aqui e ali, a categoria MPB transmitiu a impressão, enganosa, de representar um todo harmônico. A exemplo do que observou E. P. Thompson, ao se reportar às abordagens em torno de questões culturais e frisar que “o próprio termo ‘cultura’, com sua invocação confortável de um consenso, pode distrair nossa atenção das contradições sociais e culturais, das fraturas e oposições existentes dentro do conjunto”.2 Leia Mais

História & Cinema | ArtCultura | 2018

O menu desta edição da ArtCultura é, como de praxe, bastante variado, mesmo que mais de cinquenta por cento dos textos nela agrupados integrem dois dossiês temáticos. Para não fugir à regra, pesquisadores de diferentes instituições aqui comparecem, estendendo o raio de colaboradores aos estados de Goiás, Minas Gerais, Piauí, Rio de Janeiro, Santa Catarina e São Paulo, a ponto de abarcar, portanto, as regiões Centro-Oeste, Nordeste, Sudeste e Sul, parcela expressiva de um Brasil que abriga múltiplos brasis.

Mas a ArtCultura 36, na trilha de outros números, não se acomoda à bitola da produção nacional. Transpõe as nossas fronteiras e estabelece linhas de conexão com a América do Sul e com a Europa. Tanto que a revista é aberta as contribuições de María Inés Mudrovcic, da Universidad Nacional de Comahue e do Conicet/Argentina, e de Gerard Vilar, francês radicado na Catalunha/Espanha, onde atua na Universitat Autònoma de Barcelona. Ela, historiadora que atrela boa parte de sua densa reflexão à Teoria e Filosofi a da História. Ele, prolífi co e profícuo intelectual que tem privilegiado nos seus escritos o campo da Estética e Teoria das Artes. E, de quebra, os dois nos deram a honra de acolhermos dois textos inéditos (no caso de María Inés Mudrovcic, uma palestra pronunciada em um evento internacional realizado meses atrás). Leia Mais

História e gênero: representações e simbolismos / História e Cultura / 2018

No presente dossiê reunimos textos que discutem e analisam as formas de representação narrativa dos sujeitos em seus contextos e campos sociais. Essas representações de si para e dos outros construídas em relação à memória coletiva se apropriam de suportes imagéticos como fotografias, facebooks, instagran, fotologs e outros. Entretanto, para além das auto representações, precisamos pensar que os sujeitos também se constroem a partir de objetos materiais que projetam imagens, narrativas e representações de gênero, como livros didáticos, manuais didáticos, folhetos, cartilhas, assim como exposições de arte, fotografia, história e moda. Isso porque os papeis de gênero em suas mais diversas representações, através de múltiplas identidades e das muitas faces produzidas para situações em contextos sociais diferenciados se utilizam do símbolo iconográfico e narrativo.

Sendo assim, no presente dossiê reunimos pesquisas que venham alicerçaram suas análises nos mais diversos suportes imagéticos, narrativos e que dialogam com e expõe representações de gênero em relação às memórias coletivas. Nessa direção, essa organização se voltou à estudos sobre narrativas centradas nas representações de gênero e em como estas estão dotadas de um poder simbólico. Esse é o resultado do movimento da realidade, e que de forma integrada concebe o espaço, e os elementos que ali habitam (Bourdieu, 2007:8 / 9). Essa relação nem sempre é muito clara no mundo social, pois pode parecer conflituosa a um olhar externo, mas para quem a vive, ela tem as suas justificativas para tal aceitação. O reconhecimento desse poder simbólico só é concebível quando da identificação dos símbolos, pois são eles que constroem a relação de significação entre dominante e dominado. A representação do indivíduo ou do grupo está em como se mostra o símbolo e é essa medida do poder simbólico.

Durante os séculos XIX e XX, o fato do poder patriarcal assombrar a sociedade, criou um poder simbólico, chamado de dominação. Essa sensação de estar dominado é o que Pierre Bourdieu (2007:8) enfatiza como um poder invisível que sustenta uma discussão na relação entre os gêneros polarizando o que pode e o que não pode ser feito partindo de conceitos enraizados socialmente.

Entretanto, o simbólico das relações de gênero circundam os caminhos da memória coletiva. Nessa perspectiva, Paul Ricoeur (2007), afirmou que o lugar da lembrança pertence a uma dimensão objetal, ou seja, ao nível das análises da retenção e da reprodução. A lembrança colocaria as coisas do passado e por isso, segundo Ricoeur, “O ‘lembrado’ apóia-se então no ‘representado’”.[3] Esse representado viria em forma de imagens e assim daria suporte para um tipo de “lembrança-imagem”.

Na mesma direção, Henri Bergson, propôs uma dupla concepção de “lembrança pura” e “lembrança-imagem”. A primeira seria a “memória que revê”, espontânea, imediata e perfeita, enquanto a segunda, a “memória que repete”, que se atualiza e tende a viver numa imagem. A lembrança pura, para Bergson, tenderia a passagem para a “lembrança-imagem”, porque “essencialmente virtual, o passado só pode ser apreendido por nós como passado quando seguimos e adotamos o movimento pelo qual ele desabrocha em imagens presentes, que emergem das trevas para a claridade”.[4] Conforme proposto por Bergson nessa citação, as lembranças assumiriam na memória formas imagéticas. As imagens simplesmente não teriam o poder de incitar a memória do passado, isso somente seria possível a partir de sua busca no passado.

Dessa forma, o conhecimento do passado registrado pela memória seria, portanto, nas palavras de Marc Bloch, uma coisa em progresso, “que ininterruptamente se transforma e se aperfeiçoa”.[5] Sua transformação e aperfeiçoamento ocorreriam pelas inúmeras formas de registro e análise desse conhecimento: a história, a literatura, as imagens e o cinema entre tantos outros meios.

Como resultado, o dossiê apresenta artigos que abordam a temática a partir da análise de obras literárias, como por exemplo, um estudo ambientado principalmente nos anos 40, nos apresenta a vida de Madame Colette, em Ribeira, um bairro na cidade de Natal do Rio Grande do Norte. Como também da representação da mulher nas obras de arte de uma escultora latino-americana. Além de trazer à tona uma discussão muito pertinente a respeito da ausência das mulheres – através do apagamento de suas trajetórias – na construção do cânone literário brasileiro no século XIX, o que permitiu que muitas mulheres escritoras permanecessem no anonimato por muito tempo. Esta ausência de entendimento do papel feminino está presente também no artigo que estuda a forma de registro nas práticas musicais da Igreja Católica Romana e, também a dimensão da participação feminina nas práticas musicais em outras esferas.

Buscando compreender o processo de rupturas e permanências que envolveu as representações do feminino trazemos artigos que tratam dessa temática a partir da análise de manuais femininos. Em outro artigo, o dossiê contempla o estudo e análise, sobre a relação entre o feminismo branco e o feminismo negro no Brasil, tendo a trajetória intelectual e a militância de Lélia Gonzalez, como um ícone sobre a temática no Brasil, apresentamos um estudo acerca das trajetórias das mulheres na militância contra a ditadura militar no Brasil.

Dentro das discussões contemporâneas, o dossiê traz a reflexão acerca das transformações da travestilidade e da compreensão de pessoas designadas como intersexo / transgênero, através de estudos biográficos: a autobiografia de Herculine Barbin, e, também a construção de si através do relato biográfico de Renata.

Finalmente, temos a investigação sobre o impacto e seus resultados simbólicos no que se trata da ação do sexo masculino diante da escolha da profissionalização no Magistério, e as adversidades desse processo.

Notas

3. RICOEUR, Paul. A memória, a história, o esquecimento. Campinas, SP. Editora da UNICAMP, 2007, p. 64.

4. BERGSON Apud RICOEUR, Paul. A memória, a história, o esquecimento. Campinas, SP. Editora da UNICAMP, 2007, p. 68.

5. BLOCH, Marc. Introdução à História. Lisboa: Editora Europa-América, 1987, p. 55.

Gianne Zanella Atallah – Doutora em Memória Social e Patrimônio Cultural (PPGMP / ICH-UFPEL / RS -2018). Mestre em Memória Social e Patrimônio Cultural (PPGMP / ICH-UFPEL / RS – 2011). Especialista em Patrimônio Cultural: Conservação de Artefatos (ILA-UFPEL / RS-1997). Graduada em História – Licenciatura Plena (FURG / RS-1993). Dirigente do Núcleo de Patrimônio Municipal (Fototeca Municipal Ricardo Giovannini e Pinacoteca Municipal Matteo Tonietti). Docente em História da Rede Municipal – SMED / Prefeitura Municipal do Rio Grande / RS. E-mail: gizaatallah@gmail.com

Júlia Silveira Matos – Pós-doutoranda em Educação UFPEL. Professora de História da Universidade Federal do Rio Grande – FURG, coordenadora do Laboratório Independente de pesquisa em Ensino de Ciências Humanas – LABEC, formada em História Licenciatura pela Universidade Estadual do Oeste do Paraná (2002), possui especialização em Teologia com habilitação para Ensino Religioso, mestrado em História pela Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul (2005) e doutorado pelo Programa de Pós-graduação em História da Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul (2008). E-mail: julsilmatos@gmail.com


ATALLAH, Gianne Zanella; Matos, Júlia Silveira. Apresentação. História e Cultura. Franca, v. 7, n. 1, jan. / jul., 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

Mujeres y símbolos en la Roma Republicana. Análisis jurídico-histórico de Lucrecia y Cornelia – BRAVO BOSCH (PR-RDCDH)

BRAVO BOSCH, M. J. Mujeres y símbolos en la Roma Republicana. Análisis jurídico-histórico de Lucrecia y Cornelia. Madrid: Dykinson, 2017. 333p. Resenha de: MÉNDEZ SANTIAGO, B. Panta Rei. Revista Digital de Ciencia y Didáctica de la Historia, Murcia, 183-186, 2018.

Nos encontramos ante un sugerente trabajo en el que la profesora María José Bravo continúa, esta vez en solitario, con una línea de investigación en la que ha venido destacando en los últimos años, cuando coordinó, junto a la profesora Rosalía Rodríguez, dos interesantes obras colectivas: Mulier: algunas historias e instituciones de derecho romano (2013) y Mujeres en tiempos de Augusto: realidad social e imposición legal (2016). En esta ocasión, se servirá de dos poderosas figuras de la Roma antigua, Lucrecia y Cornelia, para indagar en algunas de las instituciones jurídicas e históricas más significativas dentro de la historia de la Roma republicana. Estas mujeres, así como los hechos que protagonizaron, tendrían una influencia futura que traspasará con mucho los límites espacio-temporales del mundo romano.

En la introducción al libro se analizan algunas cuestiones interesantes, y que nos servirán de guía para entender el presente trabajo. Entre ellas, se destaca la necesidad sentida por los romanos de utilizar y actualizar sus mitos nacionales de modo que del tránsito de la República al Imperio no se derivara un cambio sustancial en los llamados «valores romanos». En lo que respecta a las mujeres, el nuevo régimen implementado por Augusto pretendió que estas adaptaran su vida a la de sus antecesoras, nobles heroínas que aparecían en las historias como siempre dispuestas a cualquier sacrificio para lograr el bienestar y la supervivencia de Roma. Así, Lucrecia y Cornelia serán “símbolos de un comportamiento ejemplar y de una capacidad de sacrificio al nivel de lo que se esperaba de toda mujer romana” (p. 25).

En el primer capítulo de los tres en que se divide el libro, que lleva por título Imbecillitas sexus, María José Bravo comienza destacando la singularidad de sus dos casos de estudio, sobre todo de Cornelia, en un sistema patriarcal imperante que estimaba que las mujeres, al constituir el “sexo débil”, estaban necesitadas de tutela y protección perpetuas. Para ilustrar lo anterior, la autora menciona el Senadoconsulto Veleyano, en el que, bajo una aparente protección del patrimonio de las mujeres, se encuentra la misoginia más absoluta, en la creencia de que estas deben ser tan solo amparadas en virtud de “la debilidad de su sexo” (p. 36). Sin embargo, por contraste, María José Bravo nos recuerda que la tutela mulierum fue, a medida que iba avanzando la República, perdiendo poco a poco su significado, de modo que algunas mujeres, las casadas sine manu, podían realizar negocios jurídicos y disponer de su patrimonio con relativa libertad, al necesitar tan solo de la firma de un tutor que, en la práctica, solían elegir ellas mismas. Seguidamente, la autora relativiza el pretendido «feminismo» de Gayo que, según algunos autores, se basa en el simple hecho de que no utilizó en sus obras algunos términos latinos peyorativos como infirmitas, imbecillitas o fragilitas en relación las mujeres. Este jurista, en sus Instituciones, habla de levitas animi (y no de infirmitas sexus) cuando hace referencia a este colectivo. Sin embargo, como muy bien se señala en el texto, el carácter peyorativo del adjetivo levitas, como mucho, “no demuestra más que la intención de Gayo de no ofender a nadie, en un intento de equilibrar las distintas posibles opiniones al respecto” (p. 66). El segundo capítulo, que lleva por título El honor de Lucrecia: de la Monarquía a la República, es un concienzudo análisis de la figura de una de las primeras matronas de las que tenemos constancia dentro de la historia de Roma, de una mujer de cuya desgracia supuestamente se siguió, de manera directa, uno de los cambios más importantes a los que tendría que hacer frente Roma: el paso de la Monarquía a la República. Tras recordarnos los pormenores y las inconsistencias del relato de Tito Livio, María José Bravo explica que la voluntad de la virtuosa Lucrecia solo se quebró al saber que, de seguir resistiéndose a su agresor, el honor de su familia podría resultar mancillado. A la autora le llama la atención, sobre todo, el hecho de que, en el relato de Ab Urbe Condita, Sexto Tarquinio, el hijo de Tarquinio el Soberbio, rey de Roma, se arrogue la capacidad de castigar a Lucrecia cuando este castigo, en caso de producirse, le correspondería ejercerlo, en virtud de una ley atribuida a Rómulo, al marido, Lucio Tarquinio Colatino, y solo una vez que hubiera sometido el caso a un “juicio familiar” que, en su opinión, no tendría carácter obligatorio, sino consultivo. Tras ceder ante Sexto Tarquinio, Lucrecia llamó a su padre, Espurio Lucrecio Tricipitino y a su marido, Colatino, y, tras contarles lo sucedido, se clavó una daga en el corazón. María José Bravo explica, con buen tino, la inexistencia, en el vocabulario latino, de una noción comparable a la del suicidio actual, y transmite a la perfección el hecho de que este acto era visto “como un gesto propio de la mayor lealtad posible (…) un gesto único de entrega en defensa del valor y del honor de su propia gens familiar” (p. 107), llevando a Lucrecia a ser reconocida como una auténtica heroína. Tras analizar brevemente la simbología de la daga que Lucrecia emplea para darse muerte, la autora aborda la posición de San Agustín respecto a la violación y suicidio de Lucrecia, demostrando que se este autor pretendía demostrar la superioridad de las mujeres cristianas —que pese a haber sido violadas no habían optado por esta solución— ante una de las figuras más emblemáticas de la historia pagana de Roma. Aunque la autora acepta parte de la teoría de Guarino, sobre todo en lo relativo a que el estupro de Lucrecia no produjo un cambio automático de la Monarquía a la República, rechaza otras partes de su argumentación; en particular su defensa de la inexistencia de esclavitud en esta época histórica y su condena de la supuesta debilidad mostrada por Lucrecia al ceder a Sexto Tarquino. Para María José Bravo, “la correspondencia entre la vil acción contra Lucrecia y la violencia contra los últimos Reyes de Roma les sirvió a los antiguos para tranquilizar su conciencia, creando una astuta analogía entre la muerte de una materfamilias defensora del honor familiar y la expulsión, destierro y muerte de los soberbios Tarquinios” (p. 137). La historia de Lucrecia se mostraría de capital importancia, en la mente de los escritores de la antigüedad, para comprender la aceptación unánime por parte del pueblo romano primitivo de esa nueva forma de organización política, la República, que resultaba tan distinta de la monarquía anterior. El último epígrafe de este segundo capítulo se dedica a la institución del consilium domesticum, abordado en relación al episodio de Lucrecia. Tras hacer patentes las numerosas sombras e incertidumbres que rodean a este supuesto tribunal (por ejemplo, su composición, si era un tribunal de jurisdicción civil o penal, si actuaba iure proprio o ejercía una competencia delegada por la autoridad pública) y citar numerosos ejemplos posteriores de convocatoria del mismo, la autora opta por afirmar que, a tenor de las fuentes conservadas, lo más “razonable” es considerar al iudicium domesticum un órgano consultivo que, convocado tan solo para dirimir casos especialmente graves, se erigió en un instrumento “al servicio de la familia pero de consumo interno” (p. 159). El tercer capítulo, titulado Cornelia, madre de los Gracos, nos sitúa ante una de las matronas más famosas de toda la historia de Roma, ante una mujer educada que supo transmitir a sus hijos unos valores y una cultura por la que sobresalieron entre sus contemporáneos. A continuación, y a modo de introducción, María José Bravo nos habla de los padres de Cornelia, Publio Cornelio Escipión Africano y Emilia Tercia, incidiendo en la notable independencia de la que hizo gala esta mujer, que vino a coincidir, además, con el momento en el cual la mayor parte de la doctrina sitúa el inicio de la emancipación de las mujeres romanas. Esta “liberalización”, como ocurre con cualquier proceso de cambio, no estuvo exenta de dificultades y obstáculos, siendo uno de ellos la promulgación de la Lex Voconia (169 a. C.) que, al limitar la capacidad de las ciudadanas romanas para heredar, es interpretada aquí como una reacción del patriarcado dominante en un período de crisis social. A renglón seguido, se aborda el matrimonio de Cornelia y Tiberio Sempronio Graco, retrasando su datación hasta los años 180-175 a. C. e interpretando el enlace como una estratégica alianza familiar propiciada por una Emilia que, ya viuda de Escipión Africano, estaba tratando de acallar definitivamente las críticas que se suscitaran sobre la honorabilidad de su familia a raíz de un escándalo político en el que se vieron envueltos tanto su marido como su cuñado Lucio. Tras comentar el famoso episodio de las serpientes ─en el cual Tiberio Sempronio Graco, debiendo elegir sobre qué reptil atravesar, si el macho o la hembra, decide dar muerte al primero, aunque ello le fuera a suponer a él el mismo destino─, María José Bravo dedica unas sentidas páginas a reivindicar la figura de un Tiberio Sempronio Graco que, pese a completar un cursus honorum ejemplar, terminó siendo “víctima” de la fama de su suegro y de sus hijos. Fallecido alrededor del 154 a. C., Cornelia decidió no volver a casarse, permaneciendo univira, y consagrando el resto de sus días a la educación de sus hijos e hijas. En el siguiente apartado, titulado Materfamilias, se parte de un breve repaso a la indumentaria femenina para pasar, a continuación, a hablar del edicto de protección del pudor (De adtemptata pudicitia), por medio del cual los romanos pretendían proteger la pudicitia de aquellas ciudadanas que eran consideradas “respetables” por sus rectas costumbres. Así, este edicto no protegerá ni a las esclavas ni a las impúdicas. El siguiente apartado, dedicado al análisis de la figura de Cornelia como madre, comienza con un largo comentario de la Lex Oppia (215 a. C.), ley suntuaria que, promulgada en un momento en el que Aníbal se encontraba a las puertas de Roma, comenzó a ser muy criticada por las propias mujeres una vez que, al sucederse una serie de campañas militares victoriosas que mejoraron enormemente la situación económica de la urbs, su mantenimiento dejó de tener razón de ser. Así, en el año 195 a. C., las mujeres pertenecientes a los estratos sociales más elevados, tras recabar el apoyo de algunos tribunos de la plebe, y ocupando determinados lugares públicos, consiguieron su abrogación, y ello a pesar la férrea oposición de Marco Porcio Catón, uno de los políticos más influyentes de la época, conocido por su carácter reaccionario y su defensa a ultranza del mos maiorum. Seguidamente se analizan, de manera independiente, las figuras de sus hijos Tiberio, Cayo y Sempronia. En lo referente a los dos primeros, María José Bravo, partiendo de su exquisita formación (tutelada por su madre Cornelia), trata de comprender su ideología para, así, explicar mejor las motivaciones subyacentes a la redacción y puesta en práctica de la Lex Sempronia Agraria, por medio de la cual los Graco buscaron una redistribución más equitativa de la propiedad de la tierra en Italia, primero, y en todos los territorios dependientes de Roma, después. La dificultad de llevar a cabo estas reformas forzó a los tribunos a llevar a cabo una política agresiva que sacudió varios de los cimientos del sistema republicano. Así, al veto de un colega tribuno de la plebe, Tiberio respondió con su destitución, imponiendo el poder de decisión de los comicios a la auctoritas senatorial. La facción más conservadora, alarmada ante una situación descontrolada, respondió haciendo uso de la violencia callejera, primero, e institucional (en forma de Senatusconsultum ultimum), después, con la que suprimió físicamente a dos “revolucionarios” que, además, trataron —en el caso de Tiberio— o consiguieron —en el de Cayo— resultar reelegidos para el tribunado, poniendo en riesgo un edificio político que ya comenzaba a mostrar sus primeras grietas de importancia. Particularmente interesantes resultan las páginas dedicadas por María José Bravo a las otras reformas políticas auspiciadas por Cayo, de las que quisiera destacar, por sus implicaciones, la Lex frumentaria, la Lex Sempronia iudiciaria y la Lex Sempronia de civitate sociis danda, por medio de la cual llegaba a proponer la concesión del derecho de ciudadanía romana a los itálicos y el ius suffragii al resto de los aliados, que no salió adelante y que motivaría, andado el tiempo, el estallido de la llamada “Guerra Social”. A continuación, se analiza la figura de Sempronia, incidiendo tanto en la sospechosa muerte de su marido, Escipión Emiliano, como en su papel como transmisora de la memoria familiar, aspecto este último de gran interés. El capítulo se cierra recordándonos, brevísimamente, a una Cornelia que se pasó el resto de su vida cultivando la memoria de sus hijos ya fallecidos. Desde nuestro punto de vista, y conociendo ciertos datos que no ha tratado la autora en su monografía (Plut. CG 13.2), tal vez Cornelia estuviera, con su actitud, promoviendo también su fama futura, que perduraría ligada, sobre todo, a sus hijos y a su famoso padre. El capítulo dedicado a Cornelia prosigue con un repaso de sus dos “cartas” a su hijo Cayo, que han llegado hasta nuestros días gracias a que Cornelio Nepote decidió incluirlas en sus Vidas. En su comentario de las mismas, en el que María José Bravo deja clara su adhesión a aquellos estudiosos que abogan por su autenticidad, nos recuerda, muy oportunamente, la habilidad de Cornelia “para realizar discursos, organizar debates, y presenciar encuentros intelectuales (…) en los que sus hijos seguramente se adiestraron antes de comenzar su carrera política” (pp. 267-268). A modo de epílogo, se destaca que la erección de una estatua de bronce en honor a Cornelia constituyó un hito en la historia de las mujeres en Roma, pues hasta entonces ninguna mujer histórica había ostentado el honor de ver su imagen plasmada en una escultura pública en su ciudad. Este reconocimiento, unido a la fama de sus hijos, fue el detalle final que elevaría a esta mujer a la categoría de ‘leyenda’. En el apartado dedicado a las conclusiones la autora sintetiza las principales ideas del trabajo que reseñamos. El sistema de puntos empleado resulta bastante interesante, pues permite al lector hacer un repaso general pero sistemático por los distintos contenidos que se han ido exponiendo a lo largo del libro, haciendo las veces de una especie de índice temático que facilitará la búsqueda de información tanto en sucesivas lecturas como en consultas de información puntuales. Sin duda alguna, nos encontramos ante una obra muy interesante en la que, a través del estudio particular de dos mujeres romanas de época republicana, se consigue llegar a una visión mucho más amplia de algunas de las instituciones que regían la vida de las mujeres pertenecientes a la élite social romana. A juicio de quien escribe estas líneas, el trabajo de María José Bravo destaca por su uso pormenorizado y directo de las fuentes clásicas, y lleva el sello de alguien que destaca por su conocimiento de la literatura secundaria, algo que queda perfectamente plasmado en unas notas al pie de página que, por su extensión, llegan a erigirse en un subtexto que ayudará a aquellos quienes quieran profundizar sobre un determinado tema. Sin embargo, el hecho de que la autora rara vez traduzca las citas de las obras que comenta puede limitar la difusión de este trabajo entre los no especialistas.

Borja Méndez Santiago – Universidad de Oviedo.

Acessar publicação original

[IF]

Crise na e da História: desafio à escrita e à reflexão crítica / Revista Maracanan / 2018

Crise: a exceção que se tornou regra

O dossiê “Crise na e da História: desafio à escrita e à reflexão crítica” foi concebido no contexto de crise sem precedentes vivenciada pela Universidade do Estado do Rio de Janeiro (UERJ), que vem se tornando alarmante desde, pelo menos, 2015. A situação de crise aguda inclui não só atrasos sistemáticos nos pagamentos de trabalhadores terceirizados, servidores, bolsistas, alunos cotistas, mas também a falta de verba de custeio para o funcionamento básico da universidade. Entendemos que propor uma reflexão sobre o conceito de “crise” representa não só uma forma de resistência ao lastimável momento atual da universidade, mas sobretudo uma abertura, uma provocação à reflexão. A crise da UERJ ganha então um sentido de metonímia, ou de um exemplo mais extremo dos dilemas atuais da universidade pública no Brasil. A crise da universidade pública, por sua vez, se articula com um cenário de crise nas ciências humanas.

Os artigos aqui apresentados são propostos como diferentes formas de tratar o conceito de “crise”, observando a sua amplitude semântica, e também almejam instigar a reflexão histórica, teórica e multidisciplinar. Deste modo, a temática central acolhe escritos relativos a historicidades diversas, abrangendo diferentes marcos espaço-temporais e abordagens interdisciplinares. Nessa pluralidade, os textos tratam de temas relativos à crise do capitalismo, crise na política, crise da universidade, crise das humanidades – compreendido o termo como formas variadas de conhecimento do mundo social –; sempre levando em consideração a crise enquanto problema histórico, empírico e teórico.

Para além da realidade da universidade no Brasil, não há dúvidas de que a crise está presente enquanto experiência, como uma vivência que se desdobra em sensações de insegurança, insatisfação e espanto diante da vida cotidiana, quando não de horror. A experiência do caráter movediço do presente alimenta atos vigorosos de repulsa aos poderes instituídos e às formas convencionais da política, da economia, do pensamento e das manifestações culturais. Se este parece inicialmente um cenário nacional ou latino-americano, os meios de comunicação, oficiais ou alternativos, mostram se tratar também de uma questão mundial. Por sua vez, os ensaios e textos acadêmicos revelam que essa vivência da crise ou seu conceito recorrente atingem todo o âmbito das humanidades, seja no que se refere aos objetos de conhecimento das diversas áreas, seja no que tange à própria fragilização dos arcabouços teóricos que as sustentavam, sendo estas duas dimensões de um só horizonte.

Articular presente, futuro e indagações acerca do passado é uma das facetas deste dossiê. O vocabulário da crise e sua relação com a crítica, como sublinhado por Reinhardt Koselleck, entre outros autores, não se restringe apenas a um diagnóstico do presente, mas remete a um sentido projetivo marcado pelo futuro, quer como esperança, expectativa, utopia ou distopia. Pensar sentidos para a(s) crise(s) não significa, então, tratar somente de decadência, decomposição ou fim, pois crise impulsiona reelaboração. A etimologia mesma da palavra, em grego ou latim, remete ao ato de separar, discernir e, portanto, à decisão, julgamento, evento ou momento decisivo. Ao mesmo tempo, é evidente que não vivemos mais na mesma ambiência otimista da modernidade: a contemporaneidade, independentemente da alcunha que receba (pós-modernidade, modernidade tardia, quarta cascata da modernização, regime de historicidade presentista, entre outras), suscita respostas, para novas e velhas questões. Sendo assim, o dossiê publicado agora pela Revista Maracanan busca tratar dessa perspectiva plural envolta no conceito de crise e por isso a sua estrutura visa oferecer uma resposta também múltipla por meio de entrevistas, ensaios, artigos analíticos e notas de pesquisa destinadas a tal indagação. Nos itens que se seguem, procuramos apresentar os artigos aqui reunidos, organizando-os em alguns blocos temáticos para os quais os assuntos tratados nos textos confluem.

Crise nas humanidades e crise na / da história disciplinar

O amplo espectro de contribuições presente no dossiê conflui para um questionamento da própria natureza da ideia de “crise”. Alguns artigos correlacionaram certo esgotamento das premissas epistêmicas que orientam a historiografia, associando-as à necessária ressignificação do papel do historiador. Esse é o tema presente em “Muito além das virtudes epistêmicas. O historiador público em um mundo não linear”, de Fernando Nicolazzi, que explora, por meio da análise da atuação do historiador Leandro Karnal, a zona de interseção entre a dimensão ética e a dimensão política do historiador. Esta mesma zona fronteiriça entre ética e política é abordada por Arthur Lima de Avila, no texto “Indisciplinando a historiografia: do passado histórico ao passado prático, da crise à crítica”, em que investiga o conceito de “passado prático” proposto pelo historiador Hayden White, questionando seus usos e limites diante dos impasses da historiografia contemporânea. Por sua vez, o artigo de Carlos Maia, “A crise da história e a onda pós-estruturalista” expõe uma argumentação que associa a crise da história às reflexões pós-estruturalistas, atento à categoria “narrativa histórica”, e defensor da tese de que a “crise da história” é uma crise dos historiadores motivados por uma ontologia alheia aos valores históricos e que reagem negativamente à perda de seus referentes realistas.

Também cabe destacar a contribuição de Thamara de Oliveira Rodrigues e Marcelo de Mello Rangel, “Temporalidade e crise: sobre a (im)possibilidade do futuro e da política no Brasil e no mundo contemporâneo”, que procura, a partir de um quadro teórico que considera o problema da temporalidade tal qual pensado por autores como Hans Ulrich Gumbrecht e Reinhard Koselleck, compreender as implicações da presença ubíqua da noção de crise em nossa sociedade.

Crise e democracia

Com balizas cronológicas distintas, mas analisando acontecimentos históricos concretos, os artigos de Daniel Pinha e de Luis Edmundo da Souza Moraes trabalham de forma geral com os impasses históricos da democracia representativa, seja, no caso de Moraes, ao procura estudar o peso da crise generalizada que atinge a Alemanha, a partir do inverno de 1929-1930, como fator explicativo para a derrota do projeto republicano liberal e para a emergência do nazismo; seja, no caso de Pinha, ao procurar compreender a centralidade das Manifestações de Junho de 2013 como um ponto de inflexão para a abertura da crise do modelo democrático-representativo experimentada ainda hoje no Brasil. A contribuição de Ana Elisa Cruz Corrêa, na Nota de Pesquisa intitulada “Crise do capital e crise da gestão estatal: a social democracia e o Brasil Potência” também se articula com esse contexto, posto que investiga particularidades da inserção da política econômica do Partido dos Trabalhadores na década de 2000 no sistema capitalista mundial. De um prisma diferente, o artigo “A Pandorga e a Lei: passado-presente-futuro”, de Joana D’Arc Fernandes Ferraz procura compreender como certas marcas do passado condicionam os impasses do presente no que diz respeito à questão da resistência e da memória da Ditadura Militar no Brasil, a partir do estudo sobre a peça A Pandorga e a Lei (1983-1984), de João das Neves.

Crise político-econômica

Na perspectiva da crítica à economia política, o conceito de crise sempre ocupou um papel estratégico, sendo destacada agora a rotinização de seu uso como uma espécie de metáfora do capitalismo atual. Nesse sentido, os artigos de Maurílio Lima Botelho, “Entre as crises e o colapso: cinco notas sobre a falência estrutural do capitalismo”; de Javier Blank, “Um museu de grandes novidades: capital fictício, fundo público e a economia política da catástrofe”; e de Dilma Andrade de Paula, “Dimensão temporal da(s) crise(s)”, demostram desde prismas distintos como o sistema capitalista atual naturalizou a “crise”, não mais como um momento de exceção, mas como regra, que reequilibra – num modus operandi que se poderia talvez chamar de ficticionalização – o funcionamento de um sistema financista que se expande exponencialmente sem necessário lastro real. Tais artigos sugerem que a naturalização da noção de crise em nosso vocabulário social e político gera um efeito nefasto, pois permite que se atribua uma sensação de normalidade a alguns dos aspectos mais desiguais, injustos e desumanos do sistema capitalista. Como nos explica Botelho, “uma mera repetição do nexo interno das categorias é incapaz de enxergar a processualidade histórica, tornando-se a crise um fenômeno sempre igual num tempo abstrato vazio”. Essa problemática também é aprofundada em uma das contribuições da seção Notas de Pesquisa. O texto de autoria de Frederico Lyra de Carvalho, “Crise: entre o comum, o sentido, o governo, o motim e a comuna”, discute o conceito de crise nas obras de Myriam Revault d’Allonnes (La crise sans fin); Pierre Dardot e Christian Laval (Ce cauche marqui n’en finit pas) e Joshua Clover (Riot, strike, riot), e mostra o processo de transformação desse conceito em signo fundamental da fase atual do capitalismo.

Nossas entrevistas, resenha e seção especial

No que tange às entrevistas, este dossiê foi agraciado com duas incursões de fôlego. A primeira foi elaborada junto ao poeta, crítico literário e professor Marcos Siscar, com o título “Escrever a crise”, na qual as perguntas são apenas estopim para o mergulho em um longo e consistente trabalho teórico e prático sobre poesia e crise executado há décadas pelo autor. Recuperando o argumento de seu último livro, De volta ao fim: o ‘fim das vanguardas’ como questão da poesia contemporânea (ed. 7Letras, 2016) e de seu Poesia e Crise (Ed. Unicamp, 2010), Siscar indaga como a ideia de uma crise nas vanguardas consistiu fundamentalmente numa operação discursiva, de caráter performativo (e não necessariamente a uma verdade factual). Esta hipótese pode ajudar a compreender melhor como as imagens variantes da noção de fim, incluindo a crise, oferecem um ponto de partida para aquilo que está em jogo no contemporâneo.

Por sua vez, a entrevista concedida à Revista Maracanan pelo filósofo e professor Marildo Menegat, intitulada “A crítica da economia política da barbárie”, volta-se a indagar os múltiplos sentidos da crise, sua relação com a história do capitalismo e seus efeitos degradantes sobre as relações sociais. Pautado em seu denso trabalho sobre movimentos sociais, militarização do cotidiano e crítica da cultura afiada na dialética negativa, Menegat compara as “teorias da crise” de viés marxista e liberal para desdobrar sua análise acerca da experiência mundial contemporânea e, especificamente, da situação do Brasil hoje, tanto do prisma econômico quanto político e cultural.

Ainda compõe esta edição a resenha “Testemunhos de um mundo partilhado” de autoria de Alfredo Bronzato da Costa Cruz, a respeito da obra When christians first met muslims: a sourcebook of the earliest syriac writings on Islam, de Michael Philip Penn (Univ. of California Press, 2015).

Finalmente, como texto de abertura deste dossiê, o ensaio de Pedro Meira Monteiro sobre Antonio Candido busca encarar impasses da civilização no contexto do imediato pós Segunda Guerra Mundial, recorrendo intertextualmente ao seu diálogo com Sergio Buarque de Holanda e ao repertório de Nietzsche mobilizado por Candido em “O portador” (originalmente publicado no Diário de São Paulo em 1946). Em um gesto de homenagem a Antonio Candido, falecido em 2017, os editores deste dossiê convidaram Pedro Monteiro a publicar seu texto nesta Seção Especial.

Crise para quê e para quem?

De um modo geral, todas as contribuições deste dossiê ajudam a compreender melhor a nossa atual situação já que apontam para a construção histórica e discursiva do conceito de crise. Contudo, no presente contexto de crise da UERJ, consideramos ser necessária uma nota conclusiva acerca deste problema que nos atinge diretamente agora e surge como horizonte para outras universidades públicas brasileiras, estaduais e federais. Acreditamos que as universidades, especialmente aquelas em processo acelerado de desmonte, como a UERJ, encontram-se diante de desafios nunca antes experimentados. De fato, algumas premissas do conhecimento disciplinar, especialmente na área de história, devem ser revistos; a demanda por uma maior abertura aos diversos públicos é hoje um truísmo, dentre outros problemas estruturais. Todavia, dizer que a universidade brasileira está em crise, sem qualquer tipo de adjetivação ou explicação, significaria ocultar uma motivação central na crise por ela vivenciada: os ataques aos diversos sentidos do que é público pelo governo federal dos últimos dois anos no Brasil. A legitimação aos ataques criminosos feitos pelo governo estadual às universidades de seu âmbito e a busca, no nível federal, da diminuição dos sentidos do que é público são cara e coroa de uma mesma moeda voltada a sustentar um projeto retrógrado para o país.

Cabe, à guisa de conclusão, um agradecimento a todos os colegas e alunos / as da comunidade UERJ que mesmo nas circunstâncias desfavoráveis já mencionadas contribuíram para que o dossiê aqui apresentado tomasse forma: ao Programa de Pós-graduação em História (PPGH-UERJ), ao Laboratório Redes de Poder e Relações Culturais, à COMUM – Comunidade de Estudos de Teoria da História da UERJ, bem como devemos reiterar o agradecimento ao apoio fundamental do corpo técnico da Revista Maracanan, incluindo os editores executivos e o secretariado, Claudio Correa e Magide Vieira.

Beatriz de Moraes Vieira – Professora do Departamento de História e do Programa de Pós-graduação em História da Universidade do Estado do Rio de Janeiro (UERJ). Atualmente, realiza estágio pós-doutoral na Cornell University. Possui graduação em História pela Universidade Federal Fluminense (UFF); mestrado em Letras; doutorado em História Social por esta mesma instituição. É pesquisador associado à COMUM – Comunidade de Estudos de Teoria da História da UERJ. Seus temas de pesquisa voltam-se para: relação entre história e literatura / poesia; história e cultura contemporânea no Brasil e América Latina; experiência histórica dolorosa; memória social traumática.

Eduardo Ferraz Felippe – Professor do Departamento de História da Universidade do Estado do Rio de Janeiro (UERJ). Possui doutorado em História Social pela Universidade de São Paulo (USP); mestrado em História Social da Cultura pela Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro (PUC-Rio); graduação em História pela UERJ; além de ter realizado estágio pós-doutoral na USP. Seus interesses de pesquisa estão voltados para a questão da ética e da narrativa histórica, a relação arte-educação e as estratégias discursivas e formas de popularização do passado, com ênfase entre Memória e História das ditaduras, em prosa em fins do século XX e início do XXI.

Thiago Lima Nicodemo – Professor do Departamento de História e do Programa de Pós-graduação em História da Universidade do Estado do Rio de Janeiro (UERJ). Atualmente, realiza pesquisa na Freie Universität Berlin como fellow da fundação Alexander von Humboldt, categoria pesquisador experiente. Possui graduação em História pela Universidade de São Paulo (USP) e em Direito pela Pontifícia Universidade Católica de São Paulo (PUC-SP); mestrado e doutorado em História Social pela USP; além de ter realizado estágio pós-doutoral no Instituto de Estudos Brasileiros desta mesma instituição. É pesquisador associado à COMUM – Comunidade de Estudos de Teoria da História da UERJ. De sua autoria são Urdidura do Vivido (EDUSP, 2008) e Alegoria Moderna (UNIFESP, 2014), livros concentradas na obra de Sérgio Buarque de Holanda.


VIEIRA, Beatriz; FELIPPE, Eduardo Ferraz; NICODEMO, Thiago Lima. Apresentação. Revista Maracanan, Rio de Janeiro, n.18, 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

 

Propósitos e Propostas para a História da Ciência | Temporalidades | 2018

A História da Ciência sempre foi um campo aberto à interdisciplinaridade, ao diálogo entre historiadores e demais pesquisadores e, sobretudo, ao diálogo e ao questionamento acerca de sua identidade, de sua função, de sua construção narrativa e de sua ação histórica. O dossiê que agora tenho a honra de apresentar trouxe, em sua proposta inicial, tais indagações: Qual a especificidade da História da Ciência? Qual sua metodologia? Quais seus questionamentos teóricos? Qual seu olhar diante das fontes? O que a História da Ciência é capaz de fazer pelo e com o conhecimento? Longe de configurar-se como uma simples crise disciplinar de pouca monta para a História e seus praticantes, esse debate sobre si, sobre o lugar, sobre sua função, sobre seus praticantes e sobre suas características é marca indelével do fazer histórico, do métier do historiador e, portanto, da disciplina História. Sendo História, se a identidade da História da Ciência é forjada na sua própria indagação, no debate, nada mais salutar do que apresentar novos trabalhos como forma de revisitar essa identidade em constante discussão. É exatamente esse o passo que o dossiê “Propósitos e Propostas para a História da Ciência”, preparado pela dedicada equipe da Revista Temporalidades, dá ao apresentar 10 artigos de gradua(n)dos e pós-gradua(n)dos em História, em Filosofia, em Ciências e em História da Ciência. Antes de qualquer análise, vale destacar o interessante e diversificado perfil de autores e autoras que o presente dossiê oferece, marca típica dessa área do conhecimento. O leitor também perceberá que o debate disciplinar fica evidente nas distintas grafias utilizadas para determinar a própria área do conhecimento. Assim, por vezes grafa-se História da Ciência, noutras vezes seu o objeto de análise histórica vai ao plural e temos História das Ciências. É possível verificar, também, os destaques em maiúsculas e minúsculas (história das ciências, por exemplo); discussão que parece trivial, mas que poderia, muito bem, oferecer indícios sobre os diversos posicionamentos no debate disciplinar anteriormente mencionado. De qualquer forma, o que se apresenta aqui, entre propósitos e propostas, são histórias, no plural, nos plurais.

No primeiro artigo desta breve apresentação, Alexander Lima Reis e Millena Souza Farias, por meio de análise historiográfica, transitam entre periódicos, publicações de associações, livros e verbetes biográficos do século XIX, obras canônicas do século XX e bibliografia do recente início do século XXI que modifica a característica difusionista da história das ciências no Brasil. O autor e a autora não apenas destacam as formas pelas quais as ciências foram | são compreendidas e narradas ao longo dos quase três séculos de abrangência do trabalho, como também apresentam um verdadeiro desenho de algumas das principais alterações metodológicas que possibilitam a compreensão atual de ciência como sendo uma produção humana, social, política, cultura. Outra discussão historiográfica presente no dossiê pode ser encontrada no trabalho de Douglas Braga sobre o processo de institucionalização da medicina no Brasil ao longo do século XIX. Em sua análise, o autor apresenta algumas perspectivas sobre o referido processo de institucionalização, destacando e indagando tanto a concepção que apontava a medicina oitocentista como pré-científica, quanto a tendência de reduzir a comunidade médica do século XIX em torno de um bloco homogêneo e coeso, rotulado de higienista. Em linha semelhante de análise, o trabalho de Marcio Luiz Miotto apresenta algumas conseqüências institucionais do processo que vai da formação do profissional à atuação no campo da Psicologia, além de expor, por meio de três estudos de caso, uma discussão da tênue relação entre a História da Psicologia e áreas mais abrangentes do conhecimento, como a História da Filosofia e a História das Ciências.

A muito discutida interface entre a Educação e a história das ciências também marca presença no dossiê, mais especificamente, no artigo intitulado “Entre educação e ciência: discurso e atuação ambientalista de Angelo Machado (1974-2008)”, de Gabriel Schunk, e em “A utilização da história das ciências como instrumento facilitador para o aprendizado da física clássica no ensino médio”, dos autores Renan Alencar e Sérgio Yury Almeida da Silva. Seja pelo viés dos diferentes discursos da educação ambiental ou pelo uso da história das ciências como ferramenta metodológica facilitadora para o ensino de Física, cada texto, a sua maneira, vai discutir as concepções e fundamentos escolares da clássica, relevante e sempre atual relação entre o humano e a natureza.

Já no artigo de Vitor Claret Batalhone Júnior intitulado “Sob Ruínas e Atlas”, o leitor encontrará uma instigante análise sobre a produção intelectual do erudito britânico Samuel Purchas, análise que discute alterações ontológicas, epistemológicas, e suas relações com as noções ocidentais de tempo e espaço. Também debruçado sob os trabalhos de um personagem europeu, Weslley Oliveira Kettle apresenta as descrições naturais da capitania do Grão-Pará elaboradas pelo arquiteto bolonhês Antônio José Landi, com intuito de demonstrar como tais trabalhos fizeram parte de um propício projeto político, e não meramente científico, no contexto da colonização portuguesa na Amazônia. Em diálogo com a temática que relaciona os processos de colonização e as ciências, mas utilizando tratados náuticos para sua análise, o trabalho de Amanda Cieslak Kapp apresenta a relação entre teoria e prática na produção de conhecimento no cenário da expansão marítima durante a constituição do império espanhol no além-mar.

O leitor também encontrará uma análise sobre os desdobramentos da republicação de práticas e métodos agrícolas descritos, originalmente, por portugueses e brasileiros entre o final do século XVIII e o início do XIX. No trabalho de Janaina Salvador Cardoso é possível verificar o modo como as republicações no impresso O Auxiliador da Indústria Nacional contribuíram com o objetivo de promover a instrução de lavradores por meio de divulgação de práticas que melhoravam o aproveitamento de recursos naturais. Por último, e também utilizando fonte de jornal impresso, apresentamos o trabalho de Caroline Lisboa dos Santos Lima em que a autora estuda o projeto de saneamento do município de Passo Fundo à luz das notícias das páginas do periódico O Nacional. Destaca-se, na análise de Caroline Lisboa, posicionamentos diversos, interesses e preocupações com os recursos hídricos durante a execução do projeto de saneamento, discussão que termina por impactar, ainda hoje, o rio que abastece a região.

Diante desse diversificado passeio por temas, fontes, métodos, abordagens, discussões, propósitos e propostas da(s) história(s) da(s) ciência(s), resta o desejo de uma leitura prazerosa do dossiê que vem na sequência. Uma boa leitura.

Itabuna – BA

Francismary Alves da Silva – Universidade Federal do Sul da Bahia.


SILVA, Francismary Alves da. Apresentação. Temporalidades. Belo Horizonte, v.10, n.1, Jan./abr. 2018. Acessar publicação original [DR]

Acessar dossiê

História do Brasil | UFRB | 2018

Nordestina de Historia do Brasil

Revista Nordestina de História do Brasil  (São Paulo, 2018-) tem como objetivo publicar artigos, entrevistas, traduções e resenhas (de livros e artigos científicos) de pesquisadores especialistas em história do Brasil a partir de uma perspectiva local, regional e transnacional. As publicações ocorrem no modelo de Publicação Contínua (PC), conforme os Guias da SciElo, que orientam a publicação nesta modalidade.

Seus objetivos são: a) divulgar o conhecimento científico produzido pelos grupos e projetos de pesquisa vinculados aos Departamentos de História (DHs) e áreas afins das diversas Instituições de Ensino Superior (IES) do país e do exterior; b) criar uma rede de sociabilidade entre os pesquisadores de História do Brasil, especialmente aqueles que partem do recorte espacial supracitado para pensar nas diversas particularidades e diversidades do país; e c) fomentar uma rede de divulgação dos estudos oriundos das investigações realizadas na pós-graduação brasileira e nos outros países.

Periodicidade semestral.

Acesso livre.

ISSN 2596-0334 (Impresso)

ISSN 2674-7332 (Online)

Acessar resenhas

Acessar dossiês

Acessar sumários

Acessar arquivos

Guerras de papel: Francisco de Paula Santander e Simón Bolívar, das peças autobiográficas à relação epistolar (1826-1837) | FAbiana de Souza Fredrigo

Com a passagem de dois séculos desde a deflagração, em 1810, dos processos históricos que se estenderam até 1824 e culminaram na emancipação das colônias hispano-americanas, vêm ocorrendo em vários países da América Latina “celebrações” do bicentenário de suas respectivas independências políticas. Por meio dessas efemérides, os calendários acabam nos impondo, periodicamente, seus temas e fatos históricos de forma implacável, fornecendo sempre, felizmente, a possibilidade de um novo olhar para um “mesmo” passado. Na esteira dessas celebrações, o grande público de cada uma dessas nações tem tido e terá à disposição, certamente, um acesso maior às sínteses históricas, cronológicas e factuais a respeito das independências nacionais. Surge, assim, a oportunidade, embora menor do que se poderia esperar, para o necessário debate sobre o significado, em pleno século XXI, desses acontecimentos que marcaram indelevelmente os perfis, os limites e as possibilidades de novos Estados nacionais latino-americanos que começariam a ser formados a partir das primeiras décadas do século XIX, quando a própria ideia de América Latina sequer existia. Leia Mais

Revoluções e Revoltas no século XX / Manduarisawa / 2018

O dossiê “Revoluções e Revoltas no século XX” traz artigos que analisam momentos importantes da História contemporânea. A Revolução Russa que completou seu centenário em 2017, marcou a trajetória dos trabalhadores do mundo todo, tendo um grande significado para o século XX. É imprescindível num momento em que o mundo novamente passa por uma grande transformação social, política e cultural, convulsionada pela globalização, migrações e novas relações de trabalho, tenhamos abordagens que nos possibilitem revisitarmos o passado onde as lutas sociais foram imprescindíveis para organizar, promover e fortalecer os trabalhadores, seus movimentos, suas reivindicações.

Os artigos presentes no dossiê desse número da Revista Madwarisawa, foram apresentados durante a X Semana de História, da Universidade Federal do Amazonas em 2017, que teve como tema “Os 100 anos da Revolução Russa e o ensino de História”.

O artigo intitulado “Aliancistas e integralistas: disputas políticas e ideológicas no Amazonas”, de Davi Monteiro Abreu, aborda através da historiografia os impactos da Ação Integralista Brasileira (AIB) e a Aliança Nacional Libertadora (ANL) no Brasil e especialmente no estado do Amazonas. Dois movimentos que tiveram impacto no Brasil nos anos 30 e que acabou por influenciar as políticas regionais de outros estados brasileiros, inclusive o Amazonas.

Já no artigo Instituições de ensino com inspiração anarquista no início do século XX, Patrícia Cristina dos Santos apresenta o papel que instituições de ensino anarquistas tiveram no processo educativo no Brasil. Um tema bastante instigante e importante sobre a educação brasileira e sua expansão e a influência de determinados movimentos políticos no final do século XIX e início do XX.

Os trabalhos aqui apresentados trazem temas diversos, mas possuem um único eixo que é a importância da agência dos trabalhadores como protagonistas históricos de eventos de grande impacto social no século XX. Portanto, são trabalhos resultantes de pesquisas monográficas, PIBIC’S ou artigos para disciplinas que refletem sobre as inquietações de seus autores (as), permitindo um diálogo rico sobre sujeitos, protagonismo, política e revolução.

Espero que seja uma ótima leitura para todos (as)!!!

Professora Doutora Kátia Cilene Couto e Equipe Editorial.


COUTO, Kátia Cilene. Revoluções e revoltas no século XX. Manduarisawa, Manaus, v.2, n.2, 2018. Acessar publicação original [DR].

Acessar dossiê